N.01
Gennaio/Febbraio 2002

I giovani di fronte alla responsabilità della scelta vocazionale

Un tema molto delicato e stimolante quello che quest’anno avete scelto per il vostro annuale Convegno: addetti ai lavori che si lasciano interpellare in profondità da un argomento tanto variegato quanto complesso. Il pianeta giovani, oggi più di ieri, non è affatto una realtà omogenea, né omologabile: per questo appare ancora più difficile un discorso che possa corrispondere globalmente al problema posto.

Si possono, comunque, tentare alcuni approcci diversificati in modo che risulti significativa la proposta di un metodo, insieme al valore dei contenuti, per non rimanere fuori dalla concretezza dei vari aspetti e dei differenti fenomeni. In sintesi sto affermando una cosa di cui siamo tutti profondamente convinti, e cioè che come non ci può essere una lettura univoca della problematica giovanile, così non esiste una ricetta che appaia valida per tutti.

Il tema generale da voi assunto, “Conformati a Cristo”, risulta davvero impegnativo: esso, infatti, rappresenta l’obiettivo primario e finale di ogni esistenza cristiana, cui si può giungere solo con il concorso della libera volontà, capace di armonizzare le diverse componenti della persona umana e dell’azione di grazia illuminante e corroborante dello Spirito Santo, l’unico capace di conformare l’uomo a Cristo. Si tratta, dunque, di un processo sinergico in cui la docilità della persona gioca, alla fine, un ruolo determinante in vista del conseguimento dell’obiettivo: da qui la necessità di coniugare decisione, ascesi e abbandono fiducioso nel Signore per non opporre resistenza all’instancabile e conducente azione dello Spirito.

A me avete chiesto uno specifico contributo in ordine al tema “I giovani di fronte alla responsabilità della scelta vocazionale”, questione molto delicata e dibattuta, visto che a monte esiste un problema di più ampie dimensioni che attiene, più generalmente, alla capacità dei giovani di assumere responsabilità, in senso lato, in ogni ambito della vita. È facilmente osservabile come il processo di maturazione, nella maggior parte dei ragazzi, oggi, sembra incontrare alcune difficoltà e ostacoli per giungere a compimento: da qui la difficoltà da parte del giovane di compiere scelte oculate e responsabili nei tempi opportuni.

La scelta vocazionale, in particolare, intesa in senso ampio – includendo dunque sia la scelta di speciale consacrazione nell’ambito presbiterale e di vita consacrata che quella coniugale – risulta essere molto problematica, per lo più rimandata al più tardi possibile, spesso elusa, talvolta rinnegata dopo qualche tempo. Non è un caso che in questi ultimi venti anni si sia tanto riflettuto sull’argomento sia dal punto di vista delle scienze umane, come anche da quello antropologico, spirituale e pastorale. Il nostro percorso presenterà sinteticamente tre parti: la prima di stampo eminentemente descrittivo, la seconda di tipo problematico, l’ultima di carattere propositivo.

 

 

 

I. PARTE DESCRITTIVA

 

Gli orizzonti

Cercherò di delineare brevemente gli orizzonti entro i quali ci muoviamo offrendo qualche elemento che ci possa aiutare a tracciare le coordinate storico-ambientali all’interno dei quali i giovani si collocano, oggi, con il loro processo di crescita.

 

L’orizzonte mondiale

L’undici settembre ha segnato, nella sua proiezione simbolica, la fine di un mito di superpotenza, che fino a quel momento sembrava inattaccabile. In pochi minuti una minoranza di terroristi, insignificante e irrilevante agli occhi dei più, ha dimostrato di poter attaccare quella che appariva una fortezza inespugnabile. La potenza economica, la stabilità politica, il grado di tecnologie raggiunto, le conquiste scientifiche, i mezzi militari, le squadre dei servizi segreti non sono state in grado di prevedere e dunque di prevenire la tragedia né, col senno di poi possiamo dire, la guerra al terrorismo è riuscita a risolvere, come si pensava, in pochi giorni la questione.

Nel 2000 la celebrazione del Giubileo aveva forse creato delle aspettative di civiltà e di convivenza pacifica tra i popoli e sembrava inaugurare il millennio all’insegna di un certo ottimismo. In realtà il 2001 ha visto esplodere una guerra “mondiale” a tutti gli effetti contro un fenomeno grave che ha assunto caratteristiche di essere visibilissimo e tangibile e, al tempo stesso, misterioso e “fantasma”… irraggiungibile, inclassificabile, difficile comunque da individuare ed eliminare. Questi eventi, d’altra parte, non possono e non devono fare passare in seconda linea altri focolai di guerra, attualmente presenti nel mondo, primo tra tutti quello tra Ebrei e Palestinesi.

Resta comunque da rilevare un fenomeno importante nella lettura dei fatti: il divario economico, sociale e culturale tra Nord e Sud del mondo appare sempre più macroscopico e crea tensioni e conflitti a vari livelli. C’è un diffuso malessere che si va radicando in tanti che avvertono la dinamiche e le dimensioni di un’ingiustizia che tende sempre a trovare false giustificazioni.

Il fenomeno della globalizzazione, a detta di molti, non si può rallentare né tanto meno frenare: allora anziché porre l’ultimatum global o no global, forse è il caso di elaborare con responsabilità un new global e cioè indirizzare lo stesso fenomeno verso dinamiche di un autentico progresso che tenda ad accorciare le distanze tra paesi ricchi e paesi poveri. E noi cristiani se non vogliamo essere a rimorchio della storia, dovremmo essere in prima linea a lavorare in questa direzione.

I giovani che spesso, purtroppo, rimangono estranei o indifferenti rispetto a tanti eventi dovrebbero essere sensibilizzati, guidati e accompagnati in un percorso di coscientizzazione e di responsabilizzazione in ordine ai fenomeni mondiali di ogni tipo, specialmente riguardo alla necessità della pace e di una maggiore giustizia tra i popoli. Non si può, comunque, alla luce dei fatti recenti, non prendere atto che al mito della superpotenza è subentrata una cultura del limite che ha messo a nudo la vulnerabilità di un progetto umano, per quanto ardito e intelligente.

 

L’orizzonte europeo

La caduta del muro di Berlino aveva creato e alimentato tante speranze nell’intero Continente: sembrava che si fosse finalmente e definitivamente aperta una stagione di convivenza pacifica e di progresso. Il conflitto lungo e sanguinoso della Bosnia e il dramma dell’Albania sono punte di iceberg emergenti che dicono, invece, come esistono tensioni sotterranee tra etnie diverse, tra mondi culturali differenti, ma anche tra paesi ricchi e paesi poveri. 

Appena l’altro ieri 1° gennaio 2002, è stata immessa in circolazione in 12 paesi la moneta unica europea. L’euro rappresenta, però, solo il primo passo verso l’unificazione dell’Europa e, comunque, non è di certo il più importante anche se, di fatto è il più visibile. In realtà tutti noi cittadini dell’Europa dovremo fare un cammino in ordine all’assunzione di una nuova mentalità che è capace di elaborare in modo costruttivo un modello sociale di convivenza delle differenze proiettata verso obiettivi comuni che non possono essere ridotti solo all’ambito economico ma devono essere puntualmente individuati e perseguiti anche nell’ambito sociale, culturale, politico e religioso.

Vivere senza frontiere non può voler dire solamente non avere la necessità di presentare documenti di identità ai confini tra i paesi, ma piuttosto abbattere dentro noi stessi e tra tutti frontiere di ogni genere per realizzare una società più giusta e più solidale. Raramente e molto superficialmente i mass-media ci hanno invitato a maturare in ordine ad altre dimensioni del vivere comune, che non siano quelle di natura economica e politica.

Non sarà, comunque, un’operazione né facile né automatica, quella di integrare percorsi così differenti e variegati, dove i problemi e le sfide emergenti (ambiente, bioetica, dialogo interreligioso…) esigono capacità di confronto e di autentica collaborazione in vista di obiettivi comuni.

Ci si avvia, ormai, verso uno stato federale. È una scommessa che impegna tutti a ritrovare il senso della casa comune, essendo capaci di guardare al patrimonio comune che proviene dal passato, alla diversificazione dei cammini alla luce della quale oggi è possibile spiegare tante distanze e lacerazioni, ma anche capaci di guardare al futuro, ormai prossimo, e trovare nuovi modi per sperimentare che è possibile coniugare libertà e solidarietà, identità e condivisione, eguaglianza e diversità nel rispetto profondo delle differenze e nella capacità di attendere, stimolando laddove sia necessario, che tutti si assuma una passo di marcia comune. 

Noi adulti dovremmo avvertire forte l’urgenza di educare i nostri giovani ad acquisire una cittadinanza europea, capace di memoria storica, di responsabilità nel presente e di proiezione nel futuro, non generica ma motivata da una progettualità che li veda protagonisti impegnati e fattivi a vari livelli.

 

L’orizzonte italiano

Anche se appare necessario collocare l’Italia, ormai nel contesto europeo, non si devono sottovalutare i problemi di casa nostra. L’attuale momento politico richiede molta attenzione ai fatti, alle riforme che si stanno varando, alle scelte economiche con senso critico e volontà di partecipazione e responsabilità. Troppo spesso i nostri giovani si comportano da spettatori distratti, o ancor peggio, da protagonisti disinformati di una contestazione generica e irrilevante dal punto di vista sociale e politico.

Alcune recenti interviste, in televisione, rivolte a ragazzi che occupano le scuole, hanno manifestato quanta superficialità e irresponsabilità i giovani mostrino pure in situazioni in cui c’è la parvenza di una presa di posizione. Appaiono così poco attenti agli orizzonti più ampi, incapaci di collocare il loro problema, piccolo e grande che sia, in uno scenario realistico e problematico, poco consapevoli, come sono, della complessità che caratterizza la nostra attuale situazione.

Non possiamo non interrogarci a questo punto, su quella che risulta essere la più forte agenzia educativa che è la scuola: quale è l’attuale situazione della scuola italiana? C’è dietro un progetto educativo che preveda una formazione al senso critico, all’assunzione di responsabilità dei giovani? Non possiamo passare sotto silenzio, parlando dell’orizzonte italiano, il problema annoso e irrisolto e preoccupante per tanti versi del divario economico, sociale e culturale che ancora oggi esiste tra Nord e Sud del nostro paese.

Non è superfluo rilevare, in questo nostro contesto, che il tasso di disoccupazione al Sud si aggira tra il 25% e il 30% e che la fascia più svantaggiata è, evidentemente, quella giovanile. I giovani meridionali si ritrovano, frequentemente, a 25-30 anni in una condizione di dipendenza economica – e non solo – dagli adulti, impossibilitati a rendersi autonomi a causa della mancanza di lavoro e a crearsi una famiglia. Finiscono col vivere da “eterni ragazzi” con la mentalità distorta da eterni “figli di famiglia” con forme di immaturità inammissibili.

Vero è anche, comunque che l’assunzione di responsabilità è molto legata alla capacità di autodeterminazione e di autonomia e dunque questi dati vanno assunti come elementi di valutazione in ordine alla difficoltà di divenire responsabili. Altro problema emergente nella nostra realtà italiana è la multiculturalità.

Il nostro è di fatto un microcosmo che rappresenta il più ampio macrocosmo europeo e mondiale, per questo l’assunzione delle differenze deve essere un percorso obbligato che finisce con l’essere conducente anche rispetto alla crescita nella responsabilità. I giovani vivono frequentemente l’esperienza della prossimità alle diverse etnie e religioni con indifferenza, con estraneità e talvolta anche con senso di intolleranza. Il quotidiano rapportarsi con consapevolezza, reciproca conoscenza e rispetto, capacità di condivisione e di scambio, invece dovrebbe essere vissuto come un appuntamento con la palestra di una vita che ha come obiettivo la convivialità delle differenze.

 

L’orizzonte ecclesiale

Dopo le celebrazioni del Giubileo, che talvolta qui e là hanno avuto il sapore di autocelebrazioni, la Chiesa si apre al nuovo millennio, alla luce dei drammatici fatti recenti, con trepidazione e preoccupazione per il futuro dell’umanità. La storia interpella la Chiesa ad assumere con responsabilità la logica dell’incarnazione, divenendo sempre più un punto di luce da diffondere nei vari ambiti della vita umana e della convivenza sociale.

A livello mondiale i conflitti bellici, i problemi relativi alla salvaguardia del creato, il fenomeno della globalizzazione, la complessità dello sviluppo tecnologico e scientifico, specie nel campo della bioetica, le piaghe di dimensioni planetarie quali la droga e la diffusione dell’AIDS provocano la Chiesa a prendere posizione sulla base di un discernimento sapiente e realistico, ad offrire orientamenti chiari e sicuri, ma anche ad una evangelizzazione più fedele al dettato del Vangelo e soprattutto ad una testimonianza della carità profondamente e autenticamente radicale che lasci trasparire la potenza dell’amore.

Una interpellanza forte, sentita in modo molto diffuso è rivolta alla Chiesa in ordine al dialogo ecumenico e a quello interreligioso. Il costante pronunciamento del Santo Padre sulla pace, sulla giustizia, sul perdono, passa anche attraverso questa via. Viviamo una stagione complessa e multiproblematica all’interno della quale è possibile individuare in queste realtà come un centro che possa irradiare speranza nella concreta possibilità di cooperazione, di preghiera comune, di progettualità pacifica.

 

A livello europeo. L’Europa scristianizzata esige in modo particolare che tramonti lo scandalo della divisione delle Chiese cristiane e si apra una stagione di presa di coscienza popolare del valore della fede cristiana condivisa. Cristo stesso aveva pregato alla vigilia della Sua Passione Ut unum sint individuando in questa condizione il presupposto perché il mondo creda.

C’è ancora molta strada da fare anche se bisogna riconoscere che un certo cammino è stato compiuto. Certo è che certe forme di ecclesiocentrismo sia a livello di pensiero che di prassi andrebbero superate a favore di una visione fortemente cristocentrica nell’orizzonte ampio del Regno verso cui la Chiesa è incamminata in relazione ad altre chiese cristiane. La Chiesa, inoltre, a mio avviso dovrà offrire sussidi e orientamenti per crescere come cittadini di una Europa che ha origini cristiane per ritrovare il valore di radici comuni sulla base del quale contribuire a creare un rinnovato umanesimo d’ispirazione cristiana.

 

A livello italiano, il problema della evangelizzazione e della trasmissione della fede occupa il posto centrale. Il recente documento dei Vescovi italiani è articolato su queste tematiche. Ad esse sembra contribuire , in un modo del tutto particolare, il progetto culturale che mira ad un interscambio tra le scienze e ad un dialogo più serrato, dal punto di vista culturale, tra mondo dell’elaborazione del pensiero e prassi pastorale. Tra gli obiettivi vi è quello di innescare processi e circuiti di formazione e di conversione perché i cristiani non vivano più etsi Deus non daretur, guarendo dalla lacerazione operata dal divorzio tra fede e vita.

Bisogna, comunque, avere l’onestà di affermare che l’ottanta per cento della cura pastorale è rivolta ai cosiddetti “vicini” che ormai costituiscono una minoranza. In ogni caso gli operatori laici e sacerdoti non sono disponibili a mettere in crisi le modalità tradizionali del fare pastorale, non hanno piena consapevolezza del problema del linguaggio, del tutto inadeguati al nostro tempo per una comunicazione del messaggio evangelico.

Tendiamo a mettere vino nuovo in otri vecchi e rischiamo di perdere l’uno e gli altri ma soprattutto rischiamo di non riuscire ad avvicinare i cosiddetti “lontani” e tra questi tanti giovani. Riguardo alla pastorale giovanile non possiamo non registrare la fragilità di una pastorale di frequente discontinua, frammentaria e legata più ad eventi particolari che non ad una formazione continua, costante e approfondita che riguarda tutti gli ambiti della persona umana e della comunità.

Spesso ci si esalta o quanto meno ci si accontenta del numero significativo di presenze giovanili a certi appuntamenti ecclesiali e si dà meno rilevanza alla necessità di un lavoro di semina e di formazione molto più silenzioso e nascosto senza grandi risultati e gratificazioni, ma alla lunga molto più efficace.

 

 

 

II. PARTE PROBLEMATICA

 

I giovani vivono dentro gli orizzonti appena delineati, respirano la complessità come clima quotidiano, sono storditi dalla valanga di notizie del mondo e invasi da una successione di immagini che si succedono ad una velocità insostenibile e non hanno il tempo e spesso neanche le risorse per classificare i problemi e per elaborare, sulla base di certi criteri, giudizi adeguati.

Talvolta si sentono confusi, smarriti, talaltra sembrano rivestirsi di una corteccia di indifferenza per non essere travolti, talaltra ancora si immergono nella complessità del nostro tempo assumendo l’uno o l’altro dei problemi emergenti, senza saperli coniugare col resto. Di fatto però la maggior parte assorbe le immagini che la televisione offre, senza riuscire a discernere la gravità dei drammi reali dalla superficialità e banalità di altre proposte visive.

Per tanti assistere ad un film d’azione, vedere immagini di guerra o curiosare all’interno dello strano mondo del “grande fratello” sono operazioni equivalenti. I genitori sono frequentemente assenti e in ogni caso non educano i giovani al senso critico e non trovano tempi e spazi di riflessione per approfondire certi argomenti. Anche argomenti che toccano i ragazzi da vicino, come ad esempio quello della riforma scolastica, rimangono estranei e indifferenti.

Il clima culturale nel quale vivono immersi è quello del post-moderno che conduce insensibilmente alla rinuncia alla ricerca dell’Assoluto e ad accontentarsi di ritagliare frammenti di vita e di esperienza di pensiero. Ma tutto questo quadro non può rappresentare per noi cristiani una realtà a cui rassegnarsi.

 

La Krìsis come Kairòs

Il nostro sguardo di cristiani deve permetterci di penetrare dentro alla realtà e intus-ire scoprendovi qualcosa che altri non riescono a vedere. In una parola il cristiano deve essere capace di leggere dentro la Krìsis un Kairòs, dentro alla nebbia un punto di luce, dentro la confusione una possibilità di ordine, dentro ad un apparente non-senso la sicurezza di un senso più profondo.

Noi cristiani non possiamo essere dei Laudatores temporis acti perché la fede nello Spirito Santo presente e operante nella storia ci induce a leggere il presente scoprendoci semi di novità e di bellezza ma soprattutto a proiettarci nel futuro con una visione piena di speranza. Lungi da noi quindi un giudizio superficiale e pessimistico sul nostro tempo e sui nostri giovani! Dentro questa realtà che sembra avere tutte le caratteristiche di un tempo crepuscolare dobbiamo essere in grado di cogliere la forza di un momento favorevole per far crescere la fede, la speranza e la carità dei nostri fratelli, con l’aiuto dello Spirito e la potenza del Vangelo.

 

Offrire risposte o suscitare domande?

Vorrei offrire un’immagine per rendere l’idea che vorrei veicolare. In passato i pilastri della personalità e della formazione umana e cristiana erano posti in famiglia; la scuola e la parrocchia edificavano a partire da un solido piano terra. C’era un unico sistema di riferimento morale e religioso, i modelli di riferimento (genitori, amici, professori, educatori) erano corrispondenti a quel sistema e offrivano un messaggio corale e armonico. In questo nostro tempo il pluralismo ci pone dinanzi a sistemi di riferimento diversi, talvolta opposti. Anche i modelli non appaiono univoci. Il giovane, dunque si trova a dover fare delle scelte tra realtà molto differenti e non sempre ha la volontà e il desiderio di scegliere, in ogni caso raramente si ritrova gli strumenti per discernere finendo, di fatto, per combinare una sorta di cocktail assumendo elementi dall’una o dall’altra proposta. Valga per tutti l’esempio di sincretismo offerto dalla New Age che viene frequentemente assunto acriticamente e comunque assorbito in qualche elemento anche dai giovani che assiduamente frequentano le nostre parrocchie e i nostri gruppi ecclesiali.

I ragazzi di questo tempo, generalmente, avvertono un grande vuoto fuori di loro ma anche dentro di loro. Spesso riempiono il loro mondo interiore di cianfrusaglie (musica assordante, video games, computer e internet, televisione…) abituandosi a vivere dimensioni virtuali e perdendo talvolta il gusto della relazione significativa con un tu, con un partner, con una comunità.

Si vivono apparentemente molte ore insieme ma in realtà il gruppo a ben vedere altro non è che il risultato della somma di tante solitudini. L’ascolto comune della musica talvolta evita il disagio di un dialogo che non sia solo scambio di informazione e di esperienze banali. Se questo scenario è vicino alla realtà, a mio avviso, risulta inefficace e non adeguata una proposta di vita alternativa offerta sic et simpliciter.

In questa cultura del limite che confina col non-senso, e comunque in questa prospettiva di vuoto non solo è inutile, ma a mio avviso, addirittura controproducente offrire prospettive di senso. Sarebbero come risposte presentate a persone non in grado di porre domande e dunque finirebbero per scivolare senza lasciare traccia né di ricerca né di inquietudine.

Dove sta dunque il Kairòs? Secondo me il Kairòs sta nello scavare in questo vuoto fino a rendere il giovane consapevole del peso e dello spazio occupato dalle “cianfrusaglie” e a fargli sorgere gradualmente il desiderio e la fame di senso. Insomma più che offrire risposte è necessario suscitare domande, scoperchiando l’abisso del non-senso.

A noi è dato di leggere il Kairòs anche dentro al vuoto, sapendo bene che Dio può suscitare figli anche dalle pietre… e che collaborare con il Signore significa mettere da parte presunzione e delirio di onnipotenza e seguire, con umiltà e fede, tappa dopo tappa, ciascuna persona perché maturi in un processo di coscientizzazione. Se non c’è coscienza di sé e della situazione storica in cui si vive immersi non ci può essere responsabilità.

 

Giovani dalle ali tarpate?

In uno dei suoi scritti Cencini rilevava il fenomeno rilevante della lenta e inesorabile eutanasia dei sogni, dei desideri e dei progetti nel mondo dei giovani. C’è una diffusa tendenza ad identificare la realtà con ciò che si esperimenta, che si vede, che accade… come se il pensiero, il mondo interiore, la volontà, la libertà non fossero anch’essi realtà.

Dietro l’affermazione “bisogna essere realisti”, così frequente e diffusa, si cela una rinunzia ad esprimere il mistero di se stessi e della propria identità e vocazione, un sacrificio non richiesto, della propria libertà di desiderare, di progettare, di ritagliarsi uno spazio proprio. Ragazzi dalle ali tarpate: ecco come appaiono tanti dei nostri giovani! Non ci si può rassegnare a questo: è necessario che genitori ed educatori provochino in essi una sana inquietudine, quell’inquietudine che è segno di salute psichica e spirituale e che è cifra della vitalità di una persona umana, specie se giovane.

S. Agostino con quell’espressione famosa affermava “Il nostro cuore è inquieto finché non riposerà in Dio”. L’inquietudine fa compagnia all’homo viator, il quale non smette mai di interrogarsi con domande esistenziali: Da dove vengo? Dove vado? Perché vivo? Cosa mi aspetta oltre la vita terrena? Chi aiuta i giovani, nel loro processo di crescita, non può non fargli prendere coscienza delle potenzialità enormi nascoste che possiedono. Una bella e convincente icona è offerta dal gabbiano Jonathan Livingston, prodotto ben riuscito della recente letteratura.

 

Il mondo dei bisogni, dei desideri, delle vere necessità

C’è un mondo sommerso di cui i giovani devono prendere coscienza. I bisogni sono solo la punta emergente di un grande iceberg e non necessariamente la parte più significativa. Distinguiamo i veri bisogni da quelli falsi che la società consumistica induce senza limite. Il bisogno è per la persona l’espressione di ciò che essa avverte come qualcosa di cui non può fare a meno per vivere, ma non è detto che ciò sia sempre vero: tanti che sono considerati bisogni di fatto non sono cose necessarie.

Il desiderio, invece, è relegato spesso al livello di illusione e di sogno e non assunto nella sua forte valenza antropologica di una forza vitale interiore capace di orientare la vita e di condurre a mete ritenute impensabili e comunque irraggiungibili. Aiutare un giovane a divenire consapevole dei suoi desideri significa condurlo alla percezione del vero sé e nutrire la sua speranza di realizzazione. Accorgersi che “l’uomo è il suo desiderio” significa incoraggiare i giovani a scoprire il genio della propria irripetibilità e a dargli voce e spazio.

Certo è che un uomo diventa pienamente uomo solo quando diventa consapevole di essere nato per essere amato e per amare, che il suo desiderio di felicità è insopprimibile, che il suo desiderio di infinito lo conduce verso l’eterno, che il suo desiderio di un partner lo apre creativamente verso il tu di Dio e il tu del simile. Infine la rivelazione delle vere necessità aiuta la persona, nel suo processo di crescita, a relativizzare tanti bisogni e a puntare su ciò che è assolutamente necessario: la necessità di dare un senso alla vita, al dolore, alla morte, la necessità di scoprire l’orizzonte della salvezza relegandosi all’Eterno.

 

Il possibile esodo dalla superficialità

Ciò che permette al giovane di comprendere il senso della responsabilità è un costante esodo dalla superficialità che richiede un duplice viaggio: un viaggio dentro di sé e un viaggio fuori di sé. 

Partendo dalla condizione esistenziale di ciascuno è possibile accompagnare la persona a compiere un vero e proprio viaggio nella propria interiorità. Ancora Agostino invita: Noli exire foras, in te ipsum redit, et si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende et ipsum (Non uscire fuori di te, ma rientra in te stesso e se scoprirai la tua natura mutabile, trascendi anche te stesso).

L’invito a rientrare in sé, ad assaporare il silenzio esteriore e interiore, a prendere coscienza della propria identità e dei propri desideri profondi costituisce la condizione necessaria per porsi dinanzi al mistero della propria libertà e della realizzazione di questa. Scoprire che viviamo una vita, una sola vita e accogliere questa come dono che deve dar frutto significa capire che la partita dell’esistenza si gioca nel qui ed ora e dunque acquisire il valore del tempo che è concesso per un fine da identificare presto e bene e verso cui mobilitare tutte le risorse.

Ma perché la ricerca sia compiuta è necessario anche compiere un viaggio fuori di sé. L’uomo diventa uomo quando è capace di estasi, capace cioè di uscire da sé di rivolgersi con tutto se stesso all’altro. La scoperta dell’alterità, allora, appare come la via ineludibile e privilegiata per coprire la verità di se stessi e del proprio destino. L’alterità, infatti, spalanca due direzioni nell’unico orizzonte dialogico: l’incontro col Tu di Dio e l’incontro col tu dell’altro. La relazione di reciprocità uomo-donna, in questa seconda direzione, appare paradigmatica e rilevante ai fini di una piena realizzazione della persona umana.

Solo l’estasi verso il tu, che rimanda allo stesso dinamismo della vita trinitaria, permette di superare il limite dell’egocentrismo. Laddove si diviene capaci di uscire costantemente da sé, nella proiezione del dono, le esperienze di volontariato, di servizio al prossimo in tutte le possibili forme, la capacità dialogica matura significano il grado di maturità della persona.

Ci si renderà conto che il viaggio dentro di sé ben si compone col viaggio fuori di sé in quanto l’uno e l’altro devono costantemente e coerentemente essere coniugati e perseguiti nella contemporaneità di un dinamismo che prevede ambedue i movimenti centripeto e centrifugo.

Peraltro ci si renderà conto di essere inabitati dall’alterità di Dio e degli altri e dunque di incontrarli dentro di sé come anche di continuare a poter incontrare il mistero di Dio in quanti divengono compagni di cammino e destinatari dell’amore della persona. Non meraviglia allora l’identificazione misteriosa offerta dal vangelo di Matteo tra il povero e Cristo; il povero costituisce realmente e visibilmente il sacramento di Cristo “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…” (Mt 25,3146).

Vivere in costante riferimento all’alterità offerta per un verso dalla Parola di Dio e per l’altro dalla comunità significa aver individuato coordinate essenziali per la vita di un cristiano adulto.

 

L’opzione fondamentale segno di maturità umana

Quando si passa dalla coscienza dell’essere liberi alla capacità di esercitare la libertà in modo pienamente umano, allora si manifesta un grado di umanità significativo. Il problema è di vaste proporzioni e presenta una grande complessità: il nostro tempo è caratterizzato da un diffuso modo di vivere “alla giornata” che talvolta, ma non sempre, porta con sé la fisionomia del pensiero relativo al Carpe diem. Il più delle volte il vivere “alla giornata” è solo l’esito costante dell’incapacità di scegliere e questo chiaramente finisce col manifestare una tendenza all’incoerenza radicale.

Il vero problema consiste nel fatto, che per vivere coerentemente, è necessario riferirsi costantemente ad un unico riferimento e a determinati criteri. A mio avviso, appare urgente saper riproporre l’opportuna possibilità dell’opzione fondamentale, intendendo con questa espressione la scelta, di cui l’uomo è capace, da porre a fondamento di tutte le altre scelte parziali.

Per giungere a questa tappa così importante, risulta necessario accompagnare il giovane ad individuare prima e assumere poi esistenzialmente una opzione radicale, sulla base di un processo di consapevolezza che gli permetta di operare un vero e proprio discernimento per costruire una vita coerente con atteggiamenti e comportamenti corrispondenti. Se, per esempio, un ragazzo sceglie il denaro come opzione fondamentale risulterà comprensibile, alla luce di questa scelta, la scelta del lavoro più remunerato, la scelta della compagna in condizioni agiate, la scelta degli amici nell’area dei benestanti più influenti, l’uso del tempo libero come occasione per perseguire ulteriore produzione di denaro…

Ciò che conta è rendere consapevole la persona che un’opzione fondamentale richiede il concorso di tutte le capacità per impegnare a pieno la volontà: solo in questo orizzonte appare possibile manifestare il proprio impegno pronunziando una espressione oggi così rara: “sì per sempre”.

 

Il senso di responsabilità

La radice del termine responsabilità è il verbo respondeo. Dunque la responsabilità esige la capacità di pronunziare il proprio “Eccomi” con la consapevolezza di un rendersi disponibile alla domanda che interpella. Ciò implica una volontà di liberarsi da tanti condizionamenti personali e sociali e da pregiudizi di qualunque genere per impegnarsi nell’opera di autorealizzazione che, quando è autentica, coincide misteriosamente col dono di sé alla comunità: non sono due realtà in contrasto tra loro, nell’ottica cristiana, infatti le due realtà sono le due facce dell’unico processo di conformazione a Cristo.

La capacità di responsabilità si acquisisce come tappa significativa di un processo di crescita che vede la persona impegnata a scoprire la propria identità e la propria missione e contemporaneamente a manifestare la propria maturità nel disporre di sé e nel rendersi disponibile agli altri. In questo processo il giovane non può essere solo: ha bisogno di sapere che qualcuno che abbia sapienza ed esperienza possa accompagnarlo per aiutarlo a non smarrirsi dinanzi a questo compito arduo, ma anche a discernere con equilibrio e un certo distacco.

 

La scelta vocazionale

La prima grande chiamata che ciascuno riceve è la chiamata alla vita: il nome che ciascuno riceve nel Battesimo è il segno di questa chiamata. La concezione del nome, nel mondo semitico, e in particolare nella Sacra Scrittura, ci permette di penetrare a fondo in questo mistero. Basti pensare ad Adamo che dà il nome ad ogni creatura: pronunziare il nome significa consegnare un’identità e dichiararne l’appartenenza. Nel Battesimo avviene un admirabile commercium appena pronunziato il nome del bambino, il battesimo si realizza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, come a legare l’identità del piccolo alla appartenenza alla Trinità. In tal modo viene dichiarata la reciproca appartenenza: il nuovo nato appartiene alla Trinità, ma anche la Trinità per certi versi appartiene al piccolo in quanto da quel momento lo inabita.

La vocazione costituisce l’appuntamento con il nome nuovo: si tratta di ascoltare, percepire, accogliere il nome nuovo pronunziato dal Signore, nel quale si rinnova l’alleanza e l’appartenenza reciproca sperimenta sacramentalmente nel Battesimo. Si vive la fatica del travaglio, si avvertono le doglie del parto… ma se tutto va bene nasce un uomo, una donna nuova con un’identità precisa e una missione particolare.

La responsabilità di una scelta vocazionale richiede:

a) il riconoscimento del primato e dell’iniziativa di Dio 

b) la capacità di esercitare una libertà liberata

c) un atteggiamento di fiducioso abbandono all’opera dello Spirito

d) la consapevolezza dell’inserimento nel Corpo di Cristo che è la Chiesa con una funzione specifica.

Ciò che risulta necessario è accettare il limite creaturale e la peccaminosità come due condizioni inerenti all’uomo e saper vedere con gli occhi della fede la possibilità che, con l’assenso della persona, il Signore può attraversare la fragilità umana con la sua potenza misteriosa, inabitarla, vivificarla, trasfigurarla per realizzare la sua volontà. Il giovane, senza attendere una mitica stagione di certezze e di forza, deve poter assumere e far proprio il grido di Paolo: “È quando sono debole che sono forte”.

È solo a questo punto del percorso che può essere pronunziato il fiat nel qui ed ora e per sempre, in una prospettiva sinergica che vede impegnati Dio e l’uomo nell’operare i Mirabilia Dei, nei quali coincide la felicità della persona e il frutto apostolico. Al giovane che si offre non resta che consegnarsi senza riserve, pur non comprendendo tutto e subito, mantenendo un atteggiamento di riflessione sull’esempio della Madre: “Sua Madre meditava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,31).

Ciò su cui si deve insistere non è tanto sulla via del dovere ma sulla via pulchritudinis, quella che Dio ha scelto per attrarre a sé l’uomo. In passato si insisteva sulla forza del Verum nella strada filosofica, più recentemente sul Bonum, facendo leva sulla via morale, oggi credo si debba esaltare la bellezza del vivere l’avventura della vita col Signore e per il Signore: camminare con Lui è bello, contemplare il suo volto è bello, amare è bello. Non si può non rilevare per contrasto, l’esperienza evangelica del giovane ricco che, allontanandosi da Gesù e rispondendo silenziosamente no, “se ne andò triste” (Mt 19,22).

Il discorso fin qui condotto necessita di un forte impianto di discernimento, il quale è un’arte e come tale richiede preparazione generale, competenza specifica, esperienza, sapienza ma soprattutto una grande familiarità con la logica di Dio. Per chi accompagna i giovani in questo difficile processo è necessario saper coniugare Parola di Dio, storia del mondo e storia personale, ma soprattutto fare una esperienza forte di preghiera per chiedere luce ed equilibrio insieme ad un forte senso della vita soprannaturale.

Preghiera, dati esistenziali, istanze ecclesiali, risorse e limiti personali vanno verificati prima della scelta definitiva. C’è bisogno di operatori molto sensibili specializzati in quest’opera di accompagnamento vocazionale. Le nostre Chiese, le nostre comunità dovrebbero investire di più su questo fronte!

 

Maestri o testimoni?

Non è irrilevante, a questo punto, ribaltare la domanda di fondo sul versante degli adulti laici religiosi/e, presbiteri: qual è il loro autentico porsi in relazione alla loro vocazione e missione? Forse è necessario farsi un esame di coscienza, mettendo a nudo il nostro vissuto e il nostro sentire, riconsiderando lo spessore della nostra fede, speranza e carità, sia nell’ambito della nostra interiorità come sul piano della trasparenza e della visibilità.

Non possiamo non chiederci il grado di passione che nutriamo per il Regno, di compassione per l’uomo, di fedeltà al Signore e al suo vangelo. Certo è che nella storia della Chiesa i Santi sono stati degli “afferrati da Cristo” capaci di trasportare altri nel cuore dell’avventura.

Il mondo degli adulti nella fede deve poter lasciarsi interpellare fino in fondo dalle espressioni contenute in Ap. 2,25: “Mi è nota la tua condotta: la tua fatica, la tua costanza… Hai costanza, avendo sofferto per il mio nome senza venire meno. Ma debbo rimproverarti che non hai più l’amore di un tempo. Considera da quale altezza sei caduta e ritorna alla condotta di prima”.

Paolo VI diceva che il nostro tempo ha bisogno più di testimoni che di maestri e che i maestri possono essere tali solo se sono anche dei testimoni. La grazia di essere innamorati di Cristo e dell’uomo è una grazia da implorare continuamente insieme ai doni della fedeltà e della coerenza.

 

 

 

III. PARTE PROPOSITIVA 

 

Lasciarsi conformare a Cristo

Nella consapevolezza della verità profonda contenuta nell’espressione di San Giovanni della Croce, secondo cui “l’amante finisce col somigliare sempre più all’amato”, è il caso di offrire qualche proposta.

 

Il percorso di maturazione umana

Non possiamo parlare di una vera adesione del cristiano al suo Signore, se non a partire da un serio processo di maturazione umana in quanto è l’uomo, con tutta la sua persona, che pronunzia il suo sì, rispondendo all’imperativo dell’unico comandamento dell’amore: “Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,36-39).

Questo comandamento esige un triplice dinamismo:

a) Processo di semplificazione, nel senso di essere capaci, dopo aver conosciuto le diverse articolazioni della fede, di ricondurre all’essenziale il credo personale, l’orientamento esistenziale, l’obiettivo finale. Ciò richiede, contrariamente a quanto si possa pensare, una grande profondità nell’esaminare la realtà personale ma anche i punti cardine del credere, essendo capaci, al momento opportuno, di elaborare contenuti, vie possibili da percorrere, piste nuove da proporre per la riflessione in tutta la loro variegata complessità.

b) Processo di unificazione. Esso è frutto di un cammino di consapevolezza rispetto alla complessità propria dell’essere umano. Ciò richiede conoscenza di sé, delle componenti umane (mente, cuore, forze) nell’intento reiterato di ricondurle a unità. L’io che risponde è un io unificato, sia usufruendo delle proposte e delle acquisizioni delle scienze umane, sia permettendo alla grazia di operare nel profondo ciò che appare impresa troppo ardua.

c) Processo di armonizzazione. Il processo di armonizzazione non sarà processo di omologazione o di riduzione ad uno solo degli elementi solo se si punterà costantemente all’esercizio armonico delle diverse componenti dell’uomo: intelligenza, volontà, libertà, sentimento, sessualità, spiritualità…Ciò richiede una speciale cura di tutte queste componenti, in un progetto di formazione permanente, con tappe, metodi, esperienze, obiettivi chiari e personalizzati. Tale processo di armonizzazione finisce per creare le condizioni per sintonizzarsi docilmente con l’azione dello spirito.

 

Formazione e modello di Chiesa

Ciascun operatore nel campo della formazione non può non avvertire la necessità di rapportarsi con la chiesa, a nome e per conto della quale opera. Non è irrilevante, allora, porsi il problema di quale sia il modello di riferimento, anche per individuare e percorrere itinerari formativi che offrono una immagine di Chiesa al destinatario, ma soprattutto che indirizzino questo ad inserirsi vitalmente nel tessuto della Chiesa, offrendo un contributo fatto di prospettive, atteggiamenti, comportamenti che contribuiscono a far crescere la comunità ecclesiale in certe direzioni più che in altre.

a) La prima e più significativa caratteristica della Chiesa che l’accompagnatore spirituale deve mostrare è quella del suo essere madre e maestra. Atteggiamenti, comunicazioni verbali e non verbali, opzioni di vita, tutto deve contribuire a mostrare il volto di una comunità accogliente, comprensiva, tenera e forte al tempo stesso, lungimirante, tollerante eppure capace di essere severa, compassionevole e attenta ai suoi figli, capace di cura tutta speciale per ciascuno di loro e pronta al perdono in ogni circostanza. L’autorevolezza del suo essere maestra assume uno spessore più significativo e colui che vive nell’alveo del suo calore è più docile e più disponibile all’ascolto degli insegnamenti e degli orientamenti e tende a comprenderli come segno dell’amore materno più che come precetti dettati in altre prospettive non facilmente leggibili.

b) Un’altra caratteristica ineliminabile da far trasparire è quella di una Chiesa dialogica, comunicativa, incarnata nella storia capace cioè di assumere il messaggio chiaramente decifrabile del Logos che si fa interlocutore dell’uomo facendosi uomo egli stesso, che viene per annunziare a tutti la buona notizia, che assumendo la storia con tutte le sue contraddizioni, invita i discepoli di ogni tempo a vivere consapevolmente e responsabilmente gli accadimenti storici divenendo protagonista e non solo rimanendo spettatore passivo. Una Chiesa che legge e interpreta i segni dei tempi e si inserisce vitalmente nel corso degli eventi orientando, in modi diversi il cammino verso Cristo.

c) Importante è anche comunicare il volto di una Chiesa fraterna e solidale, attenta ai più piccoli, capace di farsi serva di ogni uomo, di denunciare le ingiustizie e di lottare con l’arma dell’amore contro ogni violenza e prepotenza. Un volto di Chiesa comunità-comunione dove si sperimenta la circolarità della vita trinitaria e la capacità di condivisione, una Chiesa povera al servizio degli ultimi della terra.

d) Non deve passare in seconda linea la caratteristica della radicalità evangelica che deve trasparire nelle grandi scelte come in quelle piccole, quotidiane, facendo risplendere lo spirito delle beatitudini. Una Chiesa che non si adegua alla logica del mondo, che non assume e non fa propri i criteri mondani come il successo, il consenso, il potere, la carriera… ma che rimane fedele al suo Dio crocifisso e reietto, capace di dono gratuito e totale e fedele al Vangelo sine glossa.

e) L’operatore ecclesiale, laico o consacrato che sia, deve manifestare il volto di una Chiesa innamorata del Suo Sposo, che si lascia trasfigurare dall’Eucaristia, protesa verso una santità luminosa che rende credibile la comunità dei credenti.

f) Fortemente sentita è la necessità di vedere nella Chiesa la possibilità di coniugare istituzione e dinamismo carismatico come due facce di un’unica realtà, laddove il discernimento ecclesiale permette di aprire spazi di creatività a quanti si lasciano plasmare dall’azione dello Spirito. In una parola una Chiesa che riesca ad essere profetica in ogni sua manifestazione.

g) Non si deve infine trascurare il tratto del volto di una Chiesa che vive immersa nell’attualità del qui ed ora ma che non trascura di valorizzare gli elementi della tradizione e le esperienze di santità ricchissime del passato. Una Chiesa dunque capace di riproporre il valore della vita ascetica, del digiuno, dell’elemosina, della preghiera in tutte le sue forme, della penitenza, ma anche le vette della vita mistica nell’orizzonte dell’unione totale e definitiva col Signore della vita.

 

Il coraggio della proposta

Uno dei problemi oggi più diffusi è quello di proporre mete e itinerari formativi minimali ai giovani, in base alla considerazione della loro fragilità “generazionale” e al loro oggettivo ritardo nel processo di maturazione. Si finisce, così, con lo smorzare lo slancio, con il non addestrare i ragazzi a “salti” sempre più “in alto”. In altre parole si rischia di provocare la fuga o la disaffezione dei giovani, in quanto le proposte appaiono accomodanti, annacquate tali, in ogni caso, che manifestano indirettamente un giudizio di mediocrità sui giovani in formazione.

Forse dobbiamo fare appello al coraggio nel proporre, nell’additare mete alte, nello svegliare nel giovane l’attrazione folle creata dal fascino della vetta. Bisogna osare di invitare i ragazzi a correre il rischio dell’amore, a giocare la loro vita sapendo che Dio si è giocata la sua nella storia degli uomini.

Non si deve essere preoccupati nell’indicare il modello di Pietro che diviene capace di camminare sulle acque in quanto tiene fisso il suo sguardo negli occhi luminosi e misericordiosi del suo Signore. 

Non si deve nascondere la difficoltà anzi la follia dell’avventura di amore da vivere col Signore, un’avventura che permette, comunque, di vivere la dimensione coinvolgente e trasfigurante del lasciarsi condurre, forgiare, plasmare, conformare dallo Spirito a Cristo, raggiungendo così la meta della nostra esistenza: quella di vivere in una comunione amorosa con le tre persone divine.

 

Itinerari formativi personalizzati

Quanto fin qui esposto esige una capacità di riflessione sugli itinerari formativi da delineare per i giovani, con la precisazione di tappe, obiettivi, mezzi, modalità, tempi…È evidente che tale programmazione più che essere il frutto estemporaneo dell’impulso di singole persone, non può che essere frutto del lavoro di équipe che rappresentino, nei loro membri, varie prospettive in ordine alla formazione ma anche diverse competenze.

Ritengo comunque che non si possa dare per scontata l’indicazione di un gruppo di lavoro. È necessario infatti, a mio avviso, creare un percorso di crescita per l’équipe stessa perché individui orizzonti comuni di riferimento, acquisisca un linguaggio il più possibile circolare, verifichi che modi di pensare e categorie interpretative possano essere assunti comunitariamente. Gruppi di lavoro che acquisiscono nella preghiera, a partire dall’ascolto della parola di Dio, nella comune riflessione, nello scambio frequente di idee e di esperienze, un sentire comune, un desiderio condiviso di spendersi per una causa comune in un clima di autentica fraternità e condivisione.

L’équipe operativa deve divenire per il giovane l’alveo sicuro e caldo nel quale gradualmente accetta di crescere insieme ad altri giovani, mostrandosi così com’è e riuscendo a comunicare le sue ispirazioni più profonde e le sue difficoltà sperimentando quotidianamente un clima di accoglienza e uno stile semplice e familiare. Si tratta, però, di saper armonizzare una generale programmazione col ritmo, le capacità, i problemi di ciascuno: personalizzare gli itinerari è l’unica via conducente se è vero che ciascuno è unico e irrepetibile.

Si deve poter realizzare una formazione all’insegna del “chiamare ciascuno per nome” pur all’interno di un numero più o meno ampio di giovani. Si deve poter giungere ad una integrazione tra sociologia, psicologia, teologia e prospettiva pastorale e spirituale. Più armonica risulterà la proposta formativa, più l’esito sarà quello di personalità equilibrate, umanamente ricche e spiritualmente profonde e docili, pronte a vivere l’inedito di Dio.