Dio ama sempre tramite qualcuno

don Giuseppe Puglisi, guida spirituale

Innanzi tutto, vorrei contestualizzare un poco il mio rapporto con 3P, lasciatemelo chiamare ancora così perchè io lo chiamavo così, per capire appunto il tipo rapporto che c’era e il tipo d’intensità di rapporto che avevo con questo sacerdote. L’ho conosciuto a quattordici anni, ero a scuola ed era il mio professore di religione. Al secondo anno di superiore questo sacerdote ha invitato la classe a partecipare a un campo vocazionale che aveva come tema il senso della vita, e siccome era proprio questo il mio problema principale io sono andata, un po’ così per polemica. Da quel campo ne sono seguiti altri otto con il mio gruppo e durante questi otto anni questo professore di religione è diventato il mio padre spirituale. Lentamente è diventato anche il mio più caro amico, quello che mi conosceva profondamente e che mi ha insegnato a conoscermi. A poco a poco poi questo sacerdote mi ha chiesto collaborazione e quindi poi sono diventata una collaboratrice – ne aveva tantissimi altri – ma mi ha scelto per i gruppi di nuova formazione perché riteneva che una voce più giovane, più vicina alle persone che dovevamo invitare fosse più adatta. Allora io sono diventata collaboratrice nei campi di nuova formazione al CDV e poi anche a Brancaccio, quindi l’ho seguito per quattordici anni. Lo dico non come quelli che dicono “l’ho conosciuto” solo perchè l’ho visto mezza volta e poi non l’ho visto più, ma era una frequentazione continua e anche profonda; dico questo per inquadrare.  

Tornando al tema, ho pensato per motivi di chiarezza e sintesi di individuare cinque punti: 

  1. Lungo la strada 
  1. Lo zabaione 
  1. Silenzio parola preghiera  
  1. Navigare nella tempesta 
  1. Il sacramento del volto 

 

LUNGO LA STRADA
Se vuoi esser maestro di qualcuno, non devi farti maestro di nessuno”.  

L’ho intitolato così perchè per me 3P è stato un percorso lungo la mia strada e mentre eravamo in una di queste strade riflettevamo su cosa significa “maestro buono”, sull’identità di questo maestro, come si poteva essere maestri di qualcuno. Lui mi disse: “Se vuoi esser maestro di qualcuno, non devi farti maestro di nessuno”.  

“Se vuoi essere maestro di qualcuno”, mi diceva 3P, “devi ricordarti che il primo a lasciarsi guidare dall’Unico Maestro devi essere proprio tu. Soltanto quando imparerai a metterti dietro a Gesù e a seguire le sue orme, potrai diventare un camminatore che sa togliersi le proprie scarpe e calzare quelle di chi gli sta accanto”. 

Questa cosa l’ho conservata in modo prezioso e mi serve ogni volta che si parla di accompagnamento spirituale. Ci sono molti modi di essere guide spirituali e ci sono in giro troppe persone che pensano che bastino tre settimane di corso sulle tecniche di ascolto e le dinamiche di gruppo, per divenire guide spirituali. Oggi c’è ancora la moda del coach, ogni ambito ha il suo coach.  Non entro in merito a questi ambiti, ma penso una cosa: 3P non aveva attestati di nessun genere però aveva scelto Gesù come maestro della sua vita; da lì partiva tutto il suo impegno a favore dei giovani e anche lo stile con cui ascoltava. Non era un pedagogo, non era un sociologo, non era antimafia, oggi qualcuno parla di pedagogia puglisiana, a me pare si faccia un torto a 3P quando lo si presenta da questo punto di vita, non che non lo fosse, però lo riduciamo, gli togliamo l’anima. 3P era un sacerdote, e mi piace ribadire le parole che l’allora card. Pappalardo ha scelto per la sua immaginetta: “sacerdote del Signore”, fa la differenza. Un sacerdote che si confrontava quotidianamente con la Parola perché lì, diceva, è spiegato il senso della vita. Tutte le sue energie sono state spese a servizio della Parola e anche i campi vocazionali sono nati da questo anelito: aiutare i giovani a scoprire il significato profondo della vita, aiutarli cioè a scoprire che c’è Qualcuno che ti ama da sempre, che cammina insieme a te perché tu, proprio tu sei prezioso ai suoi occhi. A me che ero in preda nelle angosce più terribili di questo mondo continuava a ripetermi “tu sei preziosa ai Suoi occhi”. Queste parole di Isaia mi hanno cambiato la vita perché mi hanno messo davanti a Tu, mi ha messo sotto a uno sguardo e questo faceva 3P. Quando parlava di Dio, quando accostava i giovani, non aveva tante parole, non diceva tante parole; soprattutto quando affrontavamo il problema di Dio io avevo un’angoscia esistenziale potente perchè immaginavo questo Dio giudice e mi sentivo dentro una vita che io non avevo scelto, che mi era stata imposta. Lui non ha mai affrontato direttamente questo tema però mi passava un’immagine di Dio e lui diceva “vedi, il nostro Dio che è invisibile, appunto perchè è discreto si rende visibile attraverso le creature che ha creato”.  

Di lui sono state dette ormai troppe cose, è stato assurto a simbolo contro la mafia ma io, e insieme a me quanti abbiamo conosciuto il cuore di 3P e abbiamo condiviso con lui speranze, impegno, fede e preghiera, non ci stancheremo mai di dire che anche quest’impegno a favore della legalità aveva un unica radice: la convinzione che Dio è Padre di tutti gli uomini e che quindi tutti siamo fratelli; la consapevolezza che se ognuno di noi non spende la sua vita al servizio del Vangelo, spreca questo dono prezioso e vive solo in superficie in balia di sentimenti vaghi e fluttuanti. 

3P era un semplice prete serio, ma non serioso, sapeva intrattenersi con tutte le categorie di persone e amava tanto i giovani. Ricordo con molto gusto le sue barzellette; le sue battute comiche, gli aneddoti e la sua risata perché sapeva anche ridere di gusto e poi giocare, cantare nonostante sapesse di essere stonato.  

Amava tanto la natura, perché diceva che il nostro Dio invisibile si manifesta nelle sue creature visibili. Abbiamo fatto tante e tante scalate insieme al gruppo vocazionale di giovani di cui facevo parte. Di notte si partiva, in fila indiana, e lui, con il sacco sulle spalle e il bastone, ci guidava per quei sentieri bui che già aveva perlustrati, e ci faceva ammirare la luna e le stelle, le ranocchie e i fiori che si incontravano o ancora le farfalle, le lucciole o gli insetti strani. 

In quelle occasioni gli piaceva molto cantare: “Conducimi Tu, luce gentile, conducimi nel buio che mi stringe, mi basta un passo, solo il primo passo…”.  Poi finalmente si arrivava in cima al monte e lì, dopo un abbondante colazione, si contemplava il sorgere del sole recitando le lodi. Ci insegnava il cammino del viandante, passo cadenzato, meta fissa negli occhi e nel cuore – dobbiamo salire verso il sole che sorge – ma con l’orecchio attento a chi mi stava dietro e chi mi stava accanto. Mente e cuore impegnati a raggiungere la meta, ma orecchio attento. Questa cosa l’ho capita dopo, c’è una tensione verticale e una orizzontale. Queste cose le ho percepite in maniera esperienziale, non le ho trovate sui libri.  

L’Eucarestia era il fulcro della sua vita e lui la celebrava ogni giorno perché diceva: “Non ne posso fare a meno”; “io sono sacerdote perché amo celebrare l’Eucarestia”. Amava molto la Parola di Dio ed era innamorato della figura di Cristo, soprattutto della sua umanità, con la quale si confrontava sempre, e invitava pure noi a fare altrettanto. Io che mi sentivo sbagliata, sempre arrabbiata, sempre triste, sono stata messa a confronto con l’umanità di Gesù che non mi ha fatto più sentire sbagliata. Ogni volta che parlava di Gesù la sua voce diventava più sommessa, più dolce, perchè conosceva il suo interlocutore. Ricordo quanto amasse il Vangelo di Luca perché diceva: “in particolare questo Evangelista sa delineare in maniera tanto delicata i tratti della figura umana di Gesù “; e amava molto anche il brano delle Beatitudine che tante e tante volte ci ha proposto per la nostra riflessione. La sua era una presenza discreta ma profonda, per nulla insistente, sincera e disinteressata.  

Ci ha insegnato a pregare, e quando ci ha proposto come metodo di preghiera la Lectio divina ci diceva che il primo atteggiamento da assumere nei confronti di Dio era quello del “ringraziamento” per tutti i doni che Lui ci aveva dati, per il dono soprattutto della sua presenza. Non chiedere di continuo, Lui sa, ma ringraziarlo per la Sua presenza: questo ti da la possibilità di metterti davanti a Lui che si abbassa al tuo livello per starti accanto. Mi ha insegnato a dare del Tu a questo Dio. Le sue parole erano semplici e soprattutto quando parlava di Dio, il tono della sua voce diventava più dolce e più sommesso. E così ci ha insegnato a non temere il nostro Dio, perché diceva che Gesù stesso si era rivolto al Padre chiamandolo “Abbà” cioè paparino mio; e allora come potevamo avere paura di questo Dio così pieno di tenerezza per i suoi figli? 

A poco a poco il “prete di cui avevo paura”, il prete che avevo sfidato con la mia polemica adolescenziale, mi si è rivelato amico, il mio più caro amico. Conosceva tutti i miei pensieri, tutte le mie paure, le mie ansie, i miei scoraggiamenti e mi ripeteva sempre “io ti voglio bene, ma Lui te ne vuole molto di più”. 

E mi ha insegnato pure questo: mi ha insegnato a fidarmi di Dio, mi ha guidata verso il Sole – nella sua simbologia era la presenza di Dio sempre presente, Sole che non tramonta mai- che mi indicava giammai con i “discorsi” ma con la sua vita ed io ormai la sua vita la conoscevo molto bene. Quel sole che spiccava in un adesivo a lui molto caro e che rappresenta la presenza del buon Dio nella nostra vita. 

Sì, ma verso dove? era lo slogan di questo adesivo e della mostra vocazionale che aveva voluto a Palermo negli anni 80, e questo slogan sintetizzava la sua fede e il suo impegno di sacerdote del Signore. E, scusate se ve lo racconto, sono stata io ad attaccarlo poi sulla sua bara, perché sapevo che questo era il suo ultimo viaggio, quello definitivo, verso il sole che non tramonta mai. L’adesivo riportava l’immagine di un viandante, con un sacco sulle spalle, sostenuto da un bastone, in cammino su una strada di cui si vede solo un tratto perché poi una curva la fa sparire alla vista.  

In primo piano un Si’ e sullo sfondo, all’orizzonte, il sole rosso al tramonto. Il Sole spicca campeggia sulla strada ed è rosso, unica parte colorata di questo adesivo. Lì ci insegnava la differenza tra chiarezza e certezza: la strada non la conosci tutta con chiarezza, all’inizio ti devi fidare e poi capirai, strada facendo. La chiarezza sulla nostra vita non ce l’abbiamo, ma abbiamo la certezza di questa Presenza che mai ci abbandona. 

Tante e tante volte gli ho sentito commentare il significato di questo Sì: sì alla vita, all’adesione alla propria storia personale, alla storia di questo mondo. Sì alla decisione di essere discepolo di Cristo, cioè uomini e donne che scelgono la sua mentalità, i suoi criteri di scelta e di giustizia. 

In cammino, come i viandanti che mai si installano in una posizione ma sono guidati dal sole all’orizzonte e quello seguono, quello desiderano, verso di lui si muovono.  

In cammino, in questa società piena di contraddizioni in cui spesso pare vinca il male e l’ingiustizia, appesantiti da un sacco: le nostre miserie, il nostro peccato, ma sostenuti da un bastone: il confronto con la Parola e l’Eucaristia. 

Verso dove? Verso il Sole che sta sempre lì: la presenza di questo Dio che ci ama da sempre, cammina con noi, ci aspetta e mai viene meno. A quel Sì, 3P ha dedicato tutta la sua vita e anche lo stile con cui ha vissuto i suoi ultimi giorni. A quel Sì sono stata educata anch’io e tanti altri giovani che come me hanno fatto l’esperienza dei gruppi vocazionali.  

 

LO ZABAIONE 

Cos’è uno zabaione? È una bevanda energetica che ha come elementi essenziali almeno due, ossia il tuorlo dell’uovo e lo zucchero. Quest’immagine è un’immagine molto cara a me e padre Carlo Aquino, ci abbiamo scritto un libro, che per noi sta a indicare questa cosa: fede e vita vanno mischiati insieme come per fare lo zabaione, non li puoi separare. Non si può pensare una fede avulsa dalla vita, campata in aria. Né al contempo una vita senza fede, che è una vita senza sapore, come magiare le patatine senza sale.  

3P faceva questo, uno zabaione tra fede e vita, non era prete sociale, lo ripeto, ma era un prete che andava lì dove veniva mandato e guardava alla vita, osservava la vita e sapeva trovare modalità per annunciare il vangelo in quella situazione.  

Quando abbiamo vissuto uno degli ultimi campi di servizio a Godrano, a Villa San Giovanni, ci ha insegnato a programmare l’annuncio in base alle categorie di persone: ci spiegava che il Vangelo non va annunziato così, tout cuor, ma l’annuncio va personalizzato. Quindi la mattina presto la Messa per gli anziani, ai quali non puoi togliere il santo Rosario; inizia così e poi li porti un po’ più in là. E ancora la drammatizzazione di episodi del vangelo per i bambini; un disco-forum per gli adolescenti; un recital per i giovani adulti. Molte di queste cose lui magari non le conosceva, ma le ascoltava e l’accoglienza, le sposava, promuovendole e permettendoci di farlo. 

A Brancaccio quando è arrivato ha guardato il territorio e ha cominciato con la scuola teologica di base, con la lettura del vangelo continuata di Luca e con il catechismo. Ha cominciato ancora con le missioni popolari, non ha cominciato subito con il centro Padre Nostro; il centro padre nostro, infatti, nasce dalla riflessione sulla preghiera del Padre Nostro.  

Molte volte abbiamo riflettuto sul senso del Padre nostro ed è su questo “NOSTRO” che 3P centrava la sua attenzione; come possiamo dire “PADRE NOSTRO” se non ci riconosciamo fratelli tra di noi? come possiamo dire NOSTRO e rimanere indifferenti davanti alle ingiustizie grandi e piccole, davanti alle cause svariate che calpestano la dignità dell’uomo? E a Brancaccio: come faccio a dormire se mio fratello non ha un lavoro onesto, non riesce a pagare la bolletta a fine mese, non ha una scuola dove mandare i propri figli, non ha una casa degna di questo nome? 

Aveva a cuore la persona per intero, il suo bisogno. Quando abbiamo cominciato l’avventura della ricerca della casa, prima della casa, ha cercato le persone per osservare, anche in maniera statistica se vogliamo, in ogni territorio. Eravamo un tavolo di 35 persone: medici, pedagoghi, insegnanti e tanto altro, tutti amici. Lui desiderava iniziare questa cosa nella speranza che domani sarebbe stata la gente stessa di Brancaccio ad occuparsi del proprio territorio, non possiamo cercare aiuto all’esterno. Quando chiama le suore non lo fa perchè come dicono molti è da solo, non era solo. Le chiama piuttosto per promuovere negli abitanti una domanda, un interrogativo, affinché la gente vedendole si chiedesse “perché è vestita così? Chi gliel’ha fatto fare a fare questa scelta”, era insomma un segno ulteriore che parlasse di Dio.  

Nasce quindi l’esigenza di dare una risposta concreta ai bisogni dei fratelli, da qui sgorga la sua disponibilità a promuovere il volontariato come servizio gratuito. Un servizio d’amore secondo il modello di Cristo che si fa servo degli uomini, un servizio gratuito e attivo che si apre alla persona intera e non soltanto ai suoi bisogni materiali. Per questo in tutti gli ambienti in cui ha lavorato ha educato le coscienze al servizio gratuito, e a Brancaccio, essendosi reso conto della povertà materiale culturale e spirituale, stava orientando le sue energie per restituire dignità all’identità dell’uomo. Non a caso il centro di accoglienza da lui fondato fu chiamato “Centro Di Accoglienza Padre Nostro“, appunto perché dalla preghiera e in particolare da questa preghiera scaturisce il suo impegno concreto a favore dei fratelli poveri come risposta concreta ad un impegno ben preciso: essere servo per amore, come Cristo.  

Il Centro però, nei progetti di 3P non doveva offrire soltanto un servizio materiale, ma doveva diventare anche centro di ascolto della Parola e di Preghiera, appunto perchè il volontariato cristiano è espressione concreta di quell’amore che sgorga dalla Parola pregata. 3P, infatti, era convinto che non si poteva dare una risposta efficace ai bisogni di quel quartiere senza una adeguata preparazione e formazione degli operatori pastorali tutti e dei volontari in particolare i quali dovevano essere accompagnati in un cammino spirituale e motivazionale, oltre che in una preparazione tecnica in rapporto ai singoli settori di intervento. 

A questo punto si può allora comprendere come 3P sia stato promotore di solidarietà’ sociale e di servizio ecclesiale, ma nella carità’. Il Corso di teologia di base, le Missioni popolari, i corsi serali di cresima e tutte le altre attività parrocchiali erano state da lui promosse con l’intento preciso di far conoscere la Parola, l’unica forza di cui si fidava e da cui si lasciava guidare. E la gente, i giovani in particolare, avevano intuito questo suo amore per la Parola tant’è che a conclusione di un Corso di cresima, alcuni di loro, sentirono l’esigenza di approfondire la conoscenza della Parola e fu così che si diede inizio al corso biblico sul Vangelo di Luca. 

3P amava molto i giovani e a loro aveva dedicato molte energie, durante la sua vita. La sua scelta di insegnare religione era motivata dal fatto che voleva incontrarli tutti, praticanti e non e in tutti gli ambienti. Viveva in un rapporto intenso con Dio Padre che non definiva mai con tante parole perché preferiva vivere immerso nel suo Amore, per questo amava tanto la natura e a volte, dopo una giornata caotica si allontanava dalla città per riposarsi alla vista di un panorama o per contemplare il tramonto del sole. Tante volte invece, durante i campi estivi, si alzava presto per godere della vista del sorgere del sole e la sera, spesso, ci accompagnava lungo i sentieri vicino alla casa in cui si risiedeva, per insegnarci a riconoscere la costellazione. Amava perdersi nell’immensità del creato, riflesso infinito dell’infinito amore di Dio, un Amore che non schiaccia, che non opprime ma che al contrario ti avvolge in un abbraccio di infinita tenerezza e 3P questa tenerezza la sperimentava e sapeva anche trasmetterla agli altri. 

 

SILENZIO PAROLA PREGHIERA 

Di Dio ci diceva che era Padre perché questo è il volto che ci ha rivelato Cristo, ma il nostro Dio, diceva 3P, è anche madre, una madre che ha cura del suo piccolo e lo tiene amorevolmente tra le sue braccia.  

Cristo era al centro della sua vita, era l’amico per eccellenza, il Maestro; di Lui parlava quasi sottovoce sottolineando con parole semplici la sua umanità: un uomo come gli altri, un uomo diverso dagli altri, un uomo con gli altri, un uomo per gli altri. Ne parlava come colui che conosce bene il suo interlocutore e sa di essere amato da Lui, e più che con le parole, 3P parlava con lo sguardo, uno sguardo intenso, sereno, profondo, uno sguardo che ha incontrato lo sguardo del Maestro e da lui è rimasto affascinato. 

Per questo faceva riferimento sempre allo sguardo di Gesù; nel caso della vocazione dei discepoli riportatoci da Giovanni, ci faceva notare come l’evangelista ricorda con precisione l’ora esatta di quell’incontro, proprio per sottolineare che quell’incontro con Gesù ha cambiato in modo radicale la vita di quei discepoli o nel caso della peccatrice, ci faceva immaginare questo sguardo che andava al di là dell’aspetto fisico, leggendo in profondità quell’amore che nessun uomo aveva intravisto.  

3P amava Cristo e sapeva quale gioia venisse dall’essere amati da Lui e da questa consapevolezza derivava proprio il suo amore per la Parola e il suo impegno nell’annunciarla. “Chi non conosce Cristo non può non amarlo e lasciarsi amare da Lui, e noi “che lo abbiamo conosciuto non possiamo tenere per noi questa gioia, dobbiamo portarla agli altri, ed è per noi un’esigenza”. Così diceva ed era veramente convinto tant’è che il suo impegno primario era proprio l’evangelizzazione, in questo senso era missionario del vangelo immerso nella vita delle persone nella storia di ogni giorno  

Amava moltissimo la Parola e cercava di cogliere in essa tutto il messaggio vitale di cui essa è intrisa, e per fare ciò 3P non faceva discorsi su essa, non esprimeva mai il suo parere, secondo il consueto “secondo me”, ma cercava di andare al di là delle parole per cogliere la Parola vivente e con essa confrontarsi. 

Non faceva sconti nell’annunciarla, né l’ammorbidiva, era onesto e la annunciava agli altri integralmente, ma sapeva anche renderla accessibile, infatti aveva una grande arte nell’annunciare, e a seconda dell’uditorio si serviva di detti e proverbi siciliani, di frasi ironiche o ancora di riferimenti storici, culturali, insomma di tutto ciò che poteva servire perché la Parola fosse compresa e accolta. E insegnava a leggere e a “decifrarla”, infatti era convinto che oltre che il messaggio bisognava diffondere un metodo per poter pregare la Parola senza con fonderla con le parole e con i pensieri e le preoccupazioni personali. 

Da qui il suo impegno nell’insegnare poco per volta a fare silenzio interiore, nell’insegnare a gustare il silenzio, luogo privilegiato di incontro con la presenza trasformante del suo Amore. 

Silenzio, Parola, Preghiera. Era questo il trinomio su cui si muoveva e che insegnava a gestire. Solo nel Silenzio si gusta la Parola che è Parola vivente, solo la Parola diventa Preghiera cioè dialogo con un Dio che si è fatto Parola per farci uscire dal nulla della non esistenza; ci ha elevati a dignità di persone, ci ha dato la possibilità di essere suoi interlocutori, ci parla perchè per Lui siamo importanti e lo siamo a tal punto che ci dona una Parola capace di trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne, cioè capaci di amare. 

La Parola era il suo vincastro e nei momenti di scoraggiamento faceva riferimento ad essa per continuare a camminare e a sperare. 

Ricordo una sua omelia qualche tempo dopo l’assassinio di Borsellino e della sua scorta, si avvertiva uno scoraggiamento generale, eravamo ancora sotto lo choc della stragi di Capaci, e dopo quasi due mesi quest’altro massacro; e 3P durante questa omelia diceva: “Siamo scoraggiati, è vero!, anch’io sono rimasto sconvolto, ma poi la Parola mi ha risollevato” e facendo riferimento al granellino di senapa spiegava come questo piccolo seme diventa un albero grande, il più grande degli altri legumi tanto che tra i suoi grandi rami trovano rifugio come in un abbraccio gli uccellini. E continuava dicendo: “E’ questa la nostra forza, se anche il nostro cuore è turbato, la forza della Parola ci infonderà coraggio e speranza per continuare fiduciosi nel Signore”. 

Aveva vissuto anche il dolore per la morte, prima della madre, ultimamente del padre che da cinque anni viveva con lui, e anche in quest’occasione, davanti alla salma del padre, con la voce strozzata dal pianto ma con la forza di chi crede al di là della morte diceva: “Il nostro cuore è turbato, ma tu ci hai detto ‘come la pioggia e la neve scendono giù dal cielo e non vi ritornano senza irrigare e far germogliare la terra, così anche la mia Parola non ritornerà a me senza operare quanto desidero, senza aver compiti  ciò per cui l’ho mandata’ e noi ci crediamo”. 

La Parola era radicata nel suo cuore, per questo viveva con assoluta serenità, perché aveva costruito la casa sulla roccia, pertanto era consapevole che nessuna cosa, nessun evento avrebbe potuto togliergli la serenità interiore, anche questo aspetto del suo essere lo aveva imparato alla luce della Parola, infatti parafrasando Matteo 6, il brano della Provvidenza, ripeteva sempre: ‘perchè affannarsi? Lui sa di che cosa abbiamo bisogno e non ce lo fa mancare…. il cristiano non può essere triste perché sa di valere di più, molto di più dell’erba che oggi c’è e domani si getta nel forno, o dei gigli dei campi, così ben vestiti! Affidati a Lui e non resterai delusa! Lui ti vuol bene!!”. 

Amava la Parola, la annunciava, ma si confrontava con essa con l’intento di poter rassomigliare sempre più al maestro che tanto amava.  Uno dei brani a cui spesso faceva riferimento era il brano delle beatitudini riportatoci da Matteo perchè, diceva 3P, ‘in questo discorso Gesù propone degli ideali e ci fa capire che chi si immette sulla via delle beatitudini, trova la felicità. E il tema della gioia era proprio quello su cui fermava la sua attenzione, facendoci capire come tutto il brano delle beatitudini fosse una proposta di gioia piena, cosa diversa dall’allegria che fa baldoria ma che ti lascia vuota dentro.  

Gli ideali proposti da Gesù Cristo procurano felicità vera, la beatitudine, ma devono essere accolti liberamente perché Dio non impone ma propone. Diceva pure che questi ideali dovevano essere interiorizzati a tal punto da diventare stile di vita personale, azione concreta che doveva caratterizzare le scelte della nostra vita; in questo senso 3P ci suggeriva di confrontarci con la Parola, appunto per uniformarci sempre più ai comandamenti di Cristo e anche perché era consapevole, e non ci nascondeva, che scegliere Cristo e seguirlo non era cosa facile, anzi è proprio difficile perché i valori di cui ci parla Gesù, hanno nel mondo di oggi dei controvalori che ci distraggono dalla sua proposta di felicità. 

3P ci ripeteva sempre che il discepolo non sempre è accolto con gioia, che il giusto sicuramente troverà degli ostacoli, che la persecuzione non è un fatto di altri tempi ma anche dei nostri giorni. Ma anche in questo caso la gioia è possibile infatti, diceva 3P, procura gioia il saperci sempre consolati da Dio, dà sicurezza la consapevolezza di essere nelle braccia di un Padre, di saperci vicino ad un amico che ci guarda sempre sorridente e non ci abbandona mai, un amico che è venuto e con noi rimane sempre, un amico che ci ha amato tanto da dare la sua vita per noi. 

Diceva 3P: “E” difficilissimo morire per un amico, ma morire per dei nemici è ancora più difficile. Cristo è morto per noi, quando ancora noi eravamo suoi nemici, da questo si comprende la costanza dell’amore di Dio fino all’estremo limite, anzi senza limiti. Ecco il motivo della nostra gioia!!”. E 3P viveva immerso in questa gioia perchè era consapevole, lui per primo, di essere amato dal Padre, per questo nella sua vita aveva molta importanza la preghiera che sgorgava appunto da questa considerazione il sentirsi amato da Dio.  

Per questo ci ha insegnato a pregare, perché diceva che la preghiera vera, dialogo di amicizia, colloquio a tu per tu con Dio che è Padre ed Amico. C’è differenza tra pregare e recitare preghiere. Con lui, infatti, ho scoperto che pregare è ascoltare Uno che mi parla, per cui bisogna fare silenzio; un silenzio che non è fuga, vuoto, ma è una presenza che mi abita e che io posso avvertire solo nel silenzio del mio cuore. Allora non devo avere paura del silenzio, ma devo imparare ad ascoltarlo questo silenzio a partire da una Parola proclamata, Parola che parla, se io ascolto Dio parla, non è vero che non parla. 

È la preghiera, diceva 3P, che dà senso alla vita dell’uomo perché rende viva l’amicizia con Dio; la preghiera è scuola di conversione perché in essa e per mezzo di essa, l’uomo acquista sempre più la sua identità, diventando sempre più simile a Lui. 3P ci parlava pure di due dimensioni nella preghiera: la dimensione verticale che si rivolge al Padre, e la dimensione orizzontale che discende dal Padre e ci fa fratelli l’uno dell’altro, essendo già figli di un solo Padre. E ancora una volta il modello a cui faceva riferimento era Cristo che 3P definiva: preghiera vivente perché durante tutta la sua vita umana è stato in continuo dialogo col Padre, in continua relazione con Lui. 

E tutto ciò che Cristo compiva era sempre preparato e concluso dalla preghiera: preghiera di lode, di ringraziamento di fiducia. Cristo si rivolge al Padre con grande confidenza e insegna pure a noi a pregare e a rivolgerci a Lui chiamandolo Padre, da qui viene il grande amore di  

3P per la preghiera del Padre Nostro: preghiera che ci scuote, diceva 3P, ci interpella, ci responsabilizza.  

Non diciamo allora che 3P era triste, non pensiamolo triste come spesso ce lo mostrano i film, non era triste; lui stesso diceva “ho avuto molti problemi, ma uno solo non mi ha colpito: la tristezza.” 

 

NAVIGARE NELLA TEMPESTA 

È stata una guida sempre, sia quando le cose andavano bene, sia quando le contestazioni all’interno del gruppo giovani a cui si rivolgevano cominciarono ad essere più pressanti ed è arrivata la tempesta  

A questo proposito voglio ricordare due elementi che riprendo dalla mia personale esperienza: la chiarezza e la fermezza. Eravamo un gruppo affiato che camminava insieme da sei o sette anni e nel corso di questo periodo eravamo diventati protagonisti della vita di gruppo. Sino a quel momento le tematiche ruotavano tutte attorno a Gesù: Gesù uomo-Dio, l’Eucarestia: vocazione dei credenti, la comunità cristiana, le beatitudini.  Arrivato ad un certo punto, alcuni di noi hanno cominciato a sentire “altre esigenze” e a chiedere l’approfondimento di “argomenti più moderni”. 

3P, dopo lunghe discussioni e polemiche ha organizzato un ritiro di tre giorni di preghiera e di discernimento alla fine del quale con tono molto deciso e con molta chiarezza ha chiesto a ciascuno di noi di prendere la nostra decisione personale. Tanti sono rimasti in un atteggiamento di polemica e se ne sono andati. Siamo rimasti in pochi, sei o sette, (eravamo venti circa) e quando gli ho manifestato il mio dispiacere per la dispersione del gruppo mi ha detto: “Certe volte bisogna avere il coraggio di fare scelte di fede e non di comodo e poi noi non siamo fatti per stare legati tra di noi, la nostra è una comunità, non una comitiva e chi ci mantiene legati è soltanto Gesù”.  

La sua “tristezza” dopo questo fatto non era legata al disfarsi del gruppo che lui stesso definiva “fatto fisiologico”, ma alla non scelta di alcuni di seguire Gesù. Mi diceva ancora che un cristiano triste è un tristo cristiano, che non ha raggiunto il suo modo di essere, non ha centrato il bersaglio, un po’ come un uccello che ha le ali e non vola. Un cristiano deve vivere la gioia e come ci diceva sempre un cristiano deve “vivere l’esigenza di annunciarla questa gioia”. 

Questo episodio mi ha molto segnata e me lo ricordo ogni volta che si parla di accondiscendenza e di obbedienza, quando questo significa volere annacquare il vangelo per paura di risultare impopolare; me lo ricordo, ogni volta che si preferisce non rischiare nel fare scelte forti per paura di restare soli. 3P, con la sua adesione a Gesù, ci educava a sapere scegliere non quello che “mi” piace o che è alla moda, non quello che “mi” può divertire, ma soltanto Colui che vale più di ogni altra realtà nella vita; soltanto Colui che mi aiuta a crescere che può donarmi quella pienezza di vita a cui tutti aspiriamo; e per fare ciò sapeva anche essere fermo e deciso.  

Altro elemento era la fermezza.  

Siamo a Brancaccio, Centro Padre Nostro e attività, la mafia si spaventa e inizia con le intimidazioni (cose che abbiamo conosciuto dopo perchè lui non le raccontava e deviava il discorso). Dopo le ritorsioni a due membri del condominio di via Azzolino Hazon, a cui avevano bruciato le porte di casa, si respirava un clima di paura e di tensione. Per rasserenare gli animi, allentare tensione e offrire un gesto di solidarietà siamo andati nella casa in campagna di uno di loro. A un certo punto uno di questi membri si fionda in sacrestia – dove c’ero anch’io, ma 3P dandomi le spalle non si era accorto della mia presenza- e comincia a urlare senza sosta adesso basta io mi ritiro, devo difendere la mia famiglia”. Finito lo sfogo, che 3P aveva ascoltato attentamente e silenziosamente, se ne va. Allora 3P, sempre ignaro della mia presenza, dice tra sé e sé: “ma non si rendono conto che queste sono intimidazioni per il prete?”; allora io subito intervengo chiedendogli spiegazioni e lui, senza perder tempo, svia il discorso e mi tranquillizza. Era consapevole di quello che stava succedendo e di quello che sarebbe potuto succedere, però è rimasto. Allora piuttosto che parlare di mafia, perché non parlare della sua fermezza? Perché non parliamo della serenità di fondo fino alla fine? Io sono stata con lui fino al 14 settembre, esaltazione della S. Croce, di cui ricordo con precisione l’ultima sua omelia che ho ascoltato; parlava di questa angoscia di Gesù che suda sangue, ma anche del fatto che Gesù è rimasto fino alla fine. E diceva queste cose con una serenità e un sorriso che mi scaldava il cuore. Forse lui parlava di Gesù ma in Gesù si rivedeva? A me questa sua serenità è rimasta.  

La sua esperienza e il suo martirio oggi mi lasciano questa certezza: 

  • il Vangelo non è un codice comportamentale che cambia con le mode ma una persona che va presa sul serio e con la quale vale la pena confrontarsi continuamente fino in fondo fino alle estreme conseguenze.  
  • Educare alla scelta, al Sì, non significa suggerire le risposte o rendere facile il cammino facendo i passi al posto di chi deve camminare. Educare alla scelta significa: accompagnare la persona a stare sola davanti a Dio soltanto perché solo Lui è il Maestro che può suggerire e indicare nel silenzio il percorso da intraprendere.  
  • Il Maestro è uno solo e noi siamo tutti suoi strumenti e siamo tanti perché alcuni sono chiamati a fare qualcosa di specifico che altri non sanno fare; “Nessuno è più grande del suo Maestro” significa proprio questo: quando ci rendiamo disponibili ad assolvere un servizio, dobbiamo farlo con passione e con “competenza” ma ricordando sempre che nella vigna del Signore, nessuno acquisisce titoli o diventa unico appaltatore di un’opera; nella vigna del Signore siamo tutti uguali in dignità e complementari allo stesso tempo; abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma l’Unico di cui non possiamo fare a meno è proprio Gesù Maestro di vita 

 

IL SACRAMENTO DEL VOLTO 

Quando ho sentito Grigoli e Spatuzza, i suoi due killer, che raccontano com’è avvenuto l’omicidio e di quel “me l’aspettavo”, ho avuto un tonfo al cuore è ho pensato “è lui”, è il suo stile, non può che essere andata così. Così 3P affronta gli ultimi istanti della sua vita su questa terra con la stessa profonda serenità di fondo. Con una pistola alla nuca, sentendo vicina la morte, non inveisce, non perde la serenità ma al contrario trova il coraggio di fare “un gesto inutile”: un sorriso. 

 

Gli ha impedito, questo sorriso, di evitare la morte? No! Ma quel sorriso ha fatto certamente di più.  

È morto 3P, non odiando, non imprecando, ma vivendo il sacramento del volto. 

Cos’è un sacramento lo sappiamo, segno e strumento dell’amore di Dio. Attraverso questo sorriso lui ancora una volta ha passato questo messaggio “io ti amo, guarda che tu sei prezioso ai suoi occhi”.  Quel gesto non ha lasciato come prima il suo destinatario. Ci sono gesti come quel sorriso 3P ha contribuito a cambiare la storia di un uomo. Con quel sorriso 3P ha avuto innanzitutto il coraggio della tenerezza e dell’amore. Questo sacerdote ha spalancato una finestra da cui è passato un fascio di luce. “Armato” solo di un sorriso, ha restituito il volto d’uomo proprio al suo killer. Con il suo gesto semplicissimo, anche in quella circostanza, ha continuato a donare un briciolo di ciò che nessuno, nemmeno il suo boia, poteva togliergli: la pace del cuore. E il suo gesto, inutile, nel senso che non gli è servito per scampare alla  morte ha avuto conseguenze “imperscrutabili”. 

 

Il killer, Salvatore Grigoli, scrive in una lettera di scuse alla città di Palermo: “Oggi sono consapevole di aver sbagliato in modo grave. Oggi che comincio ad assaporare il bene e a disgustare il male. La morte di don Pino ha contribuito al mio cambiamento”.  

Ditemi se questo non è un miracolo, questa è la potenza del sacramento del volto. L’amore è questo: spiegarsi con un “gesto, anche povero, ma che trasmette un messaggio indiscutibile: Dio ama anche te e io questo lo posso dire facendomi prestare il sorriso da Dio. Noi abbiamo questo privilegio e vivere il sacramento del volto. Il resto è nelle Sue mani e nelle mie scelte di ogni giorno.