N.03
Maggio/Giugno 2017

Voglia di “comunità”

«La parola comunità evoca tutto ciò di cui sentiamo il bisogno e che ci manca per sentirci fiduciosi, tranquilli e sicuri di noi»: così scrive il sociologo Zygmunt
Il segreto del discernimento vocazionale, a cui il prossimo Sinodo del 2018 chiama tutta la Chiesa, è nel ritrovare il desiderio e lo slancio di essere comunità cristiane meno assopite, più credibili e ospitali, in grado di far percepire ai giovani che possono sentirsi a casa propria.
La comunità cristiana è chiamata ad una consapevolezza da cui non può sfuggire: la ricerca del senso di vita, della personale Beatitudine evangelica da cercare e da vivere, non è uno sfizio, ma un cammino essenziale per ogni essere umano, non solo per ogni cristiano.
Non è neppure una questione di età; la ricerca di senso è una perenne inquietudine che accompagna tutta la vita. Il poeta inglese Thomas S. Eliot, nella raccolta di poemetti Four quartets, afferma: «Là dove finisci, di lì ricomincia!».
Per tornare a stare bene con noi stessi, per essere donne e uomini significativi, per una testimonianza di fede e di Chiesa credibile, per un annuncio efficace, è fondamentale recuperare la dimensione di relazioni amicali e fraterne, di cammini condivisi nella comunione, di strategie non soltanto operative e funzionali, ma soprattutto esistenziali, in grado di creare ponti, alleanze e sinergie vitali.
Per essere costruttori di alleanze, occorre partire da se stessi accendendo il desiderio di comunione “dentro” di noi. Le cose vere della vita nascono sempre dal di dentro, perché solo nell’interiorità e nel silenzio esse possono crescere e maturare, senza forzature e manipolazioni.
A partire da questo nucleo possiamo individuare due vie concrete e operative, che sono punti irrinunciabili di una pastorale vocazionale e di ogni proposta pastorale:

a) la via della convinzione: un cammino fatto di condivisione comunitaria si realizza solo se noi stessi, per primi, lo crediamo possibile. Quante persone perdono il desiderio di una appartenenza comunitaria perché smarriscono innanzitutto la via della propria individualità e della interiorità del cuore… Quanti rimangono imbrigliati in gabbie di fatalismo e di rassegnazione: «Per me sarà sempre così, non posso fare nulla per cambiare la mia vita». E si arrendono. La vera vittima, nella vita, è soltanto chi si rassegna: vittima di se stesso, della sua sfiducia, del suo non consegnarsi ad una relazione profonda con gli altri.
b) La via della condivisione: è significativa non solo e non tanto perché “insieme è bello”, ma perché insieme il cuore può superare tante paure. È essenziale, oggi, trovare chi accetta di condividere il proprio lumicino di comunione e camminare con noi, tenendo il ritmo del nostro passo, anche se appesantito, vacillante e incerto. Questa è la via dei cuori semplici, di coloro che hanno imparato a credere nella forza dell’amicizia, del bene donato e ricevuto, di una condivisione costantemente ricercata.

È una via di fatica e di speranza, che va ben oltre la logica della omologazione e del lasciare le cose come sono. Nel suo prezioso e profetico libretto La Parrocchia, don Primo Mazzolari scrive: «Molti temono la discussione. La discussione, nei cuori profondi, anche se vivace e ardita, è sempre una protesta d’amore e un documento di vita. E la Chiesa, oggi, ha bisogno di gente consapevole, penitente e operosa, fatta così».