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C’era una volta il seminario… C’è ancora

I luoghi hanno la loro importanza. Lo sa bene chi ha frequentato le caserme, i collegi, i seminari. Nella cultura contadina il seminario, dal latino Seminarium,era il vivaio dove si custodivano i semi per proteggerli, farli crescere e maturare prima della loro sistemazione nel terreno. Nella nostra cultura cattolica è diventato il luogo principale dove si forma l’identità individuale e collettiva dei preti. Al seminario, infatti, spetta il compito di dare forma, colore e contenuto alla figura del sacerdote, non solo in termini razionali, per sostenere la scelta, ma anche in termini esistenziali, emotivi, affettivi. All’interno del seminario, infatti, i giovani che aspirano al sacerdozio ricevono la formazione culturale e spirituale necessaria al ministero ecclesiastico. Ma oggi è ancora così?

La ricerca realizzata da GfK per conto del Servizio Promozione Sostegno Economico alla Chiesa cattolica sulla figura del sacerdote fornisce importanti spunti per comprendere i cambiamenti e le trasformazioni del seminario. Dalla ricerca emerge, infatti, che il seminario viene inteso dai preti giovani il più delle volte come luogo di maturazione e di verifica della propria vocazione.

 

Molto alta risulta essere la percentuale di coloro che ritengono il periodo del seminario utile per sviluppare e per verificare la scelta, dal momento che non sono ancora così sicuri della chiamata alla vita sacerdotale. Il seminario è visto sempre più come luogo del discernimento, indispensabile per valutare la propria vocazione, e sempre meno come luogo di preparazione alla futura vita sacerdotale.

 

Una volta i giovani che entravano in seminario restavano estraniati dal contesto sociale, culturale, pastorale della parrocchia. L’isolamento dal mondo circostante, la lontananza dalla famiglia e il fatto di andare poco a casa servivano a rafforzare l’identità individuale e collettiva dei futuri sacerdoti. La verifica reale della propria scelta vocazionale avveniva solo quando si veniva “mandati nel mondo”. Oggi i seminaristi non vengono più estraniati dal contesto familiare, sociale e culturale, ma sono inseriti da subito nelle parrocchie, accompagnano i ragazzi nei percorsi catechistici, sostengono i giovani nella crescita educativa e spirituale. Sono certamente più dinamici e inseriti nella vita sociale e culturale, ma necessitano di una adeguata formazione teologica e preparazione alla vita pastorale.

Diversamente dal passato, infatti, ipreti che oggi arrivano a compiere la scelta di vita sacerdotale hanno un’ età adulta e un proprio bagaglio di esperienze, di vita e di formazione individuale. Studi superiori diversificati, scelte universitarie tra le più disparate, talvolta compiute all’esterno, lontane da una formazione specifica, contribuiscono a disegnare la figura di un sacerdote che è molto diverso da quello di una volta. Un prete che si differenzia non solo per cultura e per memoria storica, ma soprattutto, per formazione individuale. Una formazione che, dal punto di vista religioso e spirituale, rischia tuttavia di spostarsi molto avanti nel tempo, quando i sacerdoti sono già ordinati.

C’era una volta il seminario? No, il seminario c’è ancora. E’ certamente meno frequentato che in passato, ma più vivo che mai. Il seminario resta il grembo per le vocazioni sacerdotali, ma deve ripensarsi come luogo che favorisce la scelta vocazionale. In questa trasformazione potrà trarre nuovi stimoli se mantiene uno stretto collegamento con la parrocchia e promuove una formazione pastorale. Perché oggi più che mai, la Chiesa ha bisogno di sacerdoti con una formazione di eccellenza, esperti nella dottrina, ma consapevoli del proprio ruolo di “pastori” nella vita della comunità e della società.