N.06
Novembre/Dicembre 2006

Dai carismi alcuni itinerari di pastorale vocazionale

 

1. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE A PARTIRE DAGLI ESERCIZI SPIRITUALI

a cura di P. Flavio Bottaro, sacerdote gesuita

 

Un esempio di discernimento spirituale: la storia di Filippo

Filippo è un giovane universita­rio, studente di Economia e Commer­cio, con una brillante prospettiva di lavoro nella storica ditta della sua fa­miglia. A metà studi circa, si accorge che le materie che ha sempre studiato con interesse non riescono più ad at­trarlo come una volta. Sente che la sua vita sta perdendo in vitalità e la pro­spettiva della carriera, in cui sin da pic­colo si è proiettato, non riesce più a farlo sognare come una volta. Sente che la sua vita sta perdendo sapore e non sa come reagire a questo disagio. Nemmeno negli amici che frequenta, tutta brava gente come lui, riesce a tro­vare conforto. Loro attribuiscono il suo malessere alla classica crisi da università, che viene a tutti quando ti accorgi che hai passato tutta la tua vita sui libri senza produrre nulla di con­creto. Una volta, tornando a casa dopo una serata come tante, improvvisa­mente gli torna alla mente una scena di quando era piccolo, durante l’ora del catechismo, mentre tutti i suoi ami­chetti facevano baccano e lui invece si sforzava di immaginare come Dio avesse potuto creare l’universo in sei giorni. Un’immagine che lo fa sorri­dere e gli lascia nel cuore una sorta di nostalgia per quella curiosità rimasta irrisolta. Nel mese successivo incon­tra per caso fuori casa don Claudio, il vicario parrocchiale della sua parroc­chia, che praticamente l’ha visto cre­scere. Don Claudio, prima di conge­darsi, lo invita ad un gruppo biblico giovanile e Filippo con spontaneità inaspettata accetta la proposta. Si riavvicina così progressivamente al suo ambiente parrocchiale, che aveva lasciato dopo la Cresima. Frequentan­do il gruppo di lectio biblica settima­nale sente crescere in lui la necessità di curare di più i suoi momenti di pre­ghiera personale. Scopre con gusto come la Parola parla di lui, della sua vita e ne rimane affascinato. Sente il bisogno di approfondire il suo rappor­to con il Signore e incomincia a pre­gare quotidianamente. Pian piano, par­lando con don Claudio, superate le paure iniziali, comincia ad emergere una certa attrattiva per la vita sacer­dotale. Se non altro, come una possi­bilità tra le tante.

Subito però una prospettiva del genere lo spaventa: come affrontare i genitori? Come dirlo agli amici? E poi che ne sarà del lavoro promettente che ormai si sta concretizzando nelle sue mani? Com’è possibile che Dio voglia proprio questo da lui? Tutti questi dub­bi lo assalgono e lo lasciano sfinito. Così decide di portare a termine gli studi dell’università, per non lasciarli incompiuti e con l’intento di prender­si un tempo disteso per il discernimento. Dopo questa decisione, alcuni segni garantiscono che le cose stanno procedendo con ordine: pur con una certa elasticità, Filippo riesce a conci­liare studio e preghiera; il suo vissuto quotidiano entra sempre più sponta­neamente nella preghiera. Ogni tanto capita ancora qualche momento di cri­si, che però gradualmente viene supe­rato.

Al termine degli studi, il suo sguardo è decisamente orientato al Si­gnore più che ai suoi progetti, anche se ancora sente di non avere le idee ben chiare sul suo futuro. Sente con chiarezza che vuole servire il Signore, ma non sa in che forma. Anche perché, nel frattempo, tra le persone del gruppo biblico, Filippo ha notato una ragazza verso la quale si sente attratto. Sonia ha un anno in meno di lui e sta per laurearsi in lettere. È riservata e seria, impegnata in alcu­ne attività della parrocchia, che svol­ge con convinzione e dedizione. Di­ventano amici e confidenti, scopren­do di avere tante cose in comune, seppure con diverse sensibilità.

Inizialmente Filippo non dà peso a quello che prova per Sonia, consi­derandola essenzialmente come una cara amica. Man mano che passa il tempo, però, si accorge che il suo pen­siero cade sovente su di lei e spesso inventa scuse banali pur di incontrar­la. È innamorato cotto. Ha la netta sen­sazione che la sua vita possa essere fe­lice con lei accanto. Tuttavia, Filippo preferisce non dichiararsi apertamen­te a Sonia, perché sente l’esigenza di fare maggiore chiarezza. L’unica certezza che ha è che il suo cuore sembra essere diviso tra le due alternative e questo lo intristisce. Don Claudio, attento al suo cammino vocazionale, intuisce che è il momento di proporgli un corso di esercizi spiri­tuali ignaziani, che possano aiutarlo a guardare quanto si muove dentro di lui.

Filippo accoglie di buon grado la proposta di don Claudio: si tratta di una nuova esperienza e per come gli è stata presentata sembra il luogo giu­sto per prendere una decisione. Non vede l’ora di iniziare questi esercizi, anche se tutto quel silenzio un po’ lo spaventa. “Come farò a passare una settimana in completo silenzio?” pen­sa tra sé, mentre si reca nella casa di esercizi. Nonostante questo, la voglia di fare chiarezza è tanta. Inizia così que­sta esperienza con disponibilità e de­siderio vivo di scoprire la volontà di Dio sulla sua vita. La guida degli eser­cizi non si stupisce nel constatare la situazione complessa del giovane, man mano che Filippo gliela racconta. Anzi, pur senza dirglielo, è contento che il giovane si trovi di fronte ad un’alternativa così forte, perché è convinto che una scelta vocazionale può maturare in modo più vero e autentico quando si configura come una scelta tra due alternative positive e possibili. Gli sug­gerisce così di portare la relazione con Sonia nella preghiera e di lasciare che la Parola lo interpelli.

Filippo, nei giorni successivi, dopo ogni ora di preghiera annota sul suo quaderno i pensieri e le emozioni riguardo al suo rapporto con Sonia. Da quanto scrive, emerge che sta viven­do questa esperienza di innamoramen­to come una cosa bella, piena di poe­sia e di trasporto, senza sensi di colpa o di tradimento rispetto alla prospetti­va sacerdotale. Ma si accorge anche che questa storia non ha mutato la pro­spettiva di una vita sacerdotale. Infat­ti, a volte Filippo si sorprende a fanta­sticare sul suo futuro, vedendosi im­pegnato in ministeri sacerdotali più che in una famiglia: annuncio della Parola, confessioni, accompagnamento…

Riguardando i suoi appunti, Fi­lippo nota a riguardo una cosa inte­ressante: quando questi pensieri si af­facciano nella sua mente, di Sonia non vede neppure l’ombra. Quando inve­ce si pensa accanto a lei, impegnato in parrocchia, il suo progetto iniziale ri­mane sempre sullo sfondo. Eppure, pensando a Sonia sente che il suo cuo­re è infiammato d’amore. Visto l’atteggiamento disponibi­le di fondo del giovane, il suo equili­brio davanti ai due modi possibili di servire il Signore (pur nella profonda diversità di risonanza delle due ipote­si), la guida intuisce che è tempo di avviare i preparativi dell’elezione, in un clima di preghiera più intenso.

Durante un’adorazione serale, Filippo prega chiedendo insistente­mente al Signore cosa vuole da lui. L’immagine del volto dolce di Sonia continua ad apparirgli davanti e lui è mosso da grande trasporto; nella sua mente affiora il ricordo della prima volta in cui l’ha incontrata nel gruppo e si sente riempire di una consolazio­ne pacificante. Al termine, rileggendo quanto è avvenuto nel suo cuore, ri­conosce come il Signore l’ha visitato e si rende conto che è pieno di gratitu­dine per il dono di aver incontrato Sonia. Ora vede ancora davanti a sé il suo viso, ma qualcosa è cambiato. Nonostante che il suo pensiero e i suoi affetti siano rivolti ancora alla ragaz­za, nell’intimo avverte che il suo sguardo verso di lei è cambiato, per­ché scopre che il suo cuore è infiam­mato d’amore per il Signore. Il senso di leggerezza che prova gli conferma che la decisione è finalmente avvenuta.

Dopo aver terminato gli esercizi, nelle settimane successive, Filippo, pur avvertendo che davanti a Sonia non è un pezzo di legno, si rende con­to che la scelta di dedicare la sua vita interamente al Signore si configura sempre più come compimento, che con­ferma l’intera sua vita come storia di vocazione. E con il passare del tempo, la fiamma che si era accesa per Sonia a poco a poco si affievolisce e non co­stituisce più un’alternativa per la sua scelta. Ora Filippo si trova in Seminario e sembra molto contento della strada che ha intrapreso.

 

SINTESI

Come premessa al nostro lavoro, abbiamo constatato come quella degli esercizi spirituali sia un’esperienza che almeno una volta nella vita cia­scun membro del gruppo ha vissuto.

Questa constatazione ci ha con­sentito di muoverci lungo una duplice linea:

1) abbiamo potuto condividere le nostre esperienze personali concrete, evitando di ragionare su modelli astrat­ti inesistenti;

2) abbiamo sin da subito applicato uno dei principi basilari della pedagogia ignaziana e cioè la rilettura dell’esperienza, fatta in chiave vocazionale.

Senza poi dimenticare che lavo­rare attorno ad un’esperienza comune ha significato lavorare realmente insie­me, perché ciascuno ha potuto porta­re il proprio contributo.

Abbiamo suddiviso il tempo a nostra disposizione in tre momenti.

 

– In un primo momento abbia­mo esplorato il tema del nostro labo­ratorio attraverso un doppio brainstorming, attraverso il quale ciascun mem­bro del gruppo è stato invitato a pen­sare singolarmente tre parole connes­se con il termine “esercizi spirituali” e “discernimento”. Le tre parole pote­vano essere associazioni di pensiero, emozioni o immagini. A partire da questo abbiamo cer­cato di trovare una definizione soddi­sfacente per dire che cosa sono gli esercizi spirituali e che cosa è il discer­nimento e il legame tra i due. Ne è emersa una curiosa verità: non è così scontato, nemmeno per re­ligiosi che fanno gli esercizi ogni anno, che il discernimento è intimamente le­gato con gli esercizi spirituali. Forse perché il termine discerni­mento è stato in questi ultimi tempi un po’ troppo abusato e travisato. Pian piano abbiamo cercato di recuperare il suo vero significato, proprio a parti­re dagli esercizi fatti: abbiamo così riscoperto come fare discernimento non significhi prendere una decisio­ne, e nemmeno prendere una decisio­ne per il proprio bene, bensì “compie­re una scelta in due”. Si tratta cioè di far entrare il Signore nella propria vita e lasciargli dire la sua Parola su di noi. Si tratta, quindi, di “permettere” al Si­gnore di decidere, insieme con me, della mia vita.

Questa, a mio avviso, è una defi­nizione semplice e bella, perché spaz­za via eventuali ambiguità con cui è usato il termine: non è una decisione che prendo da solo, ma non è neanche indovinare la volontà di Dio. Piuttosto è un costruirla insieme. Quello che spesso dimentichia­mo è che non esiste discernimento sen­za preghiera, perché non è qualcosa da capire con la testa, ma è piuttosto una verità da sentire con il cuore. Il nostro padre Ignazio era con­vinto che Dio parla direttamente al cuore dell’uomo, il quale è creato in modo tale da poter ascoltare la sua Parola. La piccola conferma di questo è che noi siamo naturalmente inclina­ti a ricercare uno stato di consolazio­ne, piuttosto che la desolazione. È così che ha raccolto nel suo libretto di eser­cizi tutti quei suggerimenti che a lui sono stati utili per liberarsi dai suoi affetti disordinati e predisporsi a fare la volontà di Dio per la salvezza della sua anima.

Ci invita, allora, ad utilizzarli nella misura in cui sono utili anche a noi per incontrare intimamente il Si­gnore. Chiarito questo, abbiamo ripor­tato alla memoria le strutture fonda­mentali del metodo ignaziano di eser­cizi, che fa del discernimento degli spiriti la componente fondamentale. L’uomo è, infatti, un campo di batta­glia in cui si agitano voci diverse: quel­la di Dio, quella del “nemico” e la pro­pria, che in ogni situazione, ascoltan­do le prime due, si inclina e decide di seguirne una scartando l’altra.

 

– Nel secondo momento abbia­mo analizzato un caso concreto di di­scernimento vocazionale fatto attra­verso gli esercizi. Da qui sono emerse alcune considerazioni da tenere pre­sente per il fine del nostro laborato­rio: innanzitutto gli esercizi non sono un’esperienza a cui tutti sono chiama­ti, ma solo una delle tante modalità che la Chiesa offre per incontrare il Signo­re nella verità. Poi, il discernimento non si fa con un corso di esercizi! Ma è un processo che si distende nella storia della per­sona che vuole scoprire la sua voca­zione.

Gli esercizi sono dunque “solo” una tappa, che permette di acquisire un metodo spirituale per distinguere le mozioni del cuore, ma che deve es­sere poi applicato con pazienza nella vita quotidiana, perché è lì che il Si­gnore parla realmente! E qui emerge il requisito fondamentale degli eser­cizi ignaziani, che è quello di portare nella preghiera la propria vita, fatta di successi e di fallimenti, per scoprire che il Signore vuole davvero prende­re tutto di noi e trasformarlo in bene, per noi e per gli altri. Ed in questo il Vangelo non è altro che un libro di istruzioni, che i primi discepoli hanno scritto per noi. Da qui l’importanza di pregare attraverso le Scritture.

 

– Nell’ultimo momento, infine, ci siamo chiesti come l’itinerario de­gli esercizi possa essere inserito nella pastorale ordinaria della Chiesa loca­le. Una prima considerazione riguar­da il fatto che la natura “artificiale” del tempo degli esercizi, uniti al fatto che non tutte le persone sono predi­sposte ad essi, li rende un’esperienza di pastorale “straordinaria”. D’altra parte è pur vero che negli itinerari educativi di una parrocchia possono essere previsti dei percorsi che promuovano l’esperienza degli esercizi tra i giovani, seguendone poi le evoluzioni attraverso forme di ac­compagnamento spirituale. Essendo, come abbiamo detto, il discernimento un processo che si di­stende su un arco di tempo che deborda dagli esercizi, l’accompagnamento spirituale in parrocchia diven­ta realmente il naturale spazio che ga­rantisce continuità a questo processo.

 

Per esempio, la lectio divina che abitua a pregare partendo dalla Sacra Scrittura è un ottimo strumento per far entrare la vita quotidiana della gente nella preghiera, oltre che abituare all’utilità del silenzio come strumento per ascoltare le voci che si agitano nel cuore. Ci viene forse spontaneo dire che le Scritture interpretano la nostra vita; ci riesce invece più difficile am­mettere che, al contrario, la nostra vita può spesso chiarire qualche passo del­le Scritture. Imparare a rimanere den­tro questa circolarità aiuta a compren­dere davvero come il Signore agisca nella propria storia personale. Anche predisporre cammini per giovani, che prevedano la stesura di una regola di vita personale, può aiu­tarli a scoprire come la fedeltà del Si­gnore nella loro vita fonda la loro stes­sa capacità di essere fedeli. O ancora, impostare laboratori di crescita uma­na può essere utile per incoraggiare i giovani a dar voce ai loro desideri. Una delle maggiori difficoltà, oggi, non è la scarsa disponibilità dei giovani, ma la loro incapacità di espri­mere desideri… Del resto, il desiderio è il materiale preferito dal Signore per comunicare la sua volontà. Da qui an­che l’importanza di imparare a “chie­dere al Signore ciò che desidero” per arrivare a “desiderare ciò che chiedo”, un gioco di parole caro ad Ignazio che disegna la polarità lungo la quale ma­tura lentamente una fede adulta, inte­sa come rapporto autentico con il Ri­sorto.

Un utile espediente può essere quello di abituare i giovani a pregare con i Salmi, invitandoli a perso­nalizzarli, “ridicendoli” con parole loro. Si tratta, in fondo, di invitarli a far scendere la preghiera dalla testa al cuore. Probabilmente alcune di queste proposte vengono già attuate nelle par­rocchie: in questo caso, prendere con­sapevolezza che quanto si sta già fa­cendo può essere unificato negli eser­cizi come mezzo di discernimento vocazionale, può incoraggiare molti sacerdoti ad invitare i giovani a fare gli esercizi, uscendo dal pregiudizio che gli esercizi riguardano solo i religiosi.

 

 

2. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NELL’ESPERIENZA DEL SERVIZIO

a cura di sr. Elena Ronchi

 

Siamo partite, per il lavoro di que­sto laboratorio, dalla esperienza della pastorale giovanile che si svolge nella Piccola Casa della Divina Prov­videnza, comunemente chiamata “Cottolengo” dal nome del suo santo fondatore, cercando di sintetizzare un possibile itinerario vocazionale. È indispensabile proporre e vive­re con i giovani l’esperienza del servi­zio che diventa essenziale in un cam­mino vocazionale. Infatti possiamo af­fermare che il servizio è parte integran­te dell’identità cristiana e occasione di crescita umana e spirituale. L’incontro con il mondo dei sofferenti diventa per tanti giovani l’incontro con la verità dell’uomo e, in fondo, con la realtà di se stessi: frammentarietà del vivere, dispersio­ne, limite dell’esistenza. Allo stesso tempo nell’incontro con i poveri, i ma­lati, i disabili, gli anziani… i giovani spe­rimentano che la gioia di vivere non è soffocata dal limite (io non sono il mio limite!), che il vivere ha senso anche nella sofferenza (i poveri, in questo ci sono davvero maestri).

Nell’incontro con il povero, il gio­vane scopre in sé energie nuove, capaci­tà di servizio, attenzione, ascolto, pazien­za… fa esperienza della gioia legata al dono di sé (gioia = il “di più” di chi dice: ho ricevuto più di quanto ho dato!). Sono nella gioia se vivo donandomi. In molti giovani emerge l’interrogativo che manda un po’ in crisi: qual è la forza che rende possibile tutto questo? …che cosa rende vi­vibile con senso anche la mia vita? Se questa domanda non viene sof­focata (per paura? perché non c’è nes­suno con cui condividerla?), può esse­re l’occasione per trasformare l’esperienza in cammino, per innestare in que­sti percorsi di servizio serie motivazio­ni di fede e scelte radicali di vita.

Il rischio a volte può essere quello di vivere esperienze di servizio, momen­ti forti di spiritualità come parentesi e frammenti, uno accanto all’altro, senza che diventino “storia”, “cammino”. Il compito della pastorale vocazionale “attraverso” il servizio è forse proprio quello di aiutare i giovani:

– a riflettere sulle esperienze vissute accanto ai poveri, rielaborando in modo riflesso le esperienze fatte – alla luce della Parola di Dio – perché non rimangano solo a livello emotivo;

– a lasciarsi interpellare dalla Pa­rola di Dio e dai fratelli, per vivere la propria vita come risposta ad una chia­mata;

– a integrare vita e preghiera: por­tare il vissuto davanti a Dio e Dio nel proprio vissuto…

È auspicabile quindi che i proget­ti pastorali parrocchiali propongano un cammino di fede completo ed integrale (a partire dagli itinerari iniziali della catechesi): annuncio, preghiera e ser­vizio.

 

 

SINTESI

Dalle diverse esperienze raccol­te nel laboratorio, ci sembra di poter suggerire alcune indicazioni e stra­tegie pastorali nella realizzazione di un campo-servizio.

Nella prima giornata ci si intro­duce nel “clima spirituale” che carat­terizzerà l’esperienza, attraverso la me­ditazione di un brano biblico (ad esem­pio quello del “buon samaritano”), che potrà diventare chiave di lettura del senso del servire (che non è solo “fare”) e dello stile del servizio, nella realtà in cui verrà vissuta l’esperienza. Le altre giornate prevedono al­cuni “appuntamenti” fissi:

– la preghiera, che segna il ritmo di ogni giornata: Lodi, Messa, Ve­spri, Compieta;

– il servizio concreto (agli anzia­ni, ai disabili fisici e mentali, agli ammalati terminali o alle suore am­malate). Il servizio comprende: la cura della persona, il riordino de­gli ambienti di vita, vivere insie­me momenti di festa, di preghie­ra e di attività manuali. Essenzia­le, nel servizio, è mettersi accan­to a questi nostri fratelli e sorel­le, essere lì per loro;

– i momenti “formativi” (aspetti del carisma della Congregazione, pagina biblica,…), in cui i giova­ni sono invitati a confrontare la propria vita e l’esperienza che vi­vono nel servizio con quanto è stato loro proposto (da qui anche la possibilità di un confronto per­sonale con gli animatori, che a volte è l’inizio di un accompa­gnamento spirituale);

– i momenti di vita fraterna fra i giovani stessi, gli animatori e le persone a cui è rivolto il servizio.

Verso la fine dell’esperienza una giornata di “deserto” potrebbe aiutare a fare il punto del cammino.

L’esperienza di servizio dovreb­be avere una durata tale (circa 15 gior­ni) da permettere di “provarsi” nell’entusiasmo, ma anche nella fatica del dono di sé, quando si “assaggiano” una certa routine del servizio, le diffi­coltà e la stanchezza.

Perché tale esperienza diventi parte del cammino di fede personale è importante proporre durante l’anno momenti (ritiri mensili, ritiri di tre gior­ni, settimane di spiritualità…) in cui i giovani possano:

– approfondire quanto hanno vissuto nell’esperienza del servizio alla luce della Parola di Dio;

– mettere a fuoco le domande e i desideri di bene che si portano dentro;

– verificare e impostare il proprio quotidiano (è qui che ciascuno è chiama­to ad accogliere il Signore nel proprio modo di pensare, amare ed operare).

 

Altre esperienze di servizio

Oltre quella cottolenghina, pre­sentata all’inizio del laboratorio, men­zioniamo, fra le tante, altre esperien­ze di servizio che possono diventare stimolo per la pastorale vocazionale. A Brescia è stata realizzata un’esperienza estiva di servizio (cari­tà e vocazione) coordinata e seguita dai membri dell’équipe del CDV.

È risultata positiva l’esperienza realizzata come realtà diocesana e intercongregazionale, in cui congrega­zioni diverse, presenti nella stessa dio­cesi, hanno cercato di mettere insieme idee e risorse. Positiva anche l’opportunità offerta ai giovani di incontrare comunità religiose aperte e accoglien­ti, che facciano loro sperimentare la di­mensione della fraternità, della preghie­ra e del servizio nella quotidianità del­la vita ordinaria.

Un fecondo esempio di collabo­razione tra Chiesa locale e vita consa­crata si sta inoltre realizzando attraver­so la presenza di numerosi gruppi di seminaristi, che per un periodo di 3 o 4 settimane si impegnano in una realtà di servizio ai più poveri (per es. al Cottolengo, nelle Case di don Orio­ne…). Questo crea una sensibilità al servizio che potrà diventare attenzio­ne pastorale nei luoghi in cui i futuri sacerdoti si troveranno ad operare. Alcuni giovani, infatti, fanno esperien­za forte di servizio e iniziano un cam­mino di discernimento vocazionale, perché sollecitati dai sacerdoti della loro parrocchia/gruppo/scuola… che, a loro volta, ne hanno fatto esperienza diretta . Molti di loro, se accompagna­ti, riescono ad essere attenti e sensibi­li alle povertà locali assumendosi im­pegni responsabili e duraturi.

Concludo dicendo che queste sono solo alcune delle esperienze emerse nel laboratorio e, a detta di tut­to il gruppo, un primo frutto del Forum è quello di portarsi a casa la ricchezza di una condivisione di esperienze e di vissuti. 

 

 

 3. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NELLA SCUOLA

a cura di P. M. Simone Giannicola, barnabita

 

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser e tutti quei mo­menti andranno perduti nel tempo come lacrime di pioggia. È tempo di morire. […] Io non so perché mi salvò la vita, forse in questi ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata, non solo la sua vita, la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevamo erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo, dove vado, quanto mi resta ancora. Non ho potuto far altro che re­stare lì e guardarlo morire.(Da Blade runner:la ricerca dell’io. La necessità di una memoria e di un futuro).

 

 

Premessa

La scuola è il luogo per eccellen­za della memoria e del futuro nel pre­sente dello studente. Ogni percorso vocazionale è la ricerca nell’oggi del proprio futuro, che si costruisce nella memoria della storia della salvezza. Come aiutare lo studente in que­sta ricerca?

 

 

Situazione attuale

Conoscenza, presentazione della propria esperienza e attese. Questa fase di brainstorming è importante per creare comunione e verificare se siamo ancora in una con­cezione di animazione vocazionale come reclutamento, quindi esterna al mondo della scuola, che ha delle sue caratteristiche proprie. Personalmente mi attendo di po­ter rielaborare il mio modo di pastorale vocazionale nella scuola.

 

 

Definizione del contesto

La scuola non è la parrocchia né un movimento o altro. Spero non sia ancora in vigore «la prassi di approfittare dell’amicizia di pie maestre per andare nelle scuole elementari a “parlare delle missioni”, per finire lasciando ai ragazzi cartoli­ne di adesione a “campi scuola vocazionali”» (Vocazioni 4,1994). La scuola non è il luogo dove l’insegnante, anche quello di religio­ne, agisce come un catechista per par­lare dei valori cristiani e della vita come vocazione. Nella scuola si agi­sce come docenti e con il metodo del­la scuola.

La scuola è il luogo per eccellen­za dove si formano le persone ad un approccio intellettuale del patrimonio culturale, per insegnare loro come af­frontare il futuro. La scuola interpella la fede affinché impari a comunicarsi non come testimonianza di esperienza di vita, bensì come testimonianza dell’intelligenza che sa dire la fede (cf di­scorso fede/ragione, così caro a Bene­detto XVI, in particolare il dialogo con i giovani di Roma lo scorso anno). E tutto ciò costa fatica, non è ancora parte del nostro modo di pensare e agire: basti osservare che in 25 anni della rivista Vocazioni solo un nume­ro è stato dedicato all’animazione vocazionale nella scuola e poi nessun altro articolo.

Per una vera, buona e bella ani­mazione pastorale è importante e ne­cessario conoscere il contesto epistemologico della scuola: siamo chiamati a conoscere la vocation o mission della scuola. Questi due termini, ormai comuni al linguaggio imprenditoriale, sono entrati anche nel definire il fare e l’essere della scuola (CORRADINI alla Fidae 2006) e capite bene che cosa possono evocare in questo nostro discutere!

Oggi la vocazione/missione del­la scuola non è più semplicemente quella di riempire di nozioni lo stu­dente, quanto quella di educarlo ad essere una persona, attraverso una for­mazione intellettuale. Quando i programmi ministeriali affermano la centralità della persona come obiettivo principale del “fare scuola” comprendete bene quale spa­zio di animazione vocazionale sia dato ai credenti che lavorano nella scuola. L’animatore vocazionale è chiamato a fare suoi i programmi scolastici e a rielaborarli non solo perché trasmetta­no delle verità, ma anche perché sti­molino alla ricerca della verità di sé e del cosmo. Nella scuola c’è la più gran­de opportunità di fare proprio il sape­re per formare al gusto del sapere, per educare alla conoscenza di sé e del cosmo. Perciò la prima animazione vocazionale va proposta al sistema scuola.

Il rapporto UNESCO del 1973 re­citava: «Ai sistemi scolastici si deve chiedere di insegnare a vivere, inse­gnare ad imparare in modo da poter acquistare nuove conoscenze duran­te la vita, insegnare a pensare in modo libero e critico, insegnare ad amare il mondo e a renderlo più umano, inse­gnare a realizzarsi nel lavoro». Più tar­di, Jacques Delors, nel suo rapporto UNESCO, Nell’educazione un tesoro, ha sintetizzato questi compiti parlan­do di “quattro pilastri” dell’educazione scolastica: “imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere in­sieme, imparare ad essere”. Si dà qui rilievo autonomo al vivere insieme e si ripropone l’essere come prospetti­va radicale, che rinvia all’interiorità. Potete ben comprendere che se l’ani-matore vocazionale possiede questi pi­lastri, se forma i propri docenti o i col­leghi di scuola a questi riferimenti, ha già impostato un bel piano di anima­zione vocazionale. In questo progetto emergono dei testimoni: i docenti; si riconoscono delle proposte: i saperi; gli studenti scoprono la propria co­scienza.

Qualcuno potrebbe obiettare che l’animazione vocazionale rischia in questo modo di essere troppo astrat­ta. Io rispondo che nostro compito non è creare vocazioni, bensì offrire un metodo e degli strumenti per “educare alla vocazione”. Le vocazioni sono ge­nerate dallo Spirito santo. Paolo VI, in un suo discorso, diceva a dei maestri cattolici che non avrebbero potuto sce­gliere, dopo quello del sacerdozio, un modo di vita migliore per servire l’umanità e aveva bene in mente la possibili­tà dei maestri non di insegnare le pre­ghiere, bensì di educare alla vita.

 

 

Finalità, metodo e strumenti

La finalità di lavoro per una buo­na animazione vocazionale in una scuo­la sarà perciò quella di riconoscere obiettivi e contenuti mirati all’educazione dell’alunno e alla formazione della sua vita (come dono dato e come dono che si dà). Successivamente si è chiamati a coinvolgere le diverse discipline affin­ché possano sviluppare un metodo at­tivo che porti al coinvolgimento diretto dei docenti, perché riescano a decli­nare nei diversi contenuti didattici quegli aspetti legati alla comprensio­ne dell’uomo come dono. È chiaro come tutto ciò richieda un lavoro di sinergia tra animatore vocazionale del­la scuola e corpo docenti, per creare sintonia e far sì che la proposta della vita come vocazione non sia qualche cosa di semplicemente esterno, “roba da preti”, ma un modo nuovo di in­tendere la vita, una preoccupazione co­mune nell’educare e formare. Tutto questo non esclude il fatto che l’animatore vocazionale possa poi pro­porre metodi e strumenti“classici” agli studenti al di fuori dell’orario scolastico.

 

 

Attori

Si evince da tutto ciò come l’attore che è chiamato fare animazione vocazionale sia il singolo animatore, che l’istituzione pone nella scuola, e l’insieme dei docenti in collaborazione con l’istituzione. Si crea così una rete di attenzione allo studente, capace di comprendere la pluralità dell’esperienza vocazionale. Non si può poi dimenticare la centralità dello studente, che diventa partecipe del proprio cammino di forma­zione e di crescita, nella consapevolezza dell’impegno che una risposta richiede.

 

 

Verifica

Se la verifica va fatta sul numero di vocazioni che una scuola ha fatto fiorire nel giro di 5 anni si capisce come ciò sia assolutamente impossibile. Una verifica va fatta sul modo in cui animatore vocazionale e docenti collaborano e sul modo in cui si è stati capaci di raggiungere gli obiettivi e tra­smettere i contenuti proposti.

 

SINTESI

– Non presentiamo un progetto per­ché troppo diverse le tipologie della scuola che rappresentano i partecipanti al laboratorio.

– Partiamo da una denuncia: la mag­gior parte di voi, presenti al Forum, lavora quotidianamente con giovani che ogni giorno vanno a scuola, ma ben pochi vi siete preoccupati di que­sto ambito che ci permetterebbe di in­contrare ogni giorno tanti più giovani di quanti ognuno di voi ne incontra nelle proprie attività.

– Siamo consapevoli di dover aggior­nare la nostra proposta evange­lizzatrice; siamo consapevoli della ne­cessità di metterci in gioco e forse la scuola, più di altri ambiti, mette conti­nuamente in gioco. In essa, infatti, siamo chiamati a trasmettere il sapere con la sapienza di Dio; siamo chiamati ad entrare con in­telligenza nei saperi da trasmettere.

– Nella scuola siamo chiamati a pre­parare il terreno per le grandi scelte della vita futura del giovane, sin dalla più tenera età. La missione della scuola è for­mare le generazioni di domani, aiu­tarle a scoprire la propria vocazio­ne alla vita.

– La scuola non può fare catechesi o semplicemente insegnare delle pre­ghiere. La scuola è il vero luogo della memoria che si fa presente, per diven­tare futuro. La scuola è il luogo dell’eschaton – permettete questo riferimento – che troppo spesso dimentichiamo. La scuola – cattolica o statale – è la sfida per eccellenza della possibili­tà vocazionale, perché i giovani han­no sete, hanno voglia di luce.

 

 

 

4. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NEL SERVIZIO ALLA PAROLA

a cura di Carmela Sanseverini, Missionaria del Vangelo

 

L’Istituto Secolare delle Missio­narie del Vangelo, che fonda la propria spiritualità sulla Parola di Dio, in modo particolare sul Vangelo, in cui trova la sorgente, la dinamica, il fine (art Cost. 6), ha inteso elaborare un itinerario di discernimento e di orien­tamento vocazionale a partire dalla Parola di Dio. Il progetto, se da un lato nasce dall’esigenza di far conoscere il carisma specifico, dall’altro si pone come au­tentico servizio a Dio, alla Chiesa e ai giovani che sono alla ricerca del signi­ficato profondo da dare alla loro vita.

Non a caso, fin dalla prima stesu­ra del progetto, le Missionarie del Van­gelo, e in modo particolare le animatri­ci vocazionali, sono state invitate ad in­serirsi nei centri vocazionali diocesani e in quelli della pastorale giovanile per apportarvi il loro contributo. In alcune realtà le Missionarie sono state elementi dinamici e propositivi nell’animare la vita e le iniziative dei CDV.

 

MAESTRO DOVE ABITI?

Il titolo del nostro progetto, indica il cammino che ogni figlio di Dio deve portare a termine prima di comprendere il sogno che Dio ha per lui. Tale cammi­no si realizza in tre momenti:

1) INCONTRO nel Vangelo con Gesù di Nazareth, Verbo incarnato, perché il giovane possa conoscere il Padre e trovare in Cristo la salvezza.

2) ASCOLTO attento del Vangelo per­ché il giovane possa:

– scoprire se stesso e, at­traverso la conoscenza di sé, raggiungere l’equilibrio inte­riore;

– verificare la corrispon­denza fra sé ed il progetto di Dio;

– acquisire una positiva conoscenza della propria vocazione

3) CONOSCENZA:

– delle diverse categorie vocazionali presenti nella Chiesa;

– degli Istituti Secolari, per quei giovani che sento­no di volere approfondire maggiormente tale realtà;

– Conoscenza dell’Istituto Secolare delle Missiona­rie del Vangelo.

 

FASI DEL PROGETTO

Obiettivo generale

Acquisire consapevolezza del progetto di Dio su di sé attraverso:

a) la conoscenza di sé e la rilettura della propria storia alla luce della Parola di Dio;

b) la riscoperta della vita come vocazione all’amore e del Battesimo come chiamata da parte di Dio;

c) la conoscenza delle varie vocazioni presenti nella Chiesa;

d) la conoscenza della spiritua­lità francescana.

 

Metodo

1. Incontri interpersonali.

2. Incontri comunitari.

3. Incontro-preghiera con il Vangelo, rilettura del testo evangelico in rapporto a se stesso: come sono, come devo essere.

4. Itinerari di spiritualità vocazionali periodici;.

5. Corsi di spiritualità.

6. Veglie di preghiere.

7. Itinerari di spiritualità francescana.

8. Cenacoli del Vangelo.

 

Contenuti

– Tematica Vocazionale proposta dal CNV.

– La vocazione nella Bibbia.

– Lo Spirito Santo datore d’ogni dono nella Chiesa.

– Elementi fondanti le varie vocazioni nella Chiesa.

– Elementi caratteristici degli Istituti Secolari.

– Elementi specifici dell’ISMV.

– Maria, modello di ogni vocazione.

– Elementi di spiritualità francescana.

 

Verifica

– Colloqui periodici con la missionaria responsabile dell’accompagnamento.

– Colloqui periodici con il sacerdo­te che segue il gruppo

 

Responsabili

Membri della commissione d’orientamento vocazionale scelti dal Consiglio Generale.

 

Tempi di attuazione

Ordinariamente almeno due anni

 

DOMANDE

– In quale aspetto, secondo te, il pre­sente piano risulta carente o non ade­guato alla tua realtà locale? Come lo cambieresti?

– Tale piano ha tutti gli elementi per aiutare il giovane a comprendere la propria vocazione?

– Come si può inserire questo progetto in un CDV o CRV ?

 

SINTESI

È stato esposto il progetto vocazionale dell’Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo, che abbiamo esaminato insieme in tutte le sue parti: obiettivi, metodo, contenuti, verifica, responsabili, tempi di attuazione. Ci è stato chiesto di dire il nostro parere sulla validità del progetto e se questo poteva essere adattato nelle nostre realtà locali, al servizio dei CDV; ci siamo interrogati anche se in esso vi fossero tutti gli elementi per aiutare i giovani a comprendere la propria vo­cazione. Ne è scaturito un dialogo in­teressante arricchito da racconti di esperienze personali legate all’approccio con la Parola. Nel progetto, infat­ti, compare in maniera forte lo stile della lectio divina: lettura, spiegazio­ne, commento, attualizzazione (cioè vita vissuta della Parola, dicendo come e se è stata interiorizzata), e infine la preghiera. Alcuni di noi hanno rileva­to che il progetto nel suo insieme è più che valido, ma, ovviamente, va adat­tato ai contesti particolari, osservan­do e specificandone i destinatari, in base all’età e al retroterra religioso.

All’interno del metodo, è stata ri­levata l’importanza degli incontri per­sonali ai fini di una continuità tra un incontro e l’altro e dell’accompagnamento spirituale del giovane. Alla domanda su come vengono fatte conoscere le varie vocazioni pre­senti nella Chiesa, è stato spiegato che, per conseguire questo obiettivo, ven­gono invitati a illustrare e testimoniare il proprio stato di vita le persone che la vivono direttamente. Alla richiesta su cosa significa nella metodologia la voce “cenacolo del Vangelo” è stato spiegato che si tratta di incontri sulla Parola di Dio per ascoltare, capire, interiorizzare, attualizzare e vivere la Parola, in un cli­ma di fraternità e di comunione.

Per quanto riguarda i contenuti, è stato osservato che quelli specifici dell’Istituto dovranno essere sostitui­ti con quelli delle singole realtà locali. Il progetto, quindi, nel suo insie­me è ritenuto valido perché consente un approccio ai giovani a partire dalla Parola di Dio. Dalle testimonianze di persone che lavorano nel settore catechistico e scolastico, infatti, è emerso che c’è una grande richiesta di Parola di Dio da parte dei giovani. Si è sottolineato, però, che è fon­damentale il ruolo di chi guida all’incontro con la Parola, perché esso deve por­tare l’interlocutore a incontrarsi con una persona viva, cioè Cristo: perché que­sto avvenga, è necessario che chi guida abbia fatto esperienza di Cristo, Parola incarnata, nella propria vita, oltre ad avere una preparazione adeguata. Egli deve essere in grado di suscitare in chi l’ascolta la domanda fondamentale di senso e la fame e sete della Parola.

Occorre la circolarità tra il testo, la persona e la storia; diversamente, la Parola rimane sterile. È stato anche fatto notare che fa molta presa sui ragazzi e sui giovani di oggi lo stile della narrazione e la cono­scenza dei personaggi biblici; inoltre, alcune esperienze di distinzione di gruppi, maschili e femminili, in alcune circostanze hanno dato buon frutto.

 

 

 

 

5. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NELL’ORATORIO

a cura di don Valerio Baresi, Salesiano

 

Quando si parla di Oratorio, im­mediatamente l’immaginario collettivo pensa a cortili, campi spor­tivi, ambienti per gioco e incontri for­mativi. In realtà l’Oratorio, prima di essere una “struttura” è un cuore, una passione educativa da portare ovun­que. È poter dire ai ragazzi, con Don Bosco: “Mi basta che siate giovani, perché io vi ami assai!”, ed è dire a Dio: “Da mihi animas, cetera tolle!”. Per noi Salesiani l’Oratorio è il criterio con cui viviamo ogni attività (scuola, formazione, catechesi, opere missionarie, casa, famiglia…) e lo espri­miamo così nell’art. 40 delle nostre Costituzioni: Don Bosco visse una ti­pica esperienza pastorale nel suo pri­mo Oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vi­vere in allegria. Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività ed opera. L’Oratorio salesiano è definito quindi da tutti e quattro i so­stantivi scritti in grassetto. Se ne man­casse uno non ci sarebbe Oratorio!

 

 

Le ragioni di un progetto per l’Oratorio

La passione educativa di chi ope­ra negli Oratori quotidianamente e il sistema preventivo di Don Bosco, che riconosce l’educazione come “cosa del cuore”, sono pilastri fondamentali dell’azione educativa, ma è inevitabile che i cambiamenti sociali e culturali rendano altrettanto fondamentale l’individuazione di una strada comune da percorrere. È rischioso, in ambito educativo, fidarsi del cammino improvvisato giorno per giorno, soprattutto quando la Comunità educante è ampia e le at­tività sono molto articolate. Per questo diventa indispensabi­le disporre di un progetto capace di generare veri e propri percorsi educa­tivi che consentano di:

– pianificare scelte responsabili e qualificanti per crescere come per­sone capaci di comunione e come cri­stiani adulti nella fede;

– effettuare una verifica costan­te del cammino fatto e da farsi;

– diventare garanzia di conti­nuità anche nel cambio delle persone coinvolte nell’impegno educativo

– abilitare tutti gli operatori, sia professionali che volontari, ad indivi­duare il proprio ruolo educativo.

Inoltre i tempi sembrano ripre­sentare una situazione della condizio­ne giovanile e dei fenomeni migratori, analoga ai tempi del primo Oratorio di Don Bosco a Torino. È in particolare il fenomeno dell’immigrazione, che coin­volge sempre di più anche i minori, a sottolineare la novità degli eventi e i cambiamenti. Il concetto di tempo libero è pro­fondamente cambiato per i ragazzi: la scuola occupa spazi sempre maggiori, coinvolgendo gli studenti per tutta la giornata; la fruizione dei servizi forma­tivi ed educativi viene vissuta in un si­stema “mordi e fuggi”, dove l’Oratorio diventa uno dei tanti impegni nella fitta agenda settimanale dei ragazzi, col gra­ve rischio di non consentire una gra­duale e profonda assunzione di valori.

 

 

Le convinzioni di base

Siamo di fronte ad un tempo storico particolare, un “kairos” cari­co di stimoli, di sfide e di attese, den­tro il quale il Signore ci parla. Desideriamo cogliere le situazioni della vita (immigrazione, povertà, scarsità di vo­cazioni alla vita religiosa…) come “se­gni dei tempi” e “risorse”, non solo come problemi.

– Oggi un Oratorio animato di semplice buona volontà e con la por­ta sempre aperta non è più in grado di fronteggiare la situazione e di svolge­re un’azione educativa. L’Oratorio, inoltre, non può limitarsi ad essere contenitore di attività, ma deve senti­re come primaria la necessità di fare proposte concrete e divenire labora­torio formativo.

– Va cercato un dialogo che vede nel territorio una risorsa, uno spazio con cui confrontarsi e lavorare in rete.

– La semplice disponibilità di spazi non risolve alcune situazioni particolari (immigrazione, multi­culturalità, disagio familiare) per cui nasce l’esigenza dell’assunzione e del farsi carico di alcune situazioni (i pro­getti mirati di prima accoglienza) da seguire con figure professionali.

– È indispensabile il recupero del cortile, un cortile ormai più ampio, che va al di là delle sale e dei campi da gioco, per comprendere tutti gli am­biti in cui si può fare prima accoglien­za per i ragazzi.

– Il cammino educativo non si esaurisce nell’Oratorio. C’interessa la persona e la vita del giovane nella sua totalità ed unità di spirito, anima e cor­po, cogliendo l’interezza del suo per­corso di persona umana. Siamo quin­di più preoccupati delle motivazioni di fondo che sostengono la sua vita, piuttosto che dei singoli episodi di successo o insuccesso educativo (…mi obbedisce, va a Messa, dice le paro­lacce, ecc.).

– Non si tratta di subire con ras­segnazione un progetto che cala dall’alto, ma di avviare un processo di for­mazione che riceve vigore dalla vitali­tà spirituale della Comunità ecclesiale. È indispensabile interrogarsi sulla re­lazione fra pastorale giovanile e comu­nità ecclesiale, affinché i giovani pos­sano confrontarsi con un autentico interlocutore. Il vero problema della pastorale giovanile è che troppo spes­so la comunità ecclesiale è inesistente!

– È utile ricordare che questo cam­mino, proprio perché è orientato ad ani­mare il clima di un ambiente, ha neces­sariamente le caratteristiche della gra­dualità (c’è un itinerario da percorre­re), della continuità educativa (no alle improvvisazioni, no ai “battitori libe­ri”) e dell’armonia (accoglienza di limiti/handicap/diversità, colti come ri­sorsa).

 

 

I criteri pastorali

Presentiamo sette criteri che do­vranno essere tenuti sempre presenti dagli operatori per condurre il proces­so educativo dal punto di vista pasto­rale. Su questi sette criteri gli opera­tori dovranno confrontarsi spesso e ve­rificarne l’attuazione.

 

1) All’Oratorio l’attenzione dell’accoglienza e della convocazione è per tutti i giovani: tutti sono chiama­ti a trovare il senso profondo e gratifi­cante della propria vita; anzi proprio gli svantaggiati, i più poveri e gli ab­bandonati sono l’ambito privilegiato dell’impegno educativo. Conversione necessaria: passare da una pastorale che discrimina, emargina i deboli oppure privilegia le “élites” ad una pastorale che offre a tutti le stesse opportunità di crescita.

 

2) L’Oratorio convoca, cerca e accoglie i giovani nel nome di Gesù Cristo Signore, per aiutare ciascuno ad appassionarsi per la vita, scopren­do la propria vocazione e la profonda dignità dell’essere figlio di Dio. Conversione necessaria: passa­re da un atteggiamento di proselitismo o di concorrenza con altre agenzie aggregative o educative, ad un atteg­giamento che presenta il Vangelo in tutta la sua capacità liberante e trasfor­mante.

 

3) L’Oratorio è al servizio del­la crescita di tutto il popolo di Dio e si riconosce parte di un piano pa­storale d’insieme. Conversione necessaria: passare da una pastorale frammentaria ad una globale e organica; da una pastorale “per” i giovani ad una “dei” giovani; da una pastorale che dà i sacramenti ad una pastorale missionaria, che evangelizza e che forma cristiani evangelizzati ed evangelizzatori.

 

4) L’Oratorio è attento a far sì che ogni attività educhi i giovani ad essere a servizio della comunità ec­clesiale ed umana, affinché i giovani stessi possano essere consapevolmente orientati alla trasformazione cristiana della società. Conversione necessaria: passare da una pastorale di “indottrina­mento” ad una pastorale di ricerca e contemplazione comunitaria della pre­senza di Dio nella storia, una pastora­le di contemplazione profetica e di in­carnazione a servizio degli uomini.

 

5) L’Oratorio propone ai giovani attività proporzionate alle loro possi­bilità reali, in modo che tutti e ciascu­no abbiano l’occasione di dare solo e tutto ciò che possono. Viene così sti­molata la fiducia in se stessi e valoriz­zato il contributo di ognuno per la pro­pria crescita personale. Conversione necessaria: passa­re da una pastorale improvvisata ad una ragionata, pianificata, intenziona­le; da una pastorale autoritaria, disat­tenta alle condizioni di ogni persona ad una pastorale in cui ogni persona è accolta nella sua stupenda e irripetibile unicità; da una pastorale carica di pregiudizi sui deboli, ad una pastorale che si lascia evangelizzare da poveri e svantaggiati.

 

6) All’Oratorio la formazione avviene nell’azione e mediante l’azione: ogni azione evangelizza i giovani che la vivono grazie all’elaborazione, alla preparazione, alla decisione moti­vata di viverla, alla realizzazione e alla verifica che esige. Sono formativi tutti i valori d’impegno personale e comu­nitario richiesto dalle attività. Conversione necessaria: passare dalla sicurezza del “fare da sé”, o del “dettare” come si fa, al rischio della ricerca e della responsabilità condivisa; dall’efficientismo alla pa­zienza che la vera educazione esige; dall’improvvisazione alla fatica e all’ascesi della pianificazione; dal “po­chi che fanno tutto” al “tutti che fan­no qualcosa”; dal “siccome non c’è tanta gente preparata” e quindi i “pre­parati” fanno tutto, al preparare i futu­ri animatori ed operatori pastorali.

 

7) All’Oratorio “tutto” deve es­sere educativo, cioè orientato a far sì che ogni giovane scopra e viva nell’esperienza del dono di sé la propria vocazione personale. Conversione necessaria: passa­re da una pastorale moraleggiante ad una che motivi, stimoli, consenta vere scelte personali di vita nella vera li­bertà cristiana (Gal 5,13); passare da una pastorale vocazionale distinta dal­la pastorale giovanile ad una pastora­le giovanile intesa tutta come pasto­rale vocazionale a servizio della ricer­ca di senso di ciascun giovane.

 

 

PERCORSO PROGETTUALE IN TRE TAPPE:

accoglienza, ricerca di senso e orientamento vocazionale

 

Le tre tappe del percorso che pre­sentiamo sono, per noi, i tre ambiti fondamentali dell’educativo e i tre obiettivi irrinunciabili dell’Oratorio. Certamente queste tre realtà de­vono essere prese in considerazione sempre contemporaneamente. Proprio come la nostra vita, che non separa convinzioni ed emozioni dalle azioni o dal corpo, l’anima dallo spirito. Tuttavia, se vogliamo divenire esperti in qualunque attività, ci ac­corgiamo che diamo delle priorità: “al­leniamo” un arto, un muscolo; concen­triamo l’attenzione su un movimento o un atteggiamento, trascurando tempo­raneamente altre cose. Se vogliamo educare, cioè abili­tare le persone a scegliere responsa­bilmente un atteggiamento fondamen­tale che apra all’amore, all’accoglienza e al dono di sé, dobbiamo privilegiare quelle attenzioni che consentano di rendere abituali e fondamentali i gesti necessari per vivere una vita piena­mente umana. Naturalmente chi vive la tappa dell’accoglienza non trascurerà ciò che è utile alla ricerca di senso, all’educazione alla fede o alla scelta vocazionale di ciascuno. Si dovranno tuttavia indi­care delle priorità, che possano con­sentire a tutto l’ambiente Oratorio di non essere generico, vago o schizo­frenico nel raggiungere l’obiettivo pre­posto. Questa chiarezza permetterà ai giovani di conoscere il cammino educativo in cui sono coinvolti e agli educatori eviterà il “corto circuito” o, peggio, lo stress da delirio di on­nipotenza.

 

PRIMA TAPPA:

I CORTILAI (3 anni)

Si interessa della creazione di un clima educativo, concentrandosi so­prattutto sull’accoglienza, sulle rela­zioni, sulla chiarificazione degli obiet­tivi, attenta a coinvolgere giovani e adulti in una rete educativa.

Obiettivo: Ogni giovane e l’insieme dei giovani, percepiscono l’accoglienza attraverso il clima familiare ed educativo ricco di relazioni significa­tive che viene generato nell’Oratorio:

– dalla rete di educatori coinvol­ti;

– dal rispetto delle regole sem­plici e condivise;

– dall’armonia e dal decoro del­le strutture;

– dalla varietà delle proposte, orientate a rendere ciascuno protagonista.

 

 

SECONDA TAPPA:

VIENI E VEDRAI (2 anni)

È la tappa che si preoccupa di ri­spondere alla ricerca di senso dei gio­vani; privilegia l’attenzione alla rela­zione con Dio, educa alla fede, fa vive­re esperienze spirituali e di servizio, soprattutto attraverso i gruppi e i per­corsi formativi per tutti.

Obiettivo: Ogni giovane è inco­raggiato e accompagnato a trovare il senso della propria vita attraverso la scoperta della propria identità e del­la propria vocazione, vivendo espe­rienze aggregative, d’impegno e di fede, capaci di traghettarlo da una si­tuazione di semplice utente a vero pro­tagonista.

 

Si avvia quindi un grande labo­ratorio di ricerca di senso dove:

– Si affrontano i grandi temi del­la vita.

– Si prendono in considerazione i bisogni di ciascuno.

– Si fanno esperienze significa­tive che possono essere rilette in­sieme per divenire fonte di sag­gezza e scuola di vita.

– Si cercano le risposte senza pre­tendere di imporre la verità a nessuno, ma “presentando” piut­tosto un ambiente e una comuni­tà di persone che hanno “scelto” di prendere Gesù come modello della propria vita, fidandosi della sua Parola e manifestando un’evidente fraternità tra persone e gruppi (vedere-giudicare-agire).

– Si avvia la strategia del: “Vieni e vedrai!”.

L’Oratorio è impegnato per sostenere iniziative e proposte orientate a coinvolgere i ragazzi in esperienze qua­lificate, supportato da gruppi formati­vi con progetti educativi definiti e chia­ri. Si consolida così il passaggio ver­so i cerchi più interni della vita oratoriana. Ne consegue che i ragazzi ver­ranno all’Oratorio non solo perché at­tratti da qualche piacevole, passegge­ro intrattenimento ludico, ma perché hanno cominciato a fare esperienze di vita gratificanti. Ιnoltre, sentirsi utili per gli altri, spendere il tempo in modo significativo, saranno segni concreti di percorsi formativi capaci di concretiz­zare gli obiettivi della tappa.

 

Saranno quindi indispensabili in questa seconda tappa:

– la cura di piccoli gruppi per fasce d’età e/o d’interesse, con pre­cisi progetti educativi, condotti da educatori consapevoli del percorso che attivano, capaci di vivere relazioni profonde, di dare sicurezza psicologi­ca, di consentire maggiore possibilità di protagonismo. I ragazzi saranno stimolati dai più svariati interessi: dan­za, musica, riprese fotografiche, reci­tazione, modellismo, artigianato, in­formatica, regia cinematografica, cre­azione del sito web dell’Oratorio, giar­dinaggio, burattini, radio-Oratorio… La cura dei gruppi di animazione per­metterà ai ragazzi di sperimentare as­sunzione di responsabilità, gestione dei conflitti e delle sconfitte, educa­zione all’affettività, dialogo, impegno e approfondimento del cammino di educazione alla fede, soprattutto sco­prendo gradualmente la bellezza e la potenza della Parola di Dio;

– la creazione di organismi di partecipazione gestiti dai ragaz­zi, affinché insieme prendano coscien­za del cammino educativo (piccoli gruppi di riflessione e confronto, as­semblee, momenti che consentano ai ragazzi di esprimersi, di dare concre­te indicazioni e poter intervenire sulla conduzione della vita dell’Oratorio, di verificare il cammino fatto, di pianifi­care alcuni passi per il futuro…);

– il lancio di proposte con­crete e sempre più stabili di servi­zio, rispondenti ai veri bisogni del ter­ritorio e della Comunità. Esperienze che valorizzino le risorse personali di ciascuno, mettendole a servizio delle esigenze e delle povertà della gente, offendo occasioni di servizio propor­zionate all’età dei ragazzi. È il momen­to “storico” in cui l’Oratorio può fare il massimo sforzo per integrare “agio e disagio”: il buon clima di accoglien­za e la varietà di proposte dei gruppi, diventeranno segni di un ambiente improntato all’azione preventiva, ma capace di accogliere progetti mirati per situazioni di disagio

– la cura del discepolato. È l’azione propria del responsabile e dei religiosi che sono presenti in Orato­rio: i giovani più disponibili vanno seguiti e preparati con un autentico cammino privilegiato di attenzione e formazione (ascolto e condivisione settimanale della Parola di Dio, pre­ghiera insieme, confronto sulla vita, accompagnamento spirituale, forma­zione all’animazione di gruppo) affin­ché i migliori siano preparati per es­sere affiancati a coloro che hanno più bisogno di attenzioni;

– l’attenzione esigente che tutti gli operatori (Cortilai, allenato­ri, istruttori, animatori…) siano espli­citamente coscienti di essere educatori e condividano il progetto della Comunità educante, affinché tut­to all’Oratorio sia educativo (gioco, sport, musica, danza, mezzi di comu­nicazione sociale e di espressione ar­tistica, studio, lavoro).

 

TERZA TAPPA:

LA SCELTA (2 anni)

È attenta all’orientamento vocazionale: in questa terza tappa si desidera, infatti, accompagnare il gio­vane a decidere della propria vita, a prendere coscienza che nulla avviene per caso e ad aprirlo alla dimensione missionaria.

Obiettivo: Ogni giovane e l’insieme dei giovani, sono favoriti e sostenuti a dare una significativa risposta alla propria ricerca vocazionale, fino a scegliere di vivere una vita che sa prendersi cura degli altri con azioni responsabili e mature.

Da questa consapevolezza nasce la possibilità di giungere ad una SCEL­TA: sarà la ricerca di motivazioni fon­danti e l’acquisizione di atteggiamenti fondamentali maturi che consentirà alle persone di vivere come buoni cristiani ed onesti cittadini. L’Oratorio favori­sce una visione grande della vita di ciascun ragazzo e abilita le persone a vivere da santi. È il fine ultimo dell’Oratorio. È la vocazione di ogni uomo. È scegliere di essere felici, perché la feli­cità è una scelta! Questa terza tappa vuole espri­mere la convinzione di un ambiente che non “trattiene” presso di sé il frut­to di un lavoro di formazione, di acco­glienza e di ricerca di senso dei suoi giovani: è un Oratorio che con un mo­vimento “inverso” invita i propri ra­gazzi a scegliere la propria vita e ad orientarla, anche “partendo” e lascian­do l’Oratorio, consapevole di aver for­nito loro valori e idee per scegliere con maturità e responsabilità. Ogni giovane deve poter contare su un vero accompagnamento spiritua­le che gli permetta di prendere co­scienza che la vita è dono, in qualsiasi situazione. Da qui l’apertura alla di­mensione missionaria, al servizio e all’evangelizzazione.

 

I ragazzi, nella terza tappa, incon­trano un Oratorio che consente loro di:

– poter finalmente contare su di una Comunità cristiana che è pre­sente ed educante;

– frequentare un ambiente per­cepito sempre più come “proprio”, denso di esperienze coinvolgenti, pia­cevoli ed educanti;

– essere coinvolti con regolari­tà nei cammini formativi per fasce d’età e/o interessi, con obiettivi chiari e con­divisi;

– poter essere favoriti ed inco­raggiati a confrontare la propria vita con la Parola di Dio, dando una risposta sempre più personale e profonda a Gesù che chiama ad essere suoi discepoli.

Si tratta ora di chiedere alla Co­munità educante di manifestare la pro­pria passione educativa, facendo sì che ogni giovane abbia la possibilità di in­terrogarsi sulle scelte della propria vita, operando un serio discernimento che favorisca l’orientamento scolastico, l’orientamento al lavoro, l’educazione all’amore, l’accoglienza di ministe­ri ecclesiali e l’accompagnamento per effettuare con serenità e profondità ogni scelta di vita.

In questa terza tappa sarà quindi necessario:

– rendersi attenti ai progetti ter­ritoriali di “informa-giovani” o creare strutture di informazione, gestite in rete col territorio, affinché i giovani possano trovare risposte alla loro ri­cerca di orientamento allo studio, al lavoro, al coinvolgimento in interes­santi iniziative territoriali ed ecclesia­li;

– promuovere riflessioni sul tema del mondo del lavoro, dello sviluppo sostenibile, del volontariato;

– creare contatti e collaborazio­ne con le scuole;

– favorire la nascita di iniziative che consentano ai giovani più maturi di vivere esperienze di evangeliz­zazione (testimoniare la fede nei grup­pi, guidare la preghiera all’Oratorio, avviare gruppi biblici per ragazzi, or­ganizzare concerti di evangeliz­zazione, presentazione di film, incon­tri, serate di evangelizzazione, cura della dimensione missionaria dell’Oratorio),

– avviare iniziative di Oratorio di strada, per aprirsi alla dimensione missionaria in tutto il territorio citta­dino.

 

Il tema “dell’attenzione ai singo­li” stimolerà la comunità educante ad offrire segni il più possibile “personalizzati” ai ragazzi che frequen­tano l’ambiente. Anche questi gesti appartengono all’azione pastorale di un ambiente educativo, per una pasto­rale “delle proposte” piuttosto che “delle pretese”. È importante inserire quelle che possiamo definire scelte-faro, cioè quelle proposte di animazione, di volontariato o di servizio che per il loro stesso significato interpellano i ra­gazzi o li invitano per lo meno ad os­servarle. Sono attività che l’Oratorio può accogliere o curare in maniera visibile. Accogliendo iniziative con forte connotazione sociale e d’impegno, magari proposte da altri giovani, l’ambiente valorizza la sua dimensione di spazio di ricerca e di proposta educativa.

Sono iniziative che appartengo­no certamente ad un lavoro progettuale ben strutturato, ma che entrano con gradualità nella vita dell’Oratorio. Si pensi alla presenza in Orato­rio di giovani che dialogano e gioca­no con altri ragazzi disabili; di corsi di clownerie, organizzati da giovani che portano lo stile del clown nei re­parti ospedalieri; di iniziative di rac­colta in favore dei più poveri (indu­menti, alimenti, medicinali). Ma sono altrettanto scelte-faro quelle che propongono un’attenzione etica e spirituale nell’ambiente: l’interruzione delle attività per un momento di riflessione, confronto o preghiera durante il giorno; la partecipazione dell’ambiente ad un evento come “il minuto di silenzio per..”. L’Oratorio non perda la sua sen­sibilità come “laboratorio” di esperien­ze ludiche, formative e valoriali, che occorre continuare ad elaborare, sen­za stancarsi.

 

SINTESI

Dopo esserci presentati, espri­mendo anche le motivazioni che ci hanno portato a scegliere questo labo­ratorio e le relative attese, abbiamo cercato di “intenderci” sul significato di Oratorio. Riconosciamo l’Oratorio non tanto come una struttura, ma come un atteggiamento pastorale, una pas­sione educativa per i giovani che si esprime attraverso quattro aspetti che devono coesistere:

– casa, che indica l’accoglienza;

– parrocchia, che indica l’evangelizzazione e la spiritualità;

– scuola, che indica l’educazione alla vita;

– cortile, che indica l’allegria, la fe­sta, il gioco e l’amicizia.

Tale ambiente di ampia accoglien­za, non può essere gestito nella improvvisazione: è indispensabile far convergere una comunità cristiana at­torno ad un progetto conosciuto e condiviso. Il cammino educativo non si esau­risce nell’Oratorio: siamo chiamati ad essere attenti all’intera vita del giova­ne che seguiamo, preoccupati delle motivazioni di fondo che sostengono la sua vita. È doveroso porre attenzio­ne a proposte graduali e adatte a cia­scun giovane che seguiamo. Ci siamo poi soffermati a identi­ficare l’ambiente Oratorio, semplifican­dolo in un’immagine: tre cerchi con­centrici attorno alla comunità educan­te. Il cerchio più esterno esprime l’attenzione della prima accoglienza (gra­dini della chiesa, porta d’ingresso, cor­tile, bar, sala giochi…); il secon­do rappresenta i gruppi organizzati per alcune attività (sport, musica, danza, teatro…); il più interno esprime la pre­senza dei gruppi formativi (catechesi, gruppi d’animazione, gruppi biblici, scout, Azione Cattolica…).

L’Oratorio deve investire molte energie per la valorizzazione del cer­chio più esterno, valorizzando la pri­ma accoglienza, cioè l’educativa di bassa soglia. Per definire ancora meglio l’identità dell’Oratorio, ne abbiamo poi con­diviso le rispettive esperienze.

 

Ecco ciò che è emerso:

– è indispensabile l’unità di progetto e l’armonia tra parrocchia e oratorio;

– bisogna aver cura di presentare comunità cristiane significative, che favoriscano lo sbocco dei giovani in parrocchia;

– è doveroso incoraggiare un itinerario d’intesa e di comunione tra educatori;

– va favorita la presenza degli adulti e delle famiglie;

– bisogna incoraggiare l’attenzione alle fragilità e alle povertà (disabili, stranieri…);

– evitare di rendere l’Oratorio semplice “contenitore” di attivi­tà o di associazioni;

– incoraggiare la partecipazione agli organismi di partecipazione del territorio;

– favorire il lavoro in rete;

– curare una seria formazione degli operatori;

– coinvolgere tante persone nell’attenzione educativa.

 

Ci siamo poi suddivisi in due sottogruppi, che hanno curato una si­mulazione di programmazione con speciale attenzione all’animazione vocazionale, in modo particolare alle azioni che è opportuno programmare per favorire:

– una diffusa cultura vocazionale nell’ambiente;

– un’adeguata attenzione vocazionale negli adulti della comunità cri­stiana;

– un’opportuna disponibilità al­l’ascolto e alla ricerca di Gesù Cristo Signore da parte dei giovani;

– una risposta di generoso apostolato da parte dei giovani.

I due sottogruppi si sono poi comu­nicate le conclusioni raccolte.

 

GRUPPO A

Ha preso in considerazione gli adolescenti dai 14 ai 17 anni, presenti negli spazi più ai margini dell’Oratorio, negli ambiti di prima accoglienza.

 

Obiettivo generale:

– aiutare i giovani a scoprire la vita come dono prezioso.

 

Obiettivi intermedi:

– instaurare una relazione positiva con gli adolescenti;

– offrire luoghi e occasioni di fe­sta insieme;

– prendere coscienza della propria femminilità e mascolinità;

– prendere coscienza delle proprie emozioni.

 

Azioni proposte:

– sedersi con loro, salutarli, conoscere i nomi;

– ascoltarli;

– creare ambienti per loro;

– chieder loro di tinteggiare alcuni ambienti a loro destinati;

– invitarli a pensare di organiz­zare la parte musicale di una festa se­condo le loro attitudini;

– affidare loro piccoli incarichi o responsabilità, secondo le loro capacità.

 

Risultati attesi:

– iniziare con loro una relazione significativa;

– favorire la loro presenza all’Oratorio;

– favorire un atteggiamento rispettoso dell’ambiente;

– farli sentire di casa;

– incoraggiare una presenza più attiva e consapevole;

– favorire un atteggiamento di responsabilità e affetto verso l’ambiente e le persone.

 

GRUPPO B

Ha preso in considerazione gli adolescenti dai 15 ai 18 anni, presenti nei gruppi organizzati dell’Oratorio.

 

Azioni proposte:

– attività di servizio caritativo e liturgico (anziani, malati, animazione di bambini, coro…);

– percorsi biblici attraverso drammatizzazione teatrale;

– campi formativi estivi, con équi­pe di responsabili composte da appar­tenenze vocazionali “differenti”;

– coinvolgere i genitori nel percorso dei figli, con attività parallele.

 

Risultati attesi:

– scoperta e accettazione della propria identità;

– valorizzazione della persona e del mondo;

– migliorare la relazione parentale degli adolescenti;

– riuscire a trasformare in vera esperienza ciò che è stato proposto e vissuto;

– coscientizzazione che i figli non sono proprietà privata.

– rileggere con i ragazzi le attivi­tà vissute all’interno dell’ Oratorio.

 

 

 

 

 6. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NEI CAMPI SCUOLA

a cura di sr. Tosca Ferrante, apostolica

 

Il laboratorio sul tema dell’animazione vocazionale nei campi scuo­la, condotto dalle Suore Apostoline, si è così svolto:

– Proposta di riflessione sulla dimen­sione vocazionale nei campi scuo­la come aspetto fondante e non relativo ai partecipanti, al tema o alla tipologia di campo; come ci ricorda il documento NVNE, «Tut­ta la pastorale e in particolare, quella giovanile, è nativamente vocazionale» e «la pastorale vocazionale è la vocazione dell’intera pastorale» (NVNE 26).

– Breve presentazione di un itinerario di campo vocazionale per giova­ni organizzato dalle suore Apostoline, che è servito da sfon­do per far emergere, in una rifles­sione ampia e condivisa, le dimen­sioni imprescindibili nella prepa­razione, ideazione e gestione di un campo scuola diocesano, par­rocchiale o di congregazione.

 

CAMMINARE NELLAMORE CON GESÙ TRA PAURA E DESIDERIO

Campo di orientamento vocazionale

 

Destinatari: giovani dai 18 ai 30 anni.

 

Obiettivo generale: aiutare cia­scuno ad incontrarsi in verità con la propria vita e la propria storia perso­nale, accogliendola per ciò che rivela e ciò che nasconde, e nello stesso tem­po a incontrare il Signore della vita, che solo può rivelare a ciascuno la pro­pria identità, la propria vocazione e la propria missione. Cerchiamo così di aiutare il giovane che ci viene affidato ad elaborare un progetto di vita che orienti verso la maturazione di una scel­ta vocazionale.

 

Obiettivo in riferimento al tema: prendere consapevolezza e valorizza­re il proprio bisogno di amare ed esse­re amati; imparare a fare unità tra le fe­rite e le potenzialità; scoprire gradual­mente la propria vocazione personale a partire dai desideri di bene che cia­scuno porta nel cuore.

 

Compagine delle giornate:

I giorno: in principio è l’amore

II giorno: i desideri

III giorno: le ferite dell’amore

IV giorno: la risposta all’amore in un’ottica di integrazione

V giorno: in missione per amore, dunque impegno personale

VI giorno: mandato e partenze

 

 

Modalità di verifica quotidiana:

Obiettivi operativi, contenuti, atti­vità, animazione liturgica, mezzi, verifica.

Al termine del laboratorio, a par­tire dal confronto all’interno dei due sottogruppi, sono state evidenziate al­cune attenzioni necessarie per salvaguardare la dimensione vocazionale in ogni campo-scuola.­

 

Per motivi di chiarezza di esposi­zione queste attenzioni sono state rac­colte in quattro aree, tenendo presen­te che è all’integralità della persona (mente – volontà – cuore – forze fisi­che) che si rivolge l’annuncio vocazionale!

 

 

Riguardo ai destinatari

La proposta vocazionale deve es­sere graduale, perciò è importante va­lorizzarla in tutto lo sviluppo di cresci­ta umana e di fede: dalla scoperta della vocazione come chiamata alla vita, alla vita cristiana e poi alle diverse voca­zioni. In particolare focalizziamo l’attenzione su alcune fasce di destinatari:

 

– Ragazzi (dai 9/10 ai 12/13 anni):

* da “animare” evidenziando che la prima vocazione è la “chiamata” alla vita, fin dalla sua origine;

* da edu­care a sentirsi figli “amati” da Dio Pa­dre; invitati a entrare in relazione di amicizia con Gesù;

* a prendere co­scienza dei doni attraverso cui lo Spi­rito Santo ravviva i doni naturali;

* abituare a far vivere i sacra­menti come luogo di incontro tra la chiamata di Dio e la nostra risposta.

 

– Adolescenti (dai 14 ai 17 anni):

* da animare con proposte vocazionali per “provocare…” in loro le domande sul senso della vita;

* da educare a scoprire le pro­prie qualità intellettuali, morali, spiri­tuali, fisiche e a credere nelle proprie possibilità, nella propria originalità/­unicità e a vivere l’autonomia dal conformismo e dai modelli standard;

* a cui far incontrare Cristo come fondamento di libertà, di verità e di comunione;

* a cui presentare la proposta del­la vita come “progetto”: quale relazione tra il mio sogno e il sogno di Dio per me?

 

– Giovani (dai 18 anni in poi);

* da accompagnare provocan­done le domande sull’orientamento da dare alla vita;

* da aiutare ad incontrarsi in verità con la propria vita e la propria storia personale, accogliendola per ciò che rivela e per ciò che nasconde, e nello stesso tempo a incontrare il Si­gnore della vita che solo può rivelare a ciascuno la propria identità, la propria vocazione e la propria missione;

* da educare alla decisione, se­condo un progetto che conduca alla maturazione di una scelta vocazionale “de­finitiva” e alla fedeltà quotidiana ad essa.

A riguardo di questa fascia d’età ci s’interroga sulla realtà crescente di giovani sopra i 30 anni ancora in ricer­ca vocazionale, che chiedono di parte­cipare ad itinerari di discernimento; in essi la passione per la ricerca, tipica degli adolescenti, si scontra con l’ansia della risposta, propria degli adulti che non hanno ancora realizzato un progetto di vita.

 

 

SINTESI

ATTENZIONI NECESSARIE PER SALVAGUARDARE LA DIMENSIONE VOCAZIONALE IN OGNI CAMPO SCUOLA

Dimensione spirituale

– Accompagnare all’incontro con la parola di Dio, realtà viva che interpella la vita e attraverso la quale s’incontra il Signore e il suo progetto di vita e d’amore per ogni uomo;

– favorire la relazione con Gesù attraver­so i diversi momenti della liturgia:

* celebrazione Eucaristica, come incontro vivo con Gesù Risorto. Tale incontro può anche diven­tare occasione per una formazio­ne liturgica dei giovani al fine di aiutarli a viverla con più consa­pevolezza nella quotidianità;

* celebrazione penitenziale, come incontro personale e comunitario con la bontà e la misericordia del Padre;

* momenti di prolungata riflessione personale e di silenzio (deser­to), perché ciascuno possa anda­re in profondità nella propria vita, per riconoscere quali domande fondamentali si porta dentro, in un confronto serio con l’appello di Dio e con la vita degli altri;

* preghiera comunitaria, come spazio di comunione ecclesiale;

– “allenare” alla contemplazione stupita delle opere di Dio nel rapporto con la creazione.

 

Dimensione umana

– Educare a “far memoria” dell’azione di Dio nella propria storia persona­le, leggendola a partire dall’esperienza quotidiana;

– creare un clima di accoglienza, fi­ducia, ascolto, semplicità e gratuità, perché ciascuno possa sentirsi valoriz­zato e protagonista dell’esperienza;

– proporre il tema di ogni giorno sia in chiave biblica che in quella esistenziale-vocazionale, per un annuncio esperienziale oltre che dottrinale;

– garantire la giusta proporzione tra il numero dei partecipanti e quello degli educatori, per favorire il clima del grup­po e la possibilità dell’accompagnamento personale;

– curare l’accompagnamento personalizzato come momento importante di confronto per condividere il cammino fatto, le fatiche, i desideri, i sogni e per una lettura condivisa della presenza costante di Dio nel proprio cammino di ricerca vocazionale.

 

Dimensione comunitaria

Per gli animatori:

– necessità di una preparazione remota e non improvvisata del campo;

– fecondità data dalla comunione e dalla preghiera dei membri dell’équipe stessa. Pregare insieme come équi­pe, in vista del campo, è momento fon­dante dell’esperienza;

– valore di una genuina testimonianza personale e comunitaria. A que­sto proposito non possiamo mai di­menticare che i primi a cui i giovani guarderanno durante il campo siamo noi, sono gli educatori, specie se sa­cerdoti e religiosi. Da valorizzare, dove possibile, la presenza nell’équipe di giovani in formazione (postulanti, novizi, seminaristi), come figure più vicine ai giovani e che pos­sono diventare “ponti” importanti. Può essere significativo, inoltre, svolgere il campo in una comunità religiosa che accolga e condivida, nella preghiera e nel servizio, il cammino dei giovani;

– favorire e valorizzare la diver­sità delle vocazioni e dei carismi all’interno dell’équipe, oltre che la sta­bilità dei suoi componenti;

– promuovere momenti di formazione comune.

 

Per i giovani:

– proporre l’incontro con alcuni testimoni, nell’ambito delle diverse vocazioni presenti nella Chiesa locale, per permettere ai giovani un confron­to più diretto e la possibilità di porre alcune domande più specifiche;

– vivere un’esperienza di servizio e di missionarietà nelle realtà operanti sul territorio, al fine di valorizzare ciò che questo offre e prospettare ai gio­vani possibili impegni futuri;

– favorire la condivisione quotidiana dell’esperienza, lo scambio nei lavori di gruppo, piccoli turni di ge­stione della casa e momenti di svago e di gioco.

 

Dimensione socio-culturale

– Valorizzare l’uso di strumenti multimediali come linguaggio possi­bile per veicolare i contenuti, nella lo­gica di una comprensione più imme­diata da parte dei giovani e di un ap­proccio critico agli stessi;

– cogliere la dimensione storica e culturale dell’ambiente in cui si svol­ge il campo;

– stimolare la creatività “dell’uomo a servizio dell’uomo” come condivisione di doni: nell’arte, nella poesia o negli aspetti tecnico-pratici;

– suscitare interesse e attenzione verso il sociale, in riferimento al conte­sto nel quali i giovani si trovano a vi­vere.

 

 

Conclusione

Consapevoli che tutte queste finalità non sono raggiungibili e realizzabili in un’unica esperienza di campo scuola, suggeriamo che si programmino itinerari annuali o ciclici al fine di garantire uno svi­luppo dei temi e una gradualità del percorso, in consonanza con la maturazione della persona.

«Possono dormire in fondo al cuore i più bei sogni, ma dor­mire;

e possono, gli individui, essere sollecitati e anche se sono addormentati venire risvegliati.

Venire risvegliati. Sì!».

(Beato Giacomo Alberione)

È questo l’augurio che ci siamo fatti: quello di continuare a realizzare il sogno di Dio sulla nostra vita, aiu­tando altri, in particolare i giovani, ad individuare e realizzare il loro!

 

 

 

 

7. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE A PARTIRE DALLA MISSIONE AD GENTES

a cura di P. Giovanni Gargano

 

Gesù salì poi sul monte, chiamò « a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per man­darli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3,13-15).

A partire da questa icona biblica, presento alcuni aspetti tipicamente vocazionali dell’itinerario che alcuni istituti missionari propongono ai gio­vani che desiderano impegnare la pro­pria vita al servizio di Dio e dei fratelli nella missione ad gentes, ad extra e ad vitam.

In questa scheda presenterò i pro­getti di animazione vocazionale di tre istituti missionari: Missionari Saveriani, Comboniani e PIME (Pon­tificio Istituto per le Missioni Estere).

Dalla lettura di questi percorsi emerge innanzitutto un dato molto in­teressante: tutti seguono lo stesso sti­le, che è quello di aiutare il giovane o la giovane a fare una scelta di vita, evi­tando di creare aree di parcheggio ove i giovani amano restare senza decider­si e giocarsi in una responsabilità che li spinga ad andare a testimoniare l’amore ricevuto.

 

MISSIONARI SAVERIANI

L’obiettivo ultimo al quale mira la nostra azione di animazione missio­naria e vocazionale in Italia, è quello di far crescere il senso della missio­ne all’interno della realtà ecclesiale e della società del Paese, fino a suscita­re l’adesione di singoli e di gruppi all’attività di annuncio del Vangelo adgentes, ad extra e ad vitam.

Concretamente la nostra azione in Italia si articola nel seguente modo (partendo dall’azione più generale e giungendo alla più specifica):

– Far crescere la maturità uma­na e sociale, secondo il nostro appor­to specifico: ciascun deve imparare a sentirsi cittadino del mondo, aprendo­si alla storia e alle ricchezze spirituali e culturali dei popoli.

– Far crescere la maturità eccle­siale: nel Battesimo Dio ci fa il dono di diventare suoi familiari. Sentirsi parte di questa famiglia di figli di Dio signifi­ca percepire il dovere e la gioia del con­dividere a tutti l’annuncio di un tale dono. Il credente maturo deve così sentire l’urgenza di darsi da fare per l’azione missionaria della Chiesa.

– Far crescere la maturità mis­sionaria ad gentes in ogni cristiano e in ogni comunità o gruppo ecclesiale, come segno della piena maturità di fede. Ciò esige l’impegno da parte no­stra di scoprire i doni che lo Spirito suscita per la missione, secondo i vari carismi, fino ad accogliere il deside­rio di chi si sente chiamato a donare interamente la propria vita per Dio e per i fratelli, consacrandosi alla mis­sione ad gentes.

 

Una volta precisato l’obiettivo ge­nerale e la sua articolazione, la nostra animazione missionaria voca-zionale si può specificare in azioni più mirate:

– Formare una coscienza di soli­darietà universale nella società e nel­la Chiesa italiana.

– Preparare degli animatori mis­sionari.

– Formare gruppi attivi e speci­ficatamente sensibili alla missione, come annuncio, dialogo, solidarietà e giustizia.

– Promuovere la vocazione di fu­turi missionari (nelle sue varie espres­sioni: volontari, laici missionari, laici saveriani), formando e aiutando nel discernimento soprattutto il mondo giovanile (infatti ogni nostra casa è provvista di un gruppo che si incontra mensilmente; ci rivolgiamo a quei gio­vani che desiderano scoprire la bellez­za della missione, ascoltare i testimo­ni della missione e viverne l’urgenza per incontrare i più lontani).

– Promuovere, formare e accom­pagnare le vocazioni missionarie di speciale consacrazione secondo il carisma saveriano.

 

Concretamente, proponiamo ai giovani un cammino di formazione missionaria per scoprire la bellezza della missione, ascoltare i testimoni e vivere con uno stile di vita evangelico per incontrare i più lontani e servire i più poveri. Noi accogliamo i giovani in un clima di famiglia, come desiderava il nostro fondatore Guido Maria Conforti: “Fare del mondo una sola famiglia”.

Accanto al cammino di formazio­ne missionaria, offriamo ai giovani an­che un percorso di discernimento a 360 gradi della propria vocazione missio­naria, con la possibilità di accompa­gnamento personale. In questi incon­tri i giovani sono invitati a vivere la ricerca nella preghiera e nell’ascolto della Parola di Dio.

In sintesi l’animazione missiona­ria vocazionale tiene presente queste tre tappe: aggregazione, formazione e discernimento Nell’ultimo Capitolo regionale, la regione saveriana d’Italia ha fatto la scelta di un centro di discernimento vocazionale-missionario, con l’obiettivo di offrire al giovane un tempo, in­tenso e personale, di discernimento sulla propria vita. La finalità di questo centro non è quella di lavorare per la sopravvivenza delle nostre famiglie missionarie, ma di dare alla persona la possibilità di sperimentare una vita più intensa di preghiera e soprattutto di impostare un percorso personale di discernimento, uscendo dal proprio ambiente quotidiano per viverlo in maniera più intensa.

L’équipe è formata, infatti, da un missionario/a e da una coppia di laici saveriani, mentre lo psicologo ha un ruolo esterno all’équipe. Nell’ultima Assemblea Unitaria di animazione missionaria e vocazionale, siamo arrivati alla conclusione che il mondo giovanile va incontrato prima di tutto con simpatia e non giudicandolo. È importante partire dal loro mondo e dai loro linguaggi (ad es. la musica).

 

 

 

MISSIONARI COMBONIANI

I missionari comboniani e comboniane, nelle loro case, hanno il GIM (Gruppo Impegno Missionario), che è:

– un cammino di incontro per giovani assetati di pace e di giustizia, che vogliono conoscere più a fondo il sogno di Dio per l’umanità e prender­vi parte in maniera concreta e attiva;

– un cammino nella vita, nella storia e nel mondo;

– un cammino di liberazione, da se stessi e da quello che la società e il sistema ci impongono con forza, per ri­spondere a quello che il Signore ci chie­de e che i poveri s’aspettano da noi.

Specifiche del GIM sono la mis­sione e la scelta di Gesù Cristo. Infatti è un cammino che aiuta la persona ad aprirsi a Cristo nella preghiera, nell’ascolto e nella riflessione della Pa­rola di Dio; ma è anche, nello stesso tempo, un invito ad aprirsi agli altri, al mondo, alle realtà di ingiustizia e di sofferenza… alle realtà di non pace. L’esperienza del GIM vuole sti­molare il giovane a crescere come per­sona e come credente in Gesù, nell’amicizia sincera con Dio e con gli altri.

 

Accanto a questo cammino di spiritualità e di formazione missiona­ria esiste anche un percorso di discer­nimento vocazionale, per poter capi­re meglio dove e come il Signore chia­ma un giovane a seguirlo sulle strade del mondo. Questo percorso consta di tre tappe fondamentali:

1. La conoscenza/esperienza di Cristo, che avviene attraverso la pre­ghiera personale e comunitaria, la catechesi, il confronto, l’approfondimento della Parola di Dio, un’intensa vita sacramentale, specialmente l’Eucaristia e la riconciliazione, e un’intensa vita di carità.

2. La conoscenza di se stessi, che si approfondisce mediante il con­fronto costante con gli altri e con la Parola di Dio, il dialogo e la condivisione in gruppo, l’accompagnamento personale…

3. La conoscenza della missione e del Comboni, che è proposta at­traverso la lettura di libri e riviste che presentano realtà missionarie, oppure ascoltando testimonianze…

In questo itinerario si richiede al giovane una disponibilità di vita, non intesa come disponibilità di tempo ed energie, ma essenzialmente disponibi­lità “affettiva”… come disponibilità del cuore.

 

 

PONTIFICIO ISTITUTO MISSIONI ESTERE (Italia meridionale)

Il cammino vocazionale presente nella Regione dell’Italia Meridionale PIME è della durata di un anno, ed è proposto ai giovani di almeno 15 anni che desiderano confrontarsi con la possibilità di consacrarsi totalmente alla missione, previo colloquio con i referenti del cammino. Questo percorso di discernimen­to avviene attraverso momenti di pre­ghiera, di riflessione e di confronto amichevole con i missionari, per cer­care di scoprire il volto della missio­ne che Dio vuole affidare a ciascun giovane. L’itinerario si snoda sul tema della specifica vocazione missionaria ad extra, ad vitam, ad gentes e insie­me come preti, suore missionarie, lai­ci e laiche.

Ai giovani interessati a consacrare la propria vita viene offerta la possibili­tà di essere nella comunità di Ducenta (CE) per un possibile percorso di discernimento vocazionale più diretto.

La linea comune che accompa­gna questi tre cammini è quella di por­tare il giovane a conoscere Gesù Cri­sto in un impegno di vita a servizio della Chiesa e del mondo.

Da sottolineare poi che, durante l’estate, tutti gli Istituti missionari pro­pongono ai giovani settimane di spiri­tualità vocazionale o anche la possibi­lità di vivere un’esperienza di qualche settimana in missione: un modo per sperimentare l’uscita dalla propria cul­tura e la partecipazione alla vita mis­sionaria.

 

SINTESI

Il laboratorio si è svolto nell’accoglienza reciproca, nella preghiera, nell’ascolto e nella condivisione di un progetto di animazione vocazionale che tenga presente l’impegno ad gentes.

 

Accoglienza

Il sapersi accogliere come perso­ne non è sempre scontato, per questo nel nostro gruppo ci siamo presentati, cercando di cogliere la bellezza di ogni vocazione e soprattutto la passione che ciascuno investe nella propria famiglia religiosa o nella propria parrocchia.

Per facilitare questa conoscenza-accoglienza abbiamo utilizzato una di­namica molto semplice: la dinamica del gomitolo, che consisteva nel lanciare il gomitolo a colui che doveva presen­tarsi. Alla fine ci siamo trovati con una grande rete che ci univa nella diversità e soprattutto nell’impegno di una re­sponsabilità comune da vivere nello spirito della comunione.

 

Preghiera

Al termine dell’accoglienza, ci sia­mo rivolti al Signore con la preghiera dell’Ora media, guidata da P. Raffaele. Nell’orazione abbiamo affidato a Dio il nostro impegno vocazionale, i giovani che stanno pensando di seguire Gesù Cristo nella via della radicalità evan­gelica e tutti i missionari sparsi nel mondo, che s’impegnano per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.

 

Ascolto

Giovanni ha presentato la scheda introduttiva del laboratorio, in particolar modo i percorsi di animazio­ne missionaria vocazionale di tre isti­tuti missionari: Missionari Saveriani, Missionari Comboniani e PIME (Pon­tificio Istituto per le Missioni Estere).

In questa proposta vocazionale-missionaria ricopre un ruolo molto im­portante l’ascolto, sì, della Parola di Dio, ma anche dei testimoni della missione, che con coraggio e passio­ne portano a conoscenza dei giovani i cammini delle varie chiese dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e dell’Oceania. Il saper narrare la mis­sione non è secondario, anzi i giovani sentono forte il desiderio di incontra­re persone che con entusiasmo ancora oggi partono per annunciare il Vange­lo fino ai confini della terra, donando la propria vita a Cristo nell’impegno della giustizia, del dialogo interreligio­so e nella difesa dei diritti umani.

Da sottolineare che nella propo­sta missionaria vocazionale, le espe­rienze in missione diventano un tram­polino di lancio per scelte di vita reli­giosa, di consacrazione, ma anche di impegno nel proprio territorio e nelle proprie comunità cristiane.

 

Condivisione

A conclusione della presentazio­ne della scheda, il gruppo ha condivi­so alcune riflessioni e ha lavorato su un progetto che, a partire dalla missio­ne ad gentes, possa diventare veicolo di impegno vocazionale.

In alcuni interventi si è detto che “la missione Ad Gentes gioca un ruo­lo molto importante per quanto ri­guarda l’impegno vocazionale”.

Accanto alla gioia della missio­ne, però, ci si rende conto che noi, in Italia, dobbiamo fare i conti con dei giovani, e degli adolescenti che fanno fatica a recepire certi messaggi e certi contenuti: il “per sempre” fa paura. Allora come aiutare un giovane a ma­turare un impegno vocazionale nella Chiesa e per il mondo?

A partire da questa domanda ab­biamo mosso i primi passi per traccia­re un progetto di animazione missio­naria vocazionale. Seguendo una trac­cia proposta dall’animatore, si è lavo­rato a due gruppi e poi si è riportato in assemblea il proprio progetto, arrivan­do alla fine ad un unico percorso.

Il progetto è stato suddiviso, come suggerito da P. Giovanni, in al­cuni settori: obiettivi, icona biblica, scelte di annuncio/testimonianza e in­fine modalità e strumenti.