N.03
Marzo/Aprile 2002

Direzione spirituale, pastorale vocazionale e vita della comunità cristiana

Vorrei iniziare questa mia riflessione conclusiva con uno splendido brano del documento dei nostri Vescovi Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Lo riprendo dal n. 8 degli orientamenti pastorali per il primo decennio degli anni duemila perché mi sembra che esprima assai bene i sentimenti di tutti noi che torniamo a casa dopo quest’esperienza ogni volta così ricca e arricchente del nostro Seminario.

Consapevoli del bisogno di senso dell’uomo d’oggi, teniamo “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). Nel contempo, vogliamo custodire nella memoria e nei cuori come un bene prezioso i tesori di sapienza e i moniti accumulati negli oltre trent’anni trascorsi dal grande evento del Concilio. Tutto questo ci fa avvertire l’urgenza di rinnovare e approfondire la nostra collaborazione alla missione di Cristo. L’amore di Cristo ci spinge ad annunciare la speranza a tutti i fratelli e le sorelle del nostro paese: Cristo è risorto, la morte è vinta, e vi sono ancora migliaia di uomini che accettano di morire per testimoniare la verità della risurrezione del Signore. Ora sta a noi metterci al servizio della missione dell’Inviato del Padre, assumendo la vocazione battesimale alla santità. Ci potranno accompagnare ed essere di stimolo le parole di John Henry Newman, che così amava rivolgersi in preghiera al Signore: 

“Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi; 

a risplendere fino ad essere luce per gli altri.

La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà merito mio.

Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.

Fa’ che io ti lodi così, nel modo che tu più gradisci, 

risplendendo sopra tutti coloro che sono intorno a me.

Da’ luce a loro e da’ luce a me; 

illumina loro insieme a me, attraverso di me. 

Insegnami a diffondere la tua lode, la tua verità, la tua volontà.

Fa’ che io ti annunci non con le parole ma con l’esempio, 

con quella forza attraente, quell’influenza solidale che proviene da ciò che faccio, 

con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi, 

e con la chiara pienezza dell’amore che il mio cuore nutre per te”.

 

A San Giovanni Rotondo

Avevamo concluso lo scorso anno con i nn. 46 e 30-31 della NMI. Riguardiamoli brevemente.

46) Questa prospettiva di comunione è strettamente legata alla capacità della comunità cristiana di fare spazio a tutti i doni dello Spirito. L’unità della Chiesa non è uniformità, ma integrazione organica delle legittime diversità. È la realtà di molte membra congiunte in un corpo solo, l’unico Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,12). È necessario perciò che la Chiesa del terzo millennio stimoli tutti i battezzati e cresimati a prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita ecclesiale. Accanto al ministero ordinato, altri ministeri, istituiti o semplicemente riconosciuti, possono fiorire a vantaggio di tutta la comunità, sostenendola nei suoi molteplici bisogni: dalla catechesi all’animazione liturgica, dall’educazione dei giovani alle più varie espressioni della carità. Certamente un impegno generoso va posto – soprattutto con la preghiera insistente al padrone della messe (cfr. Mt 9,38) – per la promozione delle vocazioni al sacerdozio e di quelle di speciale consacrazione. È questo un problema di grande rilevanza per la vita della Chiesa in ogni parte del mondo. In certi Paesi di antica evangelizzazione, poi, esso si è fatto addirittura drammatico a motivo del mutato contesto sociale e dell’inaridimento religioso indotto dal consumismo e dal secolarismo. È necessario ed urgente impostare una vasta e capillare pastorale delle vocazioni, che raggiunga le parrocchie, i centri educativi, le famiglie, suscitando una più attenta riflessione sui valori essenziali della vita, che trovano la loro sintesi risolutiva nella risposta che ciascuno è invitato a dare alla chiamata di Dio, specialmente quando questa sollecita la donazione totale di sé e delle proprie energie alla causa del Regno.

30) E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità. Non era forse questo il senso ultimo dell’indulgenza giubilare, quale grazia speciale offerta da Cristo perché la vita di ciascun battezzato potesse purificarsi e rinnovarsi profondamente?

31) Ricordare questa elementare verità, ponendola a fondamento della programmazione pastorale che ci vede impegnati all’inizio del nuovo millennio, potrebbe sembrare, di primo acchito, qualcosa di scarsamente operativo. Si può forse “programmare” la santità? Che cosa può significare questa parola, nella logica di un piano pastorale? In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il Battesimo?” significa al tempo stesso chiedergli: “Vuoi diventare santo?”. Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).

 

Nei mesi scorsi

Il 21giugno del 2001 un altro dono. “Comunicare il vangelo in un mondo che cambia”. Alcuni passaggi che ci collegano al cammino comune della chiesa italiana mi sembra importante coglierli nel n. 51 che vengo a leggere integralmente.

51) Ci pare opportuno chiedere per gli anni a venire un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia. Questo è l’impegno che affidiamo e raccomandiamo alla comunità cristiana. Partiamo dai giovani, nei quali va riconosciuto “un talento che il Signore ci ha messo nelle mani perché lo facciamo fruttificare”. Nei loro confronti le nostre comunità sono chiamate a una grande attenzione e a un grande amore. È proprio a loro che vanno insegnati e trasmessi il gusto per la preghiera e per la liturgia, l’attenzione alla vita interiore e la capacità di leggere il mondo attraverso la riflessione e il dialogo con ogni persona che incontrano, a cominciare dai membri delle comunità cristiane. Le Giornate Mondiali della Gioventù ci hanno restituito molte speranze: abbiamo visto moltissimi giovani attirati dal Gesù e dal suo Vangelo. Già abbiamo sottolineato alcuni valori di cui il mondo moderno, talvolta con i giovani in prima fila, è portatore. Va detto però che ora abbiamo tutti una grande responsabilità: se non sapremo trasmettere alle nuove generazioni l’amore per la vita interiore, per l’ascolto perseverante della parola di Dio, per l’assiduità con il Signore nella preghiera, per una ordinata vita sacramentale nutrita di Eucaristia e Riconciliazione, per la capacità di “lavorare su se stessi” attraverso l’arte della lotta spirituale, rischieremo di non rispondere adeguatamente a una sete di senso che pure si è manifestata. Non solo: se non sapremo trasmettere loro un’attenzione a tutto campo verso tutto ciò che è umano – la storia, le tradizioni culturali, religiose e artistiche del passato e del presente –, saremo corresponsabili dello smarrirsi del loro entusiasmo, dell’isterilirsi della loro ricerca di autenticità, dello svuotarsi del loro anelito alla vera libertà. Nel decennio scorso ci eravamo volutamente soffermati sull’importanza del dare fiducia ai giovani, di favorirne l’inserimento nel volontariato, in tutto ciò che li aiuta a vivere il fine unico della vita cristiana, che è la carità. Rimane vero, peraltro, che per amare da persone adulte, mature e responsabili, bisogna saper assumere tutte le responsabilità della vita umana: studio, acquisizione di una professionalità, impegno nella comunità civile. Le esperienze forti possono tanto più giovare quanto più si coniugano con i cammini ordinari della vita, che consistono nell’operare scelte di cui poi si è responsabili. Occorre saper creare veri laboratori della fede, in cui i giovani crescano, si irrobustiscano nella vita spirituale e diventino capaci di testimoniare la Buona Notizia del Signore. Occorre impegnarsi perché scuola e università siano luoghi di piena umanizzazione aperta alla dimensione religiosa, sostenere i giovani perché vivano da protagonisti il delicato passaggio al mondo del lavoro, aiutare a dare senso e autenticità al loro tempo libero. Certamente le nostre comunità sono chiamate a una grande attenzione e a un grande amore per i giovani. In questa direzione, avvertiamo la necessità di favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare e quella vocazionale: il tema della vocazione è infatti del tutto centrale per la vita di un giovane. Dobbiamo far sì che ciascuno giunga a discernere la “forma di vita” in cui è chiamato a spendere tutta la propria libertà e creatività: allora sarà possibile valorizzare energie e tesori preziosi. Per ciascuno, infatti, la fede si traduce in vocazione e sequela del Signore Gesù.

 

Torniamo alle nostre case

Mi sembra che questo seminario ci consegni alcune attenzioni indispensabili. Mi limiterò a tre.

 

La direzione spirituale nella pastorale ordinaria della comunità cristiana

Essa va pensata sempre di più patrimonio della comunità cristiana. Va pensata come esperienza singolare e formidabile di un babbo e di una mamma; di un catechista e di un educatore di oratorio… Essa è infatti azione educativa che sgorga dal modo con cui i nativi o i ministeriali educatori in seno al popolo di Dio comprendono che il loro servizio è finalizzato ad aiutare dei figli di Dio a diventare quello che sono. Ma certamente un ministero così impegnativo e delicato non si improvvisa. E noi ci poniamo a servizio di questi nostri fratelli e sorelle perché possano onorare il dono e la responsabilità che il Signore affida e chiede. Siamo noi che abbiamo il compito di affiancare e sostenere questo splendido ministero educativo e formativo.

La pastorale ordinaria della comunità cristiana come luogo della verifica della bontà del nostro servizio

La bontà del nostro servizio è chiamata a trovare sempre di più una verifica nella vita della comunità cristiana. La vita della comunità è in qualche modo il luogo nel quale si rende visibile quello che c’è in profondità nel cammino della persona guidata: come cresce il senso della Chiesa e del servizio ad essa e in essa? Come vive il servizio ai suoi fratelli? Se la direzione spirituale sta davvero sortendo gli effetti che il Signore si attende allora il cuore si manifesta sempre più conquistato dal cuore di Dio. Altrimenti è un inutile e forse dannoso palliativo per anime deboli e impaurite…

La pastorale vocazionale come necessario contesto globale per una direzione spirituale significativa e corretta

Se la direzione spirituale non è parte di un progetto organico, non si colloca all’interno di un cammino vocazionalmente significativo nella sua ferialità, se non è momento di un percorso che prevede una crescita in famiglia, in parrocchia, nell’esperienza sacramentale e caritativa allora la direzione spirituale può facilmente scivolare in un intimismo inconcludente. Quanto più si chiede e si offre la guida per servire con maggior gioia, determinazione e volontà il Signore tanto più essa tira fuori la sua straordinaria energia propria e caratteristica dell’accompagnamento personalizzato. La direzione spirituale sarà sempre di più preoccupazione di coloro che si interessano nelle nostre chiese di pastorale vocazionale. È inevitabile ed è una benedizione.