N.01
Gennaio/Febbraio 2024

Percorsi della Parola, immersioni nell’eterno

Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora (Gio 2,8).

La vita è fatta di percorsi e ogni cammino ha un suo orizzonte. Così, i primi cristiani riflettendo sullo spazio da abitare per i loro incontri hanno pensato di orientare il percorso dei propri passi con quello del proprio cuore: orientare, rivolgere a oriente il proprio cammino, incontro al cammino del Signore che viene “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo.” (Mt 24, 27)

Verso Est, da dove sorge la luce, è diretto il cammino di chi cerca la Luce del mondo, sono passi che permettono all’uomo di mettersi le tenebre alle spalle, per potervi tornare con la lampada accesa dell’incontro col Signore, perché una volta incontrato si è diventati “luce del mondo” (Mt 5, 13-16).

Con questo orientamento diamo uno sguardo al Duomo di Ravello. Costruito nel 1089 sotto il vescovo Papicio, dedicato a santa Maria Assunta. La facciata conserva l’impostazione a salienti e gli spazi interni sono dipendenti dal modello della chiesa abbaziale di Montecassino: tre navate divise da colonne che sorreggono archi, con transetto sopraelevato al quale si innestano tre absidi. Importante presenza sono le reliquie di San Pantaleone, martire del III secolo, di cui è conservata una reliquia del suo sangue che, come il suo “vicino” San Gennaro, compie il prodigio della liquefazione.

Nonostante gli allestimenti che si sono susseguiti nell’arricchire e modificare lo spazio liturgico, conserva ancora la porta del XII sec di Barisano da Trani, una magnifica catechesi bronzea in 80 formelle su due battenti in legno, i cui lavori di restauro sono terminati nel 2013. Ma soprattutto, i due amboni: l’ambone oggi detto “dell’epistola” e collocato nella parte nord della navata centrale, donato dal vescovo Costantino Rogadeo nel XII secolo, e nella parte opposta il secondo ambone del 1272 di Nicola di Bartolomeo di Foggia, donato da Nicola Rufolo. Il primo e più antico rappresenta un esempio di ambone a doppia scala, unico nel suo genere conservato integro in Campania, mentre il secondo rappresenta una evoluzione stilistico-liturgica, rispetto al primo, con un ambone a cassa sorretto da colonne, con decorazioni cosmatesche.

Parlando di percorsi, ci vogliamo soffermare, però, sull’ambone più antico datato al 1130 grazie alla notizia della donazione del secondo vescovo di Ravello Rogadeo, con questo bellissimo nome latino che vuol dire “(colui) che prega Dio” e anche “(colui) che chiede a Dio”. 

Il termine ambone deriva dal greco ἀναβαίνω (anabaìno, “salire”), ed è il luogo della proclamazione della Parola, luogo sopraelevato che conduce l’uomo a salire, come la tradizione biblica insegna, verso l’incontro con il Dio vivo. Spesso si trovano due amboni nelle chiese antiche, in un dialogo liturgico tra luogo della lettura dell’Antico Testamento e dell’Epistola e quello della proclamazione del Vangelo.

L’ambone di Rogadeo che ora si trova collocato a nord, occupando una parte della navata centrale, doveva inizialmente trovarsi nella parte meridionale, poi occupata dal secondo ambone. Per questo bisogna pensarlo come il principale luogo di proclamazione del Vangelo, che ha il suo culmine di uso e valenza liturgica durante la celebrazione della notte di Pasqua, con la proclamazione dell’Exultet, il preconio pasquale che canta la gioia della Resurrezione ripercorrendo la storia della salvezza.  

L’ambone raffigura, in un mosaico sulle due lastre che affiancano il lettorino, la storia di Giona: a destra le gambe di Giona emergono dalle fauci del mostro marino, raffigurato come una pistrice, a sinistra Giona viene liberato dal mostro. Sul lettorino, un’aquila con il libro aperto al versetto “In principio erat verbum”, incipit del vangelo di Giovanni.  Lo spazio sotto al leggio è un portale incorniciato da due pavoni. Al di sotto delle figurazioni di Giona, sono specularmente poste due specchiature di porfido incorniciate da una decorazione a nastro cosmatesco; si intrecciano in un una figura obliqua di otto, conosciuto con il nome di lemniscata (diremmo con un linguaggio di oggi il simbolo dell’infinito).

Giona è una prefigurazione della morte e risurrezione di Cristo: è ciò che si rinnova in ogni liturgia eucaristica, preannunciata e “vitalizzata”, “presentata”, nella Liturgia della Parola. Questa corrispondenza deve essere stata alla base della scelta di posizionare le due parti del racconto di Giona sugli amboni a doppia scalinata.

Questo amalgama simbolico garantisce il messaggio escatologico della simbologia dell’ambone: durante la liturgia della parola si fa esperienza di immersione nel mistero della storia della salvezza e del suo compimento nella resurrezione, Giona come Cristo e come noi. D’altronde è questa l’esperienza umana dei fatti biblici: la continua caduta in balia delle onde nelle fauci di ciò che giudichiamo morte e la continua salvezza operata dal Signore, dalla Sua Parola. La nostra vita partecipa alla vicenda di Giona, come a quella di Cristo della quale siamo partecipi mediante la Celebrazione Eucaristica: siamo davanti al sepolcro vuoto. Il portale sotto al lettorino è quell’ingresso spalancato che le donne trovano andando al sepolcro e i due pavoni sono un simbolo della resurrezione. A “sostegno” di questa esperienza di Giona, cioè sotto la sua rappresentazione, e nel punto in cui i decori coprono il sostegno delle scale, i due cerchi di porfido mostrano le due nature di Cristo, vero Dio e vero Uomo, e il simbolo dell’eternità: siamo portati nell’ottavo giorno, al momento della Resurrezione, che è il tempo nel quale viviamo. Guardate nel suo complesso, queste “due nature” sono mostrate da quattro dischi di porfido che sono i quattro Vangeli che ci aprono all’eternità.