N.01
Gennaio/Febbraio 2002

Testimonianza: esigenza della fede

Ogni persona che vuole seguire più da vicino Cristo Gesù ha bisogno di qualcuno che gliene parli, che gli mostri con i fatti di averlo incontrato e conosciuto, che sia in grado di trasmettere quello stesso fascino, che un giorno gli ha sconvolto la vita e ha dato una nuova direzione alla propria esistenza. Una di queste esperienze sconvolgenti viene comunicata da Paolo di Tarso alla comunità dei Galati: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me, questa vita nella carne io la vivo nella fede del figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato tutto se stesso per me”. Paolo VI ci ricordava: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri, è perché questi sono testimoni” (1974).

 

Che cosa è la testimonianza

Nel senso che ci interessa, la testimonianza è la trasmissione per via d’esempio, per via di parola, per via di opere, per via di vita vissuta, di sacrificio in omaggio alla verità posseduta come valore; valore superiore al proprio stesso benessere e talvolta alla propria stessa incolumità. È una verità professata, con intenzione di comunicarla ad altri. Il che suppone tre cose fondamentali: la convinzione propria, personale dapprima, il che esige a sua volta, una coscienza istruita e convinta: quale testimonianza cristiana può dare chi non ha una sufficiente cognizione di Cristo? Chi non vive della sua parola e della sua grazia?

La testimonianza non è semplice professione esteriore, convenzionale; non è un mestiere abituale; è una voce della propria coscienza, un frutto di vita interiore, è nel suo caso migliore (assicurato al discepolo fedele) il dono d’una ispirazione che sorge limpida e imperiosa dal fondo dell’anima (cfr. Mt 10, 10). Ed è un atto di maturità e di coraggio, al quale il cristiano dovrebbe essere sempre preparato. Ce lo insegna san Pietro: “Dovete essere sempre pronti a dar soddisfazione a chiunque vi chieda ragione della speranza, che è in voi” (1 Pt 3, 15).

 

Funzione della testimonianza

La seconda cosa fondamentale, riguardante la testimonianza cristiana, è la funzione ch’essa esercita nell’economia religiosa cristiana: questa economia, cioè questo disegno, questo piano che regge tutto il sistema dei nostri rapporti con Dio e con Cristo, si fonda sulla testimonianza. Una testimonianza a catena. Cristo è il primo grande testimone di Dio, Verbo lui stesso di Dio, il maestro, che domanda fede nella sua persona, nella sua parola, nella sua missione. Poi vengono gli Apostoli, i testimoni oculari e auricolari; ricordate l’incisiva parola dell’evangelista Giovanni: “Vidimus et testamur” (1Gv 1, 2), noi abbiamo veduto e attestiamo. E s. Agostino che commenta: “Deus testes habere voluit homines”, Dio ha voluto avere uomini per testimoni (in Ep. Ad Parthos, P.L. 35, 1979). L’aveva detto Gesù congedandosi dai suoi apostoli: “Eritis mihi testes”, voi mi sarete testimoni (At 1, 8).

Le citazioni si potrebbero moltiplicare e tutte concludono nel mettere in evidenza che il nostro rapporto con il fatto cristiano, con la verità rivelata deriva dall’adesione ad una testimonianza, ad un magistero, che arriva alle nostre anime in concomitanza parallela con un’altra testimonianza, invisibile questa e irriducibile ad un linguaggio adeguato, ma non senza relazione normalmente a forme precostituite, i sacramenti, quella dello Spirito Santo, “che dà testimonianza al nostro spirito” (Rm 8, 16), come ci insegna s. Paolo.

 

Il fine della testimonianza

E questo ci insegna finalmente una terza cosa: il fine della testimonianza. A che cosa tende; e nella pratica nostra, a che cosa deve tendere: a produrre la fede. Il testimonio è operatore di fede. Il Concilio ne parla continuamente (cfr. Lumen gentium nn. 10-12; Ad gentes n. 21; ecc.). La testimonianza cristiana è il servizio alla verità che Cristo ha lasciato al mondo; è la trasmissione di questa eredità di salvezza. L’uomo contemporaneo si pone anche spesso e dolorosamente, il problema del senso dell’esistenza. Perché la libertà, il lavoro, la sofferenza, la morte, la presenza degli altri? Ed ecco, in queste tenebre, chi cerca di vivere il Vangelo appare come colui che ha trovato un senso, un senso alla sua vita. Questa testimonianza di salvezza deve essere data da tutti i battezzati, specialmente da quelli che sono chiamati a stare a tempo pieno con Gesù.

 

Nell’“oggi” di Gesù

Quando Gesù, attraverso la testimonianza di un nostro fratello o sorella, ci ha fissato, con uno sguardo ha deciso la nostra vita: siamo risultati interessanti ai suoi occhi. Lo abbiamo incontrato ed egli è venuto ad abitare la nostra storia personale: “Oggi devo fermarmi a casa tua”, ci siamo sentiti dire, come a Zaccheo (cfr. Lc 19, 5). Entra con un dono e chiede di essere ricevuto: solo così si pongono i fondamenti del dialogo. Un regalo, per di più fatto da Dio, non si può rifiutare.

Dallo sguardo alla parola; dalla luce alla comunicazione di vita. E Gesù accende la nostra vita! Anche Gesù è pellegrino, mendicante di amore verso l’uomo per dialogare con lui. È un cammino di comunione, di salvezza, di amore. È lui che salva per amore, non sono i nostri meriti. Con s. Paolo dobbiamo dire: “Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia” (At 20, 24).

Dal momento in cui siamo stati guardati e chiamati per nome da Gesù, viviamo toccati da lui per fiorire in pienezza. La nostra unità di misura è la statura di Cristo. “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). “La sua grazia in me non è stata vana” (1Cor 15, 10). Da quando egli ci ha chiamati siamo diventati suoi familiari, non siamo degli estranei ai suoi occhi; e ad ognuno dei suoi ripete: “Ti ho chiamato per nome; tu mi appartieni” (Is 43, 1).

Nel momento stesso in cui Gesù decide di fermarsi presso di noi, la salvezza entra nella nostra vita (cfr. Lc 19, 9). Lui stesso sta alla porta e bussa, aspettando senza stancarsi che gli si apra per entrare e cenare con noi (cfr. Ap 3, 20). Siamo chiamati a stare con lui perché egli vuole stare con noi. L’amore è vincitore, ci cambia, ci salva. Allora egli diventa il Dio della nostra vita, della nostra storia e il suo fermarsi nella mia, nella tua casa ci contagia al punto che ognuno di noi deve fermarsi presso gli altri, i fratelli, per parlare loro dell’amore che ci ha cambiato la vita.

 

Dentro il tempo verso il domani

La grazia di Dio opera il miracolo della nostra vita. Il vero miracolo è diventare buoni, essere almeno un po’ come lui, avere qualcosa del suo sguardo nel nostro, per guardare il fratello con l’occhio pieno della luce di Dio. È questo il primo servizio al mondo. I consacrati stanno con il Signore, lo ascoltano, lo amano e con la loro vita dicono le loro scoperte ai fratelli: “Abbiamo incontrato il Maestro!”. Le due braccia della croce nella chiesa sono la cultura e la carità, il nostro modo di essere dentro questa storia, il punto nodale è la preghiera.

La storia è mappa tracciata da infiniti sentieri da cui giungono grida di amore, di sogno, di preghiera e di offerta. L’umanità è un intrecciarsi di domande, di doni, di comunione, di cuori. La vita sacerdotale e consacrata è l’estasi della storia che fa circolare l’“acqua viva”, – l’amore di Cristo –, nel mondo. Se la nostra testimonianza è incarnare Cristo nella nostra storia, allora ogni consacrato è chiamato a mettersi in viaggio. Al centro della vita c’è l’uomo. Dio si è fatto uomo e ha amato, cercato, guarito l’uomo, la vita.

Incarnare Dio nel nostro oggi, nella nostra storia; chiamati a profetizzare, ad amare: ecco la nostra vocazione. Perché l’uomo è l’incarnazione permanente di Dio. Noi diventiamo da amati amanti per riempire molte vite, per andare verso l’altro e guardarlo con occhi nuovi, gli occhi della fraternità, dell’amicizia. Le nostre comunità sono i primi luoghi del nostro apostolato dove il solo metodo efficace è il contatto personale. L’altro è così interessante per me che diventa il fratello al quale dono comunione. Dall’io, al tu, al noi; il senso dell’altro, la fraternità: valori che uniscono. È il nostro servizio di amore al mondo che la condizione storica ed esistenziale richiede.

 

La nostra è una storia regale!

Nel nostro tempo segnato dal pluralismo, dalla frammentazione, dall’individualismo, dal provvisorio, dal fare ciò che piace scansando la fatica, fuggendo il dolore, è indispensabile un discernimento che nasce da un vigile scrutare il cuore degli uomini. È necessario che noi consacrati, esperti di luce e di positività, non ci fermiamo all’apparenza, ma leggiamo attentamente ciò che abita il profondo: “Mostrami il tuo uomo – esclama Teofilo di Antiochia – e ti dirò qual è il tuo Dio!”.

Nostro compito è fermentare la storia ridando valore all’uomo, alla persona come tempio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza. Far capire all’uomo di oggi che il Dio non è il denaro, il potere. Essi portano alla violenza, alla divisione. Ma noi siamo dentro la storia come cercatori di verità, viandanti che hanno nella borsa l’oro della fede da difendere dalle tentazioni quotidiane dell’incredulità. Nostra vocazione è gridare all’uomo di oggi che deve far risplendere la vita perché la vita è cosa bella, cosa buona.

Nella massificazione imperante, dove non pare esserci una ragione per cui valga la pena di dare, di vivere e di spendere la vita, dobbiamo mostrare che questa ragione c’è: è l’uomo come fratello; è l’altro, abitante di questa civiltà, che deve diventare traguardo di tenerezza; l’altro che io avvicino e che non può andar via da me restando come prima perché io sono uomo o donna di Dio; l’altro che può anche essere non credente, ma che mi cammina a fianco, che cerca, che attende. D’altra parte il vangelo ci insegna che la prima professione di fede davanti a Gesù morto è di un ateo, un centurione romano: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15, 39).

Storia della salvezza, storia personale, storia universale, storia del “per sempre”, storia dell’“oggi”, storia del “domani”, perché storia d’amore e l’amore non ha tempo, non ha luogo… perché abita tutti i tempi e ogni luogo. Noi consacrati nel mondo, in questo mondo abitiamo la vita perché siamo di Dio e la vita viene da Dio. Noi testimoni fra i fratelli credenti e non, insieme cerchiamo cosa significa essere responsabili del mondo, della storia; insieme ci interroghiamo reciprocamente, esigenti gli uni verso gli altri contro l’irrazionalità, la superstizione, la magia, i sincretismi, l’indifferenza.

Insieme denunciamo la violenza, ricordiamo l’interiorità come mezzo per leggere la propria e altrui esistenza, insieme ascoltiamo il grido dei poveri. Allora ogni nostra azione manifesterà la vita di Dio e nasceranno in noi solo pensieri di pace e di gioia. La nostra storia sarà regale, libera dalle cose. Cammineremo con cuore nuovo, capace del respiro di Dio, capace di amore, capace di benedizione, capace di intonare, come Maria, il canto: “Il mio spirito esulta in Dio mio salvatore” (Lc 1, 47).