N.06
Novembre/Dicembre 2023

L’architetto del mondo

Ricapitolare in Cristo tutte le cose (Ef 1,10)

A Ripacandida, piccolo paese sul Vulture, si trova il santuario dedicato al Santo Vescovo e Martire abruzzese Donato. Situato all’ingresso del paese, il tempio è uno dei luoghi sacri più interessanti della regione.

 

La prima notizia relativa al Santuario di San Donato ci è giunta grazie alla bolla di Eugenio III, del 1115, indirizzata al vescovo Ruggiero, con la quale il Pontefice metteva sotto la sua diretta protezione la Diocesi di Rapolla. Due secoli dopo, il tempio e la sua comunità vennero messi sotto il controllo diretto del Papa e, solo all’inizio del diciassettesimo secolo, fu costruito vicino un monastero di frati Minori Osservanti che, dal 1894 – fino ad oggi – venne affidato alle cure delle suore di Gesù Bambino. Riccamente decorata, la Chiesa contiene una serie di affreschi che, per imponenza di espressione, soggetto e tecnica, sono stati assimilati agli affreschi della basilica di Assisi. La facciata esterna del Santuario di San Donato è semplice, ornata da un portale seicentesco e permette l’accesso ad uno spettacolo che fonde arte, teologia e contemplazione. All’interno del sacro edificio, immagini di santi e allegorie sembrano danzare elegantemente lungo le pareti formando una narrazione di affreschi che rimandano a episodi salienti, raccontati nel testo sacro; essi danno, altresì, la sensazione di immergersi dentro la Parola di Dio, tanto da essere definita la “Bibbia” di Ripacandida. 

Il suggestivo ciclo pittorico trova il principio di lettura nella Resurrezione, a partire dal primo pilastro che si incontra, una volta entrati, a sinistra, cui corrisponde, in posizione simmetrica, l’immagine del sepolcro vuoto, “il disegno” cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose. Sulle vele della prima campata, sono dipinti la Vita e Passione di Cristo; sulla parete di destra è rappresentato l’Inferno; in quella di sinistra è dipinto il Paradiso con il Cristo in trono circondato dagli Angeli; nella seconda e terza campata, si sviluppano i temi tratti dal libro della Genesi che raffigurano Dio che divide la luce dalle tenebre, la creazione della terra, della luce, delle piante e delle stagioni, la creazione di Eva, il peccato originale, il sacrificio di Caino e Abele. Troviamo quindi tre affascinanti cicli di affreschi: il ciclo della Genesi, il ciclo Cristologico, il ciclo dei santi. Il ciclo cristologico, realizzato da Antonello Palumbo di Chiaromonte sul Sinni; il ciclo della Genesi e dei Santi, realizzato da Nicola da Novi (e fa parte di questo racconto pittorico San Francesco che riceve le stimmate.) All’interno è conservato un organo, uno splendido altare barocco ed un dipinto raffigurante il Martirio di santa Giulia di Paolo De Matteis. Entrare in un luogo sacro, così come quello di San Donato, è entrare nello spazio e nel tempo che diventa mistero; la visione del ciclo narrativo permette l’esplorazione verso l’alto, nel verticale divino, e verso il basso, nell’orizzontale umano. Come scrive Dante, alla fine del Paradiso, “mi parve pinta de la nostra effige: per che ‘l mio viso in lei tutto era messo”, dunque, nel contemplare Dio, riusciamo a contemplare anche il mistero della nostra umanità, per l’accessibile mistero dell’Incarnazione. Per San Giovanni Damasceno, l’immagine è ciò che Dio ha voluto dalla Creazione, poiché è stato Lui che ha creato per primo l’immagine e l’ha espressa. Infatti, ha creato l’uomo a sua immagine. Le immagini sacre, quindi, ci permettono di continuare l’esperienza che hanno fatto i contemporanei di Gesù di Nazareth: essi hanno visto Cristo nella carne, le sue sofferenze e i suoi miracoli e, dopo aver ascoltato le sue parole: anche noi vogliamo vedere e sentire. Si vedono faccia a faccia, perché lui è presente. Ma noi, non essendo lui fisicamente presente, attraverso i libri ascoltiamo le sue parole e attraverso la pittura di immagini contempliamo l’effigie della forma del corpo. Chiunque varchi il portale del Santuario, inevitabilmente fa esperienza della contemplazione del mistero di Dio, che è introdotto nella narrazione della navata, tra la genesi e i vangeli. 

I fedeli che frequentavano San Donato erano condotti dalle tematiche bibliche e agiografiche dipinte, oltre che dalle catechesi, che il clero officiava durante la liturgia. Di fatto, la chiesa è una predicazione omiletica permanente, un eterno racconto. Il vasto testo iconografico di Ripacandida è espresso, per la maggior parte, sul registro dell’arte cosiddetta “aperta”, perché il contenuto risulta essere episodico – morale, inteso a presentare figure positive bibliche e agiografiche da imitare. Tra le immagini rappresentate, la figura del Padre Eterno, come architetto del mondo, è quella che maggiormente colpisce. Era una rappresentazione molto diffusa nelle miniature e in tutto il medioevo. Il ruolo dell’architetto è quello di progettare: il suo compito è fornire le linee guida per la costruzione e trovare l’equilibrio formale.  Sarà poi compito di altri decorare la casa, affrescare la chiesa, abbellire il castello o il palazzo. L’architettura diventa il prezioso guscio, all’interno del quale si può esprimere la creatività degli altri e, in questa concezione, l’intera comunità umana è tenuta a collaborare, affinché la casa comune sia sempre bella, nel rispetto del progetto d’origine del Padre, che ha così tanto amato il creato, il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.