N.01
Gennaio/Febbraio 2002

Formare un’autentica mentalità cristiana con proposte specifiche

Nei mesi precedenti il Convegno e durante il Convegno stesso, i nostri CDV – per il tramite dei nostri CRV – erano stati invitati a rispondere ad alcune domande. Le risposte sarebbero confluite nel materiale utile alla preparazione del Convegno in tutti i suoi aspetti. Durante il Convegno si è dato largo spazio al lavoro di gruppo. Tanto la sintesi delle risposte ai questionari quanto la sintesi del lavoro di gruppo trovano posto in questo numero con la certezza che non danno affatto un contributo di riflessione minore delle altre parti del numero stesso. Anzi, al Convegno si è visto ancora una volta che è proprio da questo e in questo cammino di comunione che si riceve tutti la ricchezza migliore.

 

 

LE RISPOSTE AI QUESTIONARI

 

1- Nel progetto di pastorale vocazionale promosso dal tuo CDV, quali elementi o aspetti, hai ritenuto necessari far maturare in un giovane per condurlo ad una scelta vocazionale?

Dalle risposte pervenute emerge che è necessaria una pastorale vocazionale aggiornata e mirata in primo luogo a formare l’autentica mentalità cristiana, fondata e sostenuta dalla fede. Gli elementi fondamentali ritenuti importanti per far maturare in un giovane una fede adulta per sostenere la scelta vocazionale si possono raggruppare in alcuni nuclei.

 

Ascolto della Parola e preghiera (lectio divina – scuola di preghiera – adorazione): educare i giovani all’ascolto della Parola di Dio che li aiuti a scoprire il vero volto di Cristo leggendo in un’ottica di Fede la realtà concreta della loro vita. Di fronte all’uomo senza vocazione si rende necessario condurre i giovani a rispondere alle domande di senso, per poi aprirsi alle domande e risposte di Cristo. Contemplando il volto di Cristo al giovane si aprono orizzonti nuovi che lo portano a scoprire la vita come “dono da donare”.

Vita spirituale: per raggiungere una maturità di fede è necessario un cammino personale e comunitario due esperienze vengono sottolineate: la vita nella Comunità Ecclesiale nella quale si incontra e si conosce Gesù Cristo che ci rivela il volto paterno di Dio. È nella Comunità, attraverso l’esperienza dell’Eucaristia e della Riconciliazione, che si fa l’esperienza del sentirsi amati e nutriti da questo amore; l’accompagnamento o guida spirituale: l’esperienza del rapporto personale con il giovane è ritenuta una realtà decisiva al fine di educare alla fede e far maturare la scelta vocazionale del giovane nell’apertura al “progetto di Dio”. Nel cammino spirituale non devono mancare esperienze forti (Esercizi Spirituali – Week-end dello Spirito – Campi scuola – Pellegrinaggi … etc.) personali e di gruppo che aiutino i giovani a porsi dinanzi alla “vita come vocazione”.

Educazione al servizio e all’impegno: si devono aiutare i giovani nel loro cammino formativo ad uscire dall’idea che la vita è una proprietà privata da “autogestire” , è necessario educarli ad accorgersi delle necessità e delle povertà emergenti. L’incontro con testimoni autentici favorisce lo sviluppo di un’attenzione ai bisogni ed alle necessità dell’uomo e danno maggiore fiducia al giovane per una risposta vocazionale coraggiosa. Il servizio alla comunità d’appartenenza può divenire la sintesi ottimale che permette di trasformare in atteggiamenti concreti la maturità umana e spirituale che nasce da un cammino educativo sistematico, in cui si possono verificare costantemente gli obiettivi.

 

 

2- A partire dalla tua esperienza descrivi potenzialità e limiti dei giovani di fronte alla responsabilità della scelta vocazionale.

La responsabilità della scelta vocazionale di un giovane sembra oscillare entro continui paradossi che richiedono una costante attenzione e studio. Il giovane oggi è costantemente calato in un universo culturale multimediale e globalizzante che lo rende “cittadino del mondo”, ma al tempo stesso è come da esso indebolito e arrestato nel suo cammino di maturazione. Dalle risposte dei CDV e dei CRV emergono alcuni punti salienti.

Distrazione: i giovani sono distratti da molti interessi mondani che li portano a perseguire l’apparire più che l’essere che li richiude in un soggettivismo esasperato che mira a comunicare l’essenziale di sé e ad amplificare “bisogni” superflui (es. telefonino…).

Fragilità psicologica: i giovani sono portati ad avere paura di scelte definitive. È raro che si pongano domande sul futuro a lungo termine e quando lo fanno hanno paura di dover dare una risposta e subiscono condizionamenti nei loro ambienti vitali.

Ricerca d’esperienze: nel mondo giovanile c’è una grande disponibilità ad accogliere proposte con generosità ed entusiasmo con il desiderio di raccogliere sensazioni e conoscenze; frammentazione esperienziale e difficoltà a concretizzare quotidianamente le sue grandi affermazioni di principio portano il giovane a fare esperienze fra loro contraddittorie fino a rasentare l’incoerenza. Il giovane ha bisogno di punti di riferimento sicuri testimoni che propongano uno stile di vita ed esperienze che diventino proposte significative che si oppongono alla superficialità proposta dal nostro mondo. Il desiderio di spiritualità e la ricerca esasperata d’esperienze espongono il giovane al rischio di far coesistere il proprio cammino di fede con scelte dettate unicamente da una sensibilità superficiale (es. tipo di divertimenti, esperienze affettive vissute in modo consumistico … etc.). I giovani che si affacciano alla vita sono disponibili al confronto e desiderosi di essere informati e educati ad una scelta vocazionale: è necessario dare loro delle opportunità.

Esperienze di solidarietà: i giovani si presentano come capaci di aprirsi al “nuovo”, pronti a buttarsi, a rischiare, a coinvolgersi nelle situazioni di disagio e di marginalità mossi da una spinta emotiva, con il rischio che conclusa l’esperienza finisca anche l’impegno.

Immaturità affettiva: nell’esperienza giovanile spesso si riscontra un eccessivo sentimentalismo, la cultura dove tutto è lecito e permesso incide fortemente sullo stile di vita dei giovani. Concludendo possiamo sottolineare alcune potenzialità che si potrebbero riassumere in entusiasmo, freschezza, desiderio di conoscere e di donarsi.

 

 

3- In che modo la tua Chiesa locale risponde all’esigenza di una formazione comune e cristiana che crei nei giovani le condizioni remore per una scelta vocazionale matura? Descrivi qualche esperienza.

Le esperienze riportate sono molteplici sia a carattere diocesano sia a dimensione parrocchiale. Tra le molte esperienze emerge un intenso lavoro di raccordo tra la pastorale giovanile e quella vocazionale. Lectio divina, esercizi spirituali, incontri di preghiera, campi vocazionali, week-end di spiritualità, gruppi giovanili, catechesi, cammini vocazionali specifici; dalle esperienze emerge uno scarso investimento sulla Liturgia, la pastorale familiare. Emblematica mi sembra la risposta di uno dei CRV: “come Chiesa locale siamo arrivati ad offrire troppe esperienze di cammini formativi. A livello centrale, uffici diocesani, associazioni e movimenti lanciano inviti numerosi. C’è poi la Parrocchia ed il Vicariato. Il CDV a volte fatica a difendersi e a diffondersi. Bisogna evitare la pastorale dello spettacolo con troppe esperienze gratificanti ma non coinvolgenti. Non si può pensare alla Chiesa come ad un … luna park!!!”

 

 

 

DAI LAVORI DI GRUPPO… QUALCHE INDICAZIONE

 

Il lavoro dei gruppi ha avuto una funzione importante nell’economia del convegno: ha permesso a tutti i partecipanti di interrogarsi sulle radici più remote delle vocazioni di speciale consacrazione e sui modi per accompagnarne il sorgere e lo sviluppo. L’impegno degli animatori vocazionali e dei direttori di CRV o di CDV che guidavano i lavori, è stato notevole, con soddisfazione di tutti. Come CNV ci eravamo già accorti che questi lavori di gruppo sono utili soprattutto a quella parte dei partecipanti che sono alle prime armi nella pastorale vocazionale e hanno bisogno di confrontarsi e di sentire esperienze di altri, in situazioni pastorali magari diverse, ma da affrontare con atteggiamenti simili. Il lavoro di gruppo è stato un’occasione non solo per la formazione dei neofiti, ma anche per incoraggiare i più “anziani” a riprendere con impegno un compito pastorale di solito abbastanza difficile e poco appagante.

In generale i lavori si sono soffermati sulle condizioni antropologiche, teologico-spirituali ed ecclesiali che permettono al terreno di far fiorire e fruttificare il seme della vocazione. Si è insistito infatti sulla maturità umana, su una vita spirituale segnata in profondità dal cristocentrismo, su una comunità che abbia gli elementi della ecclesialità piena. Mi sembrano importanti anche le domande che i presenti si sono poste, in sintesi: se i giovani che entrano in istituzioni formative vocazionali sono deboli nella fede e nella tenuta vocazionale, le cause vanno cercate nella debolezza del contesto socioculturale o comunitario-ecclesiale? Oppure prevalgono le carenze strutturali delle personalità dei giovani segnate dalle esperienze spezzettate e contraddittorie che moltissimi fanno? O ci sono carenze nel “fine” della vocazione, cioè l’immagine di prete, di consacrato, di missionario… che hanno loro o che presentiamo noi è riduttiva, parziale, legata al passato? Che influsso ha nell’annuncio vocazionale la differenza tra il nostro linguaggio ecclesiale e i nuovi linguaggi che i giovani utilizzano?

Per quanto riguarda la vita spirituale, non si sono dette molte cose nuove, ma si è insistito sul ritorno a mettere al centro la figura di Gesù Cristo, che darebbe un’unità di fondo alle tematiche spirituali e vocazionali e servirebbe come esempio per iniziare i giovani a tutte le vocazioni di speciale consacrazione. Sulla scia della NMI e del documento pastorale dei Vescovi italiani per il prossimo decennio, si chiede che la pastorale vocazionale racconti di più la vita, le parole, le scelte, i sentimenti di Gesù: maestro, servo, pastore, sposo, vero uomo e Dio. La concentrazione su Cristo permette anche di riscoprire la radicalità del suo messaggio e della sua chiamata a seguirlo, mettendolo prima di ogni cosa, anche della propria vita. Si tratta, per alcuni, di dare un taglio più vocazionale alla formazione iniziale alla fede, sull’esempio stesso di Gesù che iniziò ad annunziare il vangelo e subito si mise anche a chiamare alcuni discepoli a seguirlo. Non si annunciano le vocazioni, ma Gesù stesso che chiama ancora adesso. I mezzi invece sono quelli che la pastorale vocazionale da sempre consiglia e utilizza: la Parola pregata, il silenzio orante, la preghiera personale e liturgica, ritiri, esercizi, ecc.

Un altro filone di interventi sulle vie che possono preparare le condizioni di possibilità delle vocazioni, ha valorizzato l’ecclesialità. Una spiritualità di comunione è necessaria che metta i giovani con le loro potenzialità e limiti di fronte ad una vera comunione tra le vocazioni, concreta, fatta di gesti di attenzione e di accoglienza, di collaborazione disinteressata, tra presbiteri, laici, religiosi, ministri ecc. Anche la stessa organizzazione della pastorale deve essere più comunionale: le iniziative soprattutto di pastorale familiare e giovanile (come avevano anche ricordato nelle loro omelia il Card. Camillo Ruini e Mons. Giuseppe Betori). Molta attenzione è stata rivolta alla parrocchia come luogo di rifondazione della pastorale anche di quella vocazionale, che non può essere una pastorale di élite, né può rinunciare alla dimensione missionaria sul territorio.

Circa le condizioni antropologiche che sono indispensabili alla scoperta e all’accoglienza della vocazione personale, il tema sottolineato da tutti è stato la necessità di una formazione umana previa. Questo è stato detto non nel senso del risuscitare dualismi oramai superati tra formazione umana e formazione spirituale. Il problema sottolineato è quello del dare a dei giovani che vivono un’adolescenza sempre più prolungata (ben oltre i 20 anni…) la possibilità di affrontare timori, insicurezze, contraddizioni, assenza del senso della storia, passività soprattutto nei luoghi istituzionali, dipendenza dalle sensazioni, incostanza e scarso senso critico, che impediscono una piena accoglienza della Parola di Dio e una crescita armoniosa della vita di fede. D’altra parte, ci sono aperture ai problemi sociali (globalizzazione, volontariato…), disponibilità ai rapporti personali e di amicizia, entusiasmo per le novità, gusto della vita e vitalità, aperture alla dimensione spirituale e alle proposte evangeliche anche più radicali: atteggiamenti che permettono un aggancio per l’annuncio vocazionale e l’avvio di una ricerca sincera.

Molti affermano la necessità per il giovane in cammino vocazionale di partire da una completa conoscenza di sé, con il metodo privilegiato del raccontarsi ad una persona di fiducia. Ne deriva che oggi l’accompagnatore vocazionale o la guida spirituale sono chiamati a migliorare e ad affinare le conoscenze non solo delle dinamiche spirituali, ma anche di quelle esistenziali, con l’ausilio delle scienze umane. E non mancano nella Chiesa italiana corsi, anche se non tutti della stessa profondità, per la preparazione dei formatori, che hanno queste attenzioni.

Dal punto di vista pedagogico viene sottolineata l’importanza di partire dal punto in cui si trova il soggetto per impostare bene il cammino: ma questo significa anche che l’accompagnamento vocazionale ha bisogno di più personalizzazione e meno attività di massa o per gruppi, di quanto si faccia oggi. La stessa ricerca continua di esperienze, conoscenze, incontri, rivelano un bisogno di costruire un’identità stabile anche dal punto di vista psichico non solo spirituale, che permetta al giovane di sentirsi “soggetto” autonomo e originale. L’accompagnamento personalizzato, sempre attento però al contesto ecclesiale in cui si pone, sembra la via maestra, anche per fare uscire i giovani dal sentimentalismo, dall’emozionalismo, dalle idealizzazioni a volte illusorie di esperienze vocazionali o spirituali e nello stesso tempo per aiutarli ad acquisire il senso del proprio limite, anzi a farne un luogo di incontro col Signore e di scoperta della propria verità.

Su altri due temi ci si è soffermati: la formazione della capacità di decisione, con tutti i processi che la precedono, soprattutto la capacità di rinuncia: i due aspetti sono direttamente proporzionali e si è detto che vengono favoriti dall’incontro con persone, – testimoni –, che rappresentano dal vivo come una serie di decisioni vocazionali coerenti possano anche portare alla realizzazione umana piena e alla gioia cristiana. Insegnare a cercare e decidersi sempre per il bene più grande (oggettivo), ha detto qualcuno, e valorizzare contemporaneamente l’unicità e l’originalità (soggettività), tenendo conto dei limiti di ciascuno.

L’altro tema è l’educazione all’alterità da farsi non teoricamente, ma mediante l’incontro con persone diverse, soprattutto se poveri, di cui mettersi a servizio con un vero impegno di donazione (sacrificio) di sé. Nello stesso tempo educare ad aprirsi alla comunione ecclesiale per accogliere chi vive la fede e la carità in modi diversi dal proprio. Il grande tema della educazione della sessualità, e all’amore maturo, è sempre intrinsecamente vocazionale, soprattutto se in un contesto di gruppo o di comunità in cui si possono vedere degli adulti che si comportano in modo maturo e sanno offrire la loro esperienza ai più giovani.