N.01
Gennaio/Febbraio 2002

L’intima indole vocazionale di tutta la vita e l’azione della comunità cristiana

I due brani che abbiamo ascoltato, dal Vangelo e dalla prima lettera di Giovanni, ci propongono, come spesso accade con questi testi, la sostanza del messaggio cristiano, così come ce la propone, appunto l’apostolo ed evangelista Giovanni. In primo luogo, nel Vangelo, l’incontro con il Signore Gesù; la sua chiamata e il riconoscimento di lui come il Messia, il Figlio di Dio, il nostro Salvatore. E, nella prima lettura, il contenuto fondamentale dell’annuncio di salvezza, cioè l’amore; l’amore di Dio per noi e la risposta di amore che ci è richiesta. Risposta d’amore estremamente concreta, come dice il testo: “Non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità”.

Questo è anche oggi un messaggio, un annuncio che ha una grandissima forza, perché tocca il più profondo del cuore di ogni persona. L’annuncio di essere amati da Dio e, su questa base, l’invito a concepire la nostra esistenza come una scelta di amore. E anche quella che è la premessa, quello che è il fondamento di questa scelta, cioè la fede in Cristo, l’incontro personale con lui, sebbene possa apparire oggi più difficile, più lontano dall’esperienza immediata di tanti, conserva, in realtà, tutta la sua forza e tutta la sua attrazione, perché non è soltanto un incontro di cui noi parliamo, un incontro da noi concepito o immaginato, è la realtà di Cristo che entra nella nostra vita, è la realtà di Cristo che interpella personalmente. Interpella attraverso la realtà della vita, interpella attraverso la sua presenza nello Spirito Santo dentro al cuore, al segreto della coscienza di ogni persona.

Ma questi testi che abbiamo letto hanno evidentemente anche una grande valenza vocazionale, dicono molto a noi, anche in questo preciso contesto del Convegno Nazionale annuale delle vocazioni. Prima di tutto, perché attraverso Filippo la chiamata del Signore giunge a Natanaele, poi anche per il modo in cui il Signore interpella Natanaele, e in particolare per quelle parole che Filippo dice a Natanaele: “Vieni e vedi”. Anche noi abbiamo grande bisogno di poter dire in maniera credibile queste parole: “Vieni e vedi”, a quelle persone che sono in ricerca di Dio e in particolare a quelle persone che spingono più avanti la loro ricerca, verso una scelta di speciale consacrazione. “Vieni e vedi”. Il Signore Gesù, visibile, non aveva bisogno di altri commenti, ma le nostre comunità sono il luogo nel quale deve essere possibile, o rispetto al quale deve essere possibile, fare questa proposta: “Vieni e vedi”. Vedi, prendi contatto con le nostre comunità, lì potrai trovare, lì potrai incontrare il Signore.

Noi comprendiamo, così, come la pastorale vocazionale si lega a tutta la vita della Chiesa, della comunità cristiana; e questo mi sembra il motivo di fondo, il filo conduttore di questo Convegno del Centro Nazionale Vocazioni, e cioè la formazione cristiana come formazione vocazionale, proprio perché tutta la vita della comunità cristiana deve avere questa valenza di provocare all’incontro con il Signore Gesù, anzi, di essere incontro con il Signore Gesù, e così di essere anche chiamata vocazionale.

È un cammino ormai lungo quello che abbiamo dietro le spalle, come Centro Nazionale Vocazioni e come Centri Regionali e Centri Diocesani. Un cammino scandito anche da questo appuntamento nazionale dei primi giorni di gennaio. E naturalmente come Presidente della Conferenza Episcopale io vi confermo quello che già vi ha detto monsignor Papa, Presidente della Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata, e cioè, la vicinanza, la grande vicinanza dei vescovi italiani, che penso e spero ognuno di voi possa sperimentare nel suo concreto e quotidiano impegno per le vocazioni nelle varie sedi delle Chiese locali in Italia.

Ma, oltre a questo, vorrei sottolineare come in questo Convegno, sembra almeno a me, che si faccia un passo in avanti in questo lungo cammino. Il passo in avanti sta proprio nel fatto che tutta la pastorale deve sempre più chiaramente essere consapevole della sua intima indole vocazionale. Indole vocazionale che riguarda, in primo luogo, certo, il modo stesso di intendere la vita. Intenderla non in maniera solitaria, come progetto autonomo che la persona, l’uomo o la donna, fa su se stessa, ma intenderla in maniera dialogale, in quel dialogo in cui il Signore, con il suo amore, la sua libertà, la sua misericordia, la sua sapienza infinita, ha la prima e l’ultima parola. Dialogo per il quale la vita stessa è vocazione e la costruzione della nostra vita è risposta progressiva alla vocazione. Così ogni cristiano deve intendere la sua vita. In questa prospettiva globale è poi, certo, molto più spontaneo inserire la chiamata alla speciale consacrazione, la chiamata al sacerdozio, la chiamata alla vita consacrata. Per questo, naturalmente, è di grande importanza che, in particolare, il lavoro apostolico fatto in mezzo ai giovani, fatto con i giovani, la pastorale giovanile, e il lavoro apostolico fatto in mezzo alle famiglie e con le famiglie, con la soggettività delle famiglie, la soggettività ecclesiale della famiglia come chiesa domestica, abbiano questa impronta vocazionale. Tutti sappiamo bene come, tante volte, purtroppo, le stesse famiglie rappresentino una difficoltà per le vocazioni. Incontrando i seminaristi della Diocesi di Roma, tocco ogni anno con mano questa realtà, nei colloqui personali che ho con loro, come molti di loro, una percentuale davvero rilevante trova nella famiglia difficoltà piuttosto che sostegno. Ebbene, per questo la pastorale della famiglia deve avere questa impronta vocazionale: far comprendere alla famiglia il senso della chiamata di Dio che riguarda tutti e che può riguardare, e riguarda di fatto, alcuni in maniera particolare.

Ma certo, anche la formazione che diamo ai giovani, la formazione che i giovani acquistano, meglio, insieme con noi, con il nostro aiuto, in dialogo, in compagnia con noi, questa formazione ha bisogno di avere questa impronta vocazionale che deve modificare un poco la mentalità, le categorie con le quali i giovani spesso sono portati a interpretare la propria vita, appunto in quella maniera solitaria e un po’ individualistica a cui accennavo prima. Senza pensare che tutta la nostra esistenza è in continuo dialogo con Dio e può crescere soltanto così.

E poi, naturalmente, le nostre comunità cristiane, la comunità cristiana come un tutto, nell’integrità dei suoi componenti, dei suoi elementi, dai sacerdoti alle religiose, ai laici, ai giovani, famiglie, anziani, etc. tutte queste componenti, insieme, devono rendere in qualche modo, visibile e tangibile, la presenza di Cristo in mezzo a noi. È soltanto così che si crea il terreno fertile per le vocazioni. Vorrei ricordare ancora due cose.

La prima riguarda la testimonianza specifica di noi consacrati, preti, religiose, religiosi. È evidente che all’origine di una grandissima parte delle vocazioni sta anche l’incontro e l’esperienza del rapporto con una persona che ha vissuto già la vocazione, che ha già risposto positivamente alla vocazione, e che esprime nella sua vita quotidiana la gioia di questa vocazione, la realtà viva di questa vocazione. Perciò è grande la responsabilità di noi consacrati. Ma è anche grande il dono che il Signore ci fa, di questa particolare fecondità spirituale che, diciamo così, aiuta a far crescere altre vocazioni in unione, in rapporto vitale con la nostra personale vocazione. Il cardinale Martini, nella lettera che ha inviato ai preti della Diocesi di Milano, redatta il 4 novembre, festa di san Carlo, ha sottolineato molto questo aspetto del ruolo che hanno le persone consacrate come testimoni viventi e come propagatori, così, della chiamata del Signore.

E, infine, il ruolo della preghiera. Sappiamo tutti che la vocazione è in primo luogo opera dello Spirito, opera di Dio che agisce nel segreto, nel profondo della coscienza e della vita, di quel Dio che è più intimo a noi stessi di quello che ciascuno di noi possa essere presente e intimo a se stesso. E perciò è naturale, è fisiologico che il cammino vocazionale, la pastorale vocazionale sia caratterizzata e vivificata anzitutto dalla preghiera.

Ma anche qui occorre intenderci bene. Non si tratta, come talvolta può essere, di una preghiera come ultimo rifugio: dato che le altre strade falliscono, dato che molte iniziative non portano concreti risultati, allora ci rifugiamo nella preghiera, sperando che il Signore faccia quello che noi non riusciamo a fare. Non è soltanto così. Questa sarebbe una specie di delega inappropriata al Signore. La preghiera per le vocazioni va fatta da tutti, ma anche da quelle persone, uomini e donne, giovani e ragazze, che personalmente possono essere interpellate dalla speciale chiamata del Signore.

La preghiera per le vocazioni ci aiuta a entrare nel clima spirituale, nel clima personale complessivo ad assumere l’atteggiamento di fondo che può renderci disponibili alla chiamata di Dio. La preghiera, infatti, nella sua sostanza profonda, è, certo, domandare a Dio, ma, in primo luogo è adorarlo, lodarlo, ringraziarlo, affidarci a lui, metterci nelle sue mani, e così, mettendoci nelle sue mani noi facciamo crescere dentro di noi il terreno fertile per accettare tutto ciò che il Signore vorrà domandarci.

Quante volte, sempre nei colloqui personali con i seminaristi di Roma, io mi sento dire da giovani, o anche da adulti, ormai, che a lungo hanno sentito la voce del Signore, la chiamata del Signore che li interpellava, e che a lungo hanno riflettuto, anche resistito, o comunque , faticato per accogliere questa voce. La fatica diventa minore se il clima della nostra vita è il clima della preghiera, e quindi dell’amore, della fiducia e dell’abbandono. Cerchiamo di pregare così anche noi per le vocazioni, perché insieme ai nostri fratelli, la nostra opera possa essere feconda.