N.06
Novembre/Dicembre 2023

Pietro Giacomo Leone Ramognino

L’asinello di Maria

«I “nemici” ci inseguivano a 10 km circa. Allora tornai indietro io […], a prendere tutto. Era già cominciata la sparatoria: ta-ta-ta… ta-ta-ta… che paura…!». Nell’ottobre 1917, con la disfatta di Caporetto, nel panico generalizzato, un soldatino corre in direzione contraria, sembra volersi mettere nei guai. «Tutti correvano in senso contrario a me. Mi dicevano: “Dove vai? Sei matto?”. Ce l’ho fatta. Presi tutto e mi cacciai in mezzo a quelli che si ritiravano in disordine… Così presi anche il mio altarino di Gesù Bambino e lo portai in salvo».

Quel soldatino tutto d’un pezzo era Pietro Giacomo, detto “Nino” perché in Comune suo padre l’aveva fatto registrare Leone in onore a Papa Leone XIII, e poi di Leone gli era sempre rimasto il diminutivo (Nino da Leonino). Non correva per salvarsi la vita, ma per salvare l’altarino del Gesù Bambino di Praga che la famiglia gli aveva inviato al fronte: il Piccolo Re d’Amore di cui zelava la devozione tra i soldati, proponendo loro di iscriversi alla confraternita e onorandolo sempre. Con Gesù Bambino non erano più soli, i militari. Smarrito, poi sostituito con un’altra statuetta, Gesù Bambino diveniva l’anima segreta di quei giovani segnati dal conflitto. Gli chiedevano: «“Ce l’hai, Gesù Bambino?”. E lui rispondeva: “C’è, è qui, non temete!». Nel 1918, incurante del pericolo del Piave in piena, Nino – coi suoi Pontieri – consentiva al XXII Corpo d’Armata d’attraversarlo: ed era lui, il Bambinello, a passare in testa, portato proprio da Nino e dal gruppo degli Arditi.

Così la vita di Nino non era per sé: soldato che non chiama mai “nemico” il “nemico” («ma nel Signore sempre amico)», egli vive il quotidiano in dialogo con Gesù e Maria, testimonia tale legame, lo irradia anche al fronte.

Era nato il 12 febbraio 1890 a Sassello, un paese ligure che già guarda al Piemonte, ultimogenito di una famiglia dove con la fede si insegnava l’onesta fatica del lavoro. Su consiglio del papà, ragazzino, era stato messo a bottega dal falegname, divenendo bravo, ricevendo a 17 anni addirittura le chiavi del laboratorio, mettendosi successivamente in proprio. Non obbedisce invece al padre nell’altro progetto, quello di aiutarlo a trovar moglie. Devotissimo, assiduo ai Sacramenti, impegnato nell’apostolato, Nino sarebbe forse stato un ottimo padre di famiglia, ma su questo punto fu irremovibile, si rifiutò sempre e disse: «Mi volevano far sposare perché lasciassi la Madonna, ma se mio padre diceva sì per una ragazza, io dicevo no». «Da queste parole», è stato scritto, «si può concludere che volle rimanere celibe e casto, dedicando tutta la sua vita a Maria».

Ed è questo il segreto di Nino: un uomo umile, un gran lavoratore e un cristiano esemplare, che in un quotidiano di totale semplicità vive l’amore grande per Gesù e Maria. Si era sempre sottratto ai passatempi, intento ad altro, custode nell’intimo di quel “pezzo di Cielo” da gustare e donare.

È una “custodia” che diventa “vocazione”: nel luglio 1923 viene posta la prima pietra del Santuario mariano sul Monte Beigua – una cappella «con attiguo rifugio» perché si pregasse e tutti trovassero «un ricovero riparato dalle intemperie che molto facilmente sorprendono su quelle vette». Il santuario sarà titolato alla Madonna Regina Pacis, inaugurato solennemente il 15 agosto 1925. Nel frattempo avevano cominciato a chiamarlo “Ninu u santu” – Nino il santo – per la sua generosità da sempre, per quel suo salire al monte, per avervi trasportato un carico da 50 chili senza sforzo e, soprattutto, per non aver patito le conseguenze del fortissimo colpo di scure con cui per errore un uomo, durante i lavori del santuario, gli aveva raggiunto in pieno la gamba: una “fama di santità” molto concreta che poco ha a che fare con le parole, ma parla nei gesti, nelle scelte, nella protezione dal Cielo.

Per Nino amare comporta “esserci”, “stare”. Nel 1931 – per volontà del Vescovo di Acqui, Mons. Lorenzo Delponte – egli del santuario diviene custode: «Tu devi amare, custodire e difendere questa opera della Madonna». Cominciò allora a vivere sulla montagna, in solitudine per obbedienza, in un’esperienza di contemplazione fino a quando, nel 1950, tramite i Carmelitani Scalzi si fa luce sulla sua più piena e definitiva vocazione: abitare in un Carmelo, quello dell’Eremo del Deserto di Varazze dove egli arriva come lavoratore a 60 anni, nel 1950.

Terziario regolare per 10 anni dal 1956, Nino – divenuto Fra Gioacchino di Regina Pacis – entra a pieno titolo nel Primo Ordine dei Carmelitani Scalzi nel 1967, professo solenne senza l’anno di noviziato per speciale interessamento del Card. Anastasio Ballestrero, suo fervido estimatore e grande amico. Nino aveva riconosciuto in questo approdo carmelitano la «grazia grande di tutta la [sua] vita» che una prima volta gli era risuonata in sogno.

Non era così diverso – il Carmelo – dall’esistere di prima, dal suo santuario: tutto mariano, in alto sul monte, un poco eremitico. Alla Vergine, quell’umile falegname divenuto frate, che tanto l’amava, sarà sembrato un piccolo san Giuseppe. Per 18 anni, sino ai 95 quando muore, Fra Gioacchino vive così, al Deserto di Varazze, la radicalità delle cose semplici, con una luce crescente che lo inabita e si irradia dagli occhi e dal sorriso: «Fra Gioacchino», leggiamo, «aveva un sorriso che noi non abbiamo più, e non riusciamo più ad avere. In Lui si vedeva trasparire il cielo e la bellezza e la tenerezza della Vergine Maria». Era il sorriso della sua anima pura di «bambino di Dio».

Col realismo di chi è esperto delle cose di Dio e della terra – cose che alla fine vengono un poco a ricomporsi in unum –, accolse l’olio degli infermi con le parole: «[…] È meglio per tempo che quando non si capisce niente». Nasce al Cielo pieno di gioia il 25 agosto 1985, poverissimo di tutto e di tutto ricco, per andare a incontrare la sua Dama, Maria; e quel Gesù – onorato Bambino – che gli aveva ottenuto il dono della fanciullezza del cuore sino alla vecchiaia. Tutta la sua vita era stata “vocazione”.

Dice il Cardinal Ballestrero: «[era un] uomo culturalmente sprovveduto ma spiritualmente ricchissimo, che con fede profonda e generosa si è lasciato condurre dal Signore per strade singolari che l’hanno reso un carmelitano, vero “Cavaliere” della Madonna».

La sua Causa di beatificazione e canonizzazione, dopo la chiusura dell’Inchiesta diocesana nel 2015 e il “Decreto di validità” nel 2016, prosegue ora perché possa presto essere riconosciuto “Venerabile”. Lui a questi titoli, però, ne avrebbe preferiti altri. Amava definirsi «un povero fagotto» e aveva riso di gioia quando un uomo l’aveva apostrofato «l’asinello della Madonna»: «Pensavo: quanto sarebbe grande essere il suo asinello»!

 

 

«La Madonna è una mamma. È in cielo proprio come era in terra»

Parole di Fra Gioacchino

 

 

Pietro Giacomo Leone Ramognino (poi Fra Gioacchino) nasce a Sassello, in Liguria, il 12 febbraio 1890 in una famiglia che gli trasmette la fede e solidi valori. Apprendista falegname su consiglio del padre, bravo a tal punto da mettersi in proprio, scelse di dedicarsi alla Madonna. Ispiratore e poi custode del Santuario mariano sul Monte Beigua, si trasferì a 60 anni all’Eremo del Deserto di Varazze dove i Carmelitani necessitavano della sua opera. Ultra-settantenne, diverrà Carmelitano Scalzo e morirà a 95 anni, dopo una vita tutta spesa per Gesù e Maria. Oggi è Servo di Dio.

Per conoscerlo: Carlo Cencio, Paolo Galbiati, Fra Gioacchino di Regina Pacis. Carmelitano Scalzo (Velar, Bergamo 2014). Inoltre le pagine a lui dedicate dalla Postulazione Generale OCD (https://www.postocd.org/index.php/it/biografia-gioacchino-di-regina-pacis), dal Carmelo Ligure (https://www.carmeloligure.it/carmelitani-scalzi/figure-illustre-liguri/fra-gioacchino-ramognino-di-regina-pacis/) e da “Santi e beati” https://www.santiebeati.it/dettaglio/96138).