N.05
Settembre/Ottobre 2006

“Amore”: un termine ambiguo nella cultura e nei linguaggi del nostro tempo

«Il termine “amore” è oggi diventato una delle parole più usate e anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti» (DCE 2). 

Nel tempo che viviamo e nella cultura odierna la parola “amore”, appunto, è stata spogliata dei significati e delle accezioni che già le culture arcaiche avevano invece sacralizzato e lo stesso linguaggio, al di là del significato etimologico, ci rimanda ad un’esperienza soggettiva che si realizza nei processi di socializzazione primaria e secondaria. 

Parlare dell’amore è parlare della persona, della sua intimità, della sua dignità, del sigillo impresso da Dio sull’uomo, creato a sua immagine e somiglianza (Gen 1,26-27). William Shakespeare, a proposito dell’amore, scrive così nel CXVI sonetto: 

 

“Non è amor l’amore
che cambia quando si imbatte nel cambiamento,
che fugge quando qualcosa lo allontana.

O no: l’amore è un faro fisso per sempre,
che guarda la tempesta senza esserne scosso,
l’amore è la stella polare di ogni nave errabonda
il cui valore resta ignoto, per quanto il sestante la misuri.

L’amore non è zimbello del tempo…
L’amore non cambia in brevi ore o settimane,
poiché tiene la rotta fino al giorno del Giudizio.

Se qualcuno dimostra che ciò è un errore
allora è pur vero che io non ho mai scritto
e che nessun uomo ha mai amato”.

 

Descrivere o analizzare l’amore dunque è limitato alla stessa esperienza soggettiva; la scienza ci viene in aiuto attraverso un metodo proprio interpretativo probabilistico che non può dare certezze, ma solamente aiutare a valutare la realtà, per capire qualcosa di se stessi e dei propri comportamenti. 

Paolo VI, nella Octagesima Adveniens, delineava come fosse importante articolare la dottrina sociale della Chiesa, in cui rientra anche un’Enciclica, a partire dall’analisi della realtà sociale. È in questa prospettiva, appunto, che mi accingo a dare qualche spunto di lettura. 

 

 

Tratti riduttivi dell’amore nella cultura contemporanea 

Soggettivismo etico – religioso 

In un’epoca di trionfalismo del “secondo me”, dove non ci sono principi etici oggettivi di riferimento nella realizzazione della propria esistenza, ma solo la my opinion, la nostra vita è regolata dall’instabilità della nostra volontà: “se ne ho voglia – se mi va!”. Le nuove generazioni sono figlie della società postmoderna in continuo cambiamento e il linguaggio, come la stessa parola “amore”, non ha più un significato univoco. Un’indagine realizzata dallo IARD di Milano[1] ha osservato, in modo prolungato nel tempo, un campione nazionale statisticamente rappresentativo di giovani italiani ed ha rilevato una forte eterogeneità di interessi valoriali. Tra valori come la famiglia, la politica, l’amicizia, il fidanzato e l’impegno religioso risulta: al primo posto la famiglia con l’85%, al secondo posto l’amore con il 77%, al terzo l’amicizia con il 74%, al quarto l’autorealizzazione con il 63,2%, al quinto il lavoro con il 60,5% e al sesto posto il “godersi la vita” con il 50%. Da questa indagine, che a partire dal 1981 si è ripetuta ad intervalli di quattro anni, è interessante notare come sia cresciuto il numero dei giovani che hanno risposto di non prevedere per il proprio futuro quale importanza avrebbero assunto tali stessi valori nella loro vita. 

Il disorientamento e l’incapacità di progettare il proprio futuro aumentano. È il paradosso della post-modernità “liquida”, come la definisce Z. Bauman[2]: i valori tradizionali sono stati sostituiti da pseudo-valori, ma come accade poi nelle relazioni, in cui più evitiamo impegni stabili e duraturi, per timore di essere vincolati, più sentiamo il bisogno di amicizie solide. Di fronte al “per sempre”, nascono la paura e l’insicurezza, che creano uno stato di ansietà permanente in cui l’uomo di oggi è sprofondato. Viviamo le nostre relazioni finché ne abbiamo voglia, ne cerchiamo tante in modo da trovare qua o là soddisfazione, comprensione, simpatia, compagnia e dopo averle usate le gettiamo via. Passiamo continuamente da un desiderio ad un altro senza impegnarci, senza assumerci responsabilità, senza rispettare l’altro nei suoi stessi desideri, senza elevarlo con la nostra dedizione ed autenticità; l’amore dura fin tanto che c’è l’interesse di uno dei partners. 

L’Enciclica di Benedetto XVI centra l’obiettivo richiamando la società di oggi e l’attuale cultura, che evita i legami duraturi ed i rapporti esclusivi, alla fedeltà e alla totalità dell’amore. «Anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente – fascinazione per la grande promessa di felicità – nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà “esserci per” l’altro. Così il momento dell’agape si inserisce in esso; altrimenti l’eros decade e perde anche la sua stessa natura. D’altra parte, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore ablativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere» (n. 7). «Dio ci ama, ci ha amati e continua ad amarci per primo e non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. I sentimenti vanno e vengono e non sono la totalità dell’amore» (cfr. n. 17).L’eros non si può separare dall’agape, pena il tradirlo. 

 

Valori dell’età dei consumi

 I processi di globalizzazione hanno incrementato in maniera illimitata le libertà personali, di associazione, di pensiero, di espressione: ma quale libertà ci propugnano e quanto è “libera la libertà?”. E che libertà è l’assenza di limiti, di costrizioni, di istituzioni, di qualsiasi insieme di valori? 

Tutto è orientato a vantaggio dell’economia: la “sindrome del consumo” ci regolamenta la vita e anche ciò che è più sacro, come l’amore. L’annuncio evangelico che la Verità è amore, sicché il cattolicesimo è la religione della comunione e dell’unità del genere umano, è il messaggio posto a fondamento dell’Enciclica. Il cattolicesimo, precisa il Papa in un intervista concessa a due giornalisti tedeschi, non è un cumulo di proibizioni, ma un’opzione positiva: la fede si offre come risposta, credere è bello. Risvegliare il coraggio di osare decisioni definitive, che in realtà sono le sole che rendono possibile la crescita, il cammino in avanti e il raggiungimento di qualcosa di grande nella vita, le sole che non distruggono la libertà, ma le offrono la giusta direzione nello spazio; rischiare questo salto – per così dire – nel definitivo, e con ciò accogliere pienamente la vita[3]. “Il dissolversi di una concezione religiosa del mondo ha determinato la ricerca di un principio unitario dell’esperienza individuale e collettiva che non può più contare sulle forme di organizzazione collettiva, come la famiglia e la classe; dislocandosi verso un empirismo di un universo comportamentale da cui si sono a poco a poco allontanati tutti i principi di trascendenza in favore della strumentalità e del piacere”[4]. La famiglia, anziché essere costruzione di una comunità e quindi istituzione, si sgretola con facilità, e l’unione sessuale è solo una sensazione tanto piacevole quanto fugace, destinata ad essere consumata in un istante insieme ad altre sensazioni, nel succedersi degli episodi che scandiscono la vita del solitario collezionista di sensazioni[5]

Oggi, forse con forza persuasiva e con mezzi più efficaci che in passato, la stessa dignità umana è minacciata da ideologie aberranti, aggredita da un uso distorto della scienza e della tecnica, contraddetta da diffusi stili di vita incongruenti. Le ideologie improntate al nichilismo o al fanatismo pretendono di negare o di imporre presunte verità sulla realtà, sull’uomo e su Dio. La scienza e la tecnica, anziché servire il bene comune dell’umanità, sono strumentali ad una visione egoistica del progresso e del benessere. L’Enciclica ci richiama alla vocazione primaria dell’amore e a rispondere a tale chiamata: «Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un “comandamento” ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro» (Introduzione).

 

Manifestazioni visibili dell’amore: la carità sociale 

L’amore di Dio per l’uomo gli svela la sua profonda dignità e lo invita a riconoscere la medesima dignità negli altri uomini, il valore comunitario, ossia costruttivo e costitutivo, dell’azione solidale tra gli uomini e della costruzione della stessa società. “La persona umana: cuore della pace” è il messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace del 1. gennaio 2007; solo in questa consapevolezza della trascendente dignità umana Dio consegna nelle nostre stesse mani il compimento della creazione e della salvezza umana, storica, eterna. La pace è in pericolo quando non è rispettata la dignità umana e quando la convivenza sociale non cerca il bene comune. 

 

Azione solidale – costruzione della società 

Le garanzie meta-sociali dell’ordine sociale sono oggi trasferite alla politica. Il pericolo attuale che il sociologo Bauman evidenzia è la “religionizzazione della politica”: la religione e il richiamo a Dio sono presi dalla politica per combattere gli altri, minacciando la stessa umanità, il suo futuro e la sua sopravvivenza fisica, ma anche la capacità di far fronte ai gravi problemi di miseria umana e alle sue conseguenze. 

La precarietà, l’insicurezza e l’incertezza, che il termine tedesco Unsicherheit traduce in un generalizzato sentimento di disagio esistenziale, come “sicurezza insicura che assomiglia alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota”[6], si evidenzia ad esempio nelle strutture di organizzazione sociale quali il lavoro. Dominano oggi la flessibilità e i contratti a tempo determinato; le aziende chiudono o convertono la produzione ed è difficile per l’individuo cambiare continuamente competenze e specializzazione. Di qui la sfiducia anche nella politica, nel bene comune, in uno spazio pubblico partecipato e sentito dalla collettività. 

La politica, come diceva Paolo VI, non riguarda solo il funzionamento delle strutture, ma è una “maniera esigente di vivere l’impegno cristiano a servizio degli altri, ossia è la forma più alta della carità”[7]

 

Recupero dell’agorà 

La Deus caritas est ci interpella nel recuperare la dimensione universale della carità sociale, perché l’amore accomuna, fa uscire dagli egoismi personali e ci fa ritrovare in uno spazio pubblico, nell’agorà, in cui i problemi privati si connettono per cercare strumenti da gestire collettivamente, e dove è possibile acquisire il valore della diversità come arricchimento dell’identità individuale e sociale. La comunità politica, realtà connaturale agli uomini – si legge nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa – “esiste per ottenere un fine altrimenti irraggiungibile: la crescita più piena di ciascuno dei suoi membri, chiamati a collaborare stabilmente per realizzare il bene comune”[8]

La scrittrice magrebina Assia Djebar scrive in proposito: «Ho capito che non bastava dire “io”, che bisognava trovare con precisione il “tu” a cui rivolgersi, quel secondo personaggio che, entrando in risonanza e in dialogo col primo, permette ad entrambi di esistere e di liberarsi». «L’amore per il prossimo è una strada per incontrare Dio» (DCE 16). Solo in questa dimensione trascendente non solo l’amore non è “liquido” ma… «non è mai “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso» (n.17). Ecco allora che «non si tratta più di un “comandamento” dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri» (n. 18). 

 

Note 

[1] C. BUZZI, A. CAVALLI, A. DE LILLO, Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2002. 

[2] Z. BAUMAN, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza 2006. 

[3] BENEDETTO XVI, in “L’Osservatore Romano”, Sabato 19 agosto 2006, pagg. 4-5. 

[4] ALAIN TOURAINE, Il trionfo dell’individuo. I valori nell’età dei consumi, intervento tenuto alla Terza Università di Roma il 16 gennaio 2004. 

[5] Z. BAUMAN, La solitudine del cittadino globale, Ed. Feltrinelli. 

[6] Ibidem

[7] PAOLO VI, Octagesima adveniens, 46. 

[8] PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Ed. Vaticana 2004, pagg. 207-232.