N.06
Novembre/Dicembre 2003

Insieme, dentro alle sfide del nostro tempo e delle nostre terre, da accogliere e da interiorizzare

Il “Forum” – giunto ormai alla sua terza edizione – sta diventando un appuntamento annuale, del CNV e degli Istituti di Vita Consacrata, che ci ha visti convenire, in questa sede di Sassone, per considerare e progettare insieme, sotto il profilo vocazionale, il futuro delle nostre Chiese particolari e dei nostri Istituti e, soprattutto, per vivere un’esperienza di comunione ecclesiale. L’obiettivo di fondo che ci eravamo prefissi nel promuovere questa esperienza era quello di aprire, nella Chiesa italiana, un preciso varco di riflessione e di comunione che i lavori di queste giornate hanno reso possibile, esplicito e visibile. Infatti si sta avviando, grazie alla buona volontà di tutti, un processo di comunione tra le diverse categorie vocazionali, un processo che, ci auguriamo, possa “espandersi” gradualmente e concretamente – anche grazie a questa esperienza – e così esprimersi non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello regionale e locale.

Alla luce delle esperienze precedenti ci sembrava necessario porre seriamente alcune condizioni senza le quali non è possibile una pastorale vocazionale unitaria nelle nostre Chiese locali.

 

La scelta del territorio…

Dalle prospettive evidenziate nel Forum precedente, era emersa con forza la necessità di “scendere in campo insieme” per una maggiore incisività ed un maggior inserimento della pastorale vocazionale nel territorio, al fine di un annuncio vocazionale efficace e capillare che permetta di assumere seriamente l’impegno di ricostruzione della persona a partire dall’antropologia cristiana, che suppone non solo la dimensione vocazionale della vita, ma anche la conformazione a Cristo.

Grazie anche ai contributi offerti in questa sede, è maturata in ciascuno di noi la scelta del territorio come luogo di incarnazione, luogo nel quale prende forma anche la modalità concreta del seguire Gesù e del servire la comunità. È solo dentro il territorio che la Chiesa particolare può riscoprire pienamente se stessa e la sua missione: diventare “spazio vitale” in cui tutti i membri del popolo di Dio esercitano la propria specifica missione al servizio della vocazione di ogni persona.

 

…per non evadere dalla realtà

Per non “evadere dalla realtà”, ma per “soffrire la carità dentro la storia” – secondo un’espressione del Convegno ecclesiale di Palermo – abbiamo rinnovato anche quest’anno la scelta di dividere per regioni i gruppi di lavoro, affinché lo scambio di esperienze e di riflessioni – contestualizzato in un preciso territorio, quello della regione – porti ad una lettura attenta del vissuto con tutte le sue sfide, potenzialità, povertà e ricchezze. Tale metodologia, che ha visto buoni risultati, ha così permesso di creare dei veri e propri laboratori, nei quali sono emerse alcune interessanti strategie di azione pastorale. I gruppi sono stati qualitativamente ricchi per la partecipazione ai lavori di Direttori di CDV, responsabili vocazionali di Istituti di Vita Consacrata e animatori vocazio-nali da tempo impegnati nel settore. La varietà e multiculturalità delle presenze nei gruppi è stata – a detta di molti – un vero dono del Signore. Questo conferma la scelta della comunione, come strada maestra attraverso la quale possiamo presentare il “volto bello” della Chiesa.

La riflessione dei gruppi è stata volontariamente sbilanciata sul versante del “come”, da realizzare insieme, a favore di una nuova cultura vocazionale del territorio.

Come? È dunque la domanda che è rimbalzata nei gruppi e alla quale abbiamo tentato di dare insieme una risposta.

 

 

Le sfide del territorio: occasioni vocazionali

In questi giorni è risuonato con forza da parte dei nostri pastori l’invito accorato ad accogliere il territorio con gratitudine ed amore, come un “dono” che ci plasma, al quale accostarci con rispetto, in punta di piedi. È proprio con questo sguardo che nei nostri gruppi si sono riconosciute alcune sfide che, accolte e interiorizzate, ci permettono di operare dentro le nostre comunità ecclesiali, dentro i nostri Istituti e dentro la nostra esistenza quel rinnovamento, tanto auspicato, che è prima di tutto “rigenerazione” e che ci rende capaci, a nostra volta, di vivere la fecondità dentro le nostre comunità; sfide che diventano “provvidenziali occasioni” per inventare nuove modalità di annuncio e di presenza.

Ripercorriamole, quali tappe per un itinerario spirituale di “conversione”.

 

La sfida della ‘presenza’

In tutti i gruppi è stato indicato, quale “territorio che ci sfida”, l’appello che ci viene dalla realtà giovanile. Il complesso mondo giovanile, caratterizzato dalle molteplici appartenenze, da identità deboli, fragili, incerte, multiculturali, pone davanti a noi, animatori vocazionali, la richiesta impellente di “esserci”, anche quando ci sentiamo inadeguati, di essere “presenti” e di essere “presenze significative”. Il mondo degli adulti non può disattendere questa domanda di compagnia, di orientamento; si tratta di offrire una presenza positiva, di persone mature che sanno ridare fiducia ai giovani nella riscoperta delle proprie potenzialità.

 

Dove “esserci”?

La solitudine esistenziale dei giovani è un’ulteriore sfida che interpella la nostra vocazione alla maternità/paternità spirituale: si parla oggi di situazione di orfanità dei giovani con “padri e madri” in vita. La nostra sollecitudine, dunque, ci spinge ad “uscire” dalle nostre case, sicurezze, strutture per essere là dove i giovani vivono e pongono le loro scelte. Si tratta quindi di operare una prima conversione che ci chiede di allargare le frontiere dell’annuncio vocazionale, di “sganciarci” anche dalle grandi strutture per abitare dove la gente vive, soffre, opera e vivere con i giovani uno stile di “prossimità”.

Il disorientamento delle nuove generazioni richiede la nostra presenza soprattutto nei luoghi dove “apparentemente” sembra inutile ‘lanciare’ il Vangelo della vocazione. Gli adolescenti, i giovanissimi sono portati ad abitare i luoghi informali, il quotidiano, come spazi in cui maturano le loro scelte; è proprio lì, nei luoghi informali, sulla strada, che la nostra presenza di consacrati diventa assolutamente necessaria. Sono queste “le frontiere” che siamo chiamati ad abitare. Si tratta di sostenere i giovani nelle loro scelte ordinarie, non necessariamente vocazionali, quelle che determinano la loro esistenza a partire dalla scelta dello studio e del lavoro. Se siamo capaci di stare al loro fianco per aiutarli a porre in atto scelte quotidiane evangeliche, allora potremo dire anche qualcosa di significativo davanti alla scelta fondamentale della vita. Diversamente, il nostro annuncio vocazionale cade nel vuoto: è come un “bronzo che risuona o un cembalo che tintinna”.

Luogo dell’annuncio vocazionale è dunque il giovane; dovunque c’è un giovane, lì siamo chiamati ad esserci, in modo significativo.

 

Come ‘esserci’?

Attraverso un atteggiamento costante di ascolto, che rende capaci di cogliere le domande, le esigenze espresse ed “inespresse” dei giovani. Siamo chiamati a sfondare il muro dell’indifferenza giovanile, non tanto come distributori di risposte preconfezionate, ma con un ascolto che sa suscitare delle domande. Il vero animatore vocazionale dunque è un uomo, una donna che interpella, attraverso la propria vita o presenza.

Ancora una provocazione: ci lasciamo interpellare dalle domande dei giovani e del territorio oppure poniamo al primo posto ciò che noi abbiamo deciso di offrire loro? In questa scelta si gioca l’efficacia del nostro annuncio vocazionale.

L’inconsistenza esistenziale dei giovani e il frammentato quadro della vita familiare ci chiede di mettere a disposizione dei giovani la nostra vita e vocazione, talvolta povera di mezzi, ma ricca di senso e di progettualità. I consacrati sono stati definiti da un poeta russo “laghi di senso”; questa ricchezza di significato ci costituisce – quasi per vocazione – quali “punti di riferimento”. La richiesta di senso chiama in causa il nostro servizio di accompagnamento spirituale e vocazionale, oggi più che mai necessario, per aiutare i giovani a raccogliere i frammenti della loro esistenza e ricondurli in unità attorno ad un unico progetto di vita. Stile del nostro “accompagnare” sarà quello della gratuità, della disponibilità ad “essere i servitori della felicità” dei giovani che Dio ci affida, testimoniando loro la gioia del nostro appartenere a Cristo e il primato dell’Assoluto.

Altra sfida che ci interpella è la incomprensibilità da parte dei giovani del “segno della vita consacrata”. Troppi stereotipi sulla nostra vita rendono la scelta di totale consacrazione poco affascinante, perché poco compresa e comprensibile. Chiediamoci quanto abbiamo contribuito a rafforzare questi stereotipi con il nostro stile di vita. Balza all’attenzione un’ulteriore conversione: rendere “più umana” la nostra vita consacrata, perché diventi segno immediato, visibile, trasparente della radicalità evangelica. Condividere con la gente il dramma di vivere è l’inizio di ogni adeguata risposta.

 

 

Alcuni passaggi per una rinnovata presenza nel territorio

Nei gruppi sono stati evidenziati alcuni passaggi che portano a maturare – a diversi livelli – uno stile di presenza e di azione comunionale.

 

Dall’individualismo pastorale alle comunità vocazionali

Ancora il “territorio giovani”, caratterizzato da una cultura individualistica e competitiva, chiama in causa la dimensione comunitaria del nostro annuncio vocazionale. È finita l’era del “battitore solitario”, del “freeland”, dell’individualismo pastorale: rimane convincente l’annuncio vocazionale che nasce dalla comunione con la propria comunità e rimanda ad esperienze dentro la comunità ecclesiale e religiosa. “Comunità vocazionali” paterne e materne, capaci di offrire perdono e riconciliazione, cariche di umanità e di forte spiritualità; “case accoglienti”, dove i giovani possono sperimentare l’autentica fraternità evangelica. Troppe volte anche le nostre comunità parrocchiali disattendono i reali bisogni della gente, dei giovani in particolare. Siamo troppo preoccupati di offrire una “istruzione cristiana”, piuttosto che una “testimonianza cristiana” convincente, vitale.

 

Dall’efficientismo all’efficacia

Siamo chiamati a superare la tentazione di sentirci “necessari” per le nostre opere, più che per la nostra presenza. Questo significa avere il coraggio – anche dentro i nostri Istituti – di “abbandonare” le opere che non sono risposta alle domande reali del territorio e che non esprimono più la ricchezza carismatica che le ha originate, oppure “riqualificarle” come “luoghi di sfida” per l’annuncio evangelico. Ciò significherà talvolta porsi in uno stato di povertà di mezzi, di strutture, ma ci permetterà di ritrovare il significato originario e carismatico del nostro esserci e soprattutto di porre al centro dell’attenzione la persona.

 

Dall’autoreferenzialità alla reciprocità

Il nuovo stile di presenza chiede soprattutto agli Istituti religiosi di superare una sorta di autosufficienza o autoreferenzialità nell’animazione vocazionale, per approdare ad uno stile di comunione e collaborazione con le diverse categorie vocazionali e gli organismi della Chiesa locale. Si tratta di lavorare in rete e in sinergia per incontrare i cammini pastorali delle comunità locali, senza percorsi paralleli.

 

Dal protagonismo “clericale o religioso” alla valorizzazione dei laici

L’avvento di una nuova cultura vocazionale nel territorio chiama in causa ancora il ruolo insostituibile e prezioso dei laici; l’animazione vocazionale non può essere più “monopolio” di pochi, ma deve essere finalmente restituita a tutti i battezzati, perché nessun giovane sia privato di ciò che deve sapere per rispondere alla propria vocazione.

 

 

Scendere in campo insieme. Come?

“Sinergia” è la parola chiave che in tutti i gruppi è stata indicata come “stile di azione” per scendere in campo insieme, superando gli “interessi personali” a favore esclusivo della crescita del Regno di Dio. La comunione dà il coraggio di uscire dal convento, dalla sacrestia per evangelizzare “la strada” e andare incontro a chi non partecipa alla vita ecclesiale. Alcune strategie indicate:

 

Sinergia nella formazione

Formare le comunità di vita consacrata e i seminaristi ad uno stile di conoscenza e di stima reciproca. Proporre una comune formazione pastorale nel territorio.

 

Sinergia tra Istituti di vita consacrata

Elaborare percorsi comuni di animazione vocazionale tra gli Istituti presenti nel territorio, senza paura di non “reclamizzare” il proprio carisma. Favorirne la conoscenza e la stima reciproca.

 

Sinergia tra Istituti di vita consacrata e altre vocazioni

Coltivare la “logica della staffetta”: valorizzare i carismi e ministeri presenti nel mondo laicale che gravita attorno ai nostri Istituti.

 

Sinergia tra vita consacrata e organismi di partecipazione (CDV-CRV)

Elaborare all’interno del Centro Diocesano Vocazioni un progetto comune di pastorale vocazionale da attuare con la partecipazione attiva di tutti i carismi e ministeri presenti nel territorio. Riconoscere il Centro Diocesano Vocazioni come “luogo” dove costruire un pensiero comune dal quale nasce la collaborazione. Da parte degli Istituti si richiede di partecipare concretamente ad iniziative diocesane, regionali, nazionali, inter-congregazionali, offrendo il proprio contributo specifico.

 

Sinergia tra vita consacrata e parrocchia

Moltiplicare le occasioni di comunione, incontro tra Istituti di vita consacrata e clero locale. Ai parroci si chiede di riconoscere e valorizzare i carismi dei consacrati presenti nella parrocchia, superando la visione funzionale della vita consacrata.

 

Sinergia tra CDV e altri uffici diocesani

Far convergere i progetti dei diversi uffici presenti nel territorio (Servizio di Pastorale Giovanile, Ufficio Famiglia, Ufficio Catechistico, ecc.) nella realizzazione di progetti comuni che permettano di raggiungere effettivamente il mondo dei giovani.

 

 

Il “gusto” della comunione

Siamo consapevoli che, nel sintetizzare i lavori di gruppo, inevitabilmente è andata perduta parte della ricchezza che lo scambio di esperienze produce. Auspichiamo però che la condivisione in gruppo abbia suscitato in ciascuno il desiderio, la decisione di continuare la riflessione e la collaborazione nella propria regione. Avremo così raggiunto un ulteriore ed importante obiettivo che ci eravamo prefisse nel pensare questo Forum: suscitare il gusto, la passione della comunione, scoprendone tutta la ricchezza spirituale ed esperienziale. Solo a partire da tale passione per la comunione si potrà avviare o intensificare in ogni regione e diocesi un “percorso” di autentica collaborazione ecclesiale tra tutte le categorie vocazionali presenti, superando le inevitabili difficoltà o lentezze.