N.03
Maggio/Giugno 2006

Profeti di speranza nella città secolare [1]

Ad Assisi, dal 18 al 21 aprile, si è svolto il 21° Seminario sulla direzione spirituale a servizio dell’orientamento vocazionale e la figura scelta come riferimento di tutto il cammino di riflessione è stato Giorgio La Pira: un contemplativo nell’azione, un santo contemporaneo laico, un profeta vero per le sue visioni e per i suoi gesti. Carmela Tascone, ne ha presentato la biografia, con i salti di qualità nella fede, nella vocazione, nell’impegno prima ecclesiale, poi sociale e politico. Quante accuse di essere un ingenuo tra i potenti, un illuso, un idealista anche pericoloso… invece la sua adesione radicale al Vangelo, la sua fortissima spiritualità di contemplativo dentro la storia, i suoi occhi capaci di vedere oltre e la sua sapienza che interpretava i segni dei tempi, ne hanno fatto uno dei modelli più attuali per i cristiani, anche oggi chiamati ad essere “nel mondo, non del mondo, ma per il mondo” (Paolo VI ai consacrati secolari). Personalità unitaria, sosteneva che ai politici è necessaria la meditazione della Parola per capire la direzione della storia, altrimenti sarebbero solo dei “direttori generali”. Ha praticato e proposto ai cristiani “un legame organico e solidale coi fratelli nella Chiesa e nella società, senza separazioni”. Sentendosi “violentemente” messo dentro la politica, nella quale si è gettato con tutta la dedizione di cui era capace, continuava a dire di sé: “Desidero solo stare col Signore nella pace benedetta della orazione”. Dall’apporto alla Costituzione, ai dialoghi con i leaders politici più importanti, sia italiani che di tutto il mondo, all’attenzione alla giustizia e alla povera gente senza casa e lavoro, allo studio dei problemi della città e delle soluzioni praticabili ma scomode e con costi significativi per lui, alla lotta per la pace e contro l’ateismo, per il dialogo tra i popoli e le religioni soprattutto quelle abramitiche, ha dimostrato come “la politica è a servizio della speranza non della paura…”, è un compromettersi nella storia, per costruire ponti dopo aver abbattuto i muri. 

Con p. Amedeo Cencini siamo passati all’approfondimento dei temi più legati alla guida spirituale e all’animazione vocazionale, ma sempre tenendo presente la cornice tematica del Convegno di Verona. P. Amedeo ha guidato la riflessione su: La direzione spirituale e il discernimento dell’azione di Dio nella storia. Partendo dalla valorizzazione dell’esistenza personale come luogo della rivelazione di Dio e vera storia sacra, ha esposto i passi da compiere per imparare a leggerla. Leggerla per cogliere quel senso già iscritto in essa (la mia vita è creata da Dio per amore) che tante mediazioni umane ci rendono presente, anche se sono tutte imperfette, perciò difficili da decifrare: volti, incontri, relazioni speciali, avvenimenti della storia civile o ecclesiale… Sviluppando però la capacità di apprezzare il tanto bene che c’è già e rendendo grazie per esso, si cresce nella capacità di rendere la propria vita quotidiana luogo concreto di preghiera, come ci insegnano tanti personaggi biblici. La fede poi si manifesta in una serie di atteggiamenti che rivelano una disposizione e una lettura credente della vita, che conserva sempre un suo senso davanti a Dio, e anche nella evoluzione della propria vocazione, anche se si dovranno integrare le esperienze negative. Un aspetto interessante, come metodo, è stata l’insistenza sul rendere più riflessa e più cristocentrica la propria storia, attraverso una vera e propria scrittura di essa, che permette di dare forma ai pensieri e alle intuizioni e di andare più a fondo nello scoprirne il senso pasquale. Questa elaborazione ha come scopo naturalmente di portare a decidere. Nella decisione vocazionale, anche se a piccoli passi, si rivela tutta la capacità straordinaria e propria solo dell’uomo, di essere responsabile: ascolto, confronto con la propria libertà, obbedienza al legame con la vita dell’altro e presa in carico di essa con responsabilità. Ciò comporterà sicuramente di doversi far carico anche del male che il fratello può fare, come Gesù che ha obbedito alla sua vocazione fino in fondo, per eliminare il male che incombeva sugli uomini. 

Carla Galbusera, laica, formatrice e insegnante, ha continuato la riflessione sul tema centrale, “contemplativi nell’azione”, offrendo una sintesi delle attenzioni che ha imparato ad avere nel suo lavoro e nella sua esperienza di formatrice, sia per quanto riguarda la vita spirituale, che la formazione umana. Con una riflessione sapienziale e sintetica ha dato numerose indicazioni pratiche e orientamenti di fondo per la conduzione dei giovani (e non solo) verso una maturità laicale cristiana, aperta sul mondo di oggi, con i tanti aspetti che stanno emergendo. Lasciandosi sfidare da esso come La Pira, si può progettare uno stile di vita evangelico, provocatorio e attraente, cominciando però dalla messa in discussione del proprio modo di essere cristiani nel mondo. 

Romano Martinelli invece, da una lunga esperienza come guida spirituale di presbiteri e laici, ha tratto una serie di indicazioni per la formazione della coscienza del laico, sotto la simpatica forma di consigli e ricordi per le giovani guide. È un tema oggi caldo e abusato, quello del “seguire la propria coscienza”, senza altrettanta cura per prima formarla. Per la guida, il primo passaggio nella formazione è quello di accogliere la coscienza dell’altro così come è, con i suoi limiti e le sue frammentazioni. Però occorre avere chiaro l’obbiettivo: una santità laicale “eloquente” per l’oggi. Coscienza matura è quella che desidera avere su di sé lo Spirito santo e essere sotto la sua santa operazione. Chiaramente in questa formazione attraverso la direzione spirituale ci sono delle costanti, ma occorre individuare quale virtù privilegiare. Può aiutare la saggezza degli antichi uomini spirituali, come Evagrio il Pontico, con i suoi “otto pensieri” (da cui i vizi capitali): le resistenze di sempre che frenano la maturità della fede, vanno scovate anche oggi. Poi occorre una “sapienza della prassi” (Dossetti), un’acquisizione non di idee ma di abiti virtuosi che permettano poi di pensare e di agire correttamente; e anche di saper dire dei “no” alla realtà del momento, che pretende sempre di essere la migliore (Magris). La vita spirituale così influirà sulla professione, perché un rischio del laico di oggi è che avvenga l’opposto: i criteri di professioni sempre più coinvolgenti ed esigenti, si tende ad applicarli anche al modo di giudicare in campo morale e spirituale. Ci si illude così che basti una pratica scrupolosa dei propri doveri professionali. Invece si dovrebbe partire dai criteri evangelici per valutare quelli richiesti dalla propria professione e prendere posizione. I grandi educatori di laici, come Lazzati e La Pira, sono modelli importanti in questo senso anche per l’oggi. La priorità comunque sta tutta nell’educare a pregare: qui il laico impara a scegliere il bene maggiore tra le inevitabili alternative, anche buone, che la vita quotidiana propone. Parola di Dio, esame di coscienza, lettura dell’esistenza con lo sguardo di Dio, iniziazione a vivere alla sua presenza, attenzione a discernere i mutamenti epocali nei quali si è immersi, pericolo dell’attivismo… sono altri punti essenziali. Poi il discernimento della vocazione, anche di una chiamata nella chiamata (per es. la consacrazione laicale) potrà avvenire anche per l’aiuto della direzione spirituale, con gradualità. Nel mondo, comunque, per testimoniare con efficacia saranno necessarie le virtù della resistenza, del coraggio, della costanza, dell’umorismo, dell’amore per la verità. 

Claudia Ciotti, psicologa e formatrice, ha affrontato la tensione insopprimibile dei laici (consacrati in un Istituto secolare o sposati) tra “fuga mundi” e “pro mundi vita”, contemporaneamente cittadini del cielo e del mondo. Precisando le applicazioni di questo termine a più realtà umane interne ed esterne (dalla corporeità alla psiche, dalla socialità all’ambiente, dai valori culturali alla libertà…), si è visto che tutte possono essere mezzo per arrivare a Dio, ma ciò dipende dalla libera decisione dell’uomo. Siamo infatti in un contesto secolarizzato, il soggetto è al centro di tutto. È vero però anche che la Chiesa ha formulato un nuovo approccio al mondo, con il Concilio. Oggi la fuga mundi si concretizza non nel disprezzo di anche uno solo dei valori umani, ma nella rinuncia ad ogni idolatria, per vivere tutto come dono che viene da Dio e per impegnarsi a riportare a Lui anche le realtà più rovinate dall’egoismo umano. La comune chiamata alla santità apre a rapporti positivi con Dio, con gli altri, con se stessi e col mondo. Per vivere una vita sana e santificante occorre gustare la bellezza del mondo, non negare la tensione tra ideali da raggiungere e chiusure egocentriche che ci portiamo dentro, per assumere decisamente una logica di autotrascendenza. Esistono tanti modi per fuggire dal mondo, negando le sue realtà spiacevoli, proiettandole ingenuamente solo  fuori di sé, cadendo nell’utilitarismo o tentando di affrontare i problemi con delle furbizie… Si vive da cristiani solo nella concretezza evangelica che si fa carico del mondo, che lo apprezza, anche se si sa rinunciare a quei beni che non appartengono alla propria vocazione specifica. Alla fine si risale a Dio riconosciuto come il sommo bene, che non toglie nulla al mondo, anzi ne chiede il rispetto e la valorizzazione perché uscito dalle sue mani. 

Mons. Oscar Cantoni, vescovo di Crema, ha legato il cammino del Seminario con la vita pastorale delle nostre chiese locali, diocesi e parrocchie, e con le altre realtà ecclesiali: Seminatori di speranza nel cammino spirituale della comunità cristiana. Ha approfondito il tema della missionarietà come atteggiamento indispensabile per comunicare la speranza ad una società scettica e smarrita. Una speranza a contenuto cristiano, non semplice ottimismo, fondata su un Dio che promette e mantiene la parola data, alimentata dalla comunione esistenziale e spirituale con il Signore Gesù. I laici credenti in questo momento storico sono chiamati ad un nuovo impegno di formazione, perché il contesto culturale è in continuo cambiamento e perché occorre una conoscenza profonda della Parola da annunciare. La loro indispensabile collaborazione, anche con nuove possibilità, sarà così efficace: la direzione spirituale è uno degli strumenti privilegiati per questo salto di qualità. Perché le diocesi non chiedono ai consacrati di diminuire altre presenze e dedicarsi alla formazione permanente dei laici collaboratori parrocchiali, di associazioni o di uffici diocesani? Chi è più formato e qualificato di loro sulla vita spirituale? Riceverebbero anche un aiuto alla loro crescita, dal confronto con le altre vocazioni. È una sfida, unita a quella di assumere uno stile più sinodale nella pastorale ordinaria, che cambierebbe molto il volto delle nostre chiese. 

 

Note

[1] L’articolo, con cui inizia questo numero, è stato scritto da Don Lorenzo per la rivista delle edizioni Dehoniane “Settimana”, n. 18/2006.