N.03
Maggio/Giugno 2004

L’attenzione alla persona come elemento essenziale di ogni progetto educativo

Il 5 giugno 1988, nell’anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Don Bosco, il card. Ballestrero, allora arcivescovo di Torino, scrive una lettera pastorale al clero torinese sulla figura di san Giovanni Bosco, sacerdote di Cristo e della Chiesa. Parlando dell’apostolato vocazionale del santo, il cardinale dice testualmente: Vorrei ancora, in connessione con questo apostolato dell’oratorio, richiamare l’attenzione del nostro clero su una promozione vocazionale che ha tanto caratterizzato l’azione di san Giovanni Bosco. Si è perfino potuto dire di lui che era un fabbricante di preti, ma non lo fu. Fu un suscitatore di fedeltà a misteriose vocazioni, fu un convincente apostolo della bellezza della vita consegnata a Dio per i progetti di Dio. Renda noi capaci, san Giovanni Bosco, di credere in questo miracolo del Signore nei nostri tempi e per i nostri tempi.

L’ideale di Don Bosco – essenzialmente raccolto attorno a tre prospettive che costituiscono l’ossatura della sua scelta pastorale tra e per i giovani – e precisamente: formare giovani alla profondità dell’esperienza cristiana, a dare un senso alla vita e a diventare cittadini esemplari per onestà e rettitudine è ancora e forse più che al tempo di san Giovanni Bosco di grande attualità. Qualsiasi sia la scelta vocazionale alla quale il Signore ci chiama non dobbiamo mai dimenticare che prima di tutto “vocazione” è per tutti chiamata all’amore nel dono sincero di sé.

Solo una personale e profonda esperienza di incontro e di comunione con Gesù, solo un’immagine di sé come progetto di Dio e solo un’intelaiatura umana che fa della fede la sorgente di ogni comportamento morale permette ad un giovane oggi di aprirsi alle scelte vocazionali secondo il cuore di Dio.

Dal punto di vista squisitamente pedagogico mi sembra che Don Bosco ci abbia insegnato l’arte della attenzione alla persona come elemento essenziale di ogni educazione. Una persona che va aiutata con ogni mezzo a diventare quello che è: un figlio amato e atteso dal Padre della vita e dell’amore.

Se la pastorale vocazionale è autentica produce generalmente e necessariamente l’esigenza personale di un discernimento vocazionale che non può prescindere dall’aiuto fraterno e paterno di una guida spirituale. È del tutto normale trovare un giovane che – ad un certo punto del suo cammino di crescita e di ricerca – si rivolge al “suo” prete e gli chiede aiuto per capire meglio se stesso, le attese del Signore e il modo per rispondere a tali attese. Meno normale che questo prete inizi e pretenda di saper onorare questo servizio prezioso senza essersi adeguatamente attrezzato per una risposta a tali domande che sia secondo il cuore di Dio.

La direzione spirituale è, infatti, forma della paternità e maternità che viviamo come Chiesa e, nella Chiesa, viviamo come donne e uomini se siamo capaci di vera sponsalità e fecondità spirituale. Insomma l’essere guide spirituali è primariamente modalità spirituale di conformazione a Cristo sposo e generatore di vita. Con lui e a partire da lui si diviene guida spirituale e si onora questo ministero prezioso in proporzione a quanto “è questione di cuore” come ci ricorda il santo salesiano. Poi e per questo, l’aiuto delle scienze umane, utile in proporzione a quanto serve una vera passione per l’uomo e per la vita che soltanto Gesù può comunicare a coloro che si rendono, nel suo nome, disponibili a generare vita nei loro fratelli. È la vita che genera vita. È la vita di Cristo nelle guide che genera figli secondo il suo cuore. Su questo mi sembra che si debba ancora crescere molto e tutti nelle nostre comunità cristiane.