N.01
Gennaio/Febbraio 2006

Come uomini liberi, servitori di Dio nella speranza

L’icona biblica scelta per la GMPV di quest’anno è  il testo di Gv 20,11-18. Essa è particolarmente significativa per la protagonista, Maria Maddalena, una donna, una laica diremmo con il linguaggio di oggi, chiamata a diventare “apostola apostolorum”, testimone della risurrezione. L’analisi del racconto ci permetterà di comprendere come la sua testimonianza davvero “…non narra solo il contenuto della speranza cristiana, ma indica anche il cammino che porta a riconquistarla” (CEI-Comitato preparatorio del IV Convegno Ecclesiale Nazionale, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. Traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale di Verona, 16-20 ottobre 2006, Ed. Paoline, Milano 2005, 32). 

 

“Un racconto di speranza” 

Nel racconto di Giovanni gli eventi della risurrezione sono strutturati in 4 episodi paralleli: 

i fatti al sepolcro (20,1-18), che possono essere suddivisi nella corsa dei due discepoli (20,1-10), seguita dall’incontro con Maria Maddalena (20,11-18); 

le apparizioni (20,19-29), che sono di fatto due: ai discepoli (20,19-23) e a Tommaso (20,24-29). 

una conclusione generale (20,30-31). 

Nel quadro della mattina del primo giorno della settimana, dei 4 eventi che si susseguono, 3 vedono partecipe Maria Maddalena: 

–     Maria di Magdala viene al sepolcro, vede la pietra rimossa e va ad annunciare a Pietro e al discepolo prediletto che hanno preso il corpo di Gesù e non si sa dove lo hanno posto (20,1-2); 

–     Maria, piangente, si china e vede nel sepolcro solo due angeli, con i quali accenna un breve dialogo (vv. 11-13); 

–     Maria è sorpresa dalla presenza di un nuovo personaggio dapprima nascosto, il quale le rivela la sua nuova condizione di Risorto e le affida un incarico, che ella subito svolge (vv. 14-18). 

Il racconto risulta scandito da una precisa connotazione spazio-temporale. Tutto si svolge al mattino del “primo dei sabati” (v. 19), un’espressione di chiaro sapore ebraico, che sta ad indicare il primo giorno della settimana, a cui viene aggiunta anche la precisazione “di buon mattino”. I dati sono quelli della tradizione (cfr. Mc 16,2; Lc 24,1), ma sembra affiorare un richiamo al ritmo liturgico settimanale. Riguardo al luogo, tutto avviene sul sepolcro (mnçmeion) vuoto. Il termine ricorre ben 9 volte e, come si può ben comprendere, nella sua accezione letterale è il luogo della memoria, del passato a cui il credente deve continuamente andare per riscoprire il senso della propria fede nella risurrezione. 

La protagonista è Maria Maddalena, di lei il lettore giovanneo sa che era presente ai piedi della croce (Gv 19,25), non di più. Qui viene menzionata sempre per prima. Al v. 2, nonostante sia sola, parla con la prima persona plurale. Un indizio importante per quanto riguarda la possibile tradizione di questi racconti che l’Evangelista ha elaborato secondo un’esigenza teologica particolare. Seguiamola nel suo percorso. 

Maria viene a visitare il sepolcro (20,1-2). Di per sé non viene spiegato il motivo della visita. L’apocrifo Vangelo di Pietro esplicita “per piangere” (5254). In Giovanni è ancora buio, mentre in Mc 16,2 il sole si è già levato. Il quarto evangelista vuole far risaltare la connotazione simbolica. La ricerca di Maria si svolge ancora nelle tenebre, solo l’incontro tra i due sprigionerà la luce. La pietra è rimossa, (non si parla della natura del sepolcro), sembrerebbe essere rotolata. Maria allora va dai discepoli per annunciare loro che il corpo del Signore è stato preso. Già nel Vangelo di Marco alle donne era ingiunto di annunciare a Pietro dell’appuntamento in Galilea (Mc 16,7). Maddalena interpreta l’assenza del corpo come furto, come atto di mancanza di rispetto verso Colui che definisce esplicitamente “il Signore”. Il motivo della tristezza è l’assenza del Signore, aggravata da una supposta azione di oltraggio. Vi è un fatto (l’assenza) ed anche un’interpretazione (furto oltraggioso), che si pongono ad un livello logico, ma materiale. 

Maria si china sul sepolcro ed entra in dialogo con gli angeli e con uno sconosciuto (20,11-18). Maddalena piange, è addolorata si china verso il sepolcro, vede due angeli vestiti di bianco, sedenti sui due estremi del sepolcro. Con loro intesse un dialogo (v. 13): 

Mentre discorre con loro Maria si volta[1] e vede Gesù, ma non lo riconosce. Ne nasce un secondo dialogo (v. 15). 

 

La domanda di Gesù sposta l’attenzione dalla causa della tristezza, congiunturale, al tema dell’assenza nel suo significato più profondo, potremmo dire esistenziale. 

Da una parte affiora nella persona di Maria la dinamica della ricerca[3], che attraversa tutto il IV Vangelo (1,39; 6,24; 7,34; 13,33; 14,18-24; 16,19-23). 

Dall’altra si nota il “chiamare per nome”, che indica quella conoscenzaintimità tra Gesù e i suoi discepoli, che è dello stesso tipo di quella espressa nella similitudine del Bel Pastore. Egli chiama le pecore per nome (10,3) e le conduce fuori, fa fare loro un percorso, un cammino; le pecore, dal canto loro, riconoscono la voce del pastore (10,4) non di altri. 

La sigla della reciprocità, della conoscenza e dell’amore accomuna pastore e pecore, maestro e discepolo. C’è una che cerca e uno che è cercato; c’è uno che chiama per nome, e l’altra che risponde e riconosce il proprio Maestro e Pastore. Non si tratta naturalmente di una dipendenza tra i due testi, quanto di un susseguirsi dentro il macro-racconto di elementi comuni che fungono da conferma di quanto precedentemente affermato. Di fronte alla chiamata per nome con la voce del proprio maestro, Maria si volta e lo riconosce. 

Ne nasce un terzo dialogo che, superato il fraintendimento, conserva comunque una sua enigmaticità. Gesù ingiunge alla Maddalena: “Non mi toccare!” (Mç mou haptou). Un’espressione che potrebbe suonare strana. Di per sé bisogna intenderla come: “Non mi trattenere!”. Egli vuole in tal modo sottrarsi all’abbraccio della donna. Il tema è già presente in Mt 28,9, ove le donne si avvinghiano ai piedi di Gesù e lo adorano. Il gesto dice chiaramente la volontà di trattenere la persona amata, che si è cercata e che, dopo lunga ricerca, si è trovata e pertanto non si vuole più perdere. Ma il Risorto si divincola da questo modo ancora tutto umano di concepire la relazione maestro-discepolo per impostarla ad un altro livello, quello spirituale; per far cogliere la relazione col maestro che è anche Figlio di Dio e che, come tale, deve salire al Padre. Il Vangelo di Giovanni conosce una cristologia dell’inviato sviluppata nel corpo stesso del Vangelo. L’inviato, secondo la semantica del diritto dell’invio nel Vicino Oriente, era colui che aveva la funzione della rappresentanza, come tale Gesù mostra il Padre e il suo invio è il segno stesso del suo amore, ma non è solo compimento della promessa veterotestamentaria quanto evento escatologico, occasione del giudizio che ha il suo discrimen nell’accoglienza o inaccoglienza di lui. Il percorso dell’inviato consta di tre tappe: la preesistenza e l’incarnazione – la missione – il ritorno. Di per sé quest’ultimo avviene nella croce, luogo dell’elevazione e glorificazione. Nel nostro testo dunque il “salire al Padre” significa ritornare in quella condizione di preesistenza che il Figlio aveva prima della sua discesa in mezzo all’umanità, è la conclusione della sua missione. Il discepolo vero deve allora “lasciarlo andare” fisicamente per “ritrovarlo” ad un altro livello, quello della permanenza interiore, descritta nei discorsi di addio[4] (Gv 14,20.23; 15,4-5.7.9-10). 

Si contrappongono così due atteggiamenti: trattenere Gesù/lasciarlo salire al Padre, a cui corrisponde anche di conseguenza l’andare dai fratelli ad annunciarlo. Trattenere Gesù significa indugiare in una visione pre-pasquale, non aver compreso la risurrezione, cercare ancora un corpo umano da abbracciare, anche se di un Maestro amato, degno di ogni attenzione e venerazione. 

Lasciarlo salire al Padre significa permettere che si compia sino in fondo il progetto di Dio, che può essere giustamente concepito nei termini da una parte di un giudizio di condanna, ma anche dall’altra di una proposta di vita. La missione di Gesù nel quarto Vangelo, espressa nei termini dell’essere stato mandato dal Padre trova la sua naturale conclusiva nel ritorno al Padre. Gesù è mandato a testimoniare la verità, i discepoli sono chiamati a continuare tale opera: “Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi! (Gv 20,21). Tale invio che occupa la scena dell’apparizione ai dodici, dopo il Noli me tangere, è anticipato dall’incontro con Maria Maddalena. 

A Maria Gesù dà, infatti, una consegna, che in un certo senso rassicura la discepola della continua immanenza nella missione: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro!” (v. 17). È una funzione missionaria e testimoniale quella che viene richiesta a Maria, che ha come destinatari innanzitutto la comunità ecclesiale. Con tale mandato Gesù Risorto afferma non solo che egli ha compiuto la sua missione, ma istituisce quali testimoni privilegiati i dodici – ad essi deve riferire Maddalena – e la loro testimonianza non esclude, ma fonda, la dimensione testimoniale di tutta la Chiesa, quindi anche della donna. L’immagine della comunità pasquale che emerge dalle parole del Risorto è quella di fratelli, tra i quali vige lo stile della comunione, in cui un solo principio unifica ed è quello della paternità di Dio, vissuta attraverso l’innesto in Cristo. 

La laica, la donna ha un mandato testimoniale, che sembra fare da tramite tra il Cristo Risorto e la comunità ecclesiale. È un ruolo non istituzionale, ma sorgivo, affettivo, del tutto originale per volontà stessa del Signore. Il racconto si conclude (v. 18) con un movimento che dal sepolcro va verso i discepoli e culmina nell’attestazione: “Ho visto il Signore!”. 

Dentro tutto il racconto giovanneo il percorso di Maria può essere sintetizzato in un passaggio pasquale che è qualitativamente superiore: dal pianto iniziale di fronte alla sparizione di Gesù (non vedere), in seguito anche al racconto dei discepoli, all’incontro con il Risorto (vedere); dal partire di Gesù al tornare: “Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (Gv 14,18-19). 

Maria è chiamata ad essere la prima missionaria del Risorto, la cui funzione è quella di confermare i fratelli nella fede. Tale funzione, tipica di Pietro nei Sinottici, qui è data a Maddalena. Gli esegeti si chiedono come interpretare tutto questo: Come una sorta di contrapposizione maschile/femminile nella Chiesa delle origini tra i testimoni del Risorto? In altri termini a chi va attribuito il primato della protofania, ossia della prima apparizione del Risorto? È probabile che la prima a vedere il Risorto sia stata proprio Maria Maddalena, per cui il racconto commentato sarebbe “una tessera della tradizione evangelica che si presenta con tutti i crismi della storicità”[5]. Se nella lista di 1Cor 15,5a le donne non sono annoverate, mentre in altri stadi primitivi sono protagoniste (Mc 16,9-11; Gv 20,11-18; Mt 28,1.9s), è forse dovuto al fatto che nella predicazione col passare del tempo alle donne sia stata attribuita l’angelofania sulla tomba vuota ed invece a Pietro la protofania (cfr. Mc 16,7). L’evangelista Giovanni, che aveva a disposizioni tradizioni analoghe a quelle della tomba vuota, forse anche più antiche, ha elaborato il racconto configurando Maria come un personaggio-tipo, il simbolo della stessa comunità giovannea, che soffre per l’assenza del suo Signore, che lo ritrova Risorto, che lo testimonia agli altri[6]

Nella figura di Maria Maddalena come è presentata nel testo giovanneo si assommano più tratti a partire dalla personalità storica su cui purtroppo tante elucubrazioni sono state fatte recentemente[7]

 

Maria Maddalena, una donna, una discepola, una figura-tipo 

Sulla base dei pochi dati in nostro possesso, è possibile affermare che Maria Maddalena (hç Magdalçnç) è una donna proveniente da Magdala (da migdal “torre”, termine conservato nell’arabo Majdal, villaggio sul lago, posto a 4,5 Km a nord di Tiberiade), quindi originaria della Galilea. 

È menzionata sempre per prima negli elenchi di donne che seguono Gesù (Mc 15,40-41; 16,1; Mt 27,55-56.61; 28,1; Lc 8,2-3; 24,10). Appare dunque come una sorta di donna a capo del gruppo di quelle che seguivano Gesù e lo servivano dall’inizio in Galilea sino alla morte. Di per sé solo Luca ci riporta la notizia di una sequela pre-pasquale; Matteo e Marco le riportano solo in occasione della morte. La notizia dell’evangelista ci permette di cogliere la loro presenza come una sorta di gruppo accanto ai dodici. Maria è inclusa due volte sia tra quelle che assistevano Gesù con i propri mezzi, sia in un gruppo di donne “guarite da spiriti cattivi e da infermità”, anzi viene detto esplicitamente “una dalla quale erano usciti sette demòni” (v. 2).Gli apocrifi di origine gnostica, posteriori, accentuano il ruolo di Maria come di un apostolo (Vangelo di Filippo, 55), superiore agli apostoli, e il Vangelo di Maria vede in lei un forte capo della comunità delle origini, che quasi rivaleggerebbe con Pietro. Senza arrivare ad esagerazioni fantastiche, come quelle di chi ha visto in lei il discepolo amato di Giovanni (cosa che contrasta con il senso evidente del IV Vangelo), non possiamo negare il ruolo importante che la sua persona e la donna in generale ebbe tra i discepoli di Gesù e che costituisce un fatto senza precedenti nel contesto giudaico del tempo. È vero che non vi sono “storie di chiamata”, né il termine “discepolo” è usato direttamente per esse nei vangeli canonici, né è sostenibile il fatto che Maria Maddalena nell’atto della guarigione, eventualmente come per il cieco Bartimeo (Mc 10,46-52) avrebbe ricevuto l’invito a seguirlo. In ogni caso la presenza delle donne doveva imbarazzare gli uomini del tempo, sia quelli di provenienza giudaica, che greco-romana. A maggior ragione quando ad essa era affidato l’incarico dell’annuncio della risurrezione. Di tale modo di sentire fa fede la polemica tra Celso (Il Discorso della verità, 175 d.C.) ed Origene (Contro Celso, 225 d. C.). Celso, con evidente misoginia, parla di isterismo femminile e Origene controbatte chiamando in causa testimoni di altra natura, che concordano con la versione delle donne. Al di là del livello pretestuoso della polemica, l’attacco di Celso conferma per converso da una parte il ruolo delle donne nell’annuncio pasquale e dall’altra l’innegabile speciale relazione con Gesù. 

È plausibile che Giovanni abbia assunto questi dati della tradizione, ispirandosi ad un modello ipotestuale di riferimento: il Cantico dei Cantici. Tale richiamo, attestato già dai Padri della Chiesa[8], si profila nell’immagine della donna che cerca l’amato[9]

 

 

In questo senso Maria incarna la comunità messianica. Il suo pianto è quello dell’intera comunità[10] che fa fatica ad accettare l’assenza e a comprendere il mistero; l’andirivieni manifesta un dibattersi affannoso, che conduce anche ad un non-riconoscimento prima del segno angelico e poi della persona stessa di Gesù. Maria, il personaggio storico, la sua vicenda diviene emblematica di tutta la comunità giovannea che mentre da una parte ha tutte le caratteristiche del discepolato (devozione, amore, recettività, testimonianza…), dall’altra ne conserva anche i tratti della fatica nella sequela. 

Le parole di Gesù, in difformità rispetto al modello del Cantico, dicono che la consumazione dell’amore per il discepolo con il Suo Sposo e Signore non avverrà subito, ma dopo una distanza, quella che va tra il salire al Padre e il suo ritorno nella gloria. Solo allora l’unione sponsale avrà il suo pieno compimento. 

L’incontro tra Maria e Gesù Risorto non è la realtà definitiva; anche se la vittoria sulla morte supera la distanza massima tra amante e amato, è solo “un segno di speranza lungo il cammino”[11]

Nel frattempo la comunità, come Maria, deve farsi prima testimone del Risorto e dell’annuncio della risurrezione. Il racconto dell’apparizione a Maria Maddalena è un invito al lettore del tempo storico del Vangelo di Giovanni a passare da una concezione ordinaria della risurrezione alla sua intelligenza profonda, ad entrare nella logica della fede della comunità della seconda generazione cristiana. Ma è anche una provocazione per il lettore d’oggi e di sempre a crescere nella fede, a passare dalla disperazione dell’assenza del Signore, che spesso si avverte nella nostra vita, alla viva relazione nello Spirito, che conduce alla testimonianza della speranza. 

 

Maria Maddalena, una vocazione ed una missione nella e della comunità ecclesiale 

Il racconto dell’apparizione a Maria Maddalena ha dunque uno spiccato significato vocazionale. Se tutti i racconti d’apparizione in qualche modo hanno anche la funzione di “legittimare e conferire autorità ai destinatari, i quali potevano rivendicare un’investitura particolare”[12], ciò vale anche per il nostro, ma, a differenza di altre, come l’apparizione a Pietro o a Giacomo ricordate in 1Cor 15,3-8, quella alla Maddalena si riscontra solo in Giovanni. In ogni caso vi è in essa il riconoscimento di una vocazione e di una missione nella e della comunità ecclesiale. 

La prima dimensione, quella della chiamata, emerge anche a partire da una lettura interna allo stesso quarto Vangelo. Il parallelo è evidente con il prologo narrativo[13] (1,19-51). 

 

 

Nel primo racconto Gesù si volta e viene incontro alla ricerca esplicita di Andrea e dell’altro discepolo; nell’apparizione a Maria Maddalena incrocia la ricerca di Maria del suo corpo. In entrambi i casi l’accento poggia sul dove come luogo dell’incontro, della comunione. 

La risposta in entrambi i racconti ha qualcosa di simile. Si tratta di un’affermazione, che è un riconoscimento della relazione che si è instaurata o si vuole instaurare con Gesù. 

La prima domanda si colloca all’inizio del cammino del discepolato, di cui tutto il Vangelo di Giovanni è una sorta di sviluppo, che coinvolge anche il lettore e ha il suo compimento nell’andare ad abitare insieme, per poter sperimentare nel “convivium” sul modello rabbinico lo stile di vita del Maestro; nella seconda esclamazione c’è il riconoscimento, il suo ritrovamento, seguito dal desiderio, anche se inespresso, di una comunione ulteriore di vita. 

In questa sorta di inclusione sul discepolato tra i due racconti vi è naturalmente una continuità, ma anche una trasformazione nell’intimità. Viviamo in una società nella quale risorge in fondo l’antica tentazione gnostica di un cristianesimo che si fa sapienza di vita, elidendo la dimensione storica della fede, sia quella scandalosa dell’incarnazione e della croce e quella trascendente della presenza di Dio come “altro”, sia quella della testimonianza, che dalla Chiesa va al mondo. Il superamento di un certo intimismo, pur comprensibile di fronte ai drammi della storia del nostro tempo, è racchiuso nelle parole di Gesù che lancia Maria verso la testimonianza della speranza incontrata sul sepolcro vuoto. 

Ecco il secondo aspetto vocazionale del racconto: la missione. Il restare nell’intimità sembrerebbe quasi un’incomprensione della vocazione stessa, un non voler dare adito alla missione. Maria, a differenza anche dei primi discepoli, non è chiamata a restare nell’intimità del suo Signore, ignorando gli altri, ma a portare alle estreme conseguenze l’energia ricevuta dall’incontro con il Risorto. Il Cristianesimo non è la religione consolatoria che sazia gli egoismi spirituali del consumismo religioso del nostro tempo, non è la religione “fai da te”. Maria, pertanto, deve andare ad annunciare a Pietro e ai discepoli che la risurrezione di Gesù, il suo ritorno nella sfera del Padre è garanzia di autenticità del suo messaggio e fondamento della missione della comunità dei credenti in lui nel mondo. 

Non solo Pietro e i dodici sono testimoni della risurrezione. Gesù Risorto ha scelto una donna, una laica per testimoniare la speranza alla Chiesa e al mondo. La missione della donna nella Chiesa è quella di annunciare la speranza che nasce dall’incontro con il Cercato, l’Incontrato, il Vivente. 

La Chiesa sembra aver bisogno di una nota tutta femminile, forse per la natura stessa della donna, da sempre vicina alle sorgenti naturali della vita. Il ministero della speranza è al femminile in relazione all’annuncio della risurrezione, ma in un certo senso tale vocazione è la cifra di tutta la missione ecclesiale. 

Bisogna tener conto, nel momento in cui le vocazioni femminili sembrano venir meno e la speranza sembra essere il deficit principale delle nostre comunità, che anche attraverso una rivitalizzazione delle prime si potrà recuperare le seconda. Le vocazioni femminili, pienamente realizzate, sono segno di libertà e di gratuità, di amore liberato da ogni forma di possesso e di attaccamento, pertanto si profilano nella Chiesa come segno splendente di un futuro di bellezza e di grazia verso il quale guardare con trepidazione, ma anche grande fiducia. 

Vi è poi un’ultima considerazione da fare. Il mondo in cui vive ogni giorno il laico, uomo o donna che sia, chiede di essere investito dal principio pasquale: “Un solo Padre – una sola comunità di fratelli”, sottostante le parole di invio rivolte da Gesù a Maria Maddalena. Solo questa speranza è l’alternativa credibile, anche se difficile da perseguire con coerenza,  ad un mondo di nemici, di divisi, di uomini in lotta. 

È questa la speranza che il cristiano offre al mondo e che il laico cerca e trova nella Chiesa, quando essa si libera di soverchie preoccupazioni per lasciarsi inondare dalla luce del mattino di Pasqua, mattino anche del mondo. 

 

Note 

[1] È stato giustamente notato che questo “voltarsi” non ha molto senso nello svolgimento del racconto, se non per consentire il passaggio al secondo incontro. Tutto ciò deporrebbe a favore di un’inserzione del dialogo con gli angeli nel primitivo racconto dell’apparizione: cfr. R. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, III, Paideia, Brescia 1980, 519. 

[2] L’effetto per certi versi “grottesco” del non-riconoscimento da parte di Maria di Gesù è funzionale al commento implicito del narratore che vuole orientare il lettore a comprendere che, dopo la morte fisica, il luogo dell’incontro con Gesù può essere la sua parola. 

[3] Cfr. R. KYSAR, Giovanni. Il Vangelo indomabile (Piccola collana moderna 84), Claudiana, Torino 2000, 233. 

[4] L’analisi narrativa del ciclo pasquale giovanneo ha messo in luce che il capitolo 20 mostra nella storia dei personaggi ciò che i discorsi di addio annunciano alla vigilia della croce e tutto il medio-racconto fa da pendant narrativo a Gv 14,18-26 e alla sua rilettura in 16,16-22: cfr. J. ZUMSTEIN, “Le cycle pascal du quatrième évangile (Jean 20-21)”, in D. MARGUERAT (a cura di), Quand la Bible se raconte, Cerf, Paris 2003, 143-160, in part. 153-154. 

[5] V. MANNUCCI, Giovanni il Vangelo narrante, Edizioni Dehoniane, Bologna 1993, 91. 

[6] Cfr. R. INFANTE, Lo sposo e la sposa. Percorsi di analisi simbolica tra Sacra Scrittura e cristianesimo delle origini (RdT Library 112), Cinisello Balsamo, San Paolo 2004, 205. 

[7] Tra gli studi seri di diversa prospettiva: cfr. C. RICCI, Maria di Magdala e le altre. Donne sul cammino di Gesù, D’Auria, Napoli 1991; A. G. BROCK, Mary Magdalene, the First Apostle. The Struggle for Authority, Harvard University Press, Cambridge 2002; E. MOHRI, Maria Magdalena. Frauenbilder in Evangelientexten des 1.bis 3. Jahrhunderts, Elwert, Marburg 2000; E. DE BOER, Maria Maddalena. Oltre il mito. Alla ricerca della sua vera identità, Claudiana, Torino 2000 (or. 1997); G. HALDAS, Maria di Magdala, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001 (or. Friburg 1999); S. RUSCHMANN, Maria von Magdala im Johannesevangelium. Jüngerin-Zeugin-Lebensbotin, Aschendorff, Münster 2002; M. R. THOMPSON, Mary of Magdala. Apostle and Leader, Paulist, New York – Mahwah, N.J.1995. 

[8] Cfr. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi 14, 12: PG 33, 839.

[9] Cfr. X. LÉON-DUFOUR, Lecture de l’évangile selon Jean, IV, Éd. du Seuil, Paris 1996, 220. 

 [10] Cfr. C. BERNABÉ UBIETA, “Trasfondo derasico de Jn 20”, in Estudios Biblicos 49 (1991) 209-228, in part. 215. 

[11] Cfr. X. PIKAZA, Indagine sulla risurrezione. Pasqua, la “via della gloria”, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1998, 57. 

[12] C. GIANNOTTO, “Il movimento di Gesù tra la Pasqua e la missione di Paolo”, in R. PENNA (ed.), Le origini del cristianesimo. Una guida, Carocci, Roma 2004, 95-127, in part. 101. 

[13] Cfr. Y. SIMOENS, Secondo Giovanni. Una traduzione e un’interpretazione, EDB, Bologna 2000, 801.