Tutti chiamati, tutti mandati

don Giuseppe Puglisi, animatore vocazionale

Relazione tenuta all’Incontro Nazionale dei direttori dei centri diocesani vocazioni e degli animatori vocazionali degli istituti di vita consacrata, Palermo 18-21 ottobre 2023

 

  1. Tutti chiamati

 

Ho collaborato 3P (padre Pino Puglisi) soprattutto in due realtà: il centro diocesano vocazioni e il centro regionale vocazione, insieme abbiamo preparato parecchi convegni e accompagnato parecchie persone. Cercherò quindi di tirare fuori dai miei ricordi quello che è stato il suo modo di agire, il suo modo di operare, nei confronti delle persone che accompagnava. E visto che il tema è “abbiamo bisogno di vocazioni autentiche” mi piace cominciare con una nota che pare negativa ma non è negativa. Leggiamo il brano del Vangelo di Luca che ci aiuta a introdurre il tema: 

 

57Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». 60Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». (Lc 9,57-62) 

 

Perché ho voluto scegliere questi episodi? Sono tre incontri che il Signore incrocia sul suo cammino e che diventano, secondo me, incontro di tre possibilità diverse di mettersi alla sequela del Signore, non sono positive, ripeto, ma queste sono realtà nelle quali fare i conti sempre nella nostra vita e nell’accompagnamento delle persone. Vi è una costante di tutte e tre gli episodi che potete verificare nella necessità di chiarezza e consapevolezza interiore – e questo per me è il centro – senza le quali nessuna sequela è possibile e difficilmente è vera. Cerchiamo di vedere tutti e tre i casi.  

Nel primo caso un tale che chiede di farsi discepolo – ti seguirò ovunque tu vada – e la risposta è completamente diversa da quello che ci possiamo aspettare “le volpe hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi…”, cosa ci insegna questo?  Ci presenta una prima montagna, l’ho chiamata così, cioè il termine di inclusione per poter trovare un rifugio rassicurante alla sequela di Gesù; questo può essere un problema, un rifugio rassicurante; invece, la sequela ci espone alla precarietà e all’incertezza. Nel secondo caso è Gesù che chiama e si trova davanti una risposta che non è un rifiuto – permettimi di andare prima a seppellire mio padre – qua la montagna qual è? La tentazione di rimandare non cogliendo l’urgenza dell’appello del Signore. Dopo, rifletto, penso, vediamo. Nel terzo caso si tratta di superare la montagna del compromesso a favore di una decisione che non pone condizioni al dono di sé. Quindi abbiamo tre personaggi, tre incontri, tre situazioni e tre montagne da scalare.  

Primo, l’entusiasmo che prende l’iniziativa costretto poi a scontrarsi con la verità della propria formazione. Seconda montagna è la montagna che chiede di guadagnare tempo che è scatenata dalle giustificazioni e rilanciata più in alto perché Gesù rilancia sempre più in altro.  

Nel terzo caso si tratta di superare la montagna del compromesso a favore di una decisione senza rimandi e che non pone condizioni al dono di sé. Tre personaggi, tre incontri, tre situazioni… tre montagne da scalare o, forse, da spostare!  

 

– L’entusiasmo che prende l’iniziativa, costretto poi a scontrarsi con la verità della propria affermazione, di quell’«ovunque» che toglie ogni sicurezza;  

– una risposta che chiede di «guadagnare tempo», scardinata subito dalle giustificazioni e rilanciata a un livello più alto;  

– infine un’offerta generosa, ma che pone delle condizioni (si, ma.. si però..). 

Credo che con il Signore non ci possano essere condizioni, ma solo convinzioni che ci spingono a una conversione serena e audace. 

Noi dove siamo? Chi vogliamo diventare attraverso le nostre intuizioni e le nostre scelte? Anche quelli che siamo avanti nel cammino e abbiamo fatto una scelta non dobbiamo fare ogni giorno delle scelte.  

 Vogliamo rimanere saldi sulle nostre sicurezze, nascosti dietro le giustificazioni, oppure dobbiamo riconoscere di essere incapaci di rispondere a un appello più grande a causa delle paure che ci abitano fino a tenere il desiderio legato, fino a paralizzarlo? 

Chi non conosce Gesù, chi non l’ha incontrato, chi non ha vissuto le quattro del pomeriggio di cui ci parla Giovanni allora io credo che:  

“Chi non conosce Cristo non può amarlo e lasciarsi amare da Lui, e noi che lo abbiamo conosciuto non possiamo tenere per noi questa gioia, dobbiamo portarla agli altri, ed è per noi un’esigenza”. Questo ci introduce al “tutti mandati”. 

 

  1.  Tutti mandati 

Nella mente e nell’azione di 3P appare molto chiaro che bisogna rinunciare alle nostre sicurezze, perché la logica che lo accompagnava nel discepolato (mi piace chiamarla così la chiamata) come nell’apostolato (mi piace chiamarla così la missione), era quella della sproporzione. 

Questo molti lo hanno notato a Brancaccio, ma io l’ho notato anche tutte le volte che dovevamo prendere delle decisioni al centro diocesano vocazioni.  

Sproporzione tra le esigenze reali e le nostre possibilità. Sproporzione tra i bisogni e le risorse, tra il poco che possiamo fare e il più che ci resta da fare. Lo viveva sempre, ripeto, non solo a Brancaccio, ma soprattutto quando si trattava di portare avanti certe idee. E una delle idee che portava avanti era difficile da comprendersi, non sempre accettata, anzi alcune volte ostentata, ossia che la vocazione non riguardava solo l’essere preti o suore, questo era un discorso su cui insisteva.  

Ebbene, di fronte a tali situazioni impossibili esiste soltanto la possibilità della conversione. Conversione che comporta, da parte nostra, due ingredienti essenziali: fede e cuore. Fede opposta alla fatalità e cuore che si ribella alla logica delle cifre, credo che sia una realtà nella quale ci troviamo sempre; le statistiche, le cifre non sempre ci incoraggiano, ma noi non dobbiamo guardare a quelle.  

Intendo fede come principio di lotta, di ostinazione. E poi la ribellione contro il peso schiacciante delle cifre, contro la fredda inesorabilità delle statistiche. 

Un cuore contro un cumulo schiacciante di miserie, bisogni, disgrazie, sofferenze. Un cuore contro l’impossibile. Un cuore che si oppone all’inevitabile. 

Ce lo insegna il ragazzino del Vangelo quando presenta a Gesù cinque pani e due pesci per cinquemila, fa il gesto di chi passa dall’aritmetica delle cifre alla poesia del dono. Questo mi pare che in 3P esistesse continuamente, non si fermava alle statiche o alle cifre, ma andava avanti, battendo molto su questa sproporzione, sulle nostre capacità, le nostre risorse e necessità, credo sia normale in tutti i tempi e in tutti i campi; chi non si trova a combattere con queste realtà? 

Ribadiva spesso 3P, Gesù non aspetta altro che quel gesto “irragionevole” per sconfiggere la sproporzione. Così per te, per me, per tutti. Si tratta di “mettere a disposizione” quel poco che abbiamo. Talvolta hai l’impressione che sia “niente”. Non importa. Fatti avanti e offrilo. Presenta quel “niente”, se lo presentiamo a Gesù tutto diventa possibile nelle sue mani. Dunque, sei sulla strada buona per la conversione. 

L’altro aspetto per poter vivere prima il discepolato (chiamata) e di conseguenza l’apostolato (mandato) riguarda il terreno della riduzione. Con riduzione mi riferisco alla parabola della zizania. Gesù si incaricherà di allargare ulteriormente gli orizzonti dell’uomo, di proporgli mete “impossibili”.  

Ed ecco il demonio che, di notte, come il “nemico” della parabola, sposta i confini, restringe gli spazi, riduce gli orizzonti, accorcia le dimensioni dell’uomo, limita paurosamente il campo delle sue possibilità. 

Il “padre della menzogna” si accanisce appunto ad ingannare l’uomo circa il suo vero essere: “Tu non sei altro che…”, “Sei soltanto…”. Oppure ad ingannarlo circa le sue vere possibilità: “Accontentati di…”. Ecco la zizzania più nefasta che il demonio semina nel campo dell’uomo la zizzania dellariduzione”. Ecco l’immagine dell’uomo fatto a immagine di Dio viene ridotta, saccheggiata, sfigurata! 

 

 

 

 

 

 

  1. Come 3P viveva il suo essere discepolo e il suo essere apostolo, e come cercava di trasmetterlo? 

 

Il primo punto che mi piace sottolineare è che cercava di essere compagno di viaggio e servitore dei fratelli. Per quello che il Signore Gesù ci ha costituiti non possiamo mai guardare un povero o uno che soffre o è smarrito dall’alto in basso, come se noi possedessimo tutte le risposte o la verità tutta intera.  

Dobbiamo metterci a fianco dei nostri fratelli, dobbiamo essere cercatori della verità con chi cerca. Non sempre la verità è chiara a noi stessi, non sempre per noi brilla il sole, tante volte il nostro cielo è oscurato dalle nubi della sofferenza, dalle nubi della quotidianità e, certe volte, anche del non senso di quello che facciamo e dei riti che celebriamo.  

Questo ci deve rendere ancora più partecipi delle sofferenze dei nostri fratelli, proprio perché anche noi sperimentiamo le difficoltà, dobbiamo saper venire in aiuto a quelli che soffrono. Allora non guardiamo mai nessuno dall’alto in basso, disponiamoci ancora di più a essere servitori dei nostri fratelli, raccogliamo ogni cuore, ogni lacrima come un sangue prezioso da portare all’altare ogni giorno. Questo viveva 3P e questo ci raccomandava. Molte volte vivevo con lui confronti su come accompagnare le persone e per me è stata una grande ricchezza. Io a 3P l’ho conosciuto i miei primi anni di sacerdozio e ho appreso veramente tanto a questo livello dell’accompagnamento. Lui mandava a me le persone a fare discernimento e diceva che non era capace, questa bugia possiamo perdonargliela!   

Disponiamoci a essere servitori di tutti che poi è il nostro compito, la nostra missione, il nostro mandato. Ci aiuta a vivere ciò il portare all’altare tutti i travagli e le gioie del nostro popolo e offrirli al Signore perché il Signore trasformi tutto questo e ci restituisca, in cambio della povertà e della debolezza di ciò che noi offriamo, il Cristo Figlio suo, l’unico di cui noi abbiamo realmente bisogno. Mi confidava 3P che questo lo faceva spesso e si percepiva. 

 

Viveva “Il sano affetto cordiale”  

Quando Natanaele si avvicina al Signore con un po’ di diffidenza Gesù vince le sue ultime resistenze con queste parole: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico” (Gv1,48). Con queste parole, Gesù fa capire a Natanaele che, prima ancora che qualcuno gli avesse parlato di lui, Egli già lo seguiva con la personale attenzione dell’amore. Questi sono particolari che ci aprono il cuore. Lo possiamo definire un “incontro cordiale”, ecco perché l’ho chiamato “Un sano affetto cordiale”. Allo stesso modo, il giovane ricco si avvicina a Gesù attratto dalla sua bontà. Giuntogli vicino gli sgorga spontaneo dal cuore il saluto: “Maestro buono” (Mc 10,17). In quel momento il Vangelo di Marco riferisce dello sguardo amichevole che brillò nel volto di Gesù: “Allora Gesù, fissatolo, lo amò” (Mc 10,21).  

Prima di fargli la proposta Gesù gli mostra con il suo affetto cordiale, gli mostrava di volergli bene davvero. Dalla manifestazione di quell’amore nascerà l’invito che gli spinge nell’andare avanti. Questi sono elementi molto importanti che danno valore all’educatore-accompagnatore. 

3P cercava in tutti i modi che la sua accoglienza, nei confronti di coloro che lo cercavano, fosse modellata su quella di Cristo. Egli, infatti, cercava di far sentire alle persone che lo accostavano che la loro fiducia sarebbe stata ripagata dal Signore in ogni tempo e in ogni luogo. Che il suo cuore era sincero, pienamente amichevole e affettuoso alla maniera di Gesù. 

La persona recepiva con chiarezza che non si trovava davanti a un magistrato o a una fonte di informazioni, bensì dinanzi a una persona attenta, aperta e benevola. 

Questa forma di cordialità sincera gli faceva evitare nel colloquio la fretta. Una delle caratteristiche di 3P era che arrivava sempre in ritardo, e molte volte arrivava in ritardo perché doveva finire il colloquio. Fretta non è diligenza; non aver fretta non significa perdere il tempo, soltanto fa capire che la persona è importante per noi.  

Donare la propria persona e il proprio tempo cordialmente implica anche saper ascoltare veramente. Forse in questo, e magari senza forse, consisteva il segreto per cui 3P attirava molte persone: ascoltare attentamente colui che mi chiede di parlare. 

Ascoltare con piacere è il miglior modo di darsi al prossimo, a imitazione di Dio che è sempre in ascolto delle nostre suppliche. Ascoltare con pazienza, ascoltare con interesse, ascoltare con amore, essendo pienamente consapevoli di ciò che ci viene detto. In effetti, una parte di questo saper ascoltare consiste nel saper recepire anche un pensiero espresso fugacemente, che può essere fondamentale per spiegare “la persona”. Bisogna essere attenti non soltanto a ciò che ci viene detto, ma anche a quello che non si osa dire del tutto e che lascia intendere fugacemente. 

La sana cordialità non può limitarsi al momento del colloquio. Deve aver cura non solo nei momenti del colloquio, ma anche dinanzi al Signore. Chi accompagna, ripensando a ciò che è stato trattato durante il colloquio, è molto importante che raccomandi nella preghiera la persona, tenendo presenti le sue preoccupazioni.  

Accanto al sano affetto cordiale, in 3P riscontravo un altro dono: quello di comprendere le persone. Questo dono lo possiamo riferire a una duplice qualità: leggere nell’anima e infondere fiducia. 

“Leggere un’anima” non significa possedere un dono preternaturale di conoscenza delle coscienze. Significa la prontezza con cui, attraverso segni modesti, si recepisce immediatamente ciò che uno vuole dire. Non si ha bisogno di lunghe spiegazioni e di sfumature. La persona si sente immediatamente compresa, anche se ha parlato pochissimo. Questa comprensione si estende ai desideri, ai progetti, ai diversi modi di servizio di Dio cui si sente chiamata, alle tentazioni, alle esigenze, ecc. 

“Infondere fiducia” consiste nel riuscire a far sì che colui che viene a parlare non ci consideri come persona estranea, ma come uno che capisce molto. Parlando delle sue cose intime, ognuno deve sentirsi dinanzi a un altro “se stesso”, che sia, però, benigno, indulgente, equilibrato, luminoso, capace di arricchirlo con ciò che a lui manca. È importante che si senta capito meglio di quanto lui stesso si capisca, con un sentimento di benevolenza superiore, e si senta giudicato con una serenità che lui non ha, con un giudizio divino che dilata il cuore.  

In queste condizioni si può parlare senza difficoltà, senza imbarazzo, senza violenza. Spesso nei nostri scambi con 3P, ci confrontavamo proprio su questi punti. Coglievo, in queste occasioni, quanto anche lui cercasse di realizzare tutto ciò.  

 

Cercava di essere trasparenza di Cristo 

Un sacerdote può anche essere un bravo organizzatore, può anche essere un efficiente diffusore della buona notizia, ma parlerà di sé ed annuncerà sé stesso se, nella fede, non si consumerà nel coraggio di scomparire, nel coraggio di uniformare la sua volontà alla volontà di Dio.  I nostri laici non hanno bisogno di grandi maestri che salgono sulle cattedre, hanno bisogno di uomini che sanno elaborare il Vangelo nella storia; capaci di dialogare e testimoniare il loro essere affascinati da Gesù. Non hanno bisogno della nostra azione pastorale, ma hanno bisogno di essere attratti dal fascino di Cristo in noi. Hanno bisogno di Cristo non di noi! Allora è nella misura in cui noi sappiamo scomparire, che attireremo tutti a Cristo. 

Per realizzare questa trasparenza di Cristo ci possono aiutare tre punti forza da vivere e nello stesso tempo tre punti deboli che usava 3P, da evitare. Ho intravisto una coppia di 3P, i tre punti forza costituiti da Parola, Perdono, Preghiera, i tre pericoli potere, privilegio, prestigio. 

 

I tre pericoli da evitare da evitare: potere, privilegio, prestigio 

Quando qualcuno gli diceva “monsignore” 3P rispondeva sempre “to patri” (tuo padre), senza esplicitarla credo fosse chiarissima quest’espressione. 

Dovremmo stare attenti certi toni che si usano sia nel contatto con le persone, sia nelle omelie, sia nelle disposizioni o negli avvisi. Interventi volti a imporre un pensiero o a rimproverare o a escludere. 

È triste vedere quanto zelo nel tenere ai propri titoli, magari con scuse “nobili” e poi… 

L’uso del tempo a favore di ciò che è più appariscente a scapito dell’ascolto, delle visite ai malati… 

Il sacerdote può fare il parroco o il viceparroco benissimo, però la nostra vocazione non è fare il parroco o l’arciprete e tanto meno fare il prete qui o là. La nostra vocazione è annunciare Cristo Gesù con gioia; la nostra vocazione, proprio perché uomini di fede, è portare il mondo alla fede di Cristo Gesù. E allora dobbiamo cercare di essere liberi, avere il cuore libero e liberato! 

 

Quali sono i punti forza su cui puntava 3P? 

Anche qui tre parole: Parola, perdono, preghiera. 

 

Parola  

Siamo ministri della Parola, come possiamo annunciare la Parola se non ci radichiamo in essa, se la Parola non ci spiazza ogni giorno? Come possiamo testimoniare e spezzare la Parola alle persone a noi affidate che hanno fame di Dio, fame di Parola autentica, se non ci facciamo ferire dalla spada della Parola di Dio, se non dimoriamo in essa, se non facciamo della Parola di Dio l’oggetto del nostro studio, della nostra preghiera, della nostra meditazione?  

 

Perdono 

Siamo ministri del Perdono e diciamo: «Io ti assolvo».  

«Che cosa è più facile dire a questo paralitico: prendi il tuo lettuccio alzati e cammina, o dire: ti sono rimessi i tuoi peccati?». Sull’esempio di Gesù, questo ci dovrebbe spingere ad essere ministri della tenerezza e della misericordia di Dio. Ci spinge a cercare il cuore della gente! Ad aiutare i fedeli ad incontrarsi con il Signore, a capire che il nome di Dio è Amore, non vendetta. Siamo chiamati a restituire la pace, la grazia, la gioia di vivere a tanti giovani, a tanti uomini e donne della nostra Chiesa, del popolo di Dio. Dobbiamo essere noi per primi, testimoni del perdono. 

 Siccome spesso si dice che chi perdona è un debole e dobbiamo reagire per essere forte, io dico – questo 3P non so se direttamente lo viveva ma indirettamente sono sicuro di sì – che:  

Chi perdona è rivoluzionario 

È uno che non si rassegna a uno stato di cose. Che rifiuta di fare le stesse cose. E introduce nel vecchio gioco delle ripicche l’elemento-novità che manda tutto all’aria: il perdono. Tu mi fai del male. E io ti rispondo amandoti. 

Chi perdona è creatore. 

Chi è capace di perdonare inventa situazioni nuove, soluzioni inedite, crea rapporti diversi, ha dell’immaginazione, non si rassegna a imitare ciò che fanno gli altri. Chi perdona, è uno che prende delle iniziative. Soltanto l’astioso è un pigro, un indolente. 

Le situazioni che di solito giudichiamo come le sole ammissibili sono quanto mai servili.  

Chi perdona è costruttore. 

C’è un mondo vecchio, che si sfascia, perché contiene in sé elementi disgregatori. 

È il mondo dell’odio, dell’astio, dei conti da saldare, delle ripicche, delle lezioni da impartire, dei torti subiti da riparare, delle offese custodite accuratamente nella memoria. Il mondo decrepito delle rivincite. Chi perdona riconosce che in quel mondo vecchio non si può vivere, si soffoca. Perciò si incarica, personalmente, a costruire un mondo nuovo. E la materia prima è il perdono. 

Questo «mondo nuovo» è davvero un… altro mondo. È già un pezzetto di Regno. È un anticipo del Regno.  

 

Preghiera  

Per vivere la Parola e il perdono non possiamo non essere contemplativi, uomini di preghiera e assolutamente non funzionari del sacro.  

 

Il mio augurio è che possiamo tutti quanti guardare a Cristo Signore, e tutti insieme, possiamo ancora una volta sceglierLo come ciò che è realmente essenziale nella vita, come lo ha vissuto 3P.