N.06
Novembre/Dicembre 2022

L’invidia, il magnetismo dell’irrealtà

Quando la comunicazione digitale non usa canali chiusi, scambi uno a uno, “stanze segrete” o piattaforme dedicate a garantire una privatezza assoluta, essa si staglia quasi sempre su un orizzonte aperto, frastagliato, immateriale dalla difficile definizione, lo abbiamo visto. Un orizzonte all”interno del quale si può star certi di poche cose e una di esse è che ogni più piccolo elemento di qualsiasi atto comunicativo sarà visibile e perciò osservato da qualcun altro. 

In un contesto tanto densamente strutturato è assai difficile decidere e definire quali siano le istanze che di volta in volta dominano e prevalgono all’interno dei singoli atti comunicativi: è invece possibile rintracciare istanze ricorrenti, elementi di fondo presenti trasversalmente in processi e contesti comunicativi apparentemente diversi e distanti tra di loro. È per esempio difficile poter affermare che in un qualsiasi atto comunicativo in rete sia del tutto esclusa una componente ludica, un livello emotivo, un’intenzione performativa. Questo vale senz’altro per l’intero insieme della comunicazione nel mondo moderno, così come ci viene illustrato dalle teorie della comunicazione già canonizzate prima dell’avvento di internet. Nel caso della comunicazione digitale tuttavia questo intreccio di moventi e intenzioni, di registri e stili, di strumenti e modelli è più sfuggente, le singole parti più sfumate, le dinamiche incommensurabilmente più numerose e più rapide.

 

Un motore della comunicazione

Nell’ampio dibattito sulle zone d’ombra della comunicazione in rete al centro si trovano da anni l’odio e il piacere. Si dimentica tuttavia troppo spesso di concentrare l’attenzione su un’altra dominante ricorrente, l’invidia. Implicata sia con l’odio sia con il piacere – essendo in un certo senso una delle cause più frequenti del primo e la nemesi del secondo -, l’invidia è tra i più potenti motori che spingono la crescita della comunicazione in rete in particolare di quella che si svolge nel campo dei social network. Esistono ricerche che indagano la rilevanza statistica dell’invidia come una delle prime forze di spinta all’origine delle ricerche e di molte altre interazioni in rete; l’insieme stesso delle dinamiche che ruotano intorno al non nuovo, ma sempre diverso totem della fama sono da ricondursi ed essere interpretate alla luce di questo atavico sentimento. 

Il social network prototipico costruisce almeno una certa parte delle sue articolazioni – se non tutte – non tanto in base al tentativo di corrispondere e alimentare la curiosità dell’utente medio per il nuovo e per l’ignoto, quanto piuttosto di fornire una varia e vasta gamma di materiali – rappresentazioni e narrazioni – che fungano come innesco e moltiplicatori dell’invidia. 

 

Tutti ne parlano, tutti invidiano

L’invidia si diffonde e si approfondisce, diventa esercizio quasi diuturno e, inevitabilmente quanto  forse impercettibilmente, si trasforma: prima di tutto passando dall’essere errore fatale, scelta perniciosa, passione nefasta, al diventare spinta vitale, piccolo piacere quotidiano, innocuo passatempo. Così anche uno dei più classici e immutabili tra tutti i totem dell’umano, la fama, si ridefinisce e riposiziona in funzione dell’invidia: il successo sancito dal “tutti ne parlano” diviene dunque il sempre più effimero, momentaneo e inafferrabile traguardo del “tutti ne provano invidia”. 

Quel che s’invidia tuttavia non è più il bene in sé, un ruolo di potere, una condizione o un attributo: il nuovo status symbol è fondato sull’evanescenza sempre meno virtuale della rappresentazione e del racconto, su una forma in sé e sulle suggestioni che da essa scaturiscono; sulla trasformazione del mondo in aneddoto, sulla riduzione di ogni cosa – corpi, oggetti, emozioni e idee – a micro-narrazione, racconto istantaneo, affabulazione minima e ininterrotta. 

Il mondo, nel grande affresco di perenne istantaneità che i social ne restituiscono, si dà agli occhi dell’utente come ideale possibile, desiderabile, eppure lontano, come meta esotica da rincorrere legittimamente con mezzi, strumenti e modalità riferiti a nessun altro contesto se non a quello stesso della rete. 

 

Disertare il sé reale

L’invidia è – in questa prospettiva – il legittimo doppio impulso che spinge in direzione di un “social dream” possibile eppure sempre tragicamente distante, o, al contrario, un lenimento efficace e  accessibile all’insoddisfazione artificiale del desiderante digitale. 

Qualsiasi incontro, confronto, scambio e, naturalmente, qualsiasi contrasto o conflitto in rete sembrano inevitabilmente iniziare e finire, almeno in potenza, con una tensione inquieta a disertare il sé nella rincorsa a un altro irreale; con l’irrequietezza di uno sguardo sempre teso oltre il proprio orizzonte, in direzione di un ipotetico e irraggiungibile altrove; con la frustrazione costantemente alimentata dallo spostamento feticistico del traguardo dei propri desideri oltre i confini del reale; infine e non da ultimo con una rassicurante quanto implicita deresponsabilizzazione autoassolutoria effetto del distacco finale dal mondo concreto e quotidiano. 

 

È necessario consolidare la coscienza

Tutto questo non vale solo per le generazioni più giovani, ma ha senz’altro una forza e una implacabilità molto maggiore sulle menti e sulle coscienze degli utenti culturalmente e spiritualmente meno preparati: quasi come per una legge fisica applicata al mondo immateriale degli animi e delle menti, quanto più la vita interiore, il pensiero, la riflessione e la meditazione avranno avuto la possibilità di sostanziare e consolidare la coscienza, tano meno sarà facile a questa sorta di magnetismo dell’irrealtà di turbare e ostacolare un uso critico, consapevole e perfino fecondo della comunicazione in rete. 

 

 

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