N.05
Settembre/Ottobre 2005

Vocazioni e pastorale universitaria

La pastorale universitaria non è da intendere soltanto come l’azione della comunità ecclesiale finalizzata all’animazione cristiana degli atenei italiani e degli ambienti accademici. Più che un’azione è un modo di essere e di vivere della comunità cristiana che, proprio per un’esigenza intrinseca al mistero dell’Incarnazione, cresce nella consapevolezza del mistero della salvezza proprio attraverso l’assunzione di ogni momento e di ogni aspetto dell’esistenza umana. L’istanza missionaria fa sì che l’esperienza della fede e quella della sua maturazione personale e comunitaria si traducano in un “donarsi” che si rivolge verso l’esterno. Ma da questo rapporto è la fede stessa che ne esce arricchita. Le comunità cristiane oggi vengono interpellate e possono “ricevere” molto dal vissuto dinamico di quella particolare istituzione civile che è l’università, proprio perché a quest’ultima si riconosce uno spessore umanistico di rilevanza decisiva per il bene della persona e del paese. 

Anche la pastorale delle vocazioni, in quanto dimensione essenziale della vita di ogni realtà ecclesiale, può “ricevere” molto e crescere in consapevolezza quando incontra e riflette su questo segmento così importante del percorso formativo di un giovane. Si deve ammettere che non è agevole individuare consolidate linee di convergenza e di cooperazione nel rapporto tra vocazioni di speciale consacrazione e mondo universitario. 

Mi limito, pertanto, ad evidenziare due elementi di fondo ben sapendo che questo rapporto meriterebbe un adeguato approfondimento pastorale, andando al di là della pura e semplice constatazione che dal “laicissimo” mondo universitario sono venute e vengono effettivamente vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata magari in misura superiore ad altri contesti e luoghi in cui si svolgono specifiche attività formative. 

 

La dimensione culturale della pastorale vocazionale 

Come dicevo, il mondo dell’università costituisce oggi per la Chiesa motivo di particolare interesse. Si tratta di un’esigenza intrinseca all’evangelizzazione: “La fede, infatti, che la Chiesa annuncia, è una fides quaerens intellectum: una fede che esige di penetrare nell’intelligenza dell’uomo, di essere pensata dall’intelligenza dell’uomo. Non giustapponendosi a quanto l’intelligenza può conoscere con la sua luce naturale, ma permeando dal di dentro questa stessa conoscenza”[1] . La fede cristiana “esige di essere pensata e come sposata dall’intelligenza dell’uomo, di questo uomo storico concreto”[2], di incarnarsi e diventare cultura. “Ci sembra importante” affermano gli Orientamenti pastorali dei Vescovi italiani “che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale – fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero – la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita (cfr. 1Pt 3,15) […]. Tutte le Chiese particolari e ciascuna delle nostre piccole o grandi comunità devono prestare attenzione a questa conversione culturale, in modo che il Vangelo sia incarnato nel nostro tempo per ispirare la cultura e aprirla all’accoglienza integrale di tutto ciò che è autenticamente umano[3][4]

Sono anni preziosi e decisivi dal punto di vista della ricerca del senso pieno della propria esistenza, gli anni dell’università. Preziosi anche per la maturazione di scelte vocazionali proprio in forza dello sforzo insito nei dinamismi di interiorizzazione formativa e culturale che porta a guardarsi dentro, a conoscersi. È importante tenere conto di tali dinamismi culturali anche nel caso di vocazioni di speciale consacrazione. La laurea non è certo un elemento decisivo per tali vocazioni, ma il tempo dell’università è – e sta diventando di fatto – un’opportunità sempre più decisiva per l’acquisizione di una reale maturità umana e culturale in un mondo complesso. 

 

La dimensione educativa della pastorale vocazionale 

La frequenza dell’università è diventata un fenomeno di massa che coinvolge un gran numero di giovani e di famiglie. Certamente resta ancora aperta l’esigenza di garantire il diritto allo studio non solo come possibilità di iscrizione e di accesso, ma anche come insieme di opportunità grazie alle quali ognuno possa realizzare la formazione a cui aspira. La formazione culturale superiore sembra tuttora condizionata fortemente dalla capacità economica della famiglia d’origine e dall’accesso a relazioni sociali e a informazioni significative. Ma bisogna capire che siamo anche di fronte ad una povertà di II livello che non è più la povertà di chi non può andare all’università, ma la necessità di tipo immateriale di chi in una fase cruciale della propria vita ha bisogno di ricevere orientamento, tutoring, dialogo, vita comunitaria e relazionale, informazioni, lavoro di gruppo, professionalizzazione, esperienza internazionale, maturazione di atteggiamenti verso se stessi e la società e soprattutto valori in una prospettiva di umanesimo aperto al mistero, alla creatività, alle domande religiose, alla possibilità di prefigurarsi un credere pensando e un pensare credendo. 

Può apparire inutile rendere agevole l’accesso quando poi nell’ordinario della vita universitaria lo studente si trova a convivere con una realtà che lo mette all’ultimo posto. Sono i problemi, apparentemente banali, di tutti i giorni (l’assenteismo dei docenti, le noie burocratiche, la carenza del sistema di orientamento, l’impossibilità ad accedere in libertà ai servizi e alle strutture –  vedi le biblioteche…), ma che contribuiscono spesso all’allontanamento, alla non-frequenza, all’abbandono dell’università, cioè in definitiva alla scomparsa di quella che noi definiamo comunità universitaria. Bisogna ricordare che abbiamo a che fare con dei giovani per cui il passaggio dagli studi medio-superiori a quelli universitari rappresenta non di rado un’esperienza nuova e per certi aspetti sconcertante per molti di essi: vivere in autonomia rispetto alla famiglia, vivere in contesti comunitari (es. collegi, pensionati) rappresenta un “passaggio” alla vita sociale adulta che non va sottovalutato dal punto di vista delle sue implicanze educative. Da qui sorge il diritto degli studenti di essere accolti, ascoltati e aiutati possibilmente in un contesto di relazioni comunitarie. 

La centratura umanistica (la persona intesa come soggetto e come fine) fonda la natura educativa dell’università e il raccordo tra cultura ed educazione per cui “il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura è l’educazione”. Pertanto la dimensione integrale della persona e lo sviluppo del carattere autenticamente “comunitario” dell’esperienza universitaria devono essere adeguatamente presidiate e rese concretamente possibili (gruppi docenti-studenti, servizi, organi di partecipazione ecc.) e in questo senso giocano un ruolo fondamentale le associazioni degli studenti universitari. I tempi e le modalità dell’insegnamento e dell’apprendimento (laboratori, tutoraggio, orientamento, stages, rapporti internazionali) non sono solo in ordine all’efficacia e all’efficienza nell’acquisto di competenze, ma anche del loro significato etico-professionale-sociale-esistenziale. 

In questo contesto è possibile sul piano pastorale garantire un cammino di continuità tra fede, cultura e vita, tra appartenenza ecclesiale delle Chiese di partenza e di origine dello studente e il servizio di ascolto e accompagnamento che può essere offerto negli anni dell’università. Richiamando il pensiero di A. Rosmini, è “l’unità dell’educazione” e dunque l’unità progettuale della persona che occorre presidiare e promuovere. Occorre far sì che la persona dello studente interessato ad una scelta di speciale consacrazione possa riferirsi ad un contesto e a figure ecclesiali concrete e, ad un tempo, gli sia permesso, proprio negli anni della sua università, di essere accompagnato in un serio cammino di discernimento spirituale. 

 

 

Note

[1] GIOVANNI PAOLO II , Discorso ai partecipanti all’incontro di lavoro sul tema della pastorale universitaria (8 marzo 1982), n. 2, in Insegnamenti V, 1 (1982), 773. 

[2] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai docenti delle università dell’Emilia-Romagna (18 aprile 1982), n. 2, in Insegnamenti V, 1 (1982), 1226. 

[3] Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Con il dono della carità dentro la storia, 25: Notiziario CEI 1996, 175-177. 

[4] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Roma, 2000, n. 50.