N.05
Settembre/Ottobre 2023

Il posto migliore 

La chiesa in una poesia di Adélia Prado

Adélia Prado è una delle più famose poetesse brasiliane, forse la più grande tra quelle viventi. La sua poesia si nutre di ciò che Cristina Campo chiamava attenzione poetica. Il saper scorgere nella quotidianità e nella semplicità di ciò che ci circonda il vero “vero” delle cose. Molta parte della sua poesia è radicata nella vita di campagna (interior) di Minas Gerais, uno dei più grandi stati del Brasile e certamente uno di quelli con più storia e profonda e specifica identità culturale. È profondamente cattolica, e riesce a impregnare la sua poesia con la sua fede senza mai essere didascalica o banale.

In un tempo in cui la percezione della Chiesa è distorta a vari livelli, il testo che presentiamo ci porta invece in una pace e serenità primordiali. Adélia Prado medita sulla Chiesa, proprio come la “normalità” di una vita di campagna, comunicandoci un senso di casa, di pace e di serenità, cogliendo alcuni aspetti della vita ecclesiale con una profondità e attenzione non comuni. Usando le immagini della roça, della vita campestre, ci presenta la Chiesa nel gioco edificio/corpo mistico, luogo “nostro” – nella dimensione di casa, di accoglienza, di protezione; e luogo della teofania, terribile e “di casa” al contempo.

L’immagine della mandria, con il riferimento alle corna, agli odori propri del bestiame, non nega la dimensione terrena del nostro appartenere alla Chiesa; ma al contempo è il luogo della protezione, della Presenza, dell’intimità eucaristica e della preghiera personale (là osservo con attenzione/la lampada che con attenzione mi osserva). 

Ma soprattutto il verso finale, che chiude la descrizione della quotidianità e della semplicità con una improvvisa virata mistica che ci ricorda Teresa d’Avila: Se ci metto il piede/l’amore di Dio mi uccide.

 

Casa di campagna

La Chiesa è il posto migliore.
Là la mandria di Dio si ferma per bere acqua,
si struscia uno con l’altro le corna
e risveglia i suoi odori
che io riconosco, e che mi piacciono,
come fa un cane.
È razza mia, ci sto

di casa come nella mia stanza.
La Chiesa è la nostra casamatta.
Là le cose dilaceranti siedono lato a lato
con questo umanissimo fatto
che è fare fiori di carta

e ci stupiamo di come tutto sia credibile.
È piena di segni, parola,
scrigno e chiave, navata e tetto aspersi
contro il vento e la follia.
Là mi guardo, là osservo con attenzione
la lampada che con attenzione mi osserva, adoro
ciò che mi piega la nuca come a un bove.
Là sono coraggioso
e canto con il mio labbro spaccato:
gloria nel più alto dei cieli
a Dio che di fatto è spirito
e non ha corpo, ma ha

l’occhio in mezzo a un triangolo
da dove vede le cose,

perfino i pensieri futuri.
Luogo sacro, elettricità
per la quale passeggio senza paura.
Se ci metto il piede,
l’amore di Dio mi uccide.

 

(Da A. Prado, Bagagem, 1976, Traduzione di M. Pampaloni S.J.)