N.06
Novembre/Dicembre 2005

Vita affettiva – educazione all’affettività 

 

Partendo dal titolo di questo nostro Forum “I consacrati: testimoni del Risorto nella pastorale vocazionale”, proponiamo 3 articolazioni in merito al nostro ambito (“vita affettiva ed educazione all’affettività”) che servono da piattaforma per la nostra riflessione, per il dialogo, il lavoro nel nostro gruppo e per elaborare una sintesi positiva-propositiva da presentare in assemblea sabato mattina. Tutte e tre queste articolazioni ruotano attorno al termine-realtà “AFFETTIVITÀ-SESSUALITÀ” e ad alcune qualificazioni-aggettivazioni. 

 

Un’affettività-sessualità MORTA/SEPOLTA?! 

Si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte ad una sessualità-affettività morta e sepolta, e questo sul duplice versante: di noi consacrati e dei giovani e in particolare di quelli che esprimono il desiderio e l’impegno di iniziare e compiere un cammino vocazionale. 

Sul nostro versante questo “morta-sepolta” si configura come “negata-latitante-compressa e ben imbottigliata”. Tra noi non se ne parla o se ne parla ben poco: diamo quasi l’immagine di persone che non sembrano capaci di amare, di avere una vita affettiva, di avere una sessualità. Questa energia vive nei sotterranei: è come una metropolitana che attraversa il nostro vissuto… ma non appare… non emerge! Provocatoriamente potremmo mettere fuori il seguente cartello: “Cercasi sessualità ed affettività”?! 

Dall’altra – nei giovani – quel “morta-sepolta” si connota come “offuscata-ripiegata-banalizzata-area in cui essi avvertono fortemente la delusione, e a breve termine”. Essi ne parlano… anche in modo schietto… ma il punto di riferimento e di confronto è costituito da “loro stessi e dal proprio mondo emotivo e sentimentale fluttuante e del momento”. Si danno da fare in materia …ma non appaiono capaci di una giusta e positiva declinazione, di una coniugazione globale: per questo si barcamenano alla bell’e meglio, vanno alla ricerca e sembrano raggiungere solo pochi sprazzi appaganti di luce e di gioia, sembrano vivere questa loro dimensione “a rate”-“in leasing” o come un “vanity fair”. 

Certamente la dimensione affettiva e sessuale è un’area delicata e traversale della nostra esistenza umana e spirituale che risente del nostro passato, dell’educazione ricevuta, delle situazioni che abbiamo vissuto, delle ferite che ci portiamo dentro. 

– Cosa ne pensi di questo quadro ingenerale? 

– Condividi – aggiungi – hai riserve in merito a quanto sottolineato tanto sul nostro versante quanto su quello dei giovani? 

– Ritieni che alcune di queste aggettivazioni possano essere intercambiabili per entrambe i versanti? 

– Quali provocazioni – sempre sul duplice versante – portano in sé questi tratti sul piano personale e pastorale? 

– Che cosa ti verrebbe voglia di dire prima di tutto a noi e poi ai giovani? 

 

Per un’affettività-sessualità RISORTA?!

Non c’è solo una sessualità morta, ma anche una sessualità risorta… o meglio da portare a risurrezione in noi e nei giovani! “Risorta” qui sta per “liberata-matura-viva-vivace-trasparente”. 

È in gioco la “qualità” della nostra vita affettiva e sessuale, e di quella dei giovani: anzi è in gioco la nostra umanità e identità di persone e di consacrati. La sessualità e la vita affettiva sono una “tensione-energia”, una “tensione-energia verso”: sono una tensione ed energia che hanno in sé una direzionalità e che portano in sé un appello alla pienezza. 

Si tratta di restituire “continuità” a questa tensione, di interrompere e sistemare i “cortocircuiti”, e di guidare e canalizzare la sua forza e il suo passaggio: senza paura e vergogna. 

Come farlo? Quale direzione dare e verso quale pienezza portare questa energia così vitale?: questa è la sfida che prima abbiamo come persone e come comunità e, poi, nei confronti dei giovani! 

– Quali caratteristiche deve avere per te una “sessualità risorta”? 

– Quali passi siamo chiamati a compiere sul piano personale e come vita religiosa per promuovere in noi una “sessualità-affettività risorta”? 

– A tal fine che cosa può risultare utile sia sotto forma d’aiuto e d’attenzione e per il nostro stile di vita e di relazione? 

– Come essere “significativi” (= capaci di suscitare domande/risposte vocazionali) in materia di una “sessualità-affettività risorta” per i giovani? 

– Come presentarla ed annunciarla ai giovani? Vedi qualche priorità in merito? 

 

Quale pastorale vocazionale dell’affettività-sessualità?!

Si tratta dell’attenzione e della cura che come persone e consacrati impegnati nella pastorale vocazionale siamo chiamati ad avere in merito alla sessualità-affettività sia sul piano relazionale che del cammino da proporre ai giovani. Sottolineiamo relazione e cammino: quindi necessità di relazione e necessità di un itinerario. 

Concretamente si tratta di chiederci e di rispondere a questi interrogativi: 

– Come deve essere questo cammino? 

– Come deve essere la relazione con la guida e quale relazione la guida deve stimolare ed attuare? 

– Di quali azioni deve essere fatto e nutrito questo accompagnamento nell’area affettiva e sessuale? 

 

In chiusura 

– Ritieni che debba essere fatto presente qualche punto importante che non è stato oggetto e materia di esempio in questa scheda (sempre in relazione al nostro tema)? 

 

 

 

 

 

La situazione 

I consacrati leggono la situazione e il contesto giovanile 

Visione piuttosto pessimistica. La famiglia e la società non educano ma danno stimoli negativi sul piano dell’affettività. C’è debolezza e mancanza di formazione; i giovani sono lasciati a se stessi; banalizzano; mancano dei fondamenti e di un tessuto valoriale; fanno fatica a parlare del problema o c’è una certa paura; sono bombardati dalla pubblicità, dalla virtualità, dal mondo di internet. 

Anche se talvolta i giovani non sono solo questo: una volta che s’instaura un rapporto attento a loro e con loro, mostrano apertura e schiettezza nell’affrontare e nel dialogare su questo ambito. 

 

I consacrati leggono la propria situazione 

Si evidenzia (soprattutto nel passato) la presenza di una cultura tabuizzante, un’affettività congelata-repressa-compressa che però attualmente rischia di esplodere a livello personale, comunitario e con i giovani; il rimpianto per una formazione chiusa e troppo impostata sulla rinuncia e sul sacrificio; gli stessi voti vengono visti e vissuti per certi versi come pesantezza e con fatica; per altri come garanzia e sicurezza personali e comunitari, con l’illusione così di vivere separati dal mondo. Nelle comunità e nelle relazioni interpersonali emerge la mancanza di un linguaggio appropriato sull’affettività: spesso non se ne parla. 

Ci sono comunque dei segni positivi: si avverte e si vive sempre più la forza liberante dell’amicizia; si ha voglia di crescere in questa dimensione; si evidenzia un bisogno di formazione e di un percorso di educazione all’amore; da parte dei religiosi più giovani emerge più apertura, più capacità di affrontare e di dialogare sul tema e su quest’area. Nelle religiose c’è una riscoperta del senso della maternità. 

 

Alcune condizioni della testimonianza 

La capacità di testimoniare la dimensione affettiva in modo maturo in mezzo ai giovani per i religiosi dipende da alcune condizioni. Da: 

– una formazione personale e mirata in questo campo; 

– l’impegno a vivere con più umanità la propria sessualità; 

– la necessità di sperimentare una vita comune più fraterna e una maggiore collaborazione tra le diverse generazioni; 

– la promozione di un approccio affettivo alla fede; 

– l’assumersi la responsabilità della propria affettività e umanità, rileggendo e accogliendo il proprio passato anche ferito; 

– riscoperta dell’amicizia come spazio e possibilità di crescita (molto meglio un cuore che batte che essere persone dure e spietate); 

– accettazione del proprio mondo-emotivo (vivere i sentimenti, l’affetto, avere la capacità di guardarsi negli occhi); 

– gestione dei conflitti interni e relazionali presenti sul piano personale e comunitario (amare i propri nemici anche nelle nostre comunità). 

 

Il nostro contributo 

I religiosi che cosa hanno da dare? 

– La possibilità di far fare esperienza di fraternità e di accoglienza grazie allo strumento della “comunità”; 

– l’offerta di spazi di serietà e serenità di confronto e di dialogo su questo ambito;

– la possibilità di un accompagnamento e di un’educazione veri che non siano per sé o attorno a sé ma per il giovane e per il suo bene. 

 

Con quali modalità? 

Proporre la tecnica dell’autobiografia prima umana e poi spirituale (= rilettura della propria vita per ritrovare il filo della propria storia vissuta e sperimentata come un unicum e un’unità). Aiutare il giovare a dare un nome a cosa prova. Quindi promuovere una conoscenza di sé non solo intellettuale ma vitale e approfondita del mondo dei propri sentimenti, emozioni, tendenze che porta dentro di sé. 

Il tutto all’interno di una relazione accogliente e coinvolgente, di ascolto e di comunione. Nella gradualità e attraverso quella pazienza che sa farsi attesa che arrivi il momento opportuno soprattutto quando possono emergere maggiori resistenze o possibili traumi. 

Ricordando e facendo attenzione che la guida deve aver affrontato e integrato la sua dimensione affettiva: non possiamo aiutare gli altri se prima non abbiamo affrontato noi stessi questa dimensione, “risolto” i nostri problemi e “sanato” le nostre ferite.