N.02
Marzo/Aprile 2006

Un Amore preveniente che viene prima di ogni nostra risposta d’amore

 

 

 

Liturgia della parola 

1 Gv 3, 11-21 Gv 1, 43-51 

 

Questo brano del Vangelo continua quello che abbiamo letto e ascoltato ieri e, insieme, questi due testi formano la descrizione delle prime vocazioni apostoliche secondo Giovanni. Il modo nel quale Giovanni presenta la scelta, la chiamata dei primi discepoli di Gesù è diverso da quello dei Sinottici, soprattutto in un punto: non c’è soltanto il Signore Gesù che chiama e gli apostoli che rispondono anzi, la chiamata avviene tramite altre persone. Tramite il Battista che indica Gesù e poi tramite i discepoli che passano parola l’uno all’altro: l’uno invita l’al-tro a venire e a mettersi al seguito del Signore Gesù. Ma c’è anche un altro aspetto e cioè l’aspetto del vedere oltre a quello dell’ascoltare. Già ieri abbiamo sentito il Signore Gesù che ha risposto a quei due: “Venite e vedrete” quando gli hanno domandato: “Dove abiti?”. C’è un’esperienza, un’esperienza di Cristo come decisiva del seguire la sua chiamata, del mettersi al suo seguito. Oggi c’è un elemento in più: c’è Gesù che dice a Natanaele che lo ha visto, lo ha visto prima che Filippo lo invitasse. Questo ci richiama allo sguardo eterno di Dio che ci conosce fin dall’inizio, alla dimensione eterna della vocazione di ciascuno di noi, della vocazione di ogni cristiano, della vocazione specifica di coloro che hanno chiamate a particolare consacrazione e anche, in un senso più ampio, della vocazione di ogni uomo.  Ma poi c’è naturalmente anche qui la promessa di Gesù a questi discepoli: “vedrete, il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (v. 51) e, più in generale, Gesù che dice a Natanaele: “Vedrai cose maggiori di queste!” (v.50). 

Se vogliamo applicare al nostro contesto queste parole del Signore Gesù dobbiamo riconoscere molto semplicemente l’importanza dell’esperienza cristiana nella vocazione. Certo, è importante l’invito che viene anzitutto da Dio, che parla attraverso il suo Spirito nei nostri cuori, l’invito che passa tramite la comunità ecclesiale, passa tramite la nostra opera, non solo di voi che vi impegnate specificamente sul terreno delle vocazioni, ma di ogni sacerdote, di ogni religiosa, di ogni cristiano o famiglia cristiana consapevole che fa, nella maniera opportuna, la proposta vocazionale. 

Questa proposta, per essere fruttuosa, deve essere accompagnata da una possibilità di esperienza e qui è fondamentale il ruolo delle nostre comunità, dalla comunità familiare a quella parrocchiale, a quella religiosa, a quella di un’associazione, di un gruppo, di un movimento; tutte le varie comunità nelle quali si può approfondire e fare l’espe-rienza del Signore Gesù: stare con lui, per imparare ad andare nel suo nome, come è scritto nel capitolo 3 del Vangelo di Marco: “Chiamò, scelse i Dodici perché stessero con lui e andassero nel suo nome”. Io vorrei, però, concretizzare di più questa riflessione sullo stare con Gesù, sul fare esperienza di lui alla luce delle parole molto forti, molto profonde che abbiamo ascoltato nella prima lettura, quando Giovanni, nella sua prima lettera, ci parla in maniera così chiara del passaggio dalla morte alla vita e comincia dicendo: “Questo è il messaggio che avete udito fin da principio, che ci amiamo gli uni gli altri” (v. 11). 

Sappiamo che tutto il NT insiste sul comandamento dell’amore reciproco, ma Giovanni lo fa con la sua maniera particolare, con la sua sollecitudine particolare e poi parla appunto di questo passaggio dalla morte alla vita. Quest’anno il nostro Convegno Nazionale delle vocazioni ha voluto essere in piena sintonia col Convegno della Chiesa italiana che si svolgerà a Verona in ottobre, sull’essere testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo, e qui la resurrezione come passaggio dalla morte alla vita è presentata da Giovanni secondo la sua escatologia, che non è soltanto l’escatologia del futuro che verrà, ma è anche un’escatologia del presente, di quello che si realizza adesso: la resurrezione come passaggio dalla morte alla vita avviene adesso, quando ci convertiamo davvero all’amore dei fratelli. Giovanni concretizza ulteriormente questo discorso, parla di quell’amore che deve esprimersi nel dono della vita perché non è altro che il riflesso dell’amore che Cristo ha per noi, di quell’amore preveniente che viene prima di ogni nostra risposta d’amore; quell’amore preveniente è consistito nel dono che Cristo ha fatto della sua vita per noi e “quindi – Giovanni dice – anche noi dobbiamo sacrificare la vita per i fratelli” (v. 16). Poi fa quell’esempio così semplice ma anche così eloquente di chi ha mezzi e chiude il suo cuore di fronte al fratello che vive nella povertà, dicendo: “Chi si comporta così non ama, come può dimorare in lui l’amore di Dio?”. E conclude: “figlioli, non amiamo a parole né con la lingua ma coi fatti e nella verità”. Questa parola vogliamo sentirla rivolta anzitutto a ciascuno di noi, prima ancora che agli altri, non soltanto sul piano della condivisione dei beni materiali, ma su quello dell’offerta, della condivi-sione della vita, della disponibilità umile a spenderci per i nostri fratelli e le nostre sorelle: questo ci è chiesto per dare anche ai nostri fratelli la possibilità di sperimentare in noi e attraverso di noi la presenza del Signore Gesù. Questo discorso va fatto ad ogni persona che comincia ad interrogarsi sulla propria vocazione. Ogni persona che vuole fare esperienza di Cristo deve passare per questa strada che è la strada dell’amore non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Questo è il modo per sperimentare Cristo in noi, per essere suoi veri discepoli, per stare con lui, per essere uniti a lui. E allora noi chiediamo in questa Messa che tutta la pastorale della Chiesa, ma, anche più ampiamente, la vita dei credenti e, dentro a questo grande fiume, la pastorale vocazionale, abbiano l’impronta dell’amore cristiano, dell’amore concreto e operoso che nello stesso tempo ha questa dimensione profonda, mistica, che è tipica di Giovanni; dimensione che unisce appunto la concretezza – quella che noi chiameremmo la solidarietà cristiana e la disponibilità a spendersi – con l’intimità del rapporto con Dio, perché quando amiamo coi fatti e nella verità, è allora che sperimentiamo Cristo in noi. È allora che Cristo e il Padre rimangono in noi e noi in loro, secondo quel rimanere in che è il modo nel quale Giovanni esprime la profondità dell’esistenza cristiana, come unione con Dio che incomincia in questa vita e sfocia nella vita eterna. Comunione con Dio che fa capire a tutti noi qual è la nostra vera, ultima e piena chiamata. 

Ogni chiamata vocazionale è certo chiamata a un concreto servizio nella Chiesa, ma è anzitutto chiamata all’unione con Dio, a un’unione che va al di là di questa vita, a un’unione che non finisce, a un’unione che è il senso vero e la speranza vera di ogni cristiano, la speranza per la quale ogni uomo è stato creato. Adesso vorrei aggiungere qualche parola immediatamente pratica sul vostro lavoro. 

Mi diceva don Luca, prima di celebrare la Messa, che siete ben 700 a partecipare a questo Convegno ed è stata per me veramente una buona notizia, di cui vorrei ringraziare il Signore con voi e anche ringraziare voi. 700 persone che si dedicano in modo particolare a questo compito così grande che è il compito delle vocazioni, della cura delle vocazioni della Chiesa: vocazioni sacerdotali, vocazioni religiose, maschili e femminili, vocazioni missionarie e poi il complesso delle vocazioni di speciale consacrazione dentro al più ampio contesto, perché ogni cristiano è un chiamato che ha un compito specifico, una missione specifica che il  Signore gli affida nella Chiesa e nel mondo. Quest’anno, o meglio, nell’anno appena concluso, abbiamo avuto delle esperienze ecclesiali molto forti: mi riferisco soprattutto alla sofferenza e alla morte di Giovanni Paolo II, che è stato una grande testimonianza di amore e di dedizione. Posso dire di averlo conosciuto bene per ben 21 anni perché il primo incontro personale con lui lo ebbi nell’autunno dell’84, quando ero anch’io un po’ più giovane: ebbene, posso dirvi, avendolo conosciuto per 21 anni consecutivamente, della grandezza del suo cuore. Certo si dice giustamente: “Grande uomo di preghiera” e lo era, ma era anche grande uomo della carità cristiana, dell’amore concreto e della delicatezza verso tutti. Quest’uomo ha dato alla fine, ha manifestato alla fine, nel modo più pieno, la grandezza del suo cuore, della sua fiducia in Dio e della speranza cristiana. 

Ho sentito da molte parti anzi, ho la testimonianza della diocesi di Roma, che quest’anno è stato un anno particolarmente fecondo per l’ingresso di giovani nei seminari e spero, anche se non ho dati precisi, né uguali informazioni, che sia stato anche un anno fecondo per gli ingressi di donne nelle varie Congregazioni religiose o nelle varie vocazioni specifiche di speciale consacrazione; così è stato per Roma, così anche in Polonia dove è già così alto normalmente il numero delle vocazioni; così è stato anche in Germania, così è stato, certamente, in non poche Diocesi d’Italia. 

Prendiamo questo come un segno dell’efficacia della testimonianza cristiana e un segno di fiducia e di speranza per tutti noi. Il nostro lavoro, se a volte può sembrare una grande fatica, che produce pochi risultati concreti, può produrre, nel mistero dell’amore di Dio, risultati che noi non prevediamo e che affidiamo nella preghiera alla bontà del Signore. Vorrei, per terminare, dire a tutti voi la gratitudine dei Vescovi italiani che sanno come per la Chiesa in Italia, nei prossimi anni, questo tema sarà sempre più decisivo. Abbiamo dedicato assemblee e anche studi specifici a queste problematiche e abbiamo visto che, certamente, la sfida è grande anche in Italia. 

Dobbiamo ringraziare il Signore perché in Italia la situazione è meno difficile che in molti paesi a noi vicini, nei quali è davvero drammatica, però, proprio per questo, siamo impegnati a pregare al massimo, a testimoniare al massimo e a “fare” al massimo, perché l’Italia possa avere una sua vitalità vocazionale e possa mantenere o riprendere quel servizio anche ad altri paesi (prima era un servizio soprattutto ai paesi dell’Africa, dell’Ameri-ca latina). Io penso che nel futuro questo sarà soprattutto un servizio a paesi a noi vicini, a paesi europei che attraversano una gravissima crisi vocazionale e che già adesso sono aiutati, per esempio, dalla Polonia o anche da vocazioni che vengono dal terzo mondo. Sarebbe bello che anche l’Italia, in un futuro prossimo, potesse dare un aiuto, perché, di quest’aiuto, con ogni probabilità, ci sarà bisogno. Affidiamo tutto al Signore, affidiamo tutto a Maria nostra dolce Madre, perché tutti rispondiamo alla chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi.