N.01
Gennaio/Febbraio 2002

Far sì che Cristo sia la forma della nostra vita

Fratelli e sorelle carissimi, ci piace vivere questo momento di preghiera come un prolungamento di quella contemplazione che abbiamo goduto nel corso della celebrazione liturgica della Natività del Signore, con gli stessi sentimenti di stupore e di gratitudine per l’oggetto della nostra contemplazione. Nessun uomo avrebbe mai potuto pensare a una simile manifestazione di amore da parte di Dio. La nostra gratitudine nei suoi confronti è immensa. Si vede che nel volto di Gesù è presente il volto di Dio… per noi, tra l’altro, motivo di tanta e tanta consolazione, motivo di tanta e tanta speranza. Quella di Gesù è una umanità vera, non una umanità virtuale, simbolica, apparente. Una umanità che sentiamo a noi vicina perché attraverso la testimonianza della Scrittura Santa possiamo penetrare un tantino i nostri occhi sugli occhi di Gesù, possiamo sentire il palpito del suo cuore, possiamo scorgere le sue mani benedicenti.

Alla gratitudine a Dio che si è manifestato a noi nel volto di Gesù, dobbiamo aggiungere sentimenti di gratitudine allo Spirito di Dio, perché attraverso la Scrittura Santa abbiamo la possibilità di guardare all’umanità di Gesù non come ad una realtà distante, lontana da noi, oggetto di elucubrazioni dottrinali, ma come ad una realtà a noi vicina, che ci parla, che ci interpella, che ci consola, che ci rimprovera, che ci ammonisce, che ci esorta, che ci giudica.

I brani del Vangelo che sono stati poco fa proclamati sono alcuni esempi di quella umanità di Gesù che è presente nella Scrittura Santa e in modo particolare nella tradizione evangelica. Si tratta, come ho detto prima, di una umanità vera; perché l’umanità di Gesù è una umanità che sa godere delle gioie della vita, sa manifestare sentimenti di condivisione, di compassione; è una umanità che sa farsi vicina agli altri, capace di venire incontro alle esigenze di tutti. È una umanità, quella di Gesù, non ferita e non lacerata dal peccato, come è ferita e lacerata dal peccato la nostra umanità; è umanità dove la libertà sostanziata di carità è stata capace di compiere tutto ciò che l’umano è capace di compiere secondo il disegno di Dio.

Quella di Gesù è una umanità, ed è la cosa che mi piace di più sottolineare, che è simultaneamente aperta a Dio e simultaneamente aperta agli uomini. Contemplando l’umanità di Gesù notiamo come Dio e l’uomo non sono da lui vissuti come due poli in alternativa l’uno all’altro; ché anzi, è proprio vero il contrario: quanto più Gesù appare immerso in Dio, presente sempre nell’amore del Padre, tanto più egli appare nel suo gesto di donazione piena agli uomini.

Certo, non dobbiamo mai dimenticare che l’esperienza storica di Gesù, l’umanità di Gesù è una realtà unica nella vicenda della storia umana. Non c’è un’altra persona che possa essere a lui uguale; non è possibile individuare nella geografia e nella storia dell’universo umano un’altra persona la cui umanità sia uguale a quella di Gesù. È unico Gesù. Di questa unicità noi dobbiamo essere davvero consapevoli; ma è una unicità – ed è questo l’aspetto stupendo, meraviglioso – alla quale tutti siamo chiamati a guardare, per riflettere nella nostra vita un po’ della sua umanità, per essere uno specchio di quella umanità di Gesù; non uno specchio pienamente trasparente, ma uno specchio che sappia riflettere un tantino almeno l’umanità di Gesù.

Essere santi, lo sappiamo, significa conformarsi a Cristo, far sì che Cristo sia la forma della nostra vita; rendere la nostra umanità simile alla sua; non uguale alla sua: non è possibile; ma simile alla sua sì; quanto più simile alla sua è possibile alla nostra condizione di uomini e donne peccatori che hanno fatto l’esperienza del peccato, delle conseguenze del peccato delle origini e, talvolta, anche l’esperienza dei peccati personali. Ma è importante sapere che la meta che tutti siamo chiamati a perseguire è quella di rendere la nostra umanità simile a quella di Gesù.

Con una seconda consapevolezza: che nessuna vocazione nella Chiesa è capace di esaurire l’incommensurabile ricchezza dell’umanità di Gesù; nessuna vocazione esaurisce l’imperscrutabile ricchezza del mistero di Dio che si riflette nel volto di Cristo. E questo è un motivo che ci induce ad essere dialoganti tra di noi, a guardare alle vocazioni presenti nella Chiesa come a delle realtà complementari l’una all’altra, ad assumere atteggiamenti di umiltà nei confronti degli uni verso gli altri perché tutti abbiamo bisogno degli altri, nessuno è autosufficiente, nessuno può pensare di saper tutto, di conoscere tutto, di aver ricevuto tutto da Cristo, ma tutti sappiamo, invece, che la multiforme ricchezza del mistero di Cristo si riflette, direi quasi a frammenti, a raggi diversi, nelle molteplici vocazioni presenti nella Chiesa.

È un compito certo difficile, ma esaltante, quello formativo. Credo che non ci sia attività più nobile nella Chiesa che quella di cimentarsi con la nostra umanità in tutto il suo spessore, per far sì che questa umanità possa essere un tantino un riverbero della umanità di Gesù; perché anche noi possiamo guardare come Gesù guardava con i suoi occhi; perché anche il nostro cuore possa essere un tantino come il cuore di Gesù; perché anche le nostre mani possano essere mani benedicenti, allargate, spalancate, generose in un gesto di carità senza confini.

A questo, fratelli e sorelle carissimi, siamo chiamati e con l’aiuto di Dio, con l’impegno costante è possibile che questa nostra meta possa essere raggiunta. Abbiamo gli esempi che ci confortano in questa materia: abbiamo la testimonianza dei santi; non solo di quelli canonizzati, ma anche di quelli che pur non essendo canonizzati costituiscono la suprema ricchezza delle nostre Chiese: uomini e donne appartenenti a tutte le vocazioni e la cui condotta riflette l’umanità di Gesù ed è per tutti noi motivo di incoraggiamento nel nostro pellegrinaggio storico.