N.03
Maggio/Giugno 2021

Sono felice del mio ultimo viaggio

Un testo di Teodoro Studita

Il testo che presentiamo è l’epilogo del testamento di Teodoro Studita. Egli fu il grande riformatore del monachesimo cenobitico bizantino. Subì l’esilio per ben tre volte, sia per aver denunciato il matrimonio illegittimo dell’imperatore Costantino VI, sia per la sua fedeltà al concilio di Nicea II (787) durante la seconda fase dell’iconoclastia e la sua ferrea difesa della venerazione delle immagini. Nel 799, dal monastero di Saccudion — troppo esposto alle continue incursioni dei pirati arabi — si trasferisce con i suoi monaci nell’antico e famoso monastero di Studion. Il suo typikon, cioè le consuetudini monastiche di ogni monastero, influenzò successivamente il monachesimo athonita e quello russo, rappresentando oggi, insieme alla regola di Basilio, il modo di vivere più diffuso dei monaci orientali. 

Il testo che presentiamo è tratto dal suo “Testamento”, raccolto dal discepolo Naucrazio, scelto da Teodoro come suo successore. Il Testamento è importante perché vi si trovano codificate molte indicazioni per la vita monastica da lui istituita. Ma il testo che ho scelto vuol mostrare la serenità, a tratti l’allegria, di un uomo di Dio che arriva alle soglie dell’ultimo viaggio. Teodoro riecheggia quasi Socrate, nell’Apologia: non sa i particolari della destinazione, sa solo che lo attende una realtà meravigliosa, che viene evocata nell’ascoltatore dall’orizzonte semantico delle parole cielo, luce, libertà, vero riposo; ma, soprattutto, ciò che è realmente suo, ossia, nostro. Ed è bellissimo vedere come dà un appuntamento a tutti i suoi fratelli, perché la comunione che ha vissuto qui, con loro, continui per l’eternità. In un tempo, come il nostro, in cui pare che abbiamo dimenticato il valore relativo della nostra vita terrena e invece quello reale di quella eterna, questo testo non può che farci bene. 

 

D’ora in poi, cercate di guadagnare la vostra salvezza. Sto per partire per un viaggio dal quale non c’è ritorno; un viaggio che fin dall’inizio tutti gli uomini hanno intrapreso. Dopo un breve tempo, completata la vostra vita terrena, anche voi mi seguirete. Fratelli, non so dove sto andando, o quale sorte di giudizio mi stia aspettando, né quale tipo di posto mi riceverà. Non ho fatto nemmeno una singola cosa di buono senza di Dio. Io solo sono responsabile di tutti i peccati. Tuttavia, sono felice e allegro perché sto andando dalla terra in cielo, dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà, dal vagare al vero riposo. Sto andando dalle cose straniere e aliene a quelle veramente mie. “Perché io sono straniero, un pellegrino, come tutti i miei padri” (Ps 39,12). Parlerò con più audacia, perché sto partendo alla volta del mio Maestro, mio Signore e mio Dio, che la mia anima ama. Sebbene lo abbia conosciuto come Padre, non l’ho servito come un figlio. Sebbene l’abbia preferito sopra tutte le cose, non l’ho servito come un vero servo. Ho detto queste cose come uno accanto a se stesso. Le ho dette a voi, così che voi desideriate e preghiate per la mia salvezza. E se ottenessi questa salvezza, non resterò in silenzio ma, con audacia, tenterò di convincere il mio Signore e Maestro per ciascuno di voi, così che voi fiorirete, siate salvati e aumentiate. Aspetterò di abbracciare ciascuno di voi e tutti voi quando partirete da questa vita. Tale è la fiducia che ho, perché la sua bontà è nell’unità e sia qui che nel tempo che verrà vi custodirà nel mantenere i suoi comandamenti, così che possiate pregare la sua potenza tutta-santa. Figlioli miei, ricordate le mie umili parole. Mantenete il deposito della fede in Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia gloria e potenza in tutti i secoli dei secoli. Amen. 

 

 

(da Teodoro Studita, Testamento, testo in PG 99, cols. 1813–24, traduzione personale inedita di P. Carmelo Giuffrida SJ)