N.01
Gennaio/Febbraio 2013

“La parola di Dio compia la sua corsa” (2 Ts 3,1)

1962-1965: Celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Un evento da non dimenticare, come ha invitato a fare Papa Benedetto XVI indicendo l’Anno della fede, quale occasione propizia per comprendere che i testi, lasciati in eredità dai padri conciliari, non perdono il loro valore né il loro smalto1.

Iniziamo dunque – con questa rubrica – a sfogliare pagine di Concilio. Come se fosse un diario della nostra famiglia, la Chiesa, che ha scritto con impegno le memorie di un incontro, sconvolgente, con lo Spirito Santo. Lo facciamo con l’animo di figli che non vogliono dimenticare, che si raccolgono nell’intimità, senza i microfoni dei convegni. Lo facciamo come la donna della terra di Canaan: ci bastano le briciole. E sono proprio le briciole del pane buono della vocazione che vogliamo raccogliere dai panieri traboccanti dei testi conciliari2.

La prima pagina non può che essere tratta dal testo che fa da base a tutto l’edificio conciliare, quella promulgata il 18 novembre 1965 (con ben 2344 voti a favore e solo 6 contrari): La costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum3.

  1. Chiesa che ascolta

«Dio nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici per invitarli…» (DV 2). Se così la Dei Verbum tratteggia l’agire di Dio, un Dio che per amore si fa dialogo, si fa invito, allora la comunità non può che farsi ascolto, risposta. E proprio con il richiamo al «religioso ascolto della parola di Dio» si apre il Proemio della Costituzione che fa proprie le parole dell’apostolo Giovanni: «Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,2-3).

Già nella scelta di questo testo dell’apostolo Giovanni i padri conciliari ci fanno intuire che esiste un misterioso e fecondo rapporto tra Rivelazione, Parola di Dio, trasmissione della Rivelazione, Scrittura. Ci presentano la Parola di Dio come l’atto stesso del rivelarsi di Dio a noi, il suo conversare con noi con eventi e parole (DV 2). Da qui la necessità di riconoscerne il primato nella vita credente. Ma cosa significa riconoscere un tale primato? Per chiarirlo ai giovani della sua diocesi, a 20 anni dal Vaticano II, il cardinal Carlo Maria Martini ebbe a dire: «Il primato della Parola è la quintessenza della Rivelazione, è il primato di Dio, del suo rivelarsi, del suo comunicarsi, del suo manifestarsi! […] Se il mondo esiste, se noi esistiamo, se abbiamo uno scopo, una speranza è perché Dio parla e si comunica. La Parola è la persona vivente, non una cosa astratta, formale. È anzitutto il Cristo, piena rivelazione del Padre, e poi è l’intera economia di mediazione che Dio ha suscitato e suscita per trasmettere il suo messaggio, per comunicare agli uomini se stesso ed anche la coscienza della nostra identità, per spingerci ad assumere le responsabilità della nostra vocazione»4.

La spiritualità che scaturisce dall’offrire il primato alla Parola è, dunque, eminentemente “vocazionale”, poiché sgorga dalla consapevolezza che il Padre ha una Parola eterna da dirci e da darci come comunicazione della nostra stessa identità, una Parola viva che si fa incontro:

La Bibbia non solo contiene, ma è la Parola di Dio che risuona nella Chiesa e nella storia, nutre il fedele che l’ascolta in umiltà e obbedienza, lo incoraggia, lo conforta, lo illumina così come lo nutre lo incoraggia, lo consola, lo conforta il Corpo sacramentale di Cristo […] Di qui l’incomparabile dignità della Scrittura che giustamente è paragonata al Corpo di Cristo: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore» (DV 21)5.

A questa Parola non si può rispondere che ascoltando, meglio, ubbidendo:

«A Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; cf Rm 1,5; 2Cor 10,5-6), con la quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente prestandogli “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa» (DV 5).

Una persona libera, nella pienezza d’assenso offerto con larga intelligenza, con compiutezza di volontà, con docilità interiore: così ci appare l’antropologia del credente che nasce dall’ascolto della Parola.

La Costituzione conciliare conduce al cuore della nostra fede, a riconoscerci nel percorso stesso di Abramo, dei patriarchi, di Mosè, dei profeti (DV 3). Un percorso che culmina nell’incontro con il Signore Gesù, Verbo eterno che dimora tra noi e ci spiega i segreti di Dio (DV 4).

 

  1. Chiesa che risponde

I segreti si scambiano tra amici. Il Maestro ci ha chiamato amici: per questo ci ha reso partecipi dei segreti eterni che dimorano nel cuore della Trinità. La comunicazioni di un tale, prezioso, tesoro, rende amici tra loro anche quanti ne sono resi partecipi. Potremmo vedere un traboccare della Parola che, sgorgando dalla Trinità, attraverso i patriarchi e i profeti giunge fino alla Chiesa, agli apostoli che hanno accolto il comando di Cristo, a quanti hanno messo per iscritto il messaggio della salvezza e, di testimonianza in testimonianza, fino ai vescovi e ai fedeli di ogni tempo:

«Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell’uno e dell’altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com’egli è» (DV 7). La Chiesa pellegrina in terra: una Chiesa, cioè, che nel corso della storia non ha mai cessato di tendere verso la pienezza della verità:

«Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cf Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (DV 8).

La Chiesa può rispondere al suo Signore solo se resta pellegrina, come l’antico Israele; solo se resta vergine, come la madre del Signore che ne custodisce silenziosamente i misteri. In una tale povertà il difficile equilibrio tra continuità ed evoluzione diviene possibile e, nel mutare delle situazioni, ogni credente può illuminare la propria vita con la luce della fede, che trova alimento sempre nuovo nel dinamismo della trasmissione della rivelazione. La Tradizione, così intesa, diviene corrente vitale che proviene dallo Spirito Santo in cui ogni battezzato è chiamato ad immergersi quotidianamente.

 

  1. Affidarsi alla Parola per vivere la propria vocazione

I padri conciliari hanno dedicato il Capitolo VI della costituzione alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa esprimendo, con intensità, la certezza che:

«Nella parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale» (DV 21).

Possiamo individuare una serie di consigli rivolti alle diverse vocazioni nella Chiesa, nel rispetto delle responsabilità e dei servizi che competono a ciascuna di esse.

Anzitutto un’attenzione per chi ha ricevuto il carisma e la vocazione a dedicarsi allo studio delle scienze bibliche. Essi devono aiutare la Chiesa «a raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle sacre Scritture, per poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole» (DV 23).

Per questo: «Il santo Concilio incoraggia i figli della Chiesa che coltivano le scienze bibliche, affinché, con energie sempre rinnovate, continuino fino in fondo il lavoro felicemente intrapreso con un ardore totale e secondo il senso della Chiesa» (DV 23).

Ai biblisti si chiede di “continuare fino in fondo” quasi che il Concilio temesse un affievolirsi di slancio, una perdita di quell’ardore iniziale con cui avevano intrapreso il loro lavoro. Si direbbe che la vocazione dello studioso abbia bisogno di un supplemento di perseveranza! Sulla stessa lunghezza d’onda le raccomandazioni ai teologi: «Sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia» (DV 24).

Il n° 25 prosegue poi rivolgendosi principalmente ai sacerdoti che si dedicano al ministero della parola (nella quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato) a trovare in questa stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore. Si tratta di una vocazione che, posta a servizio della Parola, deve nutrirsi di essa, come il profeta che la divora con avidità. Anche i diaconi e i catechisti sono coinvolti in questa risposta di fedeltà che deve conservare «un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato, affinché non diventi un vano predicatore della parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta dentro di sé».

Il pressante invito viene poi rivolto a tutti i fedeli e, tra essi, soprattutto ai religiosi ai quali è chiesto di «apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (DV 25). Liturgia, lettura, studio, soprattutto preghiera sono gli strumenti, o i luoghi, in cui attingere la novità e la freschezza della parola.

L’obiettivo finale, infatti, è ascoltare e rispondere: «Si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini» (DV 25).

 

Conclusione

Il dono grande che la costituzione Dei Verbum è stata per la Chiesa «deve essere posto a verifica dell’attuazione delle indicazioni conciliari – scrive il Papa nell’esortazione post-sinodale Verbum Domini – anche per affrontare le nuove sfide che il tempo presente pone ai credenti in Cristo»6.

Indubbiamente, compulsando i documenti di pastorale vocazionale della nostra Chiesa italiana, così come quelli di tante diocesi non solo italiane, vediamo che l’attenzione alla Parola ha vivificato l’annuncio e la proposta della sequela. Ma una verifica è sempre opportuna anche per vagliare gli itinerari vocazionali che offriamo ai giovani. Nessun animatore tralascia la Parola di Dio, ma possiamo dire compiuto l’auspicio con cui termina la Dei Verbum: «Il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini» (DV 26)? Possiamo dire che ogni consacrato, ogni presbitero sia quotidianamente convinto che l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo, come afferma Girolamo? Auguriamoci che «con la lettura e lo studio dei sacri libri la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata» (2Ts 3,1) anche nelle nostre vite e nelle nostre comunità.