N.03
Maggio/Giugno 2005

La pedagogia spirituale della piccolezza

Con l’affermazione di Congar riguardo Santa Teresa di Lisieux come “Faro che illumina il nostro secolo” desidero iniziare questa conferenza che mi è stata affidata e che ha per titolo “La pedagogia spirituale della piccolezza” tenendo in conto che ogni cammino educativo presuppone sempre due momenti: uno esperienziale e l’altro d’insegnamento.

In questa prospettiva ho diviso la mia esposizione in due blocchi. Nella prima parte tenterò di presentare il cammino che Teresa ha fatto nella sua vita personale, un cammino che è da una parte esperienza della sua piccolezza e al contempo scoperta dell’amore misericordioso di Dio che l’avvolge e la guida in tutte le circostanze, un amore preveniente che le dà la possibilità di fare della sua piccolezza l’arma vincente per divenire Santa.

Nella seconda parte, cercherò di concretizzare gli insegnamenti che Teresa ci può offrire oggi in un cammino di crescita ed accompagnamento vocazionale.

In un mondo come il nostro dove la potenza e il dominio sono il pane quotidiano, dove il sentirsi autosufficienti è il presupposto per ogni forma di realizzazione umana, questa Santa ci ricorda che la logica del Vangelo è proprio il contrario di tutto ciò: la santità è possibile nella misura in cui l’uomo rinuncia a bastare a se stesso e si apre con fiducia e abbandono all’opera di Dio nella sua vita.

 

 

Un cammino umano e spirituale: la “piccola via”di Teresa di Lisieux

La personalità come la spiritualità di Teresa di Lisieux spesso sono considerati come qualcosa di estremamente semplice, quasi scontato: in realtà la sua figura è uno dei grandi “enigmi” della santità cristiana. Durante la vita, che cosa ha fatto? Nulla degno di particolare attenzione: una vita famigliare normale, una vita claustrale senza nessun avvenimento straordinario; muore giovanissima… qual è allora il segreto di questa vita? Che cosa realmente costituisce la sua grandezza straordinaria nel mondo dello spirito e della santità cristiana?

È certamente difficile rispondere a questa domanda, perché è difficile “entrare” nel mistero di una persona ma, attraverso i suoi scritti abbiamo la possibilità di conoscerla un po’ di più e di cominciare a penetrare nel “mistero” di Teresa: certamente ella scrive per far conoscere la sua dottrina ma è soprattutto la sua esperienza di fede che ci può e deve illuminare. Ciò che essa dice alla Chiesa, ciò che dice all’uomo, lo dice prima di tutto con la sua esperienza di fede. Teresa va al Vangelo, al Vangelo puro e semplice e chiede di esserne completamente pervasa. E che cosa è il Vangelo per Teresa? Per Teresa è il puro, gratuito, incondizionato Amore del Padre. Teresa afferma il primato assoluto della Grazia del Padre, cioè la sua incomprensibile decisione di amarci come ama il Figlio nello Spirito Santo. Tutta la vita cristiana in fondo consiste, per Teresa, in due parole soltanto, parole molto semplici ma difficili a viversi: “lasciarsi amare”. Questo è tutto il Vangelo! creduto, e ci ha creduto così da poter fondare su questa fede tutta la sua vita, ogni sua certezza. E da questa certezza dell’amore divino in lei è derivato il potersi donare senza misura, senza ripiegamenti verso di sé. Sapeva e sentiva che proprio nel donarsi fino in fondo ella avrebbe vinto, perché Dio viveva in lei.

Per comprendere la singolare esperienza di Teresa è necessario conoscere la mentalità spirituale del suo tempo: in Francia regna il giansenismo e la spiritualità è “riparatrice”. Dio è il giudice: colui che fa i conti, ricompensa o castiga. Al contempo l’impegno richiesto ad ogni credente è in riferimento alla conquista dei meriti, alla mortificazione e alla penitenza: il corpo deve essere mortificato per liberare lo spirito.

In altre parole ci si avvicina a Dio cercando di offrirgli qualcosa per poter poi ricevere da Lui un contraccambio. L’iniziativa è presa dall’uomo e in un certo senso è l’agire umano che condiziona l’agire divino. In questo ambiente di moralismo molto rigido, spirito di penitenza e mortificazione, Teresa mette al primo posto il dinamismo dell’amore: “Sono di una natura tale che il timore mi fa indietreggiare; con l’amore non solo vado avanti ma volo” (MA 228). Solo l’amore riempie la sua vita, lei che ebbe l’esperienza dolorosa della sua fragilità affettiva, delle sue sofferenze interiori e della sua impotenza, passerà da un amore di sentimento ad un amore di sacrificio e donazione. Gli atti di volontà sono per lei un’esigenza imprescindibile per poter compiere i disegni di Dio su di lei e vive le grandi sofferenze nell’amore senza perdere mai il sorriso e la pace.

Questo Amore che per Teresa è l’obbiettivo principale della sua fede e della sua vita, ha un carattere particolare, è un amore misericordioso. E questo significa che Dio ci ama senza nessun nostro merito e a partire dalla nostra miseria. L’amore di Dio ci viene donato al di là di tutti i meriti e di tutti i diritti. L’amore misericordioso è un amore infinito che Dio solo conosce e possiede; un amore che sempre sa aspettare e che si espande gratuitamente e largamente, un amore offerto a tutti senza nessuna riserva. È un amore libero, gratuito, preveniente e ricolmo di tenerezza, sempre disposto a perdonare. Teresa fa l’esperienza di un’immensità d’amore che cresce con la sua stessa esistenza, si sente inondata da questo amore in tutta la sua vita anche nei momenti più difficili e drammatici.

“Il fiore che racconta qui la sua storia si rallegra perché farà conoscere le premure tutte gratuite di Gesù: non ha niente lui – e lo sa bene – che possa attrarre lo sguardo di Dio, ed anche sa che la sola misericordia divina ha fatto tutto il buono esistente in Lui” (MA 11). Questa scoperta è per Teresa l’esperienza fondante della sua esistenza: capisce che alla scoperta e soprattutto all’esperienza di questo amore misericordioso, amore paterno-materno di Dio, deve corrispondere il suo amore filiale impregnato di fiducia e di abbandono sconfinato in Lui, perché “l’amore si paga soltanto con l’amore” (MB 256).

Teresa impara a contemplare l’amore di Dio e a farne il centro di tutta la sua esistenza, la sua forza risiede in un atteggiamento interiore di dimenticanza di se stessa e di orientamento esclusivo verso Dio, che riempie il suo cuore. Non altro amore che il Signore! Non rinuncia all’ascesi, alle mortificazioni e ai sacrifici ma li fa non per timore del castigo o per ottenere un premio ma solo per amore.

Per Teresa Gesù è tutto; lei non è niente. Cita questo testo di Isaia del quale ha una traduzione particolare: “Come una madre carezza il suo bambino, così io vi consolo” (Is 66,13). E ancora: “Vi porterò sul mio seno e vi carezzerò sulle mie ginocchia” (Is 66,12). Ella ha fiducia in quelle parole del Vangelo dove Gesù dice: “Benedetto sei tu Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10,21).

In questo modo con grande pazienza, che fu un fattore molto importante nel suo progresso spirituale, Teresa si modella al progetto di Dio come la creta nelle mani del vasaio. E la risposta a questo progetto di Dio su di lei si concretizza nella sua consacrazione all’Amore misericordioso con l’unico scopo di rispondere all’Amore con un atto di amore perfetto: “Per vivere in un atto di perfetto amore, mi offro come vittima di olocausto al vostro Amore misericordioso, supplicandovi d’immolarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i flutti d’infinita tenerezza che sono racchiusi in voi, e così possa diventare martire del vostro amore, o mio Dio!… Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a voi, mi faccia infine morire e la mia anima si slanci senza alcuna sosta verso l’eterno abbraccio del vostro Amore misericordioso” (Atto d’offerta all’Amore Misericordioso).

Da queste parole è evidente che l’Amore misericordioso ha invaso tutta la vita di Teresa e l’ha trasformata purificandola e facendole scoprire la grandezza della sua povertà e piccolezza. È per questo che non si spaventa quando si rende conto di non possedere nessuna virtù e quando sente di non aver nessuno slancio nel praticarla: “Che grazia quando al mattino non ci sentiamo un briciolo di coraggio, un briciolo di forza per praticare la virtù… È il momento difficile e si è tentati di lasciar perdere tutto, ma basta un atto di amore, sia pur non sentito” (Lett. 39 a Celina, 20 ottobre 1888). Teresa ha detto: “A Gesù piace mostrarmi il solo cammino che conduca alla fornace divina, cioè l’abbandono del bambino il quale si addormenta senza paura tra le braccia di suo Padre” (MB 242). È questo il cammino che scopre e che le renderà possibile arrivare alla santità, un cammino realista che parte da una conoscenza limpida di se stessa, del suo essere nulla, della sua incapacità. Tutto questo non la scoraggia, al contrario si rafforza in lei il desiderio di diventare santa: “Lei lo sa, Madre mia, io ho sempre desiderato di essere una santa, ma ohimè! ho sempre constatato, quando mi sono paragonata ai santi, che c’è tra loro e me la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui cima si perde nei cieli e il granello di sabbia oscuro calpestato sotto i piedi dei passanti; invece di scoraggiarmi, io mi sono detta: il buon Dio non potrebbe ispirarmi desideri irrealizzabili, io posso dunque malgrado la mia piccolezza aspirare alla santità; farmi più grande, è impossibile, io debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni; ma io voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una piccola viamolto dritta, molto corta, una piccola viatutta nuova. Noi siamo in un secolo di invenzioni, ora non è più necessaria la fatica di salire i gradini di una scala, a casa dei ricchi un ascensore li sostituisce con vantaggio. Io vorrei anche per me trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la rude scala della perfezione.

Allora ho cercato nei libri santi l’indicazione dell’ascensore, oggetto del mio desiderio ed io ho letto queste parole uscite dalla bocca della Sapienza Eterna: Se qualcuno è piccolissimo, che venga a me. Allora io sono venuta, presagendo che avevo trovato quello che cercavo e volendo sapere, o mio Dio! quello che tu avresti fatto al piccolissimo che avrebbe risposto alla tua chiamata, ho continuato le mie ricerche ed ecco quello che ho trovato: Come una madre accarezza suo figlio, così io vi consolerò, io vi porterò sul mio grembo e vi cullerò sulle mie ginocchia! Ah! mai parole più tenere, più melodiose, sono mai venute a rallegrare l’anima mia, l’ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo, sono le tue braccia, o Gesù! Per questo io non ho bisogno di diventare grande, al contrario bisogna che io resti piccola, che io lo diventi sempre di più. O mio Dio, tu hai sorpassato la mia attesa e io voglio cantare le tue misericordie” (MC 271).

È la scoperta della “piccola via”. Una, come lei stessa ci dice, «piccola via» ben dritta e breve, “una «piccola via» tutta nuova (ib.), quella che più tardi chiamerà la sua “piccola dottrina”. La “piccola via” conduce all’autentica santità, Teresa seguendola ha voluto diventare una grande santa: “Io scelgo tutto”. È la risposta che dà a sua sorella Leonia quando le chiede di scegliere in un paniere alcuni pezzi di stoffa per fare dei vestiti per le sue bambole… “Io scelgo tutto” lo ripeterà più tardi quando il desiderio di diventare santa si fa concreto in lei: “Questo minimo tratto della mia infanzia è il riassunto di tutta la mia vita; più tardi, quando la perfezione mi apparve, capii che per diventare una Santa, bisognava…cercar sempre il più perfetto… Allora, come ai giorni della mia prima infanzia, esclamai: «Dio mio scelgo tutto». Non voglio essere una Santa a metà” (MA 37). La santità che Teresa desidera e propone non è una santità dolcificata o come oggi si direbbe light, al contrario si tratta di una santità eroica, una santità non fatta di visioni o fenomeni straordinari ma dell’eroicità del quotidiano.

Questa santità consiste nel compimento del proprio dovere, con amore e nella fede oscura solo per far piacere al suo Signore. Teresa esperimenta davanti a questa eroicità nel quotidiano, la sua piccolezza e debolezza. Scrive a sua cugina: “T’inganni mia cara, se credi che la tua Teresina cammini sempre con ardore nella via della virtù. Essa è debole, tanto debole. Tutti i giorni è costretta a farne di nuovo l’esperienza” (Lett. 87 a Maria Guérin, luglio 1890).

L’esperienza della debolezza è presente in tutta la vita di Teresa ed è la base della sua “piccola via”. Sono molte le manifestazioni di debolezza nella vita di Teresa. Si sente debole e poco coraggiosa di fronte alle sofferenze, è iperemotiva e ipersensibile, la basta un nulla per piangere. Entrata al Carmelo dice che ha trovato “più spine che rose” (MA 195). Soffre per l’aridità nella preghiera: “L’aridità era il mio pane quotidiano” (MA 207), soffre per il buio che avvolge la sua vita spirituale: “Gesù… mi ha presa per mano e mi ha fatto entrare in un sotterraneo dove non fa né freddo né caldo, dove il sole non risplende né cade la pioggia né tira il vento; un sotterraneo dove non scorgo che un distinto chiarore, quel chiarore che spandono intorno a sé gli occhi abbassati del volto del mio Fidanzato” (Lett. 90 a Madre Agnese, settembre 1890).

Teresa soffre anche per i rapporti in comunità: fa fatica ad accettare il carattere della sua compagna di noviziato; soffre perché le risulta difficile aprirsi con la sua Madre Maestra e con i confessori, soffre per come viene trattata dalla priora Madre Gonzaga, soffre per la presenza delle sue sorelle al Carmelo: Paolina e Maria. Soffre fino alla fine quando ormai stremata dalla tisi, si trova ad affrontare la prova più grande della sua vita: le tentazioni contro la fede (dalla Pasqua 1896 alla sua morte, 28 agosto 1897). Così esprime la sua angoscia indicando un punto oscuro del giardino: “Ecco, guardi, vede laggiù, accanto ai castagni quella buca nera, ove non si distingue più nulla?… È in una buca come quella che mi trovo io per l’anima e per il corpo. Ah! Si! Quali tenebre” (NV 28 agosto).

La misericordia del Padre compie la sua opera nella passione del Figlio: nella notte del suo abbandono. Teresa rivive il dramma della Passione, portando su di sé il peccato di oggi: l’incredulità. Essa sente dentro di sé la tentazione di pensare che la nostra vita è destinata alla notte del niente. In questo la Misericordia ha continuato la sua opera di salvezza, facendo portare a Teresa la croce della passione, nella condivisione del peccato del mondo moderno. La sua fragile persona diventa, nella partecipazione alla Passione di Cristo, la tavola di salvezza per i suoi fratelli increduli.

Qualche settimana prima di morire, fu chiesto a Teresa di spiegare che cosa intendesse per “restare piccoli davanti a Dio”. Ella rispose: “È riconoscere il proprio nulla, sperare tutto da Dio misericordioso, come un bambinello attende tutto dal suo babbo; è non inquietarsi di alcunché, non guadagnare ricchezze. Anche i poveri danno al bambino quanto gli è necessario, ma appena egli cresce, il padre non vuole più mantenerlo, e gli dice: lavora! Ora puoi bastare a te stesso. È per non sentirmi dire così che ho preferito non crescere; mi sentivo incapace di guadagnarmi la vita, la vita eterna del Cielo” (NV 6 agosto).

Che cos’è l’infanzia spirituale? Come interpretare l’espressione evangelica “Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”? L’esperienza spirituale di Teresa di Lisieux, ci istruisce: “Infanzia spirituale” non significa, nel suo messaggio, presunta innocenza dell’età infantile (come una valutazione superficiale dell’espressione potrebbe far pensare), o ancora nostalgia di un ritorno ai primi anni della vita quando era amata e coccolata da tutti.

Nel descrivere la grazia del Natale che ricevette nel 1886, la grazia della “conversione”, la descrive proprio come l’uscita dall’infanzia. “Non so come mi cullassi al dolce pensiero di entrare al Carmelo, visto che ero ancora nelle fasce dell’infanzia! Bisognò che il buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento e questo miracolo lo fece nel giorno indimenticabile di Natale. In quella notte luminosa che rischiara le delizie della Santissima Trinità, Gesù, il dolce piccolo Bambino di un’ora, cambiò la notte della mia anima in torrenti di luce. In quella notte nella quale Egli si fece debole e sofferente per mio amore, Egli mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì della sua armatura e da quella notte benedetta, non fui vinta in nessun combattimento; anzi camminai di vittoria in vittoria e cominciai, per così dire, una corsa da gigante” (MA 133).

Teresa quindi ci insegna a non fondare la fede sulla nostra volontà, sul nostro sforzo o sulla fiducia in se stessi. Lo dice per esperienza: aveva un grande desiderio, una grande forza di volontà, ma, nonostante tutto l’impegno per convertirsi dice di non esserci riuscita in dieci anni, ma Dio, in un istante, in una notte, ha fatto questa grazia per lei.

Teresa ora sa che può farcela perché non conta più su se stessa ma unicamente su Dio. Tutto questo richiede un atto di abbandono nelle mani della misericordia e un atteggiamento costante di totale fiducia. Abbandono fiducioso che non è aspettare che tutto cada dal cielo ma è offrire la totale disponibilità, consapevole che senza la grazia di Dio non può fare nulla, nemmeno muovere un dito. È questo l’inizio del cammino, l’importante è fare il primo passo perché Dio la prenderà subito fra le sue braccia. Teresa non ha bisogno di fare cose grandi, “Il nostro diletto non ha bisogno dei nostri pensieri originali, delle nostre opere strepitose” (Lettera a Celina, 23 aprile 1893). Bastano le piccole cose, quelle di ogni giorno, piccole cose ma fatte con amore: “Madre cara, lei vede che sono una piccolissima anima e non posso offrire al buon Dio che piccolissime cose… Ancora mi succede spesso di lasciarmi sfuggire quei sacrifici minuti che danno tanta pace all’anima; ma non me ne scoraggio, sopporto di avere un po’ meno di pace e cerco di essere più vigilante un’altra volta” (MC 328 ).

Questa certezza accompagna Teresa nella sua crescita umana e spirituale, la sua “piccola via” fatta di abbandono e fiducia la porterà a vivere la sua vita e la sua vocazione con una fedeltà senza limiti riconoscendo sempre il primato di Dio che si china, si abbassa sulla sua piccolezza riconosciuta ed accettata per colmarla e trasformarla: “La mia vita è fatta tutta di fiducia e amore, e non capisco le anime che hanno paura di un così tenero Amico… la perfezione mi sembra facile: vedo che basta riconoscere il proprio nulla e abbandonarsi come un bambino nelle braccia del buon Dio” (Lettera a P. Roulland, 9 maggio 1897). Teresa ha fatto sue le parole che un giorno il Signore ha rivolto a S. Paolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9).

 

 

Attualizzazione del messaggio di Teresa nell’itinerario di crescita umana e spirituale

Questa è stata la vita e l’esperienza umana e spirituale di Teresa di Lisieux. In questa seconda parte del mio intervento ci chiediamo: cosa può insegnare questa grande Santa all’uomo di oggi, ai nostri giovani, a noi che li accompagniamo nel cammino di discernimento spirituale? Teresa Martín propone un progetto di vita cristiana entusiasmante proprio perché è alla portata di tutti, il suo cammino verso la santità è praticamente praticabile da tutti, non si tratta di ricercare nella propria vocazione una autorealizzazione ma, al contrario, di comprendere che l’unico necessario è mettersi nelle mani di Dio e da Lui lasciarsi guidare.

Oggi siamo portati a valutare tutto su un piano di capacità ed efficienza e neanche i discernimenti vocazionali esulano da questa tentazione. Sicuramente è necessario valutare la parte umana e psicologica ma non stiamo forse dimenticando che “Dio chiama i deboli per confondere i forti”, o ancora, che per rispondere a Gesù che chiama non c’è bisogno di altro che di “prendere la propria croce e seguirlo”?

Teresa di Lisieux c’insegna che essere santi non è questione riservata ad una élite ma che è il fine per ogni cristiano che si abbandona all’amore di Dio lasciandosi da Lui trasformare. Teresa come donna e contemplativa c’invita a sperimentare Dio come Amico e come Salvatore. C’insegna che Dio è buono, che incontrarsi con Lui fa bene, ci rende felici, che accogliere la sua grazia è vivere in modo più pieno e positivo, qualsiasi sia la nostra vocazione.

“Abbassandosi fino a questo punto, Dio si mostra infinitamente grande. Allo stesso modo in cui il sole illumina i grandi cedri ed i fiorucci da niente come se ciascuno fosse unico al mondo, così nostro Signore si occupa di ciascuna anima con tanto amore, quasi fosse la sola ad esistere; e come nella natura le stagioni tutte sono regolate in modo da far sbocciare nel giorno stabilito la pratolina più umile, così tutto risponde al bene di ciascun’anima” (MA 7).

Il suo carisma si sviluppa intorno a questo incontro personale con Gesù. L’esperienza di un Dio amico, Gesù è il buon Dio come lei lo chiama, il miglior amico dell’essere umano. Un Dio vicino e di comunione, un Dio che s’interessa della felicità dell’uomo, un Dio gratuito, pieno di misericordia e tenerezza. Teresa c’insegna anche a recuperare la capacità di silenzio e di ascolto interiore, ad avvicinarci alla verità della nostra vita con i suoi vuoti e con le sue ombre, a risvegliare la fame di verità in tante persone prese oggi dall’apatia e dall’edonismo.

Da lei apprendiamo le attitudini fondamentali per pregare: l’apprendimento del silenzio esteriore ed interiore, la semplicità nel rapporto con Dio, la fiducia totale nel Padre, l’umiltà e il senso della necessità radicale di Dio; il dimenticarsi del proprio io e la pazienza davanti al ritmo misterioso di Dio: “Per me la preghiera è uno slancio del cuore, un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di gratitudine e d’amore nella prova come nella gioia: insomma è qualche cosa di grande, di soprannaturale, che mi dilata l’anima e mi unisce a Dio” (MC 317).

Teresa c’insegna ancora a diventare piccoli. Diventare piccoli e non solo a parole e questo significava per lei entrare nella sua grande fragilità, una grande povertà. Non è facile per noi accogliere le nostre debolezze, le nostre povertà ed accettare di essere piccoli e talvolta di non sapere cosa fare. Ma la grandezza di Teresa è proprio qui. Non ha paura della sua povertà. Lei ha fiducia in Gesù. La misericordia di Dio non può essere operante se noi non prendiamo coscienza della nostra miseria: siamo tutti molto piccoli. Il problema è di sapere come ammettere ed accogliere questa verità senza che ci schiacci e disorienti.

Tutto nasce dalla convinzione che Dio ci ama e si preoccupa di noi, non ci lascia mai soli, che Dio è fedele, che il suo amore è irrevocabile, davanti alle sue promesse non si tira mai indietro nonostante il comportamento dell’uomo, anche la creatura deve avere nei suoi confronti quella fiducia che ha la caratteristica della fedeltà e della costanza. “Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei col cuore spezzato dal pentimento a gettarmi tra le braccia di Gesù, poiché so quanto egli ami il figliuol prodigo che ritorna a Lui. Non perché il Signore, nella sua misericordia preveniente, ha preservato la mia anima dal peccato mortale, io m’innalzo a Lui con la fiducia e l’amore…” (MC 339).

Ogni volta che ci scontriamo con la nostra debolezza o con quella degli altri, ogni volta che seguire Gesù ci sembra impossibile o assurdo, ogni volta che le difficoltà tentano di abbatterci, questa parola può essere per noi un colpo d’ala, una boccata di aria fresca, uno stimolo a ricominciare. Basterà una rapida “conversione” di rotta per uscire dal chiuso del nostro io ed aprirci a Dio, per sperimentare un’altra vita, quella vera. Ebbene in questi momenti dobbiamo ricordarci dell’esperienza di Teresa di Lisieux. Essa ci fa presente che Gesù ci lascia fare l’esperienza della nostra incapacità, dei dubbi, dei tentennamenti, delle tentazioni… non già per scoraggiarci, ma per aiutarci a capire meglio che “tutto è possibile a Dio”; per prepararci a sperimentare meglio la straordinaria potenza della sua grazia ed aprirci, quindi, con maggiore fiducia a questo dono immenso del suo amore.

Tutto ciò significa riconoscere la povertà come verità del proprio essere. Ogni cammino spirituale inizia con la conoscenza di se stessi, una conoscenza che riporta alla propria origine in quanto creatura, cioè in stretta dipendenza dal proprio creatore. Essere creatura presuppone non essere autosufficienti, non bastare a se stessi, non essere schiavo (dipendente) di niente o di nessuno, in modo non conforme alla sua dignità. Povero e piccolo è colui che, cosciente dei propri limiti, si apre a Dio per ricevere da Lui con semplicità e umiltà, e al contempo è capace di dare se stesso, quel poco o molto che ha sapendo che non gli appartiene. Povertà significa accettazione di se stesso, degli altri e della realtà così come sono, con le possibilità ed i limiti di ciascuno e di ogni cosa. È l’accettazione di questa realtà che ci rende capaci di iniziare un cammino spirituale, ci apre alla volontà di Dio su di noi, e questo significa essere umili, riscoprirsi come un semplice strumento nelle mani di Dio, artefice della nostra esistenza.

“Se la tela dipinta da un artista potesse pensare e parlare, certamente non si lamenterebbe di essere continuamente toccata e ritoccata da un pennello e nemmeno invidierebbe la sorte di questo strumento, perché saprebbe che non è affatto al pennello ma all’artista che lo guida che essa deve la bellezza di cui è ricoperta. Il pennello dal canto suo non potrebbe gloriarsi del capolavoro che ha fatto: sa che gli artisti non sono impacciati, che se ne ridono delle difficoltà, si compiacciono di scegliere talvolta strumenti deboli e difettosi. Madre amata, io sono un pennellino che Gesù ha scelto per dipingere la sua immagine nelle anime che lei mi ha affidato” (MC 305).

Un altro insegnamento che la nostra Santa ci offre è il saper rivalorizzare il cammino del quotidiano. L’esperienza di Dio inizia quando si esce dal mondo dei concetti teologici per entrare nell’ordinario, nella nostra vita di tutti i giorni, unico cammino per una spiritualità incarnata. Il messaggio di Teresa è universale perché invita a seguire Cristo nel sentiero dell’amore, così come siamo, con le nostre imperfezioni, nella vita di tutti i giorni. Ed è proprio nel quotidiano che c’insegna a vivere l’oggi di Dio.

“Ho notato varie volte che Gesù non vuole darmi provviste, mi sostiene minuto per minuto, con un nutrimento affatto nuovo, lo trovo in me senza sapere come ci sia. Credo semplicemente che sia Gesù stesso nascosto in fondo al mio povero cuore che mi fa grazia di agire in me e mi fa pensare tutto quello che vuole ch’io faccia nel momento presente” (MA 216).

Se ci pensiamo bene spesso noi non viviamo la nostra vita, o per lo meno ne viviamo solo una parte. Perché? Perché non siamo dove dovremmo essere. Mi spiego: ci accade sovente che fisicamente siamo in un determinato luogo ma noi, con la nostra interiorità, siamo altrove… La realtà è che nel presente della nostra vita siamo dei latitanti in mille piccole azioni: invece di ascoltare chi ci parla pensiamo a cosa dire quando sarà il nostro turno, mentre studiamo ascoltiamo la radio, viviamo distratti dalle preoccupazioni di ieri o proiettati nelle soddisfazioni di domani. Siamo ancorati ad un passato che magari ci ha ferito e ci rimuginiamo continuamente, o per recriminare o per affliggerci in inutili sensi di colpa, creandoci invisibili catene che ci trattengono in un tempo che ormai non c’è più.

Oppure siamo proiettati in un futuro che può entusiasmarci o forse procurarci angoscia, ma che ci allontana da quanto abbiamo tra le mani e che sottovalutiamo e ci sfugge via. Un autore, Valéry, diceva che “quello che stanca non è il lavoro che si fa, ma il lavoro che resta da fare”. In realtà è inutile affaticarsi per un passato che non tornerà più o per un futuro che non c’è ancora. La vita è adesso. Ed è proprio così, l’attimo presente è il solo momento nel quale posso amare Dio e il prossimo. In un attimo cambia la vita: Teresa amava la figura del buon ladrone perché le faceva ricordare che il Signore può in un istante convertire il cuore dell’uomo. Si tratta di vivere un giorno per volta e Teresa lo aveva compreso bene. In un suo poema scrive: “La mia vita è un solo istante, un’ora passeggera. La mia vita è un solo giorno, che mi scappa e fugge. Lo sai, o mio Dio!, per amarti sulla terra ho solo l’oggi” (PN 3).

Questa certezza accompagna Teresa nell’ora del dolore e della malattia. Non si preoccupa per il futuro, sa che può sopportare il dolore del momento. Vuole farsi Santa e non indietreggia mai nell’amore, nemmeno davanti al calice amaro e umiliante della malattia del Padre: allora si manifesta il senso profondo del nome “Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo”: come chiamata non solo a essere “enfant”, cioè bambina-figlia a somiglianza di Gesù, ma anche a vedere con occhi penetranti “le bellezze nascoste” del suo Volto sfigurato, specchio di ogni uomo segnato dal dolore. Teresa ci aiuta anche a riscoprire che la debolezza nella nostra vita è un valore che ci fa entrare nella dinamica pasquale di morte e resurrezione.

Sul problema del male e della sofferenza la fede non offre soluzioni, non risponde al “perché?”, ma presenta la possibilità di una consolazione, presenta una possibilità di dotare di senso la sofferenza, di assumerla, di farne un’occasione per imparare a vivere e a seguire il Cristo crocifisso, di rendere vivibile e tollerabile ciò che rischia di essere assurdo e insopportabile. La nostra domanda angosciata “Dov’è Dio?” o “Dov’era Dio?” di fronte allo sterminio di persone innocenti, di fronte alla morte assurda del bambino, di fronte alla morte tragica dell’amico e del coetaneo, di fronte alla malattia che stronca una vita, ancora giovane e nel pieno delle forze, di fronte insomma alle tragedie che devastano le esistenze personali e le storie dei popoli, sembra non trovare risposta.

L’unica risposta la troviamo nell’amore di Dio compassionevole. L’annuncio di vita che il cristiano vede rappresentato al meglio nella croce di Cristo, contiene in sé una grande speranza per l’uomo sofferente: non ci sono situazioni disperate, infernali, in cui l’uomo non possa sperimentare la vicinanza di Dio. Per quanto in basso cada l’uomo, l’ultimo e più basso posto è già stato occupato da Cristo. “Non ci illudiamo di poter amare senza soffrire, senza soffrire molto. Tale è la nostra povera natura e non per nulla! È la nostra ricchezza, il nostro guadagno d’ogni giorno. È così preziosa che Gesù è venuto sulla terra apposta per questo: per possederla” (Lettera a Celina, 26 aprile 1889).

 

 

Conclusione

Teresa di Lisieux non ha scoperto verità nuove, la sua vita e la sua esperienza sono orientate a ricordare all’uomo che Dio è Amore, che il suo più grande desiderio è riversare il Suo amore misericordioso nel cuore dell’uomo. La grandezza di Teresa è racchiusa in quello che lei stessa definisce il “suo tesoro”: “Quello che piace a Lui, è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la speranza cieca che ho nella Sua misericordia. Ecco il mio solo tesoro” (Lettera a sr. Maria del Sacro Cuore, 17 settembre 1896).

Questa “piccola dottrina” ricorda all’uomo e alla donna di oggi che i limiti umani che cerchiamo in tutti i modi di evitare o distruggere, devono invece essere riconosciuti e accettati e addirittura amati in quanto tutto ciò che sembra un limite all’occhio umano può essere trampolino di lancio per gettarsi nelle mani misericordiose di Dio.

In un cammino di accompagnamento vocazionale Teresa di Lisieux diviene luce e guida nella misura in cui riconosciamo che ogni vocazione è esclusivamente un dono che Dio fa alla persona, una chiamata gratuita che Dio fa a chi vuole e quando vuole non perché l’uomo ne sia degno ma perché Lui lo ama. D’altra parte la stessa risposta che l’uomo dà è pura grazia divina. È Dio, come ci ricorda Teresa che “tiene in mano il cuore delle creature e le orienta come vuole” (MA 234).

Desidero terminare con una preghiera di mons. Ballestrero, P. Anastasio, come ci è caro chiamarlo ancora all’interno della famiglia carmelitana. Una preghiera che è a mio avviso una sintesi esistenziale di questa pedagogia della piccolezza e che ci può aiutare a farla calare ancora di più nella nostra esistenza:

Quale sarà il mio posto nella Casa di Dio?

Lo so, non mi farai fare brutta figura,

non mi farai sentire creatura che non serve a niente.

Perché tu sei fatto così:

quando ti serve una pietra per la tua costruzione,

prendi il primo ciottolo che incontri,

lo guardi con finita tenerezza

e lo rendi quella pietra di cui hai bisogno:

ora splendente come un diamante,

ora opaca e ferma come una roccia,

ma sempre adatta al tuo scopo.

Cosa farai di questo ciottolo

che sono io, di questo piccolo sasso

che tu hai creato e che lavori ogni giorno

con la potenza della tua pazienza,

con la forza invincibile del tuo amore trasfigurante?

Tu fai cose inaspettate, gloriose.

Getti là le cianfrusaglie

e ti metti a cesellare la mia vita.

Se mi metti sotto un pavimento che nessuno vede

ma che sostiene lo splendore dello zaffiro

o in cima a una cupola che tutti guardano e ne restano abbagliati,

ha poca importanza.

Importante è trovarmi ogni giorno là

dove tu mi metti, senza ritardi.

E io, per quanto pietra, sento di avere una voce:

voglio gridarti, o Dio,

la mia felicità di trovarmi nelle tue mani malleabile,

per renderti servizio, per essere tempio della tua gioia.

Amen.