N.04
Luglio/Agosto 2006

Come il cristocentrismo si pone a fondamento degli interventi ecclesiali per l’animazione e la pastorale vocazionale?

Particolarmente preziosa risulta la prospettiva dei contributi personali alla giornata di studio, fatti pervenire da alcuni membri del Gruppo Redazionale, per rispondere insieme a tale domanda: che cosa si è pensato, fatto, si sta pensando e facendo in questa prospettiva…

 

I giovani e la centralità di Gesù Cristo

di Franco Dorofatti, Docente di Psicologia al seminario di Brescia

 

Varie discipline scientifiche, quali la storia, la sociologia, l’antropologia culturale, la psicologia…, studiano la realtà giovanile e convergono nel darne un’immagine complessa ed articolata, quasi sfuggente, perché soggetta a rapida evoluzione. Noi qui intendiamo procedere ad una lettura soprattutto educativa della condizione giovanile, che si avvale degli apporti delle altre discipline e cerca di proporre un progetto educativo fondato su Cristo. 

Incominciando la diagnosi della realtà giovanile, rileviamo un certo disagio e un’inquietudine, dovuti alla mancanza di senso, di memoria, di progettualità. Si nota la sindrome di una caduta di senso che affligge molti giovani, provocata dal sentimento di inutilità e di marginalità sociale, dalla situazione di precariato diffusa nel campo del lavoro giovanile, dal venir meno del protagonismo, dalla quasi impossibilità di vedere una collocazione nella società, rispondente alle attese ed agli sforzi personali, per cui uno non vive animato dalla speranza del futuro. Ma la caduta di significato è da addebitarsi anche ad un altro fattore. Il soggetto si trova a vivere in una società complessa, vale a dire in un contesto socio-culturale nel quale si registra la perdita di un “centro”, cioè di un luogo socializzante, prioritario e predominante su tutti gli altri (la comunità del villaggio con al centro il campanile), ma anche la perdita di un sistema prioritario di valori tradizionali, in grado di organizzare ed integrare i molteplici messaggi. 

La perdita del “centro” si riflette a livello della persona, la quale è passata da un tendenziale monocentrismo esistenziale (con la parrocchia al centro) ad un tendenziale policentrismo esistenziale, caratterizzato dal fatto che l’individuo deve fare i conti con più gruppi di appartenenza e di riferimento, non sempre concordi nella loro proposta, in un clima di pluralismo culturale e di relativismo morale e religioso. È andata affermandosi, come sostiene W. Brezinka, una società piuttosto disorientata, mancante di valori sicuri, comunemente condivisi1.

Il sociologo Z. Bauman, che aveva scritto “Modernità liquida” (Laterza, 2002), applica nella nuova opera “Vita liquida” (Laterza, 2006) l’idea della modernità liquida alla vita della persona, che risentendo il contraccolpo della “società liquida”, diventa anch’essa “liquida e precaria”. Modernità liquida e vita liquida sono profondamente connesse tra loro. La modernità liquida succede alla modernità “solida” dell’Ottocento e del Novecento, fatta di legami e di leggi, ed è tipica del nostro tempo, in cui nulla è fisso, nulla è certo, tutto sfugge, tutto è fluttuante,… tutto è liquido! Siamo in un tempo in cui gli individui mancano di punti di riferimento solidi e faticano ad elaborare un valido progetto di vita. Perdute le antiche sicurezze, viviamo nell’epoca del frammento: la vita è un assemblaggio di flash, di notizie, di volti, di eventi… tanti frammenti disarticolati che faticano a fare unità, per prendere corpo in un progetto.

Cadute le grandi ideologie (idealismo, scientismo, positivismo, marxismo) e ridimensionato il mito del progresso, c’è un’atmosfera di disincanto, di scetticismo, di relativismo e anche di nichilismo. È emerso il pensiero debole, con le appartenenze deboli, contro il pensiero forte e le appartenenze forti. No alle scelte definitive, alle mille esperienze atomizzate, che non impegnano a lungo, e alla gratificazione istantanea, emozionale. Si vive nel precario, nel fluido, in un mondo che manca di stabilità, dove regna l’usa e getta. Siamo spaesati, disorientati, nomadi, sperduti in un mondo “liquido”, incerto, senza più regole e senza più sicurezze. 

Un giovane, in una società così complessa e povera spiritualmente, prova insicurezza nell’orientarsi verso i valori, ricorre ad una relativizzazione, ad un ridimensionamento dei sistemi di significato; cerca di adattarsi, con una politica di piccolo cabotaggio, rinunciando alla “memoria” e a progetti con grandi tensioni ideali. Rinuncia alla “memoria”, come capacità di fare sintesi della propria esistenza storica, che si ancora al passato, si lega al presente e si proietta nel futuro. Oggi il giovane tende a vivere adattandosi, sì, al presente, ma nutrendo scarsa memoria del passato e provando riluttanza per il futuro.

De Rita direbbe che i giovani sono tendenzialmente “smemorati”, ossia inclini a perdere il senso della continuità storica: quel senso, cioè, di appartenenza ad una successione di generazioni nate nel passato e che si protraggono nell’avvenire. Essi vogliono vivere per se stessi, nel presente, non per i predecessori né per i posteri, tagliandosi fuori da un patrimonio di valori e di aspirazioni insegnato dalla storia e riportando un certo vuoto esistenziale. Lasciano cadere i grandi progetti e si dedicano alla gestione della vita quotidiana: vogliono divertirsi nel presente. Di fronte alle tante opportunità non si lasciano catturare in forma consistente da nessuna proposta, ma nel medesimo tempo piluccano un po’ ovunque quel che fa loro piacere, secondo la logica del “fai da te”, selezionando e componendo a piacere vari elementi culturali, scegliendo i gruppi cui identificarsi e le opportunità di realizzazione personali, senza compromettersi con un impegno sodo, evitando di totalizzarsi su un’unica esperienza.

Alla fine avremo dei giovani con una concezione di vita “a mosaico”, che si ispirano ad un “eclettismo pragmatico”, cioè inclini a giocare con la tecnica dello “zapping”, ritagliando e componendo scampoli dei tanti messaggi, tra loro persino contradditori, che permettano loro, però, di “ vivere alla giornata”, senza eccessivi problemi e senza grandi ideali[1].

Non è detto che i giovani non s’industrino a pianificare la vita, anzi con una certa furbizia ricercano progetti di corto respiro, tesi alla risoluzione dei problemi quotidiani, con l’abbandono di prospettive totalizzanti e onnicomprensive, a ciò indotti anche dalla fine dei miti e dalla caduta delle ideologie. Sanno in fondo trovare condizioni di vita vivibili, secondo la logica del piacere, senza curarsi del senso globale della vita e del fine ultimo della medesima.

Questa gestione della vita, un po’ a “sequenza-flash”, all’insegna di soluzioni immediate ed appaganti, rivela una buona dose di realismo, che può sfociare in opportunismo o in stoicismo, con lo stroncamento del riferimento a grandi idealità[2]. Per la verità – osserva Garelli – pure i giovani d’oggi fanno riferimento a valori, quali la convivialità, il mutuo soccorso, la pace, la fede religiosa…solo che simili valori sembrano centrali solo a livello teorico, sono lasciati piuttosto sullo sfondo e risultano marginali nelle concrete dinamiche della vita ordinaria, nella quale prevalgono obiettivi di realizzazione personale, come la posizione sociale, il divertimento, gli hobby…[3].

In uno stesso soggetto, perciò, possono essere compresenti riferimenti ideali piuttosto ininfluenti e riferimenti quotidiani, legati a prospettive individualistiche o privatistiche di realizzazione quotidiana. È dunque auspicabile che il realismo, che fa attenti i giovani alle istanze quotidiane, si accompagni alla dimensione ideale della vita, vale a dire: è auspicabile che il giovane radichi l’esistenza in un quadro di valori e di ideali, che innervino ed ispirino le scelte quotidiane.

Vale la pena poi di osservare che dagli anni Ottanta si nota in diversi giovani una tendenza a dare più peso ai valori post-materialistici: si desiderano e si cercano valori che diano più umanizzazione e più personalizzazione; si vuole una vita più genuina, più semplice, più autentica.

Questi giovani, come saturi del benessere materiale, anelano al benessere spirituale, a valori estetici, etici e religiosi in grado di realizzare in pienezza la personalità. Hanno coscienza della finitudine, avvertono il senso del limite dei beni terreni e sono attratti dal senso del mistero verso la trascendenza. Essi rivelano l’animo umano che non si appaga solo dei beni materiali, ma cerca pure beni spirituali, aprendosi alla ricerca dell’infinito[4].

A questo punto, su di un piano pedagogico, ai giovani complicati e piuttosto appiattiti sul presente, alquanto presentisti e pragmatici, tendenzialmente “smemorati”, poco protesi a progettazioni future, liquidi e precari, ma pure inquieti, sensibili agli ideali, aperti alla prospettiva del mistero e disponibili a superare il senso del limite alla ricerca di Dio, che in fondo si trovano alle prese con l’apprendimento del “mestiere del vivere” e che sono alla ricerca di risposte plausibili alle “domande di senso” che abitano nel loro cuore, a questi giovani intendiamo proporre un quadro di valori significativi, in grado di riverberarsi e tradursi a livello di vita quotidiana, così da dare respiro ideale all’esistenza.

Cerchiamo di prospettare dei valori positivi che possano esercitare un’attrattiva per i ragazzi d’oggi e possano realizzare in pienezza la loro personalità. Un valido progetto potrebbe comprendere l’area dei valori imperniati sull’interiorità e l’identità personale, l’area incentrata sulla socialità e l’ospitalità e quella polarizzata sulla spiritualità e la preghiera, che culminano nella centralità di Gesù Cristo nella vita del giovane.

Uno dei valori di rilievo da conseguire, in un’epoca di superficialità ed esteriorità, consiste nella riappropriazione della propria identità interiore, nella coscientizzazione di sé: il soggetto deve compiere un viaggio spirituale dall’esterno verso l’interno, per riguadagnare il proprio “io”.

È opportuno ricordare quanto disse V. Frankl nel 1977, i quando gli fu consegnato il prestigioso premio “Fondazione Cardinal Innitzer”: “Bisogna aiutare l’uomo a trovare il senso della vita. Ad ogni costo. E l’uomo deve aiutare se stesso. Deve avere il coraggio di non fuggire, tuffandosi nel rumore e nella velocità, ma di pensare e di meditare. Deve regalarsi un pezzo di deserto in cui rifugiarsi per ritrovare se stesso. Non un pezzo di deserto per rimanerci, ma per scoprire nel silenzio il senso della sua vita ed uscirne per viverla con un sapore nuovo” [5]. Nel silenzio interiore uno si riconcilia con la sua “soggettività”: gode dell’intelligenza che ricerca sensi di vita e le ragioni del reale, scopre le ragioni del cuore e i nobili sentimenti dell’uomo, quali la curiosità, lo stupore, la meraviglia, il “gaudio”della verità, il gusto del bello, il fascino del bene; scopre la preziosità della meditazione e della riflessione per la maturazione delle convinzioni. In fondo, nell’interiorità si ascolta se stessi e si scopre la propria identità, cioè che la vita è un talento di cui si è responsabili e diventa un impegno per tutti.

Un secondo valore proponibile riguarda la socializzazione, l’altruismo, la carità. Nel contesto socio-culturale attuale, come è difficile il cammino interiore per la riconquista dell’io, così si è aperta la crisi del “noi” per la caduta delle relazioni interpersonali. Avanzano l’indifferenza, la diffidenza del rapporto, la competizione e la conflittualità. Il filosofo Mancini dice che si tocca con mano, dentro la società, l’impotenza d’amare e che deve tornare il “volto” dell’altro nella vita di ciascuno[6].

Ora il soggetto, che ha recuperato l’interiorità, deve aprirsi all’ospitalità: l’uomo, “struttura dialogale” e relazionale, deve ascoltare l’appello dell’altro e dedicarsi all’amicizia, all’altruismo, alla solidarietà. Secondo la psicologia religiosa, una persona matura nella misura in cui si decentra dal proprio “io” per  ricentrarsi sugli altri e sull’Altro. In termini di spiritualità cristiana si afferma che il cristiano deve svuotarsi dell’io per lasciare spazio a Dio e ai fratelli, deve “svuotarsi della propria oscurità per riempirsi di luce”, come scrive Evdokimov[7].

Altro valore prioritario da proporre: la spiritualità, la preghiera, la centralità di Cristo nella vita cristiana. Si tratta di portare i giovani alla coltivazione dell’uomo nella sua dimensione interiore, al culto della vita spirituale che si apre a Dio, alla scoperta della preghiera come strumento per comunicare con il Dio di Gesù Cristo, che dà luce e senso all’esistenza.

Già Seneca, nell’antichità, consigliava agli uomini, preoccupati di “allungare la vita”, di premurarsi maggiormente di “vivere nobilmente”, spiritualmente vivi[8]. Eckhart, nel Medioevo, invitava a promuovere l’uomo nobile, vale a dire l’uomo interiore che si volge alla virtù e si eleva a Dio[9]. E Fromm, più vicino al nostro tempo, incoraggia il sorgere, nella società del progresso e del benessere, di un uomo nuovo che punti non tanto sull’apparire e sull’avere, quanto sull’ “essere dentro” uomo di virtù, che tende alla verità e all’amore oblativo. Orbene, sulla scorta dei pensatori citati e andando più oltre, occorre sollecitare i giovani alla scoperta, nel proprio intimo, di significati di esistenza, a liberare le facoltà spirituali, a “seguire virtute e canoscenza”, a ricercare, cioè, il bene e la verità e alla fin fine a ricercare Dio e a comunicare con lui nella preghiera.

Il discorso qui si fa arduo, ma vale la pena di coltivare, come diceva Helder Camara, anche “minoranze abramiche” di giovani che, come Abramo, rinunciano a venerare legioni di idoletti e optano per il primato di Dio, che insegna i significati del vivere. S. Agostino invita a rientrare in se stessi (“noli foras ire”) per scoprire le meraviglie del proprio essere, amato da Dio[10].

Dopo l’iniziazione alla cultura della vita interiore che approda a Dio, a questi giovani che vivono da nomadi alla ricerca di una “centralità sfuggente” in una società complessa, dove di continuo il “centro è altrove”, e che adottano lo stile della pluriappartenenza debole, senza troppo impegno, possiamo proporre di andare alla questione essenziale della vita cristiana: alla “centralità” di Cristo, alla scelta di Cristo, pietra angolare dell’esistenza cristiana. Cristo deve diventare centro unificante e qualificante la vita. Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giovani nella Domenica delle Palme del Grande Giubileo, afferma: “Giovani, Cristo abbassato ed esaltato è la risposta completa ai vostri interrogativi”. E nella Veglia di preghiera a Tor Vergata, del 19 agosto 2000, dichiara: “Sempre il Cristo Risorto entra nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei il mio Signore e il mio Dio”. Il discorso forte su Cristo, come evento centrale del messaggio cristiano, viene fatto dal Pontefice ai giovani, come pure a tutta la comunità cristiana.

È interessante notare come Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte inviti decisamente la Chiesa ad andare in tale direzione, con un programma di vita cristiana incentrato su Cristo: ripartire da “Cristo stesso da conoscere, amare, imitare per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste”(NMI 29).

Benedetto XVI, aprendo i lavori del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma, il 5 giugno 2006, sul tema “La gioia della fede e l’educazione delle nuove generazioni”, afferma che in clima di agnosticismo, di relativizzazione e di sradicamento che corrode i legami più sacri e gli affetti più degni dell’uomo, rendendo più fragili le persone, precarie e instabili le relazioni, “tutti noi abbiamo bisogno, e specialmente i nostri ragazzi , adolescenti e giovani, hanno bisogno di vivere la fede come gioia, di assaporare quella serenità profonda che nasce dall’incontro con il Signore”[11].

E ancora il Papa, nell’incontro coi giovani a Cracovia, il 27 maggio, li rassicura che “Dio creatore , che infonde in un giovane cuore l’immenso desiderio della felicità, non lo abbandona poi nella faticosa costruzione di quella casa che si chiama vita”. Invita, quindi, i giovani a non avere paura a costruire questa casa “su Cristo e con Cristo, che è la roccia”. E poi una consegna finale: “Siate testimoni della speranza, di quella speranza che non teme di costruire la casa della propria vita, perché sa bene di poter contare sul fondamento che non crollerà mai: Gesù Cristo nostro Signore”[12].

Possiamo osservare che in pratica il giovane è chiamato a compiere un viaggio spirituale dall’esterno verso l’interno per riconciliarsi con il proprio “io”, per aprirsi agli altri e all’Altro e per incontrare nel silenzio Dio, Gesù, fratello ed amico e in nome suo donarsi al prossimo, con la grazia dello Spirito Santo.

Per concludere ci piace ricordare il messaggio di H. Nouwen, che prospetta il viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, che consiste nel pellegrinaggio all’interno per il recupero di sé, nell’esodo da sé verso i fratelli, nel viaggio all’incontro con Dio mediante la preghiera, che conosce la “via del Tabor”, ma anche “quella del Getsemani” [13]. La vita dell’uomo diventa significativa, quando dalla coscientizzazione del proprio essere ci si apre alla relazione con gli altri e con l’Altro, con Dio, con Cristo, disponibili al dono della vita. Vogliamo augurare ad ogni giovane quella evoluzione ottimale della vita interiore che Romano Guardini ha colto nella vita di S. Francesco: questi nella sua vita è andato peregrinando dal mondo alla solitudine e al silenzio, all’incontro con Dio, al ritorno ai fratelli. Dallo “sguardo nello sguardo” con Dio – scrive Guardini – viene l’atteggiamento di apertura di fronte alle creature e di fratellanza universale[14].

Anche Edith Stein annota in proposito: “quanto più a fondo uno viene inserito in Dio, tanto più egli deve … uscire da sé, uscire nel mondo per portarvi la vita divina” [15].

Concludiamo citando tre passi di S. Paolo, illuminanti per il nostro discorso:

-“noi predichiamo Cristo crocifis-so, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1, 23-24);

-“edificati sopra il fondamento de-gli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2, 20);

-e chi è radicato in Cristo, ricerca la carità, che riveste le note ricordate nell’inno alla carità (1Cor 13).

 

Note

[1] Cf W. BREZINKA, L’educazione in una società disorientata, Armando, 1985.

[2] Cf C. MILANESI, I giovani nella società complessa, LDC, 1989; cf F. DOROFATTI, Formare la coscienza dei giovani, in “Settimana”, 8 febbraio 2004, p.8.

[3] GARELLI, Giovani Una vecchia storia, SEI, 1997.

[4] Cf GARELLI, op. cit.; cf poi C. FIORE, Etica per giovani, LDC, 2003: quest’opera è tenuta presente qui e in altre parti dell’articolo.

[5] “Avvenire”, 26/3/1982, p. 3.

[6] cf I. MANCINI, Torni il volto, Marietti, Genova, 1989.

[7] M. EVDOKIMOV, L’uomo icona di Cristo, ed. Ancora, Milano 1982, p. 48.

[8] Cf SENECA, Epistole a Lucilio, “Epistola” 22, 17.

[9] Cf M. ECKHART, Dell’uomo nobile, Adelphi, Milano, 2000, pp. 221-233.

[10] AGOSTINO, De vera religione, XXXIX,

[11] “L’Osservatore Romano”, 7 giugno 2006, pp. 6-7. 

[12] “L’Osservatore Romano”, 29-30 maggio 2006, pp. 4-5. 

[13] H. NOUWEN, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Queriniana, Brescia 1980. 

[14] Cf R. GUARDINI, S. Francesco, Morcelliana, Brescia 1999, pp. 30-32.

[15] E. STEIN, Il mistero della vita interiore, Queriniana, Brescia 1999, p. 22.

 

 

 

Testimoni che annunciano

di sr. Nazarena De Luca, apostolica

 

Sicuramente, se Cristo è al centro della vita di chi parla di lui, e di tutto ciò che lo riguarda, questa è una condizione molto favorevole per la trasmissione del messaggio: perché lui (o lei) non dirà solo “parole” ma condividerà, soprattutto, la sua esperienza di vita.

Quindi, il primo impegno, in ordine all’annuncio del Cristo, dovrebbe mirare a formare persone (catechisti, genitori, animatori, compresi parroci e suore) che, oltre al sapere, ne facciano una forte esperienza personale, vivendo da “cristiani”!

Nel passato spesso non vi era, anche all’interno della Chiesa, una formazione a vivere il cristianesimo soprattutto come incontro con una Persona, come relazione viva, che se posta al centro della vita cambia tutto …anche la relazione coi fratelli! Comunque, molti “uomini e donne di Dio” hanno avuto sempre ben chiaro che è così. Scriveva, ad esempio, Don Alberione: «Al centro sta Gesù Cristo Via Verità e Vita», sapendo di ricordarci allora che, se il centro è “occupato” da Cristo, ogni cosa trova il suo giusto posto!

Quindi, dobbiamo considerare una grande grazia questo orientamento e questo impegno da parte della Chiesa (specialmente dal Concilio in avanti) di evidenziare la centralità di Cristo e l’aspetto della relazione personale con Lui: dimensione profondamente vocazionale!

Oggi questo è di fondamentale importanza. Occorre far scoprire specialmente ai giovani – a cui mancano riferimenti validi e a cui tanta frammentarietà e precarietà provocano insicurezza e indecisione – che la vita del cristiano è vita di relazione d’amore con tutti, ma, ancor prima, è “vita a due” con il Signore! Che la vita del prete, dei consacrati è “vita a due”. E questo deve apparire più della solitudine che i giovani, secondo la recente inchiesta condotta dall’Eurisko, colgono in noi e che li spaventa… Deve risultare la GIOIA di questa relazione! Oggi è importantissimo, forse più che mai, annunciare il Vangelo, cioè Cristo, tradotto nella nostra vita, nella semplicità e povertà della nostra vita.

Nella mia esperienza di tanti anni di lavoro nella rivista Se vuoi, ho potuto constatare quanto i giovani siano interessati, soprattutto, a scoprire il perché un amore dura, come fa a durare (qualunque amore), il segreto che lo fa durare! (cf rubrica “Testimonianze”).

Hanno grande bisogno di modelli, riferimenti, esperienze significative. E sono interessati (da inchieste che abbiamo fatto) alla “rubrica psicologica”, per conoscersi meglio, e alla “rubrica biblica”, per conoscere di più Gesù, la sua vita.

Tra qualche numero termineremo sulla rivista una serie di 9 lectio, sul brano dei discepoli di Emmaus, e inizieremo nel 2007 una rubrica sugli incontri di Gesù: il suo modo di farsi presente nella vita delle persone: Gesù che guarisce, Gesù che parla con la Samaritana, ecc. Partiremo, cioè, da alcuni “incontri” riportati nel Vangelo per scoprire la ricchezza della personalità di Gesù.

Dalla conoscenza può nascere l’amore… ed anche la scelta di seguirlo!

 

 

 

Un annuncio cristologico esistenziale

di sr. Evelina de Michele, delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù

 

E’ da tempo che si parla nella Chiesa, nelle Diocesi e negli Istituti di vita consacrata di “rimettere al centro Cristo”, soprattutto quando si pensa di offrire ai giovani di oggi una chiave sicura per comprendere il senso della loro vita e, quindi, per trovare la felicità nella risposta alla chiamata di Dio.

“Ripartire da Cristo”, metterlo al centro o al primo posto, tocca le diverse dimensioni della pastorale e comporta:

– anteporre a tutto il resto la preghiera personale e liturgica, la vita sacramentale e la vita spirituale

– annunciare Cristo, Via, Verità e Vita, l’Uomo Nuovo, l’unica risposta al desiderio di felicità e alla domanda di senso che la persona umana porta dentro di sé.

– testimoniare Cristo e il suo primato nella vita quotidiana, perché rifulga in essa la sua luce e si irradi nel mondo;

– vivere la comunione, affinché quest’annuncio possa essere credibile ed efficace.

“Ripartire da Cristo”, in questi termini, è stato l’orientamento emerso nello scorso Capitolo Generale del mio Istituto, non per riprendere qua talis il titolo della nota Istruzione della Congregazione degli IVCSVA, ma come presa di coscienza profonda che, per rinnovarsi senza scendere a compromessi, è necessario, appunto, “ripartire” da Colui dal quale tutto ha avuto origine, la “causa” del nostro esserci nella Chiesa e nel mondo.

Ripartire da Cristo, dunque, è una “necessità”, oggi più forte che mai, poiché il genuino messaggio del Vangelo, e i valori che esso porta con sé, sono oscurati da ideologie, filosofie e mentalità sempre più “pagane”: il nuovo paganesimo di cui parla spesso Papa Benedetto XVI.

È necessario, innanzitutto, mettere Cristo al centro di ogni annuncio, a partire dalla catechesi sacramentale fino ai percorsi educativi e vocazionali; un annuncio autentico e limpido di Cristo e del suo messaggio, rivelato nella Parola. Come?

Nella mia esperienza con i giovani la modalità “vincente” è stata quella di ripercorrere il cammino delle prime comunità cristiane e delle prime forme di vita consacrata, attraverso la lettura pregata dei Vangeli.

Nell’ambito formativo, nel quale opero principalmente, l’esperienza che più di ogni altra mi ha dato l’opportunità di verificare l’azione di Dionella vita delle giovani a noi affidate, è stato il quotidiano incontro con la Parola della Liturgia del giorno, della quale si è condiviso comunitariamente il messaggio per l’oggi di ciascuna: è stato un banco di prova efficacissimo per comprendere profondamente la relazione che le giovani hanno con Cristo e con la Parola, e quanto questa le tocchi e le trasformi. Ripercorrere, poi, attraverso l’itinerario liturgico, i misteri della vita di Cristo, mi ha permesso di far loro cogliere il significato esistenziale, il “per noi” e il “per me”, degli stessi misteri.

Nell’accompagnamento di alcuni giovani, inoltre, è stato fondamentale aiutarli a riconoscere Cristo, la sua pedagogia, la sua azione, i suoi interventi nel loro vissuto personale: nella loro storia passata, ma anche in quella che stanno costruendo giorno per giorno.

In base alla mia povera esperienza, credo dunque che sia importante:

– Un annuncio cristologico esistenziale, che intercetti allo stesso tempo la domanda: Chi è Cristo? e la domanda di fondo dei giovani: Chi sono io? per portarli a scoprire la “necessità” di Cristo nella loro vita e la risposta al suo appello: Vieni e seguimi! I percorsi possono essere biblici, liturgici, ecc.

– Manifestare Cristo nell’esistenza personale di chi lo annuncia: è Cristo che, nonostante i limiti di ciascuno di noi, ha trasfigurato e trasfigura la nostra vita.

– Farlo sperimentare vivo e presente nella comunità credente (parrocchiale, religiosa, associativa, ecc

– Farlo riconoscere nella realtà del vissuto quotidiano, che interpella continuamente a prendere posizione e a dare una risposta.