N.04
Luglio/Agosto 2023

L’inganno

Il più grande e forse più pericoloso inganno della sempre più fitta rete d’immagini che scorrono e si moltiplicano sugli schermi intorno a noi è anche il più classico: un trompe l’oeil ereditato dalle immagini del passato, un inganno dell’occhio, l’errore prospettico che impedisce, ad un tratto, di riconoscere un ambiente nella sua natura parziale e spinge a crederlo una dimensione totalizzante. 

 

Un orizzonte confinato

Esistono processi comunicativi che sviluppano forze centrifughe, rilanciando l’attenzione e la curiosità, l’intelligenza e l’aspettativa oltre, al di fuori, al di sopra dell’atto comunicativo in sé. Esistono al contrario processi comunicativi che tendono ad accentrare e concentrare su di sé le energie dei comunicanti, sviluppando una tensione centripeta che tende ad escludere e obliterare tutto il resto. 

Lo abbiamo visto: social e comunicazione digitale in genere tendono ad alimentare attenzione esclusiva, confinando all’interno degli schermi il campo visivo, l’orizzonte emotivo, perfino il campo esistenziale dei soggetti coinvolti. Il modo in cui questo accade tuttavia non si limita a una semplice dinamica d’incantamento tecnologico, d’ipnosi digitale: il desiderio, l’immaginazione e la capacità di riflessione, la ricerca di racconto sono prima stimolati, poi irretiti e infine incatenati in una complessa serie di meccanismi che si giocano dentro e intorno alle immagini. 

 

Piccoli vuoti ed effimero pieno

Un volto rassicurante mi spiega come cucinare una pietanza esotica, accomodare un elettrodomestico, un profilo noto mi racconta della sua ultima esplorazione tra bar e ristoranti della città, oppure mi mostra, nello spazio intimo e riparato della sua camera da letto, l’apertura dell’involucro del suo ultimo acquisto tecnologico: microuniversi descrivono rapidamente i propri sicuri confini, una guida confortante garantisce un orientamento agevole, l’inquadratura visivamente e concettualmente angusta circoscrive una porzione di mondo facilmente gestibile. Che il contenuto in questione sia l’approdo di una ricerca volontaria e non casuale, oppure la meta fortuita di un capitombolo virtuale, esso mi invita e convince e restare, a dedicargli il mio tempo. Forse solo per pochi secondi. Per quei pochi attimi, intelligenza e desiderio saranno appagati e convinti che quel minuscolo pezzetto d mondo sia un tutto e che quel piccolo tutto possa occupare per un po’ e per intero la mia attenzione, la mia percezione, la mia emozione. Per pochi momenti la mia coazione a comunicare – tipica agitazione dell’utente digitale – sarà addomesticata da un cruciale e fondamentale pensiero implicito e soggiacente: posso concedere del tempo a questo microracconto anche se sono consapevole che con ogni probabilità non abbia alcuna rilevanza, né utilità, né risponda ad alcun bisogno profondo, perché so che in qualunque momento la galassia di galassie della rete internet e di tutte le altre reti virtuali potrà garantirmi infinite alternative, altre infinite opzioni che forniscano nuovi tentativi di soddisfazione. 

Come dire che a uno sconfinato ripetersi di piccoli vuoti, la mente contrappone, per trovare pace, l’immaginazione di un grande quanto effimero pieno. 

 

E pensiero, comprensione, idee?

Nel moltiplicarsi di decine e centinaia di atti comunicativi, che non si limitano esclusivamente alla consultazione di un video, allo scorrimento di una collezione di foto, e che ruotano per lo più intorno a transazioni di scarso o di nessun rilievo, le immagini, prodotte per essere consumate e dimenticate, scoperte e accantonate, avvistate e sostituite con altre equivalenti, tentano di colpire la percezione – immobilizzando immaginazione e fantasia – senza spingere mai al superamento nel passo successivo: l’attrazione, il trucco, la trovata producono serie interminabili di incandescenti estemporanee che non deflagrano mai nella fiammata del pensiero, della comprensione, dell’idea. 

Una distesa di queste promesse sospese nel vuoto copre grandi estensioni degli scambi comunicativi in rete. Senza la capacità di una distanza critica che sveli il miraggio, si rischia di restare vittime dell’inganno che a una laconica pienezza sostituisce la perfetta illusione di una soverchiante sovrabbondanza e in fondo l’inevitabile frustrazione di una miriade di mondi che mentre sembrano offrirsi uno dopo l’altro, seguitano a sottrarsi all’aggancio con un significato. 

 

 

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