N.03
Maggio/Giugno 2006

La guida spirituale e la formazione della coscienza del laico

Devo riconoscere di essere stato presuntuoso ad accettare di svolgere questa relazione: ci sarebbe voluto un moralista di razza. Certo, conosco un poco la complessità del tema, ma al tempo stesso intuisco l’urgenza di cogliere i collegamenti tra teologia morale, teologia spirituale e scienze umane. Inoltre sarebbe opportuna una riflessione sul “luogo” della formazione della coscienza, per valorizzare le possibilità offerte insieme dal sacramento della Riconciliazione, dai colloqui personali e dagli scambi di gruppo: l’esperienza c’insegna che non basta la cosiddetta direzione spirituale per formare la coscienza. Anche qualora essa fosse decisiva, dovrebbe essere inserita in un quadro più completo (penso a luoghi di confronto e di dibattito nella comunità, di discernimento delle situazioni…). Perciò il taglio del mio intervento non potrà che essere pratico, sapienziale. 

Se mi consentite l’espressione un po’ grezza, una sorta di istruzioni per l’uso. 

Sarebbe interessante, però, dare la parola ad un teologo spirituale, provocandolo con questo interrogativo: Formare la coscienza o educare il cuore? Oppure introdurre un dibattito su laicità e laicismo: Chi è il laico cristiano?[1] 

Non ignoriamo quanto denunciava l’allora Card. Ratzinger sul laicismo come nuova ideologia[2]  e sul dialogo difficile con chi pretende di essere l’unico interprete della laicità, essendone invece la contraffazione… . Ma ripartiamo dal titolo, dando la parola al moralista: «L’accostamento dei due termini, formazione e coscienza, non è scontato ai nostri giorni. Mentre, infatti, la coscienza gode al presente un notevole credito, il tema della sua formazione sembra archiviato nel passato… forse che il tema della formazione sia il sotterfugio inventato dai poteri reazionari per tornare a governare la coscienza… Si può dunque parlare di formazione della coscienza o ci si deve limitare, in sintonia con il contesto presente, ad assicurare la libertà della coscienza privata e la tolleranza per il pluralismo delle coscienze?».

Una volta era più facile parlare di questi temi? Non è detto! Lo stesso Card. Biffi tempo fa interpretava con originalità l’argomento rileggendo Le avventure di Pinocchio. Ragionando sul mistero della coscienza morale, ricordava che almeno due idiozie (nel senso letterale del termine, cioè di “luogo comune”) ne rendevano assai complessa la formazione: «Una prima idiozia consiste nell’abitudine di sottrarsi, in ogni occasione e per ogni problema, alla ricerca di ciò che è obiettivamente giusto, con l’appello al giudizio insindacabile della coscienza: “Io seguo la mia coscienza” e così ogni indagine di natura morale è vanificata in partenza. 

Una seconda idiozia è di natura storica: per essa sarebbe assodato che il primato della coscienza… sia mortificato nell’ambito dell’ortodossia cattolica a vantaggio dell’adesione all’autorità»[4]. Il Cardinale, concludeva, commentando con umorismo il dialogo di Pinocchio con il Grillo Parlante (ove il colloquio allude all’universale esperienza umana della coscienza morale): «Si tratta in sostanza se ammettere o no una verità trascendente nel campo della vita morale, alla quale sentirsi vincolati… Il dramma interiore dell’uomo riceve fatalmente l’uno o l’altro di questi due epiloghi: o il rispetto dell’imperativo morale conduce chi all’inizio era ignaro, distratto, persino incredulo, al riconoscimento e all’adorazione di Dio, o la trasgressione ripetuta della legge interiore sospinge a poco a poco alla negazione esistenziale di ogni valore e di ogni volontà superiore… Un requiem per il povero Grillo. La sua fine ci ammonisce su come sia ingannevole e vano appellarsi ogni momento al tribunale della coscienza, laddove la coscienza non sia quotidianamente sostenuta dalla presenza viva e ricercata del Padre (vedi invece la tutela sentita come soffocante di Geppetto)» [5]

Procedo per domande, secondo il genere delle: 

 

Istruzioni per l’uso 

– Chi mi cerca come guida? Chi mi trovo davanti?

Certo un laico, una laica. Ma un professionista, un universitario, una casalinga a tempo pieno, un catechista, un laico consacrato, una caposala, un pensionato, la segretaria del capo…? Ciascuno ha una situazione di coscienza, responsabilità, doni, risorse da riconoscere, problemi da sottoporre, ferite e limiti da assumere… Ciascuna situazione richiede una vicinanza e un accompagnamento ispirati certo a rigore e a fantasia, ma da contestualizzare anzitutto nella realtà vissuta dalla persona. Si tratta di interpretare la tappa del cammino di fede vissuto dal singolo, l’età della sua vita spirituale. La stessa parola “guida”, che indica il tipo di accompagnamento, va assunta con delicatezza: vale in modo diverso, e con diverse sfumature, a seconda del tipo di laico che interpella. È prioritario sempre ascoltare, e ascoltare sino in fondo la Presenza che nel cuore dell’uomo guida con il suo magistero interiore. Dunque questo ascolto è prezioso per la guida, soprattutto se chi conduce il colloquio è un presbitero. Egli deve ancora imparare molto ascoltando i laici. Ne riceve aiuto per la sua formazione, arricchendosi della sensibilità laicale, purificandosi da eventuali clericalismi, dialogando con ministeri e carismi con i quali si edifica la comunità cristiana e la società. (Rimando alle preziose indicazioni suggerite, non solo ai presbiteri, nella Evangelii Nuntiandi, al n. 46. La stessa Presbyterorum Ordinis, al n. 6, ribadisce con forza che, nell’educare, la priorità va accordata sempre alla persona, non alle iniziative od ai programmi). 

 

– Quale punto di partenza? Mettersi in sintonia con la coscienza dell’interlocutore 

In genere si è preoccupati di dare orientamenti, consigli, direttive, anche perché ciò che spinge in modo prioritario il laico a chiedere un aiuto è una situazione problematica o una fase complessa della propria vita. Invece la guida andrebbe cercata – paradossalmente – quando il cammino si presenta tranquillo e la vita ordinaria è animata dal Vangelo, senza interferenze di tensioni o problemi. Di fatto poi questo capita con minor frequenza. 

Un aspetto da chiarire: Cos’è la coscienza? 

Il Card. Tettamanzi, richiamandosi alla Gaudium et Spes (n. 16), ricorda la dignità ed il mistero della coscienza descrivendola così: «La coscienza è il “luogo umano” nel quale l’uomo discerne il disegno di Dio, quale chiamata personalissima, che gli è rivolta, e decide di offrire al Signore la sua altrettanto personalissima risposta. In altri termini, la coscienza è il “luogo” in cui si incontrano l’appello di Dio e la personale risposta dell’uomo»[6]. Ovviamente le scienze umane che si sono interrogate su questo singolare fenomeno umano hanno dato anche altre risposte, frantumandosi in innumerevoli opinioni. «Se dovessimo interrogare l’uomo contemporaneo come fece Dio con il primo uomo, (chiedendogli: “Adamo, dove sei?”[7]) otterremmo più di una risposta: nel patrimonio cromosomico direbbe Mendel, nel profondo della psiche, suggerirebbe Freud; nella società, preferirebbe Durkeim; nella classe sociale di appartenenza, preciserebbe Marx, nella volontà di potenza, tuonerebbe Nietzsche. L’uomo contemporaneo si presenta come decostruito in una varietà di aspetti che dicono di lui qualcosa, ma in nessun caso la verità. Le molteplici ipotesi proposte finiscono per ingenerare il problema del conflitto delle interpretazioni. Dopo Dio, anche l’uomo sembra morto»[8]. Un accompagnamento inizia con il rilevare lo stato di salute della coscienza, la sua capacità di operare secondo criteri sani, il riconoscimento di eventuali ferite del passato, la cura e l’educazione effettiva, il rapporto reale che essa ha con la Verità, la distinzione tra coscienza reale e coscienza psicologica[9] . 

 

– Quale punto di arrivo nella formazione? Una santità laicale “eloquente”[10] 

Così parla il prof. Garelli, nella relazione base che ha introdotto il Convegno di Palermo: «Oggi si avverte in particolare la necessità di un modello di spiritualità adatto alle attuali condizioni di esistenza, che permetta a chi vive nel mondo di fare unità nella sua vita attorno al principio ispiratore della fede. Si tratta di pensare e potenziare una spiritualità per i laici. Come vivere la radicalità del Vangelo nelle normali condizioni dell’esistenza… senza che il laico debba o abdicare al suo radicamento nelle realtà terrene o adattare il Vangelo alla sapienza del mondo»[11]. Grazie a Dio esistono esperienze, figure, maestri, itinerari alla santità laicale. La guida li conosce, li apprezza, e sa tuttavia che formare una coscienza cristiana significa comunque ripartire dal primato di Dio. Lo Spirito di Cristo suscita nei laici stili di vita, scelte, carismi radicali nuovi, cioè una spiritualità di alto profilo, qualificata dalla perfezione della carità. Al riguardo mi piace il giudizio con il quale S. Francesco qualifica la maturità della coscienza ed il punto di arrivo del cammino dei discepoli del Signore: «Ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione»[12]

La volontà del Signore è che ogni suo figlio sia investito dalla sua santità, trasfigurato dalle operazioni del suo Spirito e così reso idoneo alle responsabilità che gli vengono affidate nel suo disegno. (Vedi NMI, n. 31 citato anche da Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, nn. 8 e 9). 

 

– Quali sono le costanti nella formazione della coscienza cristiana? 

Quando si accompagna nell’esperienza spirituale, anzitutto si educa a coltivare la fede, ciò che è comune a partire dal Battesimo. Nel mistero della comunione ciò che unisce è più importante dell’originalità che distingue le diverse vocazioni. Le sfide della storia, con le loro urgenze, riguardano tutti, laici, e consacrati. Esistono delle coordinate costanti nell’educare alla fede: la guida spirituale le conosce, le valuta, in un sapiente monitoraggio e di continuo le rivisita. Essa usa tutte le attenzioni affinate nel suo lavoro: le propone al credente che si affida al suo accompagnamento e lo educa a coltivarle. Ne ricordo solo le principali: 

– Individuare la ragione della domanda di accompagnamento e le sue motivazioni. 

– Cercare di capire quale capacità il soggetto abbia di leggere la propria storia, il proprio cammino nell’esercizio della memoria. 

– Accertare la misura della conoscenza di sé, tracciando una mappa ideale che evidenzi ombre e luci, nonché la qualità delle sue relazioni. 

– Scoprire a quale servizio si è chiamati, tracciandone l’itinerario. Quale testimonianza è richiesta dalla vocazione. Come si possa vivere il tutto… 

– Mettere a fuoco l’immagine di Dio dominante nella propria esperienza. 

– Individuare le risorse spirituali di cui si dispone abitualmente (in particolare Eucaristia e lectio divina). Rivedere insieme i modi con i quali si prega e con quale consapevolezza si utilizzano gli strumenti classici della tradizione spirituale (ad es.: esame della coscienza). 

– Quale conoscenza si ha dei cammini penitenziali. 

– Con quali altri confronti autorevoli ci si verifica. 

– Condividere una regola di vita: strategia e tattica. 

– Mettere a fuoco alcuni snodi strategici dell’esperienza spirituale (vedi più avanti). 

 

– Quali virtù privilegiare nella formazione? È possibile educare alla virtù? 

Oggi si parla molto di un ritorno delle virtù. La guida deve anzitutto preoccuparsi di aiutare il laico nella stima e coltivazione di quelle virtù che per un verso favoriscono in lui la recettività nei confronti dell’agire di Dio nella storia (ad es. la passione per la verità), per un altro lo sostengono nell’esercizio delle sue responsabilità (ad es. la virtù della fortezza). Se se ne parla molto è perché se ne avverte l’urgenza in ogni ambito della formazione. 

Lo stesso Dossetti lo richiamava in termini di sapienza della prassi, rispetto a tutti i grandi problemi della vita e della storia: «Essa non sta tanto in un enuclearsi progressivo di una cultura omogenea alla fede (anche, ma non primariamente e non principalmente), ma sta soprattutto nell’acquisizione di abiti virtuosi: che occorrono tutti non solo per agire, ma anche e prima per pensare correttamente ed esaustivamente i giudizi e le azioni conseguenti, che possono essere esigiti dai problemi della vicenda individuale, familiare, sociale, politica, internazionale che l’oggi presenta alla coscienza di ciascuno e della comunità cristiana»[13]. Anche di questo deve farsi carico la guida! Del resto già nel Convegno di Palermo (1996), al n. 33, si tracciava il profilo del politico cristiano, in termini oggi purtroppo dimenticati. 

Sull’importanza della virtù del coraggio a più livelli, anche C. Magris scriveva, sul Corriere della sera: «Oggi si sente la necessità di scelte operate secondo coscienza, di persone capaci, nelle più svariate circostanze, piccole o grandi, di dire “no”. Questo monosillabo è una delle più belle, forti e poetiche parole del vocabolario: è con un “no”, con una contestazione dell’esistente, con il rifiuto della realtà del momento – la quale pretende sempre di essere l’unica possibile e la migliore – che inizia ogni valore» (8.4.1990)[14]

 

– Educare alla professione o al cammino spirituale?

Per quel che vedo, è un aspetto delicato nella formazione della coscienza. I grandi educatori, antichi e moderni, hanno superato progressivamente visioni riduttive sul modo di vivere la professione dentro il cammino secondo lo Spirito. 

Moioli trent’anni fa scriveva: «In passato vi era il rischio di dualismo: si accostavano la professione e la vita spirituale come due dimensioni solo affiancate e collegate attraverso la cosiddetta retta intenzione o la mediazione del dovere. Francesco di Sales aiuta a capire che, mediante la professione o lo stato di vita, si compie il cammino spirituale. Nella sua posizione il rischio è quello di ridurre la spiritualità alla professione esattamente compiuta, magari deducendo dalla professione le leggi e la configurazione del cammino spirituale. Ora l’uomo spirituale, il laico, non si può ricondurre soltanto in termini di professione, né la professione può essere assolutizzata, per dedurre le linee fondamentali del cristiano»[15] . 

Non si può dunque educare genericamente alla professione, perché essa in concreto si configura diversamente secondo i diversi contesti. Si deve allora parlare di figure concrete di professioni. «Occorre quindi lasciare il discorso non in termini soltanto generali, ma che la persona dalla sua professione si senta concretamente configurata, si senta interpellata, ne discerna i valori, i limiti, le possibilità, le negatività: operi cioè un discernimento spirituale…È per questa via che si realizza l’itinerario spirituale in una figura concreta di professione… affinché l’uomo spirituale non venga ridotto a quello professionale, ma nell’uomo professionale si esprima l’uomo spirituale»[16]

Al riguardo raccomando di riandare alla scuola dei grandi maestri del passato e di quanti hanno educato laici: da Francesco di Sales ad Ambrogio di Optina, da Escrivà a Lazzati, da Madeleine Delbrel a Elena da Persico, e, naturalmente, La Pira. Sono padri e madri nella fede, che hanno aiutato migliaia di laici a scoprire il segreto per osare, per rischiare l’azione nel mondo. Pensiamo a Lazzati, che, al di là delle molte cose che ha fatto nella vita, rimane un “maestro di laicità” (B. Forte), un grande educatore. Andrebbe approfondita la sua spiritualità del cristiano comune, spiritualità dell’incarnazione (come fermento nella pasta), dell’impegno (attribuzione, nonché assunzione, di responsabilità per l’edificazione della città dell’uomo), del dialogo (con tutti gli uomini e con i “segni dei tempi”, perché, se lo Spirito soffia dove vuole, è possibile imparare da ogni evento e da ogni persona)[17]. 

 

– Quale priorità nella formazione? La priorità nell’educare a pregare. 

Nella formazione della coscienza la priorità va accordata sempre alla preghiera, per ritrovare il primato di Dio. Penso alla Liturgia, alla lectio divina, all’esame della coscienza. Nel laico è più facile la tentazione di ridurre la preghiera all’impegno, sia perché percepisce più acutamente il senso della inutilità ed astrattezza della preghiera, sia perché per molti versi è meno garantito dal quotidiano. Nel quotidiano, si fa fatica sia a credere che a pregare! È già molto se si trovano i tempi per pensare, ma sappiamo che questa lodevole ed urgente esperienza non è ancora la preghiera. Eppure il laico avverte di poter perseverare nella carità, di vivere bene la professione, di assumere il quotidiano nello Spirito solo ritornando con ostinazione ogni giorno alla sorgente. Ed è importante, a volte, nel colloquio, semplicemente suggerire degli esercizi, rivisitando testi significativi della propria storia. In momenti difficili o complessi della ricerca spirituale, inoltre, è opportuno proporre brani o icone bibliche per ravvivare e consolidare la fede. E poi… confrontarsi. 

Ricordo inoltre che la preghiera aiuta a bonificare l’agire e facilita il superamento della cosiddetta eresia dell’azione, favorendo la contemplazione diffusa nel quotidiano. 

Insisto, inoltre, sull’urgenza di insegnare l’esame della coscienza. Materia che nutre i colloqui, talvolta ripetitivi o esangui, è fornita dall’esame di coscienza, che merita un posto di rilievo[18]. Si tratta di una pratica di grande tradizione, oggi caduta in disuso. Tuttavia, per chi voglia progredire nella fede, rimane un esercizio di molto fruttuoso, in cui noi gustiamo la presenza di Dio che ci visita quotidianamente. Ne conosciamo il metodo: 

– Ringrazio perché colgo il bene che Dio mi ha consentito di fare, i suoi passaggi reali, la positività di una vita vissuta insieme

– Chiedo perdono per le resistenze al suo amore, per la smemoratezza di cui vivo, per la mediocrità del mio quotidiano. Colgo questi atteggiamenti in scelte concrete, puntuali e in atteggiamenti di vita feriale. Cerco di snidare le perduranti tentazioni e di capire come contrastarle con efficacia, chiedendo l’aiuto al Signore. 

– Leggo il domani, il futuro, chiedendo al Signore di viverlo con lui e come lui vuole. Domando che, vivendo insieme la prossima giornata, mi ispiri atteggiamenti giusti, scelte coraggiose e sapienti. Come dicevo sopra, nell’esperienza spirituale esistono degli snodi delicati: sono aspetti della fede, generati dallo Spirito, compresenti anche quando sembrano escludersi. Ne parleranno gli altri relatori. Li elenco come in un sommario, precisando che, soprattutto nella preghiera, se ne apprezzano la bellezza e la delicatezza, oltre al fatto che s’impara sempre più a coltivarli. Attenzione dunque a questi snodi

– Consacrazione esecolarità 

– Azione/contemplazione (senza dimenticare… la passione) in altri termini, l’ascolto/servizio. 

– Cura di sé (attenzione a quel frammento di creazione che si è) e dedizione incondizionata. 

– Immersione e fuga

– Xeniteia e sym-pàtheia.

 

– Quando spunta una vocazione nella vocazione

Sovente una guida si trova ad aiutare un laico nell’interpretare il sorgere di un desiderio nuovo di consacrarsi in un servizio nella Chiesa, a causa di un’appartenenza al Signore, che sembra invitare a scelte ancora più radicali. Penso a quanti si sono orientati all’Ordo Virginum, al diaconato permanente, o ad una consacrazione laicale. È una nuova vocazione? Vocazione a che cosa? Non va dimenticato che la coscienza morale prende forma per opera dello Spirito Santo. Egli certo abilita alla distinzione tra il bene e il male. Non solo: più precisamente educa il laico non a un fare, ma ad  un lasciarsi fare da Dio, il cui Spirito in molti modi e luoghi (Scrittura, sacramenti, relazioni, testimonianza…) pervade come linfa ogni esperienza e ricerca. Lo Spirito, effuso dal fianco aperto, provoca e sostiene il dialogo tra il Signore e la coscienza, dalla prima percezione di lui sino alla responsabilità matura del credente, che sigla il dialogo d’amore con il Signore nella scelta della definitività. La guida sostiene, in sintonia con lo Spirito, questo lungo percorso (Io sono tuo, solo tuo, per sempre, assumo l’opera che tu mi affidi per compiere “ciò che manca alla tua Passione”; cfr.Col 1,24). 

Al riguardo, la ricca storia del discernimento, se non ci ha consegnato né trucchi né tecniche deliberative, tuttavia ci conforta nel ritenere, oltre la pretesa della visibilità, che la nostra vocazione è riconoscibile, identificabile. Sono stati tracciati itinerari fruttuosi, nei quali si apprende l’arte di cercare se stessi nella Parola. Se Dio ci ritiene responsabili della nostra vita, è perché non intende mantenersi nell’ambiguità. Allora la guida deve insegnare a rimanere in ascolto sotto la guida dello Spirito e, sempre dentro quest’ascolto, interpretare, valutare, reagire, decidere ogni giorno, per sempre. 

 

Tappe schematiche del discernimento di una  vocazione laicale 

Come atteggiamento di fondo evito gli schematismi psichici del tipo: “Mi piace, lo posso fare, lo voglio fare”, oppure gli slogans: “Voglio amare di più”, o i generici inviti: “Per te l’uno vale l’altro, purché tu viva nell’amore”. 

Mantenendomi rigorosamente in un’ottica di fede, cerco di scoprire il mio modo concreto di vivere la biografia di Gesù nella mia biografia personale, per diventare oggi memoria vivente di questa Persona. Credo che egli lavori nel cammino dell’uomo, sempre in ricerca di se stesso, in tensione “verso”, per diventare sempre più ciò che lui è. “Cosa pensa il Signore Gesù di ciò che nella mia vita si agita, di ciò che è decisivo nella mia condizione, nella scelta definitiva del futuro? Come lasciarmi formare dalla sua libertà?”. Non posso seguirlo in un’imitazione materiale, ma solo proporzionale. Lo Spirito ispira e crea una conformità proporzionata a lui. 

1a tappa: comprendo tutte le vocazioni e i progetti come una possibilità cristiana, un valore anche umano. Li apprezzo in profondità, anche quando, secondo l’opinione pubblica, non sono ragionevoli (ad es. le claustrali). Con onestà e disponibilità ripenso i concetti chiave della mia vita alla luce di questa comprensione (felicità, riuscita, bellezza, possibilità di comunicazione…). Anche se alcuni non li sento “per me”, tuttavia so confrontarmi con lucidità con tutti, utilizzando i mezzi ordinari della vita cristiana (Eucaristia, lectio, incontri…). 

2a tappa: prendo in considerazione un’ipotesi a partire dai desideri e da quello che io sono. Potrebbe essere questa ipotesi per me? È realistica secondo il realismo della fede? Si tratta di una comparazione faticosa, oscillante, lenta. In questa stagione è fondamentale la cosiddetta “indifferenza” (bilancia). Le ispirazioni non sono il luogo normale della lettura, ma lo è la direzione della persona; si scopre che l’esistenza stessa della persona va in una certa direzione, globalmente, nel suo insieme. Nella propria vita, con la guida, si legge una sintonia, un’armonia, una complicità tra ciò che si è globalmente e questa possibilità avvertita “per me”. Colgo una convergenza tra valore possibile e vita. Siamo fatti l’uno per l’altro. Dunque tra persona e valore c’è una proporzione, una sintonia. Non è un giudizio estetico (“mi piace”), né razionale (“lo capisco”), né emotivo (“mi gasa!”). Esistono partenze che poi si rivelano ambigue o false. Iniziare dalle doti e dai talenti, certo, è importante, ma in noi ci sono qualità per vivere bene una pluralità di vocazioni. La conoscenza delle risorse personali conta, ma non è risolutiva. Vanno evitati il volontarismo (“decido di farlo anche se non ho le ragioni per farlo”), il perfezionismo (“voglio scegliere il più perfetto, non ciò che posso essere”) e la generosità generica (slancio appassionato ma vuoto, senza direzione). Durante questo periodo, occorre essere continuamente docili allo Spirito e rimanere sempre in una logica evangelica, mentre si lotta con la paura del futuro, con il senso d’indegnità e si è senza assicurazioni sul domani e senza doni straordinari (“basta la sua grazia; deve bastarmi!”). La guida, presenza ecclesiale, non si sostituisce alla coscienza né le si contrappone, ma ne amplifica la voce. Certo, ci si chiede come si possa decidere senza una sufficiente conoscenza di sé, senza il perseverare nel lungo tempo della ricerca, senza itinerari cristiani specifici, senza cura delle motivazioni, senza libertà da logiche pubblicitarie che fanno leva sull’estetico o sull’efficiente. 

3a tappa: inizio a vivere la decisione presa, collaudando la scelta con onestà, fedeltà, coerenza, orientando e decidendo ogni esperienza secondo questa sapiente pedagogia, che deve essere atto di tutto l’uomo, anche del suo cuore. Amare ciò che si è scelto, evitando motivazioni sbagliate e tortuose, pericolose dissociazioni, ripetizioni banali e abitudinarie. 

 

– Come riconoscere l’azione di Dio nella storia?

L’accompagnamento va situato nell’oggi, dentro i discernimenti epocali. Dio ci parla nella storia, perché la vuole costruire con noi, ma la capacità di interpretarla dipende dalla formazione della coscienza. La guida, mentre favorisce la formazione ad una responsabilità personale, educa (e si educa) ad ascoltare la Chiesa, riconoscendone la preziosità e fecondità degli interventi a più livelli ed insieme apprezzandone l’autorevolezza. Tra l’altro la Chiesa italiana, in vista del Convegno di Verona, indica in questa stagione ai laici gli ambiti da affrontare: «le aree dell’esperienza personale e sociale, la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, l’esercizio di trasmettere i valori e la cultura, nell’educare, anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, l’appartenenza civile e sociale nella cittadinanza»[19]  . Sono temi che devono entrare nell’accompagnamento, nel colloquio. La guida accoglie con attenta intelligenza i discernimenti ecclesiali. Inoltre, poiché vuole educare all’oggi, chiede (e si chiede) un ascolto continuo di quanti fanno diagnosi serie sul modificarsi dei costumi, sulle sollecitudini della cultura diffusa, sul consolidarsi di orientamenti e di opinioni. Alludo a ricerche importanti di centri studi e di agenzie che prevedono scenari per il futuro, l’immaginario collettivo della grandi masse, il mercato della cultura. Piuttosto significative al riguardo le analisi circa il tessuto cristiano vistosamente deperito o i cambiamenti di sensibilità delle generazioni. Alcuni esempi: Nel 1976, al Convegno Ecclesiale di Roma, il prof. Lazzati denunciava i ritardi della cultura di ispirazione cristiana, suggerendone quattro cause: 

– una concezione legalistica della vita cristiana, 

– la storica separazione tra la teologia e le scienze cosiddette profane; 

– il difetto del senso-valore della laicità cristiana; 

– l’emotiva paura del nuovo. 

Sarebbe interessante chiedersi, a trent’anni di distanza, quali passi si siano compiuti per superare la situazione e quali di questi avvertimenti del professore permangano in tutta la loro urgenza. Non si può dunque immaginare una formazione del laico oggi senza misurarsi con queste coordinate. Anche in occasione dei numerosi sinodi, meeting o GMG per i giovani, si aprono alla guida spirituale nuove prospettive[20] , donde la faticosa ma necessaria familiarità, non con i gossip dei giornali, ma con il racconto del quotidiano dentro il quale si sta e si lavora come formatori. Non possiamo più imporre standard di valori e di comportamento, chiedere decisioni, progetti, scelte, come se gli scenari fossero quelli degli anni Ottanta! Ricordo in proposito un recente intervento del vescovo Monari, nell’ambito degli “Incontri culturali sacerdotali” (svoltisi al Castello di Urio, dal 22 al 23 febbraio) sul tema: “La formazione di una fede adulta”. Il Presule si interroga su come aiutare i fedeli laici a fare cultura nella società odierna: «La cultura deve avere queste caratteristiche: nascere da un’accettazione cordiale del mondo e della vita, partire dalla gratitudine per il dono che viene da Dio Creatore e Padre, mettere al centro dell’uomo l’amore, la capacità dell’uomo di trasformare tutto ciò che tocca in amore. Ogni scelta dell’uomo, anche il lavoro, può essere guidato dall’amore, tranne l’azione falsa e disonesta…»[21]. Infine, sempre come esempio, si potrebbe richiamare la recente inchiesta, sviluppata dai Vescovi italiani con la Fondazione Agnelli, sui futuri scenari della pastorale in Italia e le condizioni di vita dei presbiteri[22]. L’esperienza suggerisce che senza un continuo esercizio dell’intelligenza, un confronto assiduo con i competenti, una personale capacità di giudizio sulle situazioni, una passione per la verità è arduo non rimanere vittime di comportamenti di massa, di ideologie egemoni, di scelte convenzionali. Il che è proprio l’opposto di una formazione della coscienza alla libertà possibile.

 

– Verso una nuova resistenza? 

Occorre sempre di più resistere se si vuole esistere, non sopravvivere o adeguarsi. Urge una pedagogia della resistenza[23]. Oggi il laico che voglia essere cristiano e vivere un’azione responsabile deve predisporre una spiritualità di resistenza. «Ci vuole la fede: Dio ce la doni ogni giorno. Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra, malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra». (Bonhoeffer alla fidanzata Maria, 12 agosto 1943). Non penso a manuali o spiritualità della “sopravvivenza”: piuttosto constato che la fede, vissuta radicalmente nelle circostanze della storia, nella temperie del quotidiano, genera un cristiano che, proprio a causa di essa e per amore della compagnia degli uomini, vive da “straniero”. «Bisogna che mi renda conto della posizione e della funzione che ormai mi sono proprie, mi caratterizzano, mi rendono responsabile inesorabilmente davanti a Dio, alla Chiesa, all’umanità. La posizione è unica. Vale a dire che mi costituisce in un’estrema solitudine. Anzi: io devo accentuare questa solitudine: non devo avere paura, non devo cercare appoggio esteriore, che mi esoneri dal mio dovere, che è quello di volere, di decidere, di assumere ogni responsabilità di guidare gli altri. Le confidenze consolatrici non possono essere che scarse e discrete: il profondo dello spirito resta per me. Io e Dio»[24]. In questo contesto vanno situate anche le inevitabili sofferenze che accompagnano le diverse stagioni dell’esistenza del laico. Il vivere le beatitudini espone al soffrire a causa di Dio, che talvolta ci precede là dove noi non vorremmo vederlo. Scegliere Dio si traduce in decisioni sofferte, a rischio, in forme di martirio morale. Occorre formare anche alla sofferenza. Non c’è maturazione della coscienza senza esperienza sacrificale. «Benché possa non piacere, è una legge inevitabile. “Non c’è crescita di coscienza senza dolore”»[25]

 

Dalla “Lettera ai giovani” di Giovanni Paolo II 

Giovanni Paolo II scrive nel 1985 una lunga Lettera ai giovani nell’anno internazionale della gioventù. È una sintesi felice sul nostro tema. Rimando a questo “manifesto” della formazione morale dei giovani. Ne riporto solo uno stralcio. Per il resto si veda Ench. Vat., EDB, n. 9, 1452 – 1531. 

Cari giovani amici! La risposta, che Gesù dà al suo interlocutore del Vangelo, è rivolta a ciascuno e a ciascuna di voi. Cristo v’interroga circa lo stato della vostra consapevolezza morale, e v’interroga, al tempo stesso, circa lo stato delle vostre coscienze. Questa è una domanda chiave per l’uomo: è l’interrogativo fondamentale della vostra giovinezza, valevole per tutto il progetto di vita, che appunto deve formarsi nella giovinezza. Il suo valore è quello più strettamente unito al rapporto che ognuno di voi ha nei confronti del bene e del male morale. Il valore di questo progetto dipende in modo essenziale dall’autenticità e dalla rettitudine della vostra coscienza. Dipende anche dalla sua sensibilità… 

La storia, infatti, viene scritta non solo dagli avvenimenti, che si svolgono in un certo qual senso “dall’esterno”, ma è scritta prima di tutto “dal di dentro”: è la storia delle coscienze umane, delle vittorie o delle sconfitte morali. 

 

Bibliografia utile (oltre ai testi citati in nota)
GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai giovani, 31 marzo 1985.
CARD. J. RATZINGER, Elogio della coscienza, nel 750° anniversario della Università di Siena.

 

Note 

[1] Mi piace segnalare di G. CAMPANINI, Il laico nella Chiesa e nel mondo, nuova edizione aggiornata e ampliata, EDB, seconda edizione, 2004, con ricca nota biliografica.

[2] G. MUCCI, Verso la laicità ad occhi aperti, “La Civiltà Cattolica”, 1/2006, pp. 437- 444.

[3] A. FUMAGALLI, La formazione della coscienza, in “Camminava con loro”, Centro ambrosiano, 2003, p. 67. 

[4] G. BIFFI, Contro Maestro Ciliegia, Jaca Book, 1977, p. 48.

[5] Ibidem, pp. 47-51. 

[6] D. TETTAMANZI, Città di Milano, risveglia la tua coscienza morale!, Discorso alla vigilia di S. Ambrogio del 2002. 

[7] Gen 3,9. 

[8] A. FUMAGALLI, Op. cit., p. 69. 

[9] A. M. RAVAGLIOLI, Coscienza psicologica e coscienza morale, XXXVI “Corso di apostolato ascetico”, Opera Madonnina del Grappa, 1989, pagg. 1 – 32, (5 inserto). 

[10] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 7 e 8. 

[11] F. GARELLI, Nell’epoca del pluralismo, “Il Regno-documenti”, 21/95, pag. 659. 

[12] S. FRANCESCO, Regula bullata X, in FF. 104. 

[13] G. DOSSETTI: Introduzione a L. GHERARDI, Le querce di Monte Sole, Il Mulino, 1986, p. XLI. Molto interessante anche la nota 105!

[14] A. PALINI, Testimoni della coscienza, da Socrate ai nostri giorni, AVE, 2006, pag. 11.

[15] G. MOIOLI, Professionalità ed itinerario spirituale, conversazioni all’UCIIM di Milano, ciclostilato.

[16] Ibidem 

[17] L. CAIMI, I tre segreti di un cristiano comune, in “Dossier Lazzati”, n. 1. 

[18] M. I. RUPNIK, L’esame di coscienza, LIPA, 2004. 

[19] cfr. CEI, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, 15. 

[20] Vedi in proposito: Le dodici proposte per le nuove generazioni sotto il campanile, raccolte da Mons. SIGALINI e presentate dopo il Convegno di Palermo ai Vescovi, in “Avvenire” del 2 aprile 1996.  Andrebbero ricordate pure le conclusioni sulla Generazione bloccata e i paradossi della condizione giovanile ad opera del dipartimento di Sociologia della Cattolica di Milano, in MORABELLOTTI, Una generazione bloccata, “La rivista del clero italiano”, 3/2006, pp. 190-201. L’articolo illustra le caratteristiche della condizione giovanile in Italia: una sintesi che disegna un ritratto della giovinezza e rende molto difficoltoso pensarne il superamento: scolarizzazione di massa senza sbocchi definitivi, un mercato culturale che si rivolge al soddisfacimento dei desideri di tempo libero, un diffuso clima di incertezza sono elementi che possono impedire ad una società di immaginare il proprio futuro”. 

[21] Sintesi in “L’Osservatore Romano”, giovedì 2 marzo, p. 7. 

[22] L. DIOTALLEVI, Il clero diocesano fra vent’anni: tempo di politiche ecclesiastiche, in “La Rivista del clero italiano”, 10/2005, pp. 649- 659. 

[23] R. MANTEGAZZA, Pedagogia della resistenza, Città aperta, 2003.

[24] PAOLO VI: meditazione inedita riportata da A. Caprioli, Omelia di inizio quaresima, Sotto lo sguardo del Padre, 2006. Vedi, sempre di PAOLO VI, soprattutto il testo su La direttiva morale in “Spiritus veritatis”.

[25] P. COLLINS, Il dolore della scoperta di se stessi, cit. da G. Terenghi, Soffrire non fa sempre male, “Tredimensioni”, 3/2006, p. 67.