N.02
Marzo/Aprile 2003

Un nuovo anno per camminare insieme e lavorare insieme!

Siamo giunti alla conclusione di questo Convegno Nazionale, apertosi ufficialmente il 2 gennaio, ma che, potremmo dire, ha preso l’avvio esattamente un anno fa, durante il precedente Convegno. In quella circostanza sia il Card. Ruini, sia Mons. Betori, nelle loro omelie ci avevano esortato a mettere in atto quanto è scritto negli Orientamenti Pastorali della CEI per questo primo decennio del 2000: “Avvertiamo la necessità di favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare e quella vocazionale: il tema della vocazione è, infatti, del tutto centrale per la vita di un giovane”[1]. Il CNV non solo ha accolto questo suggerimento, ma ha voluto riprendere perfino nel tema di questo Convegno quell’indicazione dei Vescovi italiani, dando così una prima risposta – ma non sarà certamente l’unica – a quanto ci è stato chiesto.

Credo che a nessuno sia sfuggito l’aggiunta apportata alla frase degli Orientamenti Pastorali, ritrascritta sul telone che sovrasta il palco e che riporta il tema del Convegno: Favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare e quella vocazionale… Come? Quel “Come?” non costituisce, però, una novità, perché, come tutti sanno, quest’avverbio sta ritmando ormai i nostri Convegni Nazionali fin dal 2000. Dopo la stagione dei Convegni “di studio”, che ci hanno accompagnati per oltre vent’anni, non abbiamo voluto inaugurare quella dei Convegni interessati esclusivamente alla prassi. Come si ricorderà, quella svolta fu voluta non certamente per separare la riflessione teologica dall’agire pastorale, ma, al contrario, per far sì che la straordinaria ricchezza di contenuti, che emerge sempre dai nostri Convegni, non sia appannaggio esclusivo di quella cerchia, pur numerosa, dei convegnisti o sigillata “a futura memoria” negli Atti, ma si incanali nei mille rivoli della pastorale vocazionale delle nostre comunità cristiane, illuminandola e rinnovandola.

Al termine di questo Convegno si apre dinanzi a noi un nuovo anno. Ritorneremo oggi alle cose di sempre, ma non come sempre! Vorremmo, infatti, che qualcosa cambiasse nel nostro agire pastorale, anche alla luce di quanto abbiamo pregato, ascoltato dai relatori, riflettuto personalmente e fatto oggetto di confronto e di verifica nei gruppi di studio. A me ora non resta altro che tirare le fila di quanto è emerso in questi giorni e di rilanciarlo qui in assemblea perché il nuovo anno ci veda impegnati a camminare insieme e a lavorare insieme a partire da alcuni punti fondamentali. Dunque, un nuovo anno insieme!

Vorrei suddividere il mio intervento in due parti: nella prima accennerò ad alcuni atteggiamenti da abbandonare; nella seconda offrirò alcune indicazioni pastorali per il nuovo anno.

 

 

Non siamo all’anno zero

Prendo le mosse da quanto scriveva Friedrich Hebbel: “Alla gioventù si rimprovera spesso di credere che il mondo cominci solo con essa. Ma la vecchiaia crede ancor più spesso che il mondo cessi con lei”. Il primo atteggiamento da abbandonare è quello di pensare di essere all’anno zero e che solo ora si incominci finalmente a parlare del necessario raccordo tra la pastorale giovanile (PG), la pastorale familiare (PF) e la pastorale vocazionale (PV)! È quanto avviene al termine di ogni Convegno: ogni convegnista, affascinato da quanto di nuovo gli esperti fanno scoprire, si dimentica del cammino fatto e, come novello Sisifo, si ritrova ogni anno a riportare dal fondo valle fino alla sommità del pendio l’enorme macigno della fatica pastorale, che poi, al termine dell’anno, rotola inevitabilmente di nuovo in basso. La memoria ci aiuta a costruire su quanto è stato già fatto; l’assenza della memoria porta alla frustrazione e allo scoraggiamento.

È, pertanto, necessario purificare la memoria. Ripercorriamo, allora, anche se solo con brevi cenni, le grandi tappe di questo cammino, già avviato, in cui la PV è stata sollecitata a prestare sempre maggiore attenzione al mondo giovanile e a quello familiare. Faremo insieme questo cammino non limitandoci a mettere in evidenza gli avvenimenti e le proposte pastorali più significative di questi ultimi vent’anni, ma cercando di cogliervi sia le provocazioni dello Spirito, sia le risposte che la Chiesa ha saputo dare. Convinti come siamo che “in ogni tempo tu, [o Signore], doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi. Con la potenza del tuo Santo Spirito le assicuri il tuo sostegno, ed essa, nel suo amore fiducioso, non si stanca mai di invocarti nella prova e nella gioia sempre ti rende grazie per Cristo nostro Signore”[2].

 

1985

Il 1985 è un anno segnato dalla pubblicazione del Piano pastorale delle vocazioni in Italia che in diversi numeri (32, 34, 37, 43, 54) richiama gli animatori vocazionali sulla necessità di collaborare con la PG. E nel numero 43 così recita: “La pastorale giovanile deve essere vocazionale: pastorale giovanile e pastorale vocazionale sono complementari. La pastorale specifica delle vocazioni trova nella pastorale giovanile il suo spazio vitale. La pastorale giovanile diventa completa ed efficace quando si apre alla dimensione vocazionale”. In quello stesso anno il Papa scrisse la Lettera ai giovani. In tutta la Lettera Giovanni Paolo II mette in luce la dimensione vocazionale che attraversa la vita dei giovani. In due numeri, però, più degli altri, il Papa si sofferma a parlare del progetto di vita e della vocazione cristiana (n. 9) e della vocazione matrimoniale (n. 10). Al di là dei contenuti, pur così importanti, il primo grande frutto che quella Lettera produsse fu di suscitare all’interno delle comunità cristiane un rinnovato e fiducioso impegno educativo a favore dei giovani. Presero avvio le Giornate Mondiali della Gioventù, come una sorta di pellegrinaggio spirituale del Papa con i giovani non solo per le strade del mondo, ma soprattutto negli anfratti del loro cuore per fare emergere quella ricchezza deposta in loro dal Signore e che attendeva di essere scoperta e messa a frutto. Il CNV in quegli anni dedicava ai giovani ben due Convegni Nazionali: “Giovani oggi: quale proposta vocazionale?” (1984); “Giovani oggi: dalla percezione alla scelta vocazionale” (1985).

 

1990

Possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che gli anni ‘90 sono stati gli anni più fecondi.Gli Orientamenti Pastorali della CEI: Evangelizzazione e testimonianza della carità dedicano ai giovani ben tre numeri (44-46); non sembri poca cosa. Basti pensare che negli Orientamenti del decennio precedente (Comunione e Comunità) si accennava ai giovani solo in due numeri: 23 e 26, ma con dei brevissimi passaggi. In ETC la riflessione è più articolata e completa. Nel n. 46 i Vescovi parlano della costitutiva risonanza vocazionale della PG e affermano: “La vocazione cristiana è fondamentalmente unica e coincide con la sequela di Cristo e la perfezione della carità. Siamo però chiamati a vivere questa medesima vocazione lungo diversi cammini: nelle vie del matrimonio e dell’impegno laicale, o in quelle del presbiterato, della vita religiosa, degli istituti secolari e di altre forme di speciale donazione. Ci rivolgiamo con fiducia ai giovani e alle giovani, perché sappiano puntare in alto e non abbiano timore a seguire con generosità la via della consacrazione totale a Dio, quando avvertono la sua chiamata, rispondendo all’amore con l’amore. Sottolineiamo al contempo che l’educazione alla gratuità e al servizio per il regno di Dio è il terreno comune su cui possono fiorire tutte le molteplici vocazioni ecclesiali”[3]. Per attuare quanto era scritto in quei numeri degli Orientamenti, sorse il Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile (1993), affidato all’infaticabile e coinvolgente entusiasmo di don Domenico Sigalini. In diverse circostanze il CNV e il Servizio di Pastorale Giovanile si sono ritrovati insieme per riflettere e delineare un’azione comune a favore dei giovani. È quanto avvenne nell’Incontro biennale dei Direttori dei CDV del settembre del 1993 che aveva come tema: “La costitutiva risonanza vocazionale nell’educazione dei giovani alla fede”. Due anni dopo, nell’Incontro dell’ottobre del 1995 fu coinvolta anche la Caritas nazionale nella riflessione sul tema: “Il vangelo della carità chiama i giovani”. Anche in precedenza, nel settembre del 1987, l’Incontro dei Direttori si era soffermato sulla pastorale giovanile: “La dimensione vocazionale nella pastorale giovanile: verifica di iniziative e proposta di itinerari”. Come si può ben notare, abbiamo già alle spalle un cammino fatto insieme che, forse, va ripreso e, certamente, rilanciato!

 

1993

Nel luglio del 1993 viene pubblicato il Direttorio di Pastorale Familiare (DPF), che anche se non si occupa esclusivamente dei giovani e delle vocazioni, pur tuttavia riserva loro una costante attenzione. È, però, nel secondo capitolo: “Vocazione all’amore”, che il tema vocazionale è sviluppato con una ricchezza e profondità sorprendente. All’approfondimento del Direttorio il CNV dedicò un numero della rivista ‘Vocazioni’: “Vocazione e vocazioni nella pastorale familiare della Chiesa italiana” (n. 5, 1997). Una riflessione che era già stata avviata in un precedente numero della stessa rivista: “La pastorale familiare e pastorale vocazionale” (n. 3, 1992), e in un Convegno Nazionale: “Famiglia oggi: quale spazio per la maturazione vocazionale?” (gennaio 1990).

Non possono essere dimenticate alcune affermazioni, presenti nei numeri 23-30 del DPF, che costituiscono dei punti di non ritorno della PF e PV:

“È nell’ottica della vita come vocazione all’amore che acquista valore e significato la pastorale familiare ed è nell’educazione alla vita e all’amore che inizia ogni itinerario di pastorale familiare” (n. 23). E citando la Familiaris consortio (n. 11) prosegue: “L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano” (n. 23). Il numero 23 si conclude con una citazione dell’Enciclica Redemptor hominis (n. 10) di Giovanni Paolo II: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (n. 23). Nel numero 24 si ricorda che “questa nativa e fondamentale vocazione all’amore, propria di ogni uomo e di ogni donna, può realizzarsi piena mente nel matrimonio e nella verginità”.

È nel numero 28, però, che emerge con forza la dimensione vocazionale: “Si tratta di aiutare ciascuno a maturare in quella libertà radicale, che consiste nel decidere di se stesso secondo il progetto che Dio iscrive nell’essere dell’uomo: un progetto che ha come centro e contenuto fondamentale l’amore, sull’esempio e nella misura di Gesù Cristo, alla cui immagine siamo predestinati ad essere conformi (cfr. Rm 8,28-30). In questa prospettiva ogni azione educativa possiede una sua intrinseca dimensione vocazionale: è aiuto offerto ad ognuno perché possa riconoscere e seguire la sua vocazione fondamentale all’amore nel matrimonio o nella verginità, compimento della consacrazione battesimale, e vivere così la sua missione nella Chiesa e nel mondo”.

 

1998-1999

Questo nostro breve viaggio per “purificare la memoria” giunge così ad una tappa estremamente significativa: le due Assemblee dei Vescovi italiani del novembre 1998 e del maggio 1999. Due momenti di un’unica grande riflessione dedicata dai Vescovi alla PG e alla PV. A queste due Assemblee hanno fatto seguito due Note Pastorali della CEI che hanno ripreso e rilanciato le riflessioni e le indicazioni dei Vescovi italiani: “Educare i giovani alla fede” (1998) e “Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana” (1999). Mi limito a riportare solo due frasi di questi due documenti: “Occorre iniziare i giovani alla vita come risposta ad una vocazione, aiutandoli a vedere che il loro cammino di sequela di Cristo va realizzato concretamente in uno stato di vita, senza timore di fare proposte esigenti e mostrando che per tutti c’è una chiamata e un progetto di santità. È sempre la prospettiva vocazionale che permette di ricomprendere e valorizzare l’esperienza del volontariato, scoprendone le radici nel mistero stesso dell’amore di Dio”[4]. “Il Centro Diocesano Vocazioni… promuove itinerari vocazionali specifici e coordina le iniziative di pastorale vocazionale esistenti nella Chiesa particolare; forma gli animatori vocazionali e ha cura che nel popolo di Dio si diffonda una cultura vocazionale; partecipa all’elaborazione del progetto pastorale diocesano e collabora in particolare con la pastorale familiare e con quella giovanile”[5].

 

2001

Ed eccoci giunti al documento della CEI “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” che sta orientando non solo il cammino della Chiesa italiana in questo primo decennio del 2000, ma da cui abbiamo voluto trarre anche il tema di questo nostro Convegno. Il contesto immediato che dà senso e significato all’invito rivoltoci dai Vescovi a “favorire un maggiore coordinamento tra PG, PF e PV” (CVMC 51), è quello della richiesta dell’Episcopato italiano a prestare “un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia. Questo è l’impegno che affidiamo e raccomandiamo alla comunità cristiana”[6]. Dunque, ci è chiesto di far convergere l’attenzione della PG, PF e PV sulle persone, prima ancora che preoccuparci di coordinare le iniziative.

 

 

Non siamo sotto zero

Al pericolo, sempre in agguato, di ritenersi dei pionieri e di voler imboccare nuovi sentieri, si contrappone l’altro, non meno insidioso, di restare “surgelati” nelle proprie posizioni, rendendo così quasi impossibile ogni tentativo di cambiamento nella pastorale. Questa incapacità a spostarsi, sia pur di poco, da “ciò che si è sempre fatto” e a mettersi in cammino sulla strada di un autentico rinnovamento pastorale, assume, secondo i casi, nomi e volti diversi, ma tutti tendenti inesorabilmente all’immobilismo.

– Si continua ad agire come se il mondo non fosse affatto cambiato, coltivando la segreta speranza che, alla fine, il mondo dovrà necessariamente ritornare da noi. E nel frattempo… si resta immobili, come “termine fisso d’eterno consiglio”.

– Si fanno letture semplicistiche della nostra società evitando la complessità o tentando di rimuovere i problemi. Pur di non cambiare si è disposti ad affermare di vivere in “un’isola felice”, non ancora contaminata da quanto in altre città ha prodotto la scristianizzazione.

L’espressione di CVMC che ci ha guidato in questo Convegno, senza il riferimento a tutto questo cammino della Chiesa italiana già avviato, rischierebbe di essere veramente impoverita e di dar vita ad un semplice coordinamento delle iniziative. I Vescovi non hanno chiesto alla PF, alla PG e alla PV di stilare una sorta di “patto di stabilità”, o “patto sociale”, in modo da organizzare meglio le rispettive iniziative evitando di “pestarsi i piedi”. Qui, come ci ha ricordato il Card. Ruini nella sua omelia, è in gioco la trasmissione della fede e degli stili di vita cristiana alle giovani generazioni. E in questo affascinante e impegnativo compito non possiamo non impegnarci nel realizzare delle sinergie, che rendano possibile il raggiungimento di questo obiettivo.

Del resto in questi giorni ci è stato ricordato che difficilmente riusciremo a realizzare questo auspicato coordinamento, se saremo preoccupati unicamente di mettere al centro della nostra azione pastorale i nostri Uffici, in una sorta di autoreferenzialità; oppure se andremo alla continua ricerca di riconoscimenti, di stima e di spazi di interventi, assillati dal desiderio di esserci; o, infine, se tenteremo di rinfacciare agli altri le responsabilità per la non riuscita di una efficace collaborazione.

Il coordinamento esige “una conversione pastorale” ed è frutto di una conversione pastorale già avviata. Al centro non possiamo esserci noi e i nostri Uffici, le nostre iniziative, ma al centro è necessario porre le persone: i giovani e le famiglie.

Abbiamo iniziato questo Convegno accogliendo la domanda che Mons. Castellani ha fatto risuonare nella preghiera iniziale: Come può un giovane vivere bene la sua vita? Il raccordo tra PG, PF e PV sarà possibile se conserveremo sempre vivo in noi questo interrogativo: “Come possiamo aiutare i giovani a vivere bene la loro vita?”. Sì, vorremmo che i giovani che incontriamo potessero percepire la nostra volontà di essere collaboratori della loro gioia evitando di far da padroni sulla loro fede (cfr. 2 Cor 1,24).

Solo se ci porremo tutti a servizio della felicità dei giovani, cercheremo in tutti i modi di far convergere le nostre competenze e le nostre azioni perché ogni giovane possa essere aiutato a trovare la risposta a quella domanda che alberga nel suo cuore: “Che cosa devo fare per avere la vita?”.

 

 

Favorire un maggiore coordinamento tra PG, PF e PV. Sì! ma… 

Come?

L’appello dei Vescovi a realizzare un maggiore coordinamento tra PG, PF e PV si inserisce nel contesto degli Orientamenti Pastorali per questo primo decennio; estrapolandolo da questo suo naturale contesto, la sua accoglienza risulterebbe estremamente riduttiva. La novità di questi Orientamenti non va ricercata semplicemente nel rinnovato impegno a “comunicare il Vangelo”. È questo un impegno che accompagna la Chiesa fin dal suo inizio e dopo il Concilio è stato rilanciato con forza. A conferma di ciò, sarebbe sufficiente citare solo due documenti: “La Chiesa è per natura sua missionaria”[7]; “L’evangelizzazione è la grazia e la vocazione della Chiesa… Essa esiste per evangelizzare”[8]. La novità, se vogliano, è da ritrovare soprattutto nella seconda parte del titolo del Documento: “in un mondo che cambia”. Un cambiamento che tocca tutta quanta la società e non solo alcuni settori. Per questo, ci dicono i Vescovi, se vogliamo “comunicare il Vangelo” dobbiamo necessariamente “sintonizzarci” con “un mondo che cambia” repentinamente. In una parola: ascoltare! È questo il forte appello che ci viene dagli Orientamenti; basti pensare che il verbo “ascoltare” vi ricorre ben 56 volte.

Fin dall’inizio di questo Documento i Vescovi italiani indicano con chiarezza che il primo e necessario atteggiamento da assumere è appunto quello dell’ascolto: “Preferiamo fare molte cose, o cercare distrazioni. Eppure sono l’ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro, ad aiutarci a vivere il presente non solo come tempo del soddisfacimento dei bisogni, ma anche come luogo dell’attesa, del manifestarsi di desideri che ci precedono e ci conducono oltre, legandoci agli altri uomini e rendendoci tutti compagni nel meraviglioso e misterioso viaggio che è la vita”[9].

Comprendiamo, allora, perché in tutte le relazioni è risuonato, come un martellante ritornello, l’invito a mettersi in ascolto. E padre Cencini ci ha ricordato che la qualità della nostra pastorale deriva direttamente dalla qualità del nostro ascolto. Non dimentichiamo che l’ascolto è sempre rischioso; per questo si preferisce stordirsi immergendosi nell’azione, anziché riservare spazi per la riflessione: “La radice della fede biblica sta nell’ascolto, attività vitale, ma anche esigente. Perché ascoltare significa lasciarsi trasformare, a poco a poco, fino ad essere condotti su strade spesso diverse da quelle che avremmo potuto immaginare chiudendoci in noi stessi”[10].

Una prima e importante forma di coordinamento tra PG, PF e PV potrà essere quella di creare degli “Osservatori sul territorio”, così come si auspicava al Convegno ecclesiale di Palermo, capaci di percepire i cambiamenti e di offrire delle adeguate indicazioni pastorali. “La comunità cristiana deve costituire il grembo in cui avviene il discernimento comunitario, indicato nel Convegno ecclesiale di Palermo del 1995 come scuola di comunione ecclesiale e metodo fondamentale per il rapporto Chiesa mondo”[11].

 

Perché?

In una “cultura antivocazionale”, dove si va delineando il volto di un uomo “senza vocazione”, non ci possiamo permettere il lusso di restare inerti in attesa di tempi migliori. Si rende necessario adoperarsi per orientare in senso cristiano la cultura nella consapevolezza – come ci ha ricordato il Papa al Convegno ecclesiale di Palermo – che “un Vangelo che non si incultura non è pienamente accolto né interamente pensato e vissuto, e un cultura che non trae dalla fede aperture e correzioni inedite non è in grado di rispondere alle esigenze più profonde della persona”.

Infatti, l’ascolto che ci è proposto dagli Orientamenti, si deve necessariamente esprimere in una duplice direzione: “Se vogliamo adottare un criterio opportuno dal quale lasciarci guidare per compiere un discernimento evangelico, dovremo coltivare due attenzioni tra loro complementari”[12]. “La prima consiste nello sforzo di metterci in ascolto della cultura del nostro mondo, per discernere i semi del Verbo già presenti in essa, anche al di là dei confini visibili della Chiesa. Ascoltare le attese più intime dei nostri contemporanei, prenderne sul serio desideri e ricerche, cercare di capire che cosa fa ardere i loro cuori e cosa invece suscita in loro paura e diffidenza, è importante per poterci fare servi della loro gioia e della loro speranza”[13]. L’ascolto attento della cultura presente nella nostra società ci porta ad affermare che ci troviamo dinanzi ad una svolta antropologica. I Vescovi italiani hanno avvertito il bisogno di soffermarsi a riflettere su questa tematica nelle ultime due loro Assemblee[14]. Il quadro culturale attuale si va distaccando dal suo riferimento alle radici evangeliche e prende sempre più piede una nuova visione dell’uomo. “Già nell’ormai lontano 1975 Paolo VI ammoniva la Chiesa tutta a riconoscere come la rottura tra Vangelo e cultura fosse senz’altro il dramma per eccellenza della nostra epoca. I cristiani possono fecondare il tempo in cui vivono solo se sono continuamente attenti a cogliere le sfide che provengono dalla loro storia, e se si esercitano a rispondervi alla luce del Vangelo”[15].

Che fare? Non possiamo limitarci ad essere spettatori passivi del cambiamento. È quanto ebbe ad affermare il Card. Ruini: “Vorrei innanzitutto esprimere il mio convincimento che tali mutamenti non sono arrestabili o capovolgibili, almeno per l’aspetto non accidentale né secondario per il quale si radicano nella ragione scientifico-tecnologica: una battaglia in questo senso sarebbe perduta in partenza. Ma ciò non significa che i mutamenti stessi non siano orientabili da parte di un cristianesimo ‘interamente pensato e fedelmente vissuto’ – per usare le parole del Papa nel Discorso del 1982 al Congresso nazionale del MEIC –, capace come tale di influire anche sulle forme, e soprattutto sulle interpretazioni della conoscenza scientifica e tecnologica, per renderle più aperte e al contempo più consapevoli dei propri limiti… È possibile una critica dell’attuale cultura ‘pubblica’ e del suo distacco dalla vita e dagli interessi vitali, così da ricondurla e quasi costringerla a fare i conti con il Vangelo, resistendo alla pretesa di ridurre il cristianesimo a una mera eredità culturale, disponibile per tutti gli usi”[16]. E il Segretario generale della CEI osserva: “Ci troviamo di fronte alla sfida per cui, se non vogliamo ridurre la nostra presenza nella storia a quella di un piccolo gregge – pur importante e necessario nella sua funzione di segno – ma vogliamo diventare testimoni efficaci in ordine all’influsso che il Vangelo può e deve avere nel modellare l’ethos civile, abbiamo bisogno di chiederci quale volto deve assumere una comunità cristiana che voglia far precedere (per disporre il terreno) e far seguire (per evidenziarne i frutti) l’annuncio della Parola e la celebrazione dei misteri da un’azione culturalmente significativa, perché plausibile e persino progettualmente affascinante”[17].

E in ben due Messaggi per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni il Papa ci ha chiesto di assumere seriamente questo impegno. “È necessario promuovere una cultura vocazionale che sappia riconoscere ed accogliere quell’aspirazione profonda dell’uomo, che lo porti a scoprire che solo Cristo può dirgli tutta la verità sulla sua vita… Questa cultura della vocazione è alla base della cultura della vita nuova, che è vita di gratitudine e di gratuità, di fiducia e di responsabilità; in radice, essa è cultura del desiderio di Dio, che dà la grazia di apprezzare l’uomo per se stesso, e di rivendicarne incessantemente la dignità di fronte a tutto ciò che può opprimerlo nel corpo e nello spirito”[18]. “L’ascolto della Rivelazione divina, la meditazione silenziosa, la preghiera di contemplazione e la sua traduzione in esperienza di vita costituiscono il terreno nel quale fiorisce e si sviluppa un’autentica cultura vocazionale”[19].

E in questo impegno, che coinvolge necessariamente tutta quanta la comunità cristiana, la PG, la PF e la PV sono chiamate a coordinare maggiormente la loro azione.

Ecco, dunque, un ulteriore obiettivo su cui sono chiamate a convergere le tre pastorali. Si rende necessario soprattutto favorire un maggiore coinvolgimento delle nostre comunità nel progetto culturale e qualificare ed intensificare la presenza cristiana nella scuola, come più volte ci ha detto Mons. Lanza.

Significativo è a tale proposito quanto è affermato in un recente documento: “La promozione di una nuova cultura vocazionale è una componente fondamentale della nuova evangelizzazione. Attraverso di essa occorre far «ritrovare coraggio e gusto per le domande grandi, quelle relative al proprio futuro». Sono domande che vanno risvegliate anche attraverso percorsi educativi personalizzati per mezzo dei quali condurre progressivamente a scoprire l’esistenza come dono di Dio e come compito. Tali percorsi possono configurare un vero itinerario di maturazione vocazionale, che porti alla scoperta di una vocazione specifica. Le persone consacrate sono particolarmente chiamate a promuovere nella scuola la cultura della vocazione. Sono un segno per tutto il popolo cristiano non solo di una determinata vocazione, ma anche del dinamismo vocazionale come forma di vita, rappresentando in modo eloquente la decisione di chi vuol vivere attento alla chiamata di Dio”[20].

 

Con quale obiettivo?

A che cosa deve mirare il coordinamento tra la PG, PF e PV? Innanzitutto “Ripartire da Cristo”, favorire cioè l’incontro dei giovani con Cristo! “L’attenzione a ciò che emerge nella ricerca dell’uomo non significa rinuncia alla differenza cristiana, alla trascendenza del Vangelo, per acquiescenza alle attese più immediate di un’epoca o di una cultura… Vi è una novità irriducibile del messaggio cristiano: pur additando un cammino di piena umanizzazione, esso non si limita a proporre un mero umanesimo”[21].

“Condurre i giovani a Cristo” è stato anche l’appello rivoltoci con forza in questi giorni sia dal Card. Ruini sia dal Card. Grocholewski nelle loro omelie. Essi hanno fatto risuonare nelle nostre celebrazioni quanto scriveva il Papa: E lo condusse da Gesù. Sta qui, in un certo senso, il cuore di tutta la pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende cura della nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito”[22]. E Mons. Betori nella sua omelia ci ha messo in guardia dal ridurre il cristianesimo ad una semplice proposta di valori, senza che emerga con sempre maggiore chiarezza l’identità di Cristo e la decisione di seguirlo. Ricordiamo quanto hanno scritto i Vescovi italiani: “L’esperienza cristiana non è generica proposta di valori, e neppure un’etica dell’amore: è incontro decisivo e concreto con Gesù Cristo. Un incontro che permette di riconoscere Gesù come Maestro e Signore e se stessi come discepoli. Credere comporta per natura sua un progetto globale di vita… La prassi pastorale deve favorire questo incontro personale con Cristo e andare oltre le proposte generiche. In particolare, ‘la pastorale giovanile crescendo genera la proposta vocazionale specifica’”[23]. E Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte ha ribadito con forza: “Non una formula ci salverà, ma una persona: Gesù Cristo!”. Non si può dare per scontato, come a volte avviene, che i giovani abbiano scelto Cristo e si impegnino a seguirlo (cfr. RdC 57), anche se frequentano i nostri gruppi e le nostre comunità. I Vescovi italiani hanno lanciato un grido di allarme per “il crescente analfabetismo religioso delle giovani generazioni, per tanti versi ben disposte e generose, ma spesso non adeguatamente formate all’essenziale dell’esperienza cristiana e ancor meno a una fede capace di farsi cultura e di avere impatto sulla storia”[24]. È necessario evangelizzarli, perché – come affermò il Card. Tettamanzi al Sinodo europeo – “se in passato si battezzavano i convertiti, oggi bisogna convertire i battezzati”. Del resto i Vescovi italiani hanno recentemente affermato che “la missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza”[25].

Pertanto, la prima preoccupazione di ogni educatore nella fede, soprattutto degli animatori vocazionali, deve essere non tanto quella di informare, quanto piuttosto quella di aiutare i giovani a lasciarsi “conformare a Cristo, fino ad assumere il suo stesso sentire (cfr. Fil 2,5)[26]. E dove Cristo si presenta con tutta la sua forza dirompente capace di sconvolgere quei piccoli progetti di vita condizionati dal soggettivismo e dall’edonismo, o appiattiti sul presente, spalancando per ogni battezzato strade inedite di vita su cui camminare? Sulla Croce! Infatti, “la croce è diventata la suprema cattedra per la rivelazione della sua nascosta e imprevedibile identità: il volto dell’amore che si dona e che salva l’uomo condividendone in tutto la condizione, ‘escluso il peccato’ (Eb 4,15). La Chiesa non lo dovrà mai dimenticare: sarà questa la sua strada a servizio dell’amore e della rivelazione di Dio agli uomini”[27]. Ogni educatore cristiano che accompagna i giovani sul cammino verso la maturità di fede-vocazionale non potrà mai evitare di sostare insieme con loro sul Calvario e “volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). Dalla Croce parte la strada che conduce il credente all’autentica realizzazione: “nel dono sincero di sé” (GS 24).

 

Quando?

Quando incominciare ad aiutare i battezzati ad assumere come stile della loro vita la logica del “dono di sé”? Consapevoli che questo non è un atteggiamento che si possa improvvisare, si rende indispensabile far convergere le nostre forze e le nostre azioni perché innanzitutto le famiglie siano luoghi in cui il bambino fin dal suo nascere possa sperimentare di essere accolto, stimato ed amato, e sia anche aiutato ad allenarsi a saper amare con cuore limpido. “L’importanza dello spazio educativo familiare, in cui ogni genere di vocazione cresce e matura, chiede di stabilire un ponte sicuro tra la pastorale familiare e la pastorale vocazionale, per una reciprocità feconda”[28]. È quanto ci ha ricordato don Nicolli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la PF.

La vocazione, lungi dall’essere un cammino percorso da “single” con la mania della perfezione e la costante preoccupazione di “salvarsi l’anima”, provoca tutti a camminare accanto ai fratelli facendo risplendere, nella fedeltà alla vocazione ricevuta, il volto dell’Amore. “Allo svelamento del volto di Dio noi possiamo contribuire per grazia, nella consapevolezza che in quest’opera di annuncio noi stessi approfondiamo la sua conoscenza”[29]. Infatti, “ogni forma di amore – il perdono, il dono di sé, la condivisione, e mille altre ancora – è il luogo in cui trapela per ognuno di noi qualche raggio dell’eternità. Perché la vita eterna è l’amore” [30]. L’Amore è dunque il cuore pulsante in ogni vocazione!

Non possiamo che accogliere quanto ci ha chiesto don Giulietti, direttore del Servizio Nazionale di PG: “È necessario che la PV non si preoccupi solo dell’esito finale del cammino di discernimento e dell’eventuale vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata, ma sia attenta alla crescita globale e armonica di tutta la vita del giovane”. Ma in questo non possiamo che far convergere le nostre forze. In modo particolare, e questo la PV lo riscontra costantemente, è indispensabile, se vogliamo che sorgano delle vocazioni capaci di superare l’usura del tempo, educare le giovani generazioni al senso di responsabilità: “Rimane vero, che per amare da persone adulte, mature e responsabili, bisogna saper assumere tutte le responsabilità della vita umana: studio, acquisizione di una professionalità, impegno nella comunità civile. Le esperienze forti possono tanto giovare quanto più si coniugano con i cammini ordinari della vita che consistono nell’operare scelte di cui poi si è responsabili”[31].

E perché questo si realizzi è richiesta la collaborazione da parte di tutti, evitando di delegare alla sola PF questo compito. Soprattutto in famiglia è necessario che la trasmissione della fede sia accompagnata da stili di vita cristiana. “Nella famiglia autenticamente cristiana i giovani trovano l’ambiente adatto per una sana educazione umana, affettiva e psicologica, e per un’apertura generosa alla vita e al dono di sé”[32]. Essa, infatti, “è il luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, nonché dell’esperienza e della trasmissione della fede”[33]. Potremmo aggiungere che è proprio nella famiglia che ci si incontra con i primi testimoni di una vita vissuta nell’amore, come risposta ad una vocazione.

 

Con quale proposta?

Se non si vuole rischiare che tante risorse deposte nell’animo dei giovani restino inutilizzate a causa della nostra superficialità e di una nostra testimonianza di vita mediocre, incapace non solo di affascinare, ma anche semplicemente di far emergere quelle domande di senso, molto spesso inascoltate nel cuore dei giovani e degli adulti, è necessario che non ci limitiamo ad una proposta generica, ma insieme ci impegniamo ad accompagnarli in un’adesione sempre più piena e consapevole al dono della fede e in una risposta sempre più coinvolgente al progetto di Dio, tale da orientare tutta la propria vita. In tutto questo “non possiamo dimenticare lo spazio proprio della pastorale giovanile. Se essa mette al centro dell’attenzione e dei programmi la persona di Cristo vivo nella Chiesa, il cuore delle ragazze e dei giovani si apre alla vocazione, cioè a una visone della vita come risposta a una chiamata. È necessario progettare cammini progressivi di formazione, che alla fine non possono non diventare esplicitamente vocazionali”[34].

Per questo è indispensabile non solo una maggiore collaborazione tra PG e PV, pur nel rispetto delle specifiche competenze, ma è indispensabile che la PG conduca “naturalmente” il giovane a porsi quella domanda che può dare senso e valore a tutta la propria vita: “Signore, che vuoi che io faccia?”.

Non possiamo fare a meno di ricordare quanto è scritto nel Documento conclusivo del Congresso europeo sulle vocazioni: “Quanti giovani non hanno accolto l’appello vocazionale non perché ingenerosi e indifferenti, ma semplicemente perché non aiutati a conoscersi, a scoprire la radice ambivalente e pagana di certi schemi affettivi; e perché non aiutati a liberarsi delle loro paure e difese, consce ed inconsce, nei confronti della vocazione stessa… La sincerità è un passo fondamentale per giungere alla verità, ma è necessario un aiuto esterno per vedere bene all’interno. L’educatore vocazionale, allora, deve conoscere i sotterranei del cuore umano per accompagnare il giovane nella costruzione dell’io vero”[35]. Non dobbiamo aver paura di fare proposte vocazionali chiare e radicali. Ricordiamo: proposte vocazionali deboli generano vocazioni deboli!

 

Dove?

Non si può concludere questo Convegno, che ci ha visti impegnati nel ricercare insieme quelle modalità che possono favorire un “maggiore coordinamento” tra PF, PG e PV, senza chiederci quale sia il “luogo” in cui si debba realizzare maggiormente questo coordinamento tra le tre pastorali. La presenza questi giorni dei Direttori nazionali della PF, PG e PV ci fa intuire immediatamente che un primo livello di coordinamento è auspicabile innanzitutto a livello nazionale, di vertice, potremmo dire, se questo non suonasse come un distacco dalla vita delle nostre comunità. Un secondo e necessario livello di coordinamento bisognerebbe realizzarlo a livello regionale. A questo proposito va detto che in alcune regioni sono in atto delle buone esperienze, anche grazie alla celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che ha richiesto per la sua realizzazione la collaborazione soprattutto dei responsabili regionali della PG e PV. 

Non va, però, dimenticato che le proposte pastorali sia a livello nazionale che a livello regionale debbono necessariamente fare i conti con la vita delle nostre diocesi e, in ultima analisi, porsi a servizio delle parrocchie. Don Roggia nella sua relazione e Mons. Betori nella sua introduzione alla tavola rotonda con i Direttori nazionali della PF, PG e PV ci hanno sollecitati a non prescindere dal costante riferimento alle comunità parrocchiali. L’invito dei Vescovi italiani, rilanciato in questo Convegno da Mons. Betori, a “recuperare la centralità della parrocchia” (CVMC 47) si traduce, soprattutto per noi animatori vocazionali, nell’impegno ad andare lì dove la gente vive e non creare delle “aree protette” o delle “serre” in cui delimitare l’annuncio e la proposta vocazionale per pochi “eletti”. “La parrocchia è il luogo per eccellenza in cui va proclamato l’annuncio del Vangelo della vocazione e delle singole vocazioni, tanto da doversi pensare come comunità vocazionale, ministeriale e missionaria”[36].

Nel prossimo futuro dovremo necessariamente misurarci con la sfida di realizzare il coordinamento tra PF, PG e PV soprattutto nelle parrocchie. Può illuminarci in questo impegno quanto scriveva il Papa: “Le varie componenti e i diversi membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale renderanno tanto più efficace la loro opera quanto più stimoleranno la comunità ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sentire che il problema delle vocazioni sacerdotali non può minimamente essere delegato ad alcuni ‘incaricati’ (i sacerdoti in genere, i sacerdoti del seminario in specie) perché essendo ‘un problema vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa’, deve stare al centro dell’amore di ogni cristiano”[37].

Questo coordinamento tra PF, PG e PV deve puntare decisamente a far sì che, soprattutto i presbiteri, riscoprano la gioia del ministero di accompagnamento spirituale. “Nelle comunità si avverte un accresciuto bisogno di iniziatori e di accompagnatori nella vita spirituale: i presbiteri devono valorizzare sempre più la loro missione di padri nella fede e di guide nella vita secondo lo Spirito, evitando con grande cura di cadere in un certo ‘funzionalismo’”[38]. Il raggiungimento di questo obiettivo comune eviterà che nelle parrocchie ci si limiti al semplice annuncio o proposta vocazionale; è indispensabile impegnarsi anche ad accompagnare coloro che hanno percepito la chiamata di Dio e a sostenerli nella risposta. Tutto questo nella profonda convinzione che “Dio ci ha fatti venire all’esistenza con la sua parola, ci ha pensati e amati da sempre e chiama ciascuno per nome”[39] (CVMC 26).

 

Conclusioni

Il direttore del CNV, don Bonari, nella sua introduzione auspicava che si passasse da un “amore preoccupato” verso i giovani ad un “amore occupato”. Sarà questo il nostro impegno ora che torniamo nelle nostre comunità, ricordando quanto ci diceva Mons. Pittau nella sua omelia: “Siamo chiamati ad un amore gratuito, disinteressato, libero e liberante. Non preoccupati, cioè, delle nostre vocazioni, ma di far sorgere vocazioni nella Chiesa a servizio dei fratelli”. Se il nostro amore non sarà tale rischieremo se non di ascoltare dalle labbra dei giovani, forse di leggere sul loro volto quanto scriveva un poeta francese:

“Tu dici che ami la pioggia e chiudi la finestra. 

Tu dici che ami i fiori e tagli loro il gambo. 

Tu dici che ami i pesci e li peschi e li mangi. 

Allora quando dici che mi ami, ho paura”.

 

 

 

 

Note

[1] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 51.

[2] Prefazio delle domeniche ordinarie IX.

[3] CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 46. 

[4] CEI, Educare i giovani alla fede, 2.

[5] CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, 25.

[6] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 51. 

[7] AG 2.

[8] EN 14.

[9] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2. 

[10] Ibidem, 13.

[11] Ibidem, 50.

[12] Ibidem, 34. 

[13] Ivi.

[14]“Superato il pericolo delle antropologie dichiaratamente dualiste, si assiste al diffondersi di orientamenti a forte caratterizzazione naturalistica, in cui l’unità del soggetto umano è frutto della sua riduzione alla sola dimensione materiale. A ciò contribuiscono certe interpretazioni dei risultati della ricerca neurologica, come pure determinate teorie sulle cosiddette ‘intelligenze artificiali’. La conseguente visione scientista dell’uomo entra in collisione con la concezione cristiana della persona umana, in quanto costituisce una pratica negazione della sua trascendenza e della sua chiamata a una vita personale oltre la morte” (Comunicato finale del Consiglio permanente di gennaio 2002).

“Si è sottolineato, inoltre, che prima del pluralismo religioso, la questione più radicale e più densa di conseguenze per la pastorale è quella ‘culturale’: la centralità cristologica impone una riflessione antropologica. Lo stesso Cardinale Presidente, nella sua prolusione, ha posto l’accento sulla questione antropologica, perché l’attuale cultura pragmatica e scientista, a differenza del passato, anche non lontano, tende non soltanto a interpretare l’uomo, ma soprattutto a trasformarlo” (Comunicato finale dei lavori della XLIX Assemblea Generale dei Vescovi italiani).

“L’aver posto al centro del dibattito assembleare la questione antropologica ha determinato anche una convergenza su alcune priorità, in continuità con gli Orientamenti pastorali per questo decennio: necessità di prestare maggiore attenzione a coloro che operano nel campo della ricerca e della divulgazione scientifica, quasi l’avvio di una pastorale dell’intelligenza’…; incoraggiamento ai giovani a guardare agli studi scientifici e alla ricerca come ambiti di particolare rilevanza per la testimonianza della fede; assunzione della formula di dialogo e della ricerca proposta dal progetto culturale quale paradigma permanente per promuovere, anche in ambito locale, il confronto con esponenti del mondo scientifico; educazione dei credenti alla capacità di coniugare l’esperienza di fede con la necessità di dare ragione della speranza cristiana, utilizzano tutti gli strumenti che le scienze oggi mettono a disposizione dell’uomo” (Comunicato finale dei lavori della XLIX Assemblea Generale dei Vescovi italiani).

[15] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 50.

[16] CARD. CAMILLO RUINI, Relazione introduttiva al terzo Forum del progetto culturale, svoltosi a Pieve di Cento (BO) il 24 e 25 marzo del 2000.

[17] G. BETORI, Il tema del Convegno ecclesiale nazionale, Assemblea Generale della CEI: Collevalenza, 18-21 novembre 2002.

[18] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXX GMPV, 2.

[19] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXXIV GMPV, 3.

[20] CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Le persone consacrate e la loro missione nella scuola, 56.

[21] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 35.

[22] GIOVANNI PALO II, Pastores dabo vobis, 38.

[23] CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, 5.

[24] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 40. 

[25] Ibidem, 32.

[26] Ibidem, 33.

[27] Ibidem, 14.

[28] CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, 15. 

[29] Ibidem, 34.

[30] Ibidem, 28.

[31] Ibidem, 51.

[32] Ibidem, 15.

[33] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 52.

[34] CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, 24. 

[35] CONGRESSO EUROPEO PER LE VOCAZIONI, Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, 35a. 

[36] CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, 18.

[37] GIOVANNI PALO II, Pastores dabo vobis, 41.

[38] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 53. 

[39] Ibidem, 26.