N.02
Marzo/Aprile 2005

Fate questo in memoria di me

Care Sorelle, Cari Confratelli, Cari giovani, gli schemi, i canti, le riflessioni predisposte accuratamente per gli incontri spirituali di questi giorni, sono talmente abbondanti da costituire un investimento da utilizzare anche dopo il Convegno. Dobbiamo essere grati a chi ha generosamente lavorato per prepararli. In verità, io continuo a ritenere che nelle adorazioni che in questo anno dell’Eucaristia si vanno moltiplicando, non dovrebbe essere dimenticato il “metodo semplice”, se vogliamo chiamarlo così, messo in luce, tra l’altro, dal santo Curato d’Ars. Quando chiese al vecchietto che stava in chiesa per lungo tempo: “Che cosa dici al Signore”? Si sentì rispondere: “Nulla! Io guardo Lui, Lui guarda me”. Dove c’è il migliore condensato della spiritualità eucaristica.

Guardare e parlare. Voglio anche ricordare che quando in occasione delle Quarantore un prete parlava, un velo o una cortina veniva posta davanti al Santissimo esposto, come a riconoscere che diversa è la parola degli uomini dalla Parola di Dio che solo Gesù è in grado di comunicare. Pochi dunque, e deboli, sono gli spunti che mi permetto di offrire in questo privilegiato momento di contemplazione.

1. Le vocazioni consacrate scarseggiano. Ne siamo tutti consapevoli. Non sarà anche perché la comunità come tale è latente? La forza e la gioia di questa esperienza forte che viviamo, non è legata anche alla pluralità che si esprime nella presenza un po’ di tutte le componenti di una autentica comunità? Non è sempre questo il clima delle nostre comunità. I Movimenti, i Gruppi ecclesiali lavorano certamente, ma di solito “tirano” per loro conto. Parimenti si può dire altrettanto degli Istituti religiosi: bravi sì ma senza confronto con la comunità. Così questa resta estranea invece di essere sollecitata e i candidati rischiano di essere slegati da quei rapporti che sono alla base della vita cristiana. Guai a voler pianificare tutto. Rispettiamo la fantasia e la creatività delle diverse realtà, ma l’occhio, e più ancora il cuore, deve essere attento e aperto agli altri. A tutti.

2. II Convegno ha centrato i suoi obiettivi su quattro parole che non dobbiamo dimenticare in questo colloquio con il Signore della messe: vocazioni consacrate, dinamismo da recuperare, Eucaristia come luogo privilegiato per svilupparlo, domenica come occasione da meglio valorizzare. Tutto questo può sviluppare un discorso decisamente impegnato, ma non  deve ignorare l’attenzione alle semplici realtà dove si realizza una vocazione. Sarebbe interessante e commovente seguire le piste che ciascuno di noi ha seguito. Mi ha colpito profondamente la lucidità e la semplicità con cui Giovanni Paolo II ha riassunto la sua vita di prete, a cominciare dalla sua prima messa il 2 novembre 1946 nella cripta della Cattedrale di Cracovia. Tutta la sua vita, egli confessa, è stata fedele a quel cammino che cominciava allora.

Io non sono il Papa, ma se dovessi tracciare un itinerario della mia vita dovrei percorrere i registri delle Messe da quel 22 maggio 1948. Non ho altre “memorie” da offrire, ma solo il patrimonio di 23.804 celebrazioni eucaristiche fino od oggi. Quando dico queste cose ai ragazzi che si informano di ciò che un prete o un vescovo fa, nulla di meglio che presentare umilmente questa fedeltà. Il dinamismo della vita sacerdotale, e perciò della vocazione consacrata, viene da lì. Ci sono liturgisti che sottolineano la necessità di coinvolgere il popolo di Dio, fino a saltare la celebrazione se mancano assistenti. È logico che si debba fare di tutto perché la Messa sia comunitaria, almeno in embrione.

Mi ricordo però di Fratel Carlo di Gesù che viveva solo in mezzo al deserto e a quanti lo provocavano su questo punto, molto risentito rispondeva che erano loro a non vedere gli “attori” nascosti: tutta la gente credente o meno su cui si riversa la grazia. Senza dire che Gesù si è immolato per la gloria di Dio, prima che per la salvezza degli uomini.

3. San Paolo è il primo, nel Nuovo Testamento, a parlarci dell’Eucaristia. Lo fa partendo dall’esperienza non proprio felice della prima comunità cristiana di Corinto. E sono i fatti ad offrirgli l’opportunità di fissare la dottrina eucaristica. Ne aveva parlato nel capitolo 10 della prima lettera: un solo pane, un solo calice ci mettono in comunione con il corpo e il sangue di Cristo.

Ma basta il rito a rendere santa la Cena del Signore? No! San Paolo è scandalizzato perché l’Eucaristia invece di manifestare la carità, diventa segno e occasione di divisione. Il momento sacro è slegato dalla vita; ciò equivale a non riconoscere il corpo del Signore con la terribile prospettiva di mangiare e bere la propria condanna. Più chiaro di così!

Alcuni decenni più tardi è San Giovanni a parlare del secondo imperativo che ci lascia il Signore: “Fate questo in memoria di me”. Bene, ma quello che i sinottici dicono, va completato con quanto Gesù stabilisce, in quella santa sera, dopo la lavanda dei piedi: “Lavatevi i piedi gli uni gli altri”, “amatevi come io vi ho amato”. Forse è proprio la scarsa attualizzazione di questo secondo imperativo alla base delle difficoltà vocazionali. Ancora una volta emerge la responsabilità della comunità. I motivi “sociologici” per favorire vocazioni consacrate, da noi sono venuti meno. Le “Vocazioni alimentari” sono un ricordo d’altri tempi. Ma cosa è che può spingere un giovane, una ragazza a dire di sì al Signore se non un esempio vissuto di amore? A questa coerenza tra fede e carità, ci porta l’Eucaristia contemplata, celebrata e vissuta.

4. Cosa succederà dopo il Convegno 2005? La cura delle vocazioni riprenderà ad alzarsi anche in Italia? Non lo so. Certo è che questo momento di adorazione ci offre la chiave per capire molte cose. Perché abbiamo pregato? Per invocare dal Signore ciò che lui ha promesso, naturalmente. Ma la contemplazione ci fa entrare più profondamente nel disegno di Dio. Meritiamo noi il suo intervento? Non c’è pericolo che le nostre programmazioni siano viziate dal nostro protagonismo e dalla voglia quasi meccanica di vedere i risultati?

Forse in questo, come in altri campi, la preghiera, dal Signore stesso sollecitata, deve farci entrare nella pazienza di Dio. Non certo come comodo disimpegno, ma come motivo di purificazione e perciò di slancio. Allora ci accorgiamo che il vero dinamismo eucaristico è questo.