N.02
Marzo/Aprile 2006

Rabbì, dove abiti?

 

 

 

Liturgia della Parola 

1 Gv 3, 7-10 Gv 1, 35-42 

 

Una chiamata del tutto particolare 

Come dimostrano i brani del Vangelo scelti per le Sante Messe in questi giorni, e i Vangeli in genere, Gesù ha chiamato per essere apostoli, ha chiamato per il sacerdozio ministeriale, in modo diverso da come ha chiamato tutti gli altri a seguirlo. Quelli per il sacerdozio ministeriale Egli li ha scelti e chiamati individualmente – nell’odierno brano abbiamo visto chiamati tre di loro: Giovanni (anche se egli non è menzionato qui per nome), Andrea e Simon Pietro – li ha seguiti in maniera del tutto particolare, ha convissuto con loro in un clima di familiarità, ha insegnato loro di più che agli altri, più in profondità (cfr. ad es. Mt 13,10-23.36-43; 15,15-20; Mc 4,10-13; 7,17-23); riguardo al compito previsto per loro ha esortato: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!”(Mt 9,37-38). Poi ha affidato loro compiti e relativi poteri di estrema importanza: di insegnamento, di rendere per sempre realmente e sostanzialmente presente il suo mistero pasquale nell’Eucaristia, di perdonare i peccati, ecc. In realtà, diventarono proprio loro i principali protagonisti dell’evangelizzazione: fondarono in diversi luoghi le prime Chiese particolari e sono rimasti per sempre un’ossatura portante della struttura gerarchica e visibile della Chiesa e del suo apostolato. Di conseguenza, la Chiesa insegna che il sacerdozio ministeriale è assolutamente necessario per la sua vita e missione (cfr. ad es. l’Esort. Apost. Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, n. 1c), esorta a pregare per le vocazioni sacerdotali, responsabilizza tutti a collaborare nella promozione delle vocazioni sacerdotali, si sente particolarmente impegnata per la loro adeguata preparazione. Tutto questo giustifica il vostro Convegno, giustifica la vostra appassionata sollecitudine per le vocazioni sacerdotali, necessaria soprattutto nei momenti di crisi delle vocazioni, o più precisamente di mancata risposta alla specifica chiamata del Signore. Leggendo le vite dei santi, mi impressiona fortemente il fatto che essi, e soprattutto le anime contemplative e i mistici, hanno continuamente e con fervore pregato per i sacerdoti, rendendosi conto, da una parte, dell’importanza della loro missione e, dall’altra, nella consapevolezza che, per motivo di tale loro importanza, il maligno cerca di attaccarli in modo particolare, convinto che “percuotendo il pastore, saranno disperse le pecore del gregge” (cfr. Mt 26, 31; Mc 14, 27). Mi sono sentito incoraggiato quando, all’inizio del mio sacerdozio, come regalo ho ricevuto da un convento contemplativo la notizia che una delle suore si era offerta di pregare per la realizzazione del mio sacerdozio e di offrire per la mia missione tutte le proprie sofferenze. Questo è stato il regalo più bello e più prezioso che mai ho ricevuto. Recentemente, durante un mio viaggio, ho visitato un convento carmelitano, e da quel convento, insieme con gli auguri per questo Natale, ho ricevuto indicato il nome della suora che durante l’anno 2006 pregherà per le mie intenzioni. È molto significativa, da parte delle persone consacrate, una tale premura per i sacerdoti, perché dimostra il loro senso ecclesiale, il loro sentire cum Ecclesia. Sono quindi molto contento di vedere qui tante suore. Non soltanto per il bene della Chiesa come tale, ma anche per la realizzazione della vostra specifica vocazione religiosa, infatti, è di estrema importanza che ci siano sacerdoti competenti, santi, guide spirituali e confessori di alto livello. È nel vostro interesse quindi – forse più ancora che dei laici – inserirvi nella preoccupazione della Chiesa riguardo alla promozione delle vocazioni sacerdotali. 

 

“Rabbì, dove abiti?” 

L’odierno Vangelo, che parla della vocazione di tre Apostoli, e dal quale vorrei ricavare qualche indicazione concreta per il vostro impegno vocazionale, è molto schematico. In pochissime frasi, in modo assai secco, descrive ciò che da parte dei protagonisti dell’evento è stato certamente vissuto in modo molto intenso, ciò che li ha convinti di aver trovato il Messia, li ha entusiasmati così che Andrea incontrando suo fratello si è premurato di condurlo a Gesù, e ciò che ha cambiato in modo radicale la loro vita. Noi vorremmo quindi conoscere più particolari su questi primi momenti vissuti con Gesù: a motivo della nostra curiosità umana vorremmo conoscere maggiormente descritta la dinamica di questo evento. Padre Albert Vanhoye, già rettore del Pontificio Istituto Biblico, commentando questa scena dice che “l’evangelista è ispirato e, proprio perché è ispirato, non ha detto tutto”, ma l’essenziale l’ha detto (A. Vanhoye, Il pane quotidiano della Parola, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2000, p. 75). Riguardo a questo essenziale, nel nostro racconto del Vangelo colpisce soprattutto la domanda dei discepoli del Battista e futuri Apostoli (Andrea e Giovanni): “Rabbì, dove abiti?”. E su questa vorrei soffermarmi: sembra una domanda quasi connaturale al discepolo, soprattutto se si prendono in considerazione le circostanze di vita e del modo di insegnare di allora, ma suppone che il discepolo sia già attratto dal maestro e vuole sapere dove egli abita per poter stare con lui. “Rabbì, dove abiti?”. Gesù risponde: “Venite e vedrete”; e l’evangelista ci informa: “Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui”. Gesù dice “vedrete” e l’evangelista nota “videro dove abitava”, ma non dice che cosa in realtà abbiano visto, quale era quest’abitazione: una casa, una capanna, una grotta, una tenda…? Del resto, mai si parla dell’abitazione di Gesù durante la sua vita pubblica. Altrove Gesù ha detto: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Quindi che cosa in concreto significa “videro dove abitava”? Non sappiamo. Non sappiamo nemmeno che cosa abbiano detto nel tempo che sono rimasti con lui, che cosa abbiano fatto. Il citato Vanhoye spiega: “L’evangelista non l’ha detto perché l’essenziale è di dimorare con Gesù […] andare e stare con lui […] In un certo senso – continua Vanhoye – poco importa ciò che Gesù dice, ciò che fa: l’importante è stare con lui” (ivi). Successivamente Gesù dirà, in modo molto più forte, non solo di rimanere con lui, ma di rimanere in lui e lui in loro: “Rimanete in me e io in voi” come il tralcio nella vite; “Chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto” (Gv 15,4-5). Durante l’Ultima Cena Gesù pregherà: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi” (Gv 17,21); “Io in loro e tu in me” (Gv 17,23), “perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26). San Giovanni, nella sua prima lettera, insisterà più volte su questo rimanere “in lui” (cfr. 1 Gv 2,24.28; 3,6; 4,13). In questo contesto, l’andare ad abitare con Gesù vuol dire soprattutto seguirlo, essere con lui sempre, rimanere in lui stabilmente. “Certo, rimanere con Gesù evoca soprattutto la preghiera, ma anche in tutte le altre attività dobbiamo chiedere a Gesù: «Dove abiti?», per andare con lui. Poco importa se è nella gioia o nella pena, nel lavoro o nell’inattività: l’essenziale è di essere con lui in ogni momento. Se lui abita nella gioia, saremo nella gioia; se lui ci invita ad abitare nella pena, andremo nella pena, che con lui è illuminata; se ci dà di agire, agiremo con lui; se preferisce farci immobili nella malattia o nella prova, rimaniamo in pace, perché siamo con lui” (Ibidem, p. 76).

 

Rimanere con lui porta molti frutti 

Se noi pertanto domandiamo al Signore “Dove abiti?”, per rimanere continuamente con lui, allora: 

– la nostra vita certamente porterà molti frutti (cfr. Gv 15,5): per noi, per la nostra santità, la nostra salvezza, ma anche per la Chiesa, per la santificazione del mondo; non sarà una vita sprecata; 

– e se sei religiosa, la tua consacrazione diventerà un terreno fertile per il Regno dei cieli, saprai realizzare efficacemente la tua vocazione e diventare un segno luminoso per il mondo moderno secolarizzato; non sarà, la tua, un’esistenza poco significante. Se sul serio domandiamo al Signore “Dove abiti?”, per rimanere continuamente con lui, allora: 

1) saremo tutti anche più efficaci, più fruttuosi, nel nostro impegno per le vocazioni sacerdotali; aiuteremo con successo i chiamati a scoprire la voce del Signore e ad accoglierla con entusiasmo; 

2) e se uno è chiamato al sacerdozio, sarà più sensibile alla voce del Signore, più disponibile a seguirlo senza compromessi e con tutte le forze. 

 

Conclusione 

Oggi – come del resto sempre – la Chiesa e il mondo hanno bisogno di noi. Cristo ha bisogno di noi, per allargare ed approfondire la sua presenza nei cuori degli uomini. Ma ha bisogno che noi veramente abitiamo con lui, che rimaniamo in lui e lui in noi. Gesù, che attraverso il presepio ci fai intravedere il tuo amore per noi e che nell’Eucaristia che stiamo celebrando sei rimasto con noi, nel più grande atto del tuo amore, dacci coraggio! Dacci coraggio di essere autenticamente tuoi! Questo, infatti, è essenziale e più importante, anche nella prospettiva della nostra promozione delle vocazioni sacerdotali.