N.06
Novembre/Dicembre 2015

Famiglia, parabola del banchetto trinitario

Il titolo di questo articolo, indirettamente, evoca l’icona di Andrej Rublëv, in cui si coniugano, in unità, il mistero di Dio-Trinità, raffigurato dai tre angeli in simmetria tra loro, e il banchetto ospitale di Abramo, prefigurazione dell’evento pasquale e della sua attualizzazione nell’azione eucaristica. Secondo la tradizione il soggetto raffigurato sulla sinistra è Dio Padre, il soggetto al centro il Figlio, il soggetto a destra lo Spirito Santo. Una circolarità trinitaria che rimanda alla comunità familiare, riflesso vivente di Dio-Trinità-di-Amore e sua dimora nel mondo1. Con lungimiranza, San Giovanni Paolo II ha offerto un deciso orientamento in questa direzione: «Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere come il modello originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso, nel mistero trinitario della sua vita. Il “Noi” divino costituisce il modello eterno del “noi” umano; di quel “noi” formato anzitutto dall’uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina» (LF 6).
E tale è la grandezza della famiglia: una comunità “nel Signore” che riproduce in sé le relazioni stesse di accoglienza/dono/condivisione che sono proprie di Dio-Trinità-di-Amore.

1. Dal mistero di Dio-Trinità-di-Amore alla famiglia-comunione trinitaria di persone
Secondo la teologia trinitaria di Agostino, nell’Assoluto di Dio sussiste una circolarità di amore tra il Padre-l’eterno-Amante, il Figlio-l’eterno-Amato, lo Spirito Santo-l’eterno-Amore comune del Padre e del Figlio2. Un’analogia agapica dove le relazioni tra le persone divine di Dio-Trinità si pongono tra loro come relazioni di eterno scambio comunionale tra il Padre-l’Amante generante, l’Uni/genito-l’Amato generato, lo Spirito Santo-l’Amore generazionale del Padre e del Figlio. In questa chiave ha perfettamente ragione Giovanni Paolo II quando qualifica la famiglia come una communio personarum che attinge il suo riferimento originario esemplare in quel “noi” di amore divino che è al “principio” di tutto.
«La “comunione” delle persone è, in un certo senso, dedotta dal mistero del “Noi trinitari” e quindi anche la “comunione coniugale” viene riferita a tale mistero. La famiglia, che prende inizio dall’amore dell’uomo e della donna, scaturisce radicalmente dal mistero di Dio. Ciò corrisponde all’essenza più intima dell’uomo e della donna, alla loro nativa e autentica dignità di persone» (LF 8).
Il Dio in cui crediamo infatti non è un Io-Solitario, ma una Comunione di Tre-che-sono-Uno. Il monoteismo cristiano si presenta, in questo senso, radicalmente diverso dal monoteismo ebraico o da quello islamico. All’inizio, non c’è la solitudine dell’Uno; all’inizio, c’è la comunione dei Tre. L’unicoDio in cui crediamo non è un Io- Solo, ma un Io-Noi, un Dio-Comunione, dall’eternità e per l’eternità: l’unico Dio sussiste come Padre, Figlio, Spirito Santo in una comunione di amore talmente forte da co-stituire l’unico Dio. Un mistero indubbiamente indicibile, di cui possiamo solo balbettare qualcosa, ma che dice la peculiarità e originalità assolute della nostra fede.
La rivelazione del mistero dell’Uni/Trinità, quale ci è dato di conoscere in Gesù crocifisso, non è una rivelazione astratta o senza incidenza nella percezione di noi stessi; al contrario, «ci indica che il fondo dell’esistenza, il fondo della realtà, la forma di tutto in quanto ne è l’origine, è l’Amore, una comunità interpersonale. C’è chi dice che il fondo dell’essere è la materia; chi lo spirito, chi l’uno: hanno tutti torto! Il fondo dell’essere è la comunione»3.
La coppia e la famiglia rappresentano la manifestazione più perfetta – nella nostra condizione storica – di questa identità divina. La coppia e la famiglia sono icone viventi di Dio-Trinità-di-Amore: scaturiscono da quel mistero, si radicano su quel mistero e ne costituiscono l’espressione in/carnata più alta. Il fondamento ultimo dell’essere della coppia/famiglia va ricercato nel grembo stesso dell’Uni-Trinità di Dio, nell’eterno “sposalizio” che sussiste tra le persone divine. La nuzialità marito-moglie e la stessa fecondità genitoriale sgorgano e si modellano sulla comunione di amore che sussiste ab aeterno tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. «Nella misura in cui il Dio trinitario è una comunità di distinti tra loro, che in quanto distinti si mediano vicendevolmente l’unica natura divina, egli è per l’uomo la raffigurazione archetipica del reciproco riconoscimento dell’altro nel suo rispettivo essere-altro con il fine della mutua donazione di vita. Ancora più chiara diviene tale analogia se si vede la famiglia nel suo tessuto integrale come immagine della Trinità: nella famiglia ogni singolo viene mediato nel e nonostante il suo ruolo specifico mediante le altre persone (e ciò non solo in senso biologico, ma anche in un più ampio senso spirituale): il padre è padre, perché la madre e il figlio lo considerano tale; la madre è la madre, perché il padre e il figlio la “rendono” tale; il figlio è il figlio, perché e nella misura in cui vi sono entrambi i genitori»4.
L’analogia tra Dio-Trinità-di-Amore e la comunità familiare va situata a livello di circolarità di amore in Dio-Trinità e nella coppia/ famiglia; due circolarità di amore, di accoglienza/dono/condivisione, che si corrispondono, mai dimenticando come la differenza tra l’archetipo divino increato e il suo modello creaturale rimanga sempre maggiore rispetto alla somiglianza. La corrispondenza analogica dev’essere posta in ogni caso tra la dinamica intra-soggettiva della comunione trinitaria e la dinamica intra-soggettiva della comunità coniugale. Non sono tanto le singole persone della Trinità, individualmente prese, a venir messe in relazione con le singole persone della comunità coniugale/familiare, e viceversa, quanto ciò in cui con-siste il loro essere nell’Uni/Trinità divina e ciò in cui con-siste l’essere dell’unidualità maschile-femminile indirizzata alla terzietà; un’uni-dualità maschile-femminile che si apre alla vita, trasformandosi in comunione nuziale di persone.
Tutto questo è già vero a livello di creazione, anche se è solo in forza della redenzione che diventa pienamente comprensibile e realizzabile. Il fondamento ultimo dell’identità radicale della coppia/ famiglia va ricercato dunque nel grembo stesso di Dio-Trinità, nell’eterno “sposalizio” che sussiste tra le persone divine. Il sacramento delle nozze porta a pienezza questa imago Trinitatis, rendendo gli sposi partecipi della comunione stessa sussistente in Dio-Trinità, fino a poter affermare che essi acquistano un rapporto nuovo, specifico, che compie e perfeziona l’immagine trinitaria già impressa in loro sul piano naturale, rendendo la famiglia dimora di Dio-Trinità. In forza del sacramento delle nozze, infatti, la famiglia cristiana non è soltanto un’icona esteriore della Trinità, ma la Trinità dimora in essa, in una forma reale e misteriosa, che solo la fede permette di cogliere. Il modello trinitario non rimane esterno alla sua immagine, ma diviene interiormente presente in essa5. Ora, dal momento che la famiglia si offre come dimora della SS. Trinità, essa è chiamata a strutturarsi come comunione nuziale, dove si rivivono le relazioni tipiche sussistenti tra le tre persone divine: relazioni di dono, di accoglienza, di condivisione. Lo Spirito è donato agli sposi proprio perché il loro amore si trasformi in “carità teologale” (FC 13), ed essi siano capaci, insieme ai figli, di edificarsi in rapporto all’esemplarità trinitaria, come suo tempio vivente nella storia.
«Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è una solitudine, ma una famiglia, dal momento che ci sono in Lui la paternità, la filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Quest’amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo. Così, il tema della famiglia non è affatto estraneo all’essenza divina»6.
Ed ecco la famiglia, progetto di comunità a immagine di Dio-Trinità; “progetto”, trattandosi di una condizione oggettiva, fondata sui doni sacramentali, chiamata a diventare soggettiva con l’impegno di tutti i suoi componenti tra il “già” e il “non-ancora” proprio del tempo della Chiesa. «Famiglia, diventa ciò che sei!» (FC 17). L’anima di un simile progetto non può essere che la comunione. Secondo la Familiaris consortio, la “comunione nuziale” costituisce il fondamento e l’anima della comunità. Senza di essa non esiste una reale comunità familiare.
«L’amore tra l’uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata e allargata, l’amore tra i membri della stessa famiglia tra genitori e figli tra fratelli e sorelle, tra parenti e familiari è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la famiglia a una comunione sempre più profonda e intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare» (FC 18).
La comunione richiama la rete di scambi affettivi che costituisce la comunità della famiglia: la comunione coniugale, la comunione genitoriale-filiale, la comunione tra fratelli e sorelle e a cerchi concentrici sempre più ampi verso le famiglie di origine e i parenti; una comunione che trova nell’amore «il principio interiore, la forza permanente e la mèta ultima».
«Come senza l’amore la famiglia non è una comunità di persone, così senza l’amore la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone» (FC 18).
Giovanni Paolo II paragona la comunione che pervade la comunità familiare «a quella che viene a stabilirsi tra la madre e il figlio, da lei prima portato in grembo e poi dato alla luce» (LF 7). L’amore/comunione cui si riferisce la fede non rappresenta, d’altronde, un amore/comunione unicamente naturali. In forza del sacramento delle nozze, l’uomo e la donna sono resi capaci di amarsi come Cristo ama la Chiesa. E tale è il significato del dono dello Spirito invocato sulla comunità coniugale.
«Lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova, d’amore, che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l’invisibile Corpo mistico del Signore Gesù» (FC 19).
Grazie allo Spirito Santo la comunione degli sposi si plasma come comunione teologale e si riversa, in via estensiva, sui figli e sui diversi componenti della famiglia. La famiglia diventa “chiesa domestica” in forza dello Spirito che la pervade soprannaturalmente, dal di dentro, e la rende suo tempio vivo della Trinità nella storia.

2. La fecondità: irradiazione dell’eterna fecondità intratrinitaria
La nuzialità della famiglia è inseparabile dalla sua fecondità; una fecondità da comprendere in senso integrale, e non solo come fertilità. La coppia uomo-donna è manifestazione in atto di un gesto creativo che fa esistere una soggettività unica, una persona, al maschile o al femminile, espressione dell’eterna comunione di amore intratrinitaria. A sua volta, la dualità uomo-donna, da sola, offre un’immagine incompleta di Dio-Trinità; essa richiede una volta costituita di aprirsi alla dimensione del tertium. La reciprocità io-tu dell’uomo e della donna è indirizzata al “noi”. La vocazione dei due a essere “uno” conduce a divenire “tre”. «Volendo i due essere una cosa sola, diventano tre», annotava efficacemente Maurice Blondel7. Non è dunque un eccesso di teologia collegare la genitorialità alla comunione trinitaria e alla sua eterna ineffabile fecondità. Solo nel figlio infatti si compie pienamente la vocazione ad essere-uomo e ad essere-donna, divenendo “una sola carne”. In lui, padre e madre sono uniti in virtù di un nuovo io-relazionale che esiste in sé e per sé, nello stesso tempo in cui compie la loro indissolubile unità e la manifesta. La reciprocità io-tu dell’uomo e della donna è indirizzata al “noi”.
Letta teologicamente, la genitorialità rimanda ad almeno due contenuti fondamentali: affonda le sue origini nell’eterna fecondità di Dio-Trinità di cui è rivelazione, espressione e attuazione storica; si plasma sul modello di quella fecondità di cui recupera la dinamica di accoglienza, dono, condivisione. Sulla base di questa prospettiva trinitaria si può e si deve affermare una reciprocità inseparabile, in ambito umano, tra coniugalità e genitorialità, tra significato unitivo e significato procreativo. In Dio, Unità e Trinità sono indissociabili: non esiste l’una senza l’altra. Dio è comunione di Tre che sono Uno; e solo perché il fondamento dell’essere di Dio è la comunione è possibile l’unità, e viceversa. Non è forse lo stesso per la fecondità genitoriale? Il divenire padri e madri costituisce un atto che manifesta la comunione nell’unità e l’unità nella comunione, in un-tuttounico-continuo. Dal punto di vista della fede, non è accettabile annullare ciò che appartiene al disegno unitario del Creatore e confermato dalla rivelazione dell’Unigenito incarnato e dal dono del suo Spirito alla Chiesa. La realtà del figlio è riflesso vivente dell’amore degli sposi, segno permanente della loro unità, sintesi viva e indissociabile del loro divenire padre e madre, come evoca splendidamente la Familiaris consortio al n. 14.
La conseguenza è chiara: i figli sono, per i genitori e per il mondo, un miracolo di amore trinitario. L’atto umano del generare è un’incarnazione ad extra dell’eterna generazione di amore in Dio-Trinità: un evento talmente mirabile, talmente straordinario da confinare con il sacro.

«La paternità e la maternità costituiscono una “novità” e una ricchezza tanto sublime da non potercisi accostare che in ginocchio» (LF 7).

Il concepimento di un figlio non rappresenta infatti un accadimento che rientra solo nella facoltà degli sposi: il figlio giunge ai genitori come un dono di Dio-Trinità e a Lui rimanda, allo stesso modo in cui l’amore dei coniugi sgorga da Dio-Trinità e a Lui orienta. I figli sono un evento trinitario nel grembo della storia. I genitori non “fanno i figli”, come si usa dire; li ricevono dal Creatore come un dono di valore infinito, di portata unica e indistruttibile. I genitori sono «cooperatori con Dio in ordine al dono della vita ad una nuova persona», “collaboratori” e “interpreti del suo amore”, ma i figli sono anzitutto figli di Dio (GS 50). Afferma sinteticamente il Catechismo della Chiesa Cattolica:

«I genitori devono considerare i loro figli come figli di Dio» (CCC 2222).

E proprio perché tali, i genitori sono impegnati a divenire per i figli il “sacramento” vivente di Dio-Amore:
«Divenendo genitori – afferma la Familiaris Consortio gli sposi ricevono da Dio il dono di una nuova responsabilità. Il loro amore è chiamato a divenire per i figli il segno visibile dell’amore stesso di Dio» (FC 14).
In linea con quanto rilevato, la teologia del futuro dovrà dedicare più attenzione di quanto non abbia fatto finora alla radicale continuità che sussiste tra la nascita di ogni bambino e la nascita al mondo dell’Unigenito incarnato. È nota l’affermazione del poeta indiano R. Tagore: «Ogni bambino che nasce dice al mondo che Dio non è stanco degli uomini». Ciò è vero per ogni bambino ed è vero in assoluto per la nascita dell’Unigenito incarnato dalla Vergine Maria, prototipo di ogni nascita e di ogni figlio di Dio: «lieta notizia» per l’umanità intera (Lc 2,10-11).
Come non è retorica affermare che negli occhi di ogni bambino brilla lo splendore del Dio vivente, così non è retorica proclamare che in ognuno di loro si rinnova l’annuncio della nascita di Gesù, dono di amore della Trinità al mondo. Il Figlio di Dio fattosi Uomo è la Parola decisiva detta dall’Assoluto al mondo. Ogni bambino è una Parola che Dio dice all’umanità e rimanda alla Parola decisiva proclamata dal Padre nel suo Unigenito. Solo se s’intuisce questo profondo rapporto, si è in grado di apprezzare la grandezza teologica di ogni atto umano di trasmissione della vita e di mettere in evidenza il legame storico salvifico che sussiste tra la fecondità nuziale di Maria, con Giuseppe suo sposo, e il senso della fecondità nuziale di ogni coppia, tra la culla di Betlemme e ogni culla. Esiste un continuum ontico radicale tra la nascita di Gesù al mondo e la nascita di ogni bambino. Ogni casa è una Betlemme: una “casa della parola” che diventa “casa del pane”. Il Figlio unico di Maria rappresenta il fondamento e l’icona in cui si riflette la nascita di ogni figlio, allo stesso modo in cui la Santa Famiglia costituisce il prototipo e l’esemplare di ogni famiglia. In ciascuna di esse, infatti, si dispiega la storia della salvezza e si celebra un “lieto annunzio” per il mondo.
E proprio perché sussiste un legame ontico tanto reale e profondo tra la venuta di Gesù e la nascita di ogni bambino si può intravedere una altrettanto radicale continuità tra la nascita di ogni bambino e la sua rinascita in Cristo e nel suo Spirito grazie al battesimo. Se il Logos è la luce che illumina ogni uomo che viene al mondo (Gv 1,4-5.9-10), ogni creatura umana è per sé originariamente aperta ad accogliere il dono di una partecipazione alla vita trinitaria (potentia oboedientialis) una volta che le sia offerta. Da questo punto di vista, il battesimo non si pone come un atto avulso dalla realtà creaturale del battezzando; al contrario, è l’atto proprio nel quale e mediante il quale l’appartenenza ontologica a Cristo attinge al suo senso originario e si compie nella sua forma più piena e più pienamente attuata. L’atto della rinascita «nell’acqua e nello Spirito» (Gv 3,5) non fa che portare a compimento la creazione in Cristo, facendo dei “figli di Dio” dei “figli della grazia”, in virtù di quel Figlio unico nato da Maria, Redentore dell’uomo e del mondo. Allo stesso modo Gesù, che a Nazaret sta sottomesso ai genitori e cresce in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,51-52), è prefigurazione di ogni crescita filiale e di ogni educazione alla vita come vocazione. La Santa Famiglia di Nazaret si offre come l’archetipo di ogni famiglia e di ogni percorso educativo8. 

Conclusione
Principio costitutivo del “grande sacramento” della Chiesa «popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4), lo Spirito Santo è al tempo stesso principio costitutivo della comunità coniugale nata dall’evento sacramentale. Egli è il bacio personale del Padre e del Figlio e corona l’amore degli sposi: il Padre ne è la sorgente, il Figlio la co-sorgente, lo Spirito Santo l’acqua zampillante nel cuore degli sposi, che trasforma la famiglia in “sacramento” vivente di Dio-Trinità. In tal modo la famiglia, comunione trinitaria, condensa in sé la totalità della historia salutis: è una realtà terrena, creata da Dio a sua immagine e somiglianza, che diviene – in forza della grazia dello Spirito communio nuptialis personarum in cui si dispiega il “grande mistero” di Cristo e della Chiesa (Ef 5,32). Allo stesso modo in cui lo scambio Amante-Amato tra le prime due Persone divine trova il suo culmine nella condivisione con la “Terza”, l’Amore comune, così lo Spirito è donato agli sposi come il “Terzo divino” in grado di realizzare in loro il “noi” nuziale. «Il “Terzo” intratrinitario diventa così il “Terzo” della coppia credente, effuso fra loro come lo Spirito del loro amore»9, affinché siano in grado di ri-innamorarsi ogni giorno, in una tenerezza sempre nuova, ricca di gioia e di intramontabile stupore amante10.
Dire che la famiglia è parabola del banchetto trinitario nella storia significa affermare che in essa si celebra quella danza di amore che Dio-Trinità vive in se stesso dall’eternità e per l’eternità. Familia de Trinitate, intendendo il “de” come preposizione di origine e di appartenenza: è infatti a partire dalla communio Trinitatis e dalle relazioni delle persone divine che sgorga l’identità essenziale della comunità coniugale. La famiglia deriva dall’unità del Padre e del Figlio nello Spirito Santo e si modella su quell’unità, di cui riproduce i volti tipici: la nuzialità io-tu/noi, lo scambio di amore e la generatività, la communio nuptialis personarum.

Note
1 Per un’ampia verifica di questa prospettiva, rimando a mio: C. Rocchetta, Teologia della famiglia. Fondamenti e prospettive, EDB, Bologna 2011, specie pp. 127-222. L’articolo riprende alcune parti della sezione citata.
2 S. Agostino, De Trin., VIII, 10,14.
3 J. Daniélou, Trinità e mistero dell’esistenza, Queriniana, Brescia 1968, p. 37.
4 G. Greshake, Il Dio Unitrino. Teologia trinitaria, Queriniana, Brescia 20083, p. 302.
5 P. Adn és, Matrimonio e mistero trinitario, in AA.VV., Amore e stabilità nel matrimonio, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1976, p. 22.
6 Giovann i Paolo II, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, LEV, Città del Vaticano 1979, II, 1, p. 182.
7 M. Blondel, L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, San Paolo Edizioni, Milano 1993, p. 356.
8 Sulla teologia della Famiglia Nazaret, cf C. Rocchetta, Teologia della famiglia. Fondamenti e prospettive, EDB, Bologna 2011, pp. 223-293.
9 M. Ouellet, Divina somiglianza. Antropologia trinitaria della famiglia, LUP, Roma 2004, p. 126.
10 Sulla tenerezza, rimando a: C. Rocchetta, Teologia della tenerezza. Un “vangelo” da riscoprire, EDB, Bologna 2005; ID., Viaggio nella tenerezza nuziale. Per ri-innamorarsi ogni giorno, EDB, Bologna 2010; ID., Elogio del litigio di coppia. Per un tenerezza che perdona, EDB, Bologna 2001; ID., Le stagioni dell’amore. Fidanzati e sposi in cammino con il Cantico dei cantici, EDB, Bologna 2008; C. Rocchetta – R. Manes, La tenerezza grembo di Dio Amore. Saggio di teologia biblica, EDB, Bologna 2014.