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Condividere non significa perdere

L’amicizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne unisca un terzo, e tre, che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno dire allora, come le anime beate in Dante: «Ecco che crescerà li nostri amori», poiché in questo amore «condividere non significa perdere». È ovvio che l’esiguo numero di spiriti a noi congeniali – tralasciando considerazioni pratiche, quali le limitate dimensioni delle stanze e il volume ridotto della voce umana – pone dei confini oggettivi all’ampliamento di questa cerchia di amici; ma entro questi limiti il nostro godimento di ciascuno degli amici aumenta, e non diminuisce, con il numero di coloro con i quali lo dividiamo. In questo, l’amicizia rivela una piacevole «vicinanza per somiglianza» con lo stesso paradiso, dove proprio la moltitudine dei beati (il cui numero sfugge a qualunque calcolo umano) accresce il godimento che ciascuno ha di Dio. Ogni anima, infatti, Lo vede in maniera personale, e comunica poi questa sua visione unica a tutte le altre. Questo è il motivo per cui, come dice un autore antico, i Serafini, nella visione di Isaia, cantano, vicendevolmente «Santo, Santo, Santo» (Is 6,3). Più divideremo tra noi il pane celeste, più ne avremo per cibarcene.

 

(C.S. Lewis, I quattro amori, Jaca Book 1990, pp. 62-63)