N.05
Settembre/Ottobre 2023

Performance numerica

La comunicazione in rete per il grande pubblico, per gli utenti non professionali, passa in buona parte, almeno per un tratto, sempre di più attraverso i social network. Superata la prima era di ingenuità e sperimentazione (MySpace e i primi tre anni di Facebook), l’orizzonte del social è radicalmente mutato, almeno tanto quanto il world wide web ha cambiato aspetto, struttura e alcune delle dinamiche che ne sottendono il funzionamento. Dopo Instagram e Twitter è venuta una serie sempre più numerosa di nuovi network sempre più specializzati. E con il passare del tempo i giovani utenti dei primi social network sono diventati sempre meno giovani, e i nuovi giovani hanno scelto altri network centrati su strategie di condivisione e comunicazione sempre più immediate e meno logocentriche, sempre più legate alle immagini e ai suoni, sempre meno alle parole. 

 

Il piedistallo della quantità

Una trasformazione ha tuttavia trasversalmente attraversato tutto l’orizzonte della comunicazione in rete. Basta sfogliare rapidamente due o tre ricerche casuali compilate su YouTube o TikTok (il network dei giovanissimi); evidente, appariscente, onnipresente salta all’occhio un fattore nuovo rispetto alla rete di dieci anni fa: tutto sembra sempre centrato sulla performance numerica, sulla correttezza rifinita della confezione tecnica, sull’esito “commerciale” del proprio atto comunicativo, di qualunque tipo esso sia, lasciando che i residui – inadeguati, non corretti, fuori standard – scivolino, sospinti dalle onde nascoste degli algoritmi, fuori dall’accessibilità. 

Certo, fin dal suo inizio la comunicazione in rete così come la conosciamo e la pratichiamo oggi è stata fondata in un certo senso sull’idea di massimizzazione dell’impatto comunicativo legata a quella di quantificazione matematica di questo impatto. Qualche anno fa tuttavia era facile imbattersi in giovani e adulti amatori, neofiti o più semplicemente fieri sprovveduti che si affacciavano in rete con goffe azioni imperfette. Se ancora molti dei video che diventano “virali” (moltiplicandosi come in un’epidemia) sono spesso documenti di atti involontari, di momenti topici ripresi in diretta, di errori sociali o culturali esposti al pubblico stigma, chi si espone sul web sembra agire con una consapevolezza tecnica molto superiore; soprattutto, sembra mosso quasi sempre da una nuova, comune e assoluta ossessione: produrre per sé un potere basato sui numeri (degli iscritti, degli “amici”, delle visualizzazioni, delle reazioni, dei commenti, ecc.), un successo che non riguarda mai il felice approdo a uno o più destinatari singoli della propria comunicazione, ma proprio, principalmente e immediatamente l’innalzamento di sé in quanto comunicante sopra un alto piedistallo, issato oltre la massa dalla forza della pura e semplice quantità. 

 

Liberi dal giudizio e dall’indifferenza altrui 

Tra il tutorial per imparare a usare un monociclo postato da un giovane circense italiano e il leap sync registrato e messo in mostra sul proprio profilo da un adolescente di Tokyo c’è poco in comune tranne che – questione centrale e profonda che definisce all’origine questi diversi atti comunicativi — oggi entrambi questi soggetti comunicati – così come la stragrande maggioranza dei loro colleghi e consimili – hanno come prima preoccupazione l’effetto quantitativo del proprio atto comunicativo. Il successo della propria performance non deve necessariamente essere legato a una trasformazione in denaro dell’accumulo di utenti conquistati, ma si riconosce raggiunto in passaggi essenziali. Il risultato cercato e sperato è suscitare l’interesse – inevitabilmente effimero e quindi implicitamente da rincorrere costantemente e perennemente – dello spettatore/ascoltatore/utente direttamente ed esclusivamente per ottenere un potere. 

Questo potere, soprattutto per i giovani e per i piccoli, è riducibile alla libertà dal giudizio e dall’indifferenza altrui: poter smettere di sentirsi i giudicati e iniziare a essere i giudicanti; smettere dei aver paura e iniziare a fare paura; smettere di essere esclusivamente soggetto del desiderio e diventare oggetto del desiderio di molti altri, anche se anonimo e remoto. Il potere di uscire dall’indifferenza e dall’ombra per godere di ascolto e di ammirazione. 

 

Jackpot del consenso

Sono molte e diverse le tecniche applicate alla confezione di immagini per la comunicazione in rete: gli strumenti disponibili sono più e meno complessi, sempre facilmente disponibili, spesso inconsapevolmente appresi e applicati. Il punto è che qualsiasi atto comunicativo in rete sembra ormai rischiare di esser generato e governato da un medesimo desiderio e da una simile logica, pervaso e immerso, finanche affogato nella spasmodica e perenne tensione al jackpot del consenso, al podio dell’ascolto. Tutto, dall’argomento al tempo di pubblicazione, dall’abbigliamento al luogo scelto per la registrazione, dal tipo di inquadratura alla gamma cromatica, tutto rischia di discendere esclusivamente da un calcolo economico in vista del vantaggio rispetto alla conquista di una platea virtuale, effimera, instabile, impersonale e incerta. E per quanto la dinamica possa apparire banale, evidente, e per questo forse meno minacciosa, per comprendere quanto seri siano i rischi che essa produce e quanto vastamente e trasversalmente essa si diffonda, è sufficiente constatare quanto proprio questa stessa dinamica – o una sua declinazione assai simile – sia già da tempo il motore delle scelte di ampie fette della classe dirigente e della classe politica in modo speciale. 

 

 

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