N.01
Gennaio/Febbraio 2007

44a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: “La tua vita per la sinfonia del Sì”

Di quale “sì” parliamo, verso cui si chiede al giovane non solo di convergere insieme agli altri con il proprio “sì” in una sorta di sinfonia, ma di essere disponibile addirittura a donare la vita?

É innanzitutto il “sì” di Gesù Cristo: Colui che possiede la stessa fedeltà di Dio; Colui nel quale la fedeltà di Dio si svela completamente. “Il Figlio di Dio, Gesù Cristo non fu “sì” e “no”, ma in Lui c’è stato il “sì”. E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “sì”. Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria” (2Cor 1,19-20).

In Cristo, noi possiamo incontrare un sì continuo e totale, senza ambiguità o contraddizioni: un sì che esclude completamente il no. É il sì del Padre che nell’Unigenito ha mantenuto tutte le sue promesse fatte ad “Abramo ed alla sua discendenza per sempre”. La conseguenza è che anche l’uomo può dire il suo sì che è risposta all’amore del Padre e lode della grazia donataci da Lui in Cristo per mezzo dello Spirito.

Esiste una misteriosa sintonia fra due dialoghi di cui ci testimonia la Scrittura e che si richiamano reciprocamente. Il primo è avvenuto fra il Padre ed il Figlio nello Spirito Santo (Eb 10); il secondo è avvenuto fra Gabriele e Maria (Lc 1): perché il sì del

Verbo ad essere sacrificio di salvezza per l’uomo potesse avverarsi, c’è stato bisogno del sì di Maria. “Il corpo è preparato al Figlio per il fatto che Maria si consegna in tutto e per tutto alla volontà del Padre e, in questo modo, rende disponibile il suo corpo come tenda dello Spirito Santo” (J. Ratzinger, Il Dio vicino, pag. 8).

La vergine Maria è icona della Chiesa – e in essa di ogni battezzato – animata e guidata da quell’«Io» obbediente che è il continuo “sì” del Figlio al Padre (H.U. Von Balthasar, Teologica. III. Lo spirito della verità) e chiamata continuamente ad unire il proprio “sì” a quello del Cristo.

È il sì filiale che diviene il paradigma d’interpretazione dell’atteggiamento cristiano non solo nella gioia, ma anche davanti alla croce: “Il sì alla sofferenza e alla notte ha la sua ultima giustificazione nella cristologia: in un sì del Figlio alla volontà del Padre che ha potuto essere pronunciato soltanto nella gioia e non nel lamento” (H.U. Von Balthasar Gloria Nuovo Patto 7, p. 479).

La gioia di Pasqua nasce dalla vittoria dell’amore sul peccato, alla quale il cristiano è chiamato a partecipare non solo come spettatore, ma come collaboratore della Gloria dell’amore. Vivere una esistenza pasquale significa vivere, con Cristo e in Cristo, il paradosso della gioia e della sofferenza. Il cristiano può “dire, con Dio e in Dio, sì al dolore nella gioia e a un dolore che ha, ciononostante, la profondità dell’abbandono di Dio. Anche Dio lo fa, e in ciò è un mistero del suo amore” (H. U. Von Balthasar Gloria Nuovo Patto 7, p. 481).

Il “Sì” dell’uomo, incontrando il “sì” di Cristo, riceve in dono “il miracolo del cambiamento”, che si fonda non innanzitutto su strategie pedagogiche e sulla volontà dell’uomo, ma sul Mistero della Grazia ricevuto in dono.

Infatti, Gesù non ci ha solo rivelato il “sì” definitivo di Dio verso di noi, ma con il battesimo Egli ci associa al suo “sì” che diventa il “sì” che noi diciamo in risposta a Dio. Questo sì pronunciato durante il nostro battesimo sarà poi concretizzato in tutte le scelte piccole o grandi che facciamo per vivere la nostra fede. In questo senso si può dire che l’esistenza cristiana – e in particolare la risposta alla nostra vocazione personale – nel suo insieme è una concretizzazione del sì del nostro battesimo.

L’Eucaristia è il luogo in cui risuona permanentemente il sì al Padre di Cristo che si consegna alla morte, il sì al Figlio da parte del Padre che dona la Resurrezione dalla morte, il sì che è lo Spirito Santo, Bacio eterno e nuovo del Padre e del Figlio. In questa storia d’amore infinito è stata inserita in pieno la famiglia umana: nell’Eucaristia si celebra e riaccade il sì dello Sposo Cristo alla Sua Sposa che è la Chiesa, il sì della Chiesa all’umanità anche la più lontana, già ‘amata’ da Dio e chiamata al convito eucaristico. Nell’Eucaristia il bacio di Giuda viene trasfigurato e redento dal Bacio dello Spirito. Lo Spirito rinnova il mistero nuziale tra lo Sposo e la Sposa. Nell’Eucaristia, in altre parole, viene guarita e redenta l’incapacità relazionale dell’uomo chiuso sia a ricevere amore che a donarlo. sì, come afferma, J. Ratzinger, “l’Eucaristia è guarigione del nostro amore”.

A volte, si sente dire che la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata nasce dal desiderio di dedicarsi agli altri, ai poveri, ai più bisognosi. E questo è certamente vero, perché donare la vita per gli altri fa parte delle vocazioni di speciale consacrazione. Non dobbiamo dimenticare però che la radice e la motivazione vera di una vocazione non sta fuori di noi, non sta nel fare, ma nell’essere, sta cioè dentro di noi. Essa sta nell’amore di Cristo che  fa risuonare la sua chiamata dentro il cuore dell’uomo, lo vuole, lo interpella. Rispondere significa fare un patto d’amore, innamorarsi e decidere di cementare tale patto con il sì di fedeltà a Cristo. Egli, infatti, vuole che la vita dell’uomo diventi una cosa sola con la sua e così si offra agli altri in pienezza di amore come ha fatto lui. Questa totalità d’amore sta a fondamento del “per sempre” che il chiamato o la chiamata pronunciano davanti a Dio e alla Chiesa. Cosa del resto propria di ogni vocazione, a cominciare dalla vocazione battesimale dove il sì a Cristo conferma un patto di alleanza che nulla potrà mai distruggere per arrivare al Sì definitivo ed indissolubile nel ministero ordinato, nella vita consacrata e nel matrimonio.

È questa la sinfonia del”sì”, nella quale si vuole coinvolgere soprattutto i giovani, perché rispondendo alla propria vocazione, rendano sempre via, ricca e bella questa “sinfonia”.

Il rapporto “uno – molti”, “unità – diversità” è sempre da viversi nell’obbedienza dell’unico corpo e della diversità dei doni dello Spirito santo. Non c’è vita “in Cristo” senza la koinonia dello Spirito santo.

Nel linguaggio di san Massimo il Confessore, la “differenza” (diaphoria) è positiva, ma non deve mai diventare “divisione” (diairesis).

“Il disegno di Dio si personalizza per ogni cristiano. Tutti sono amati e sono chiamati ad amare, ma le attuazioni concrete della carità variano da persona a persona, secondo i doni e gli appelli di Dio nelle diverse situazioni. Lo Spirito alimenta la vita e la missione della Chiesa con doni diversi e complementari, con una grande varietà di vocazioni, che però si raccolgono in tre forme generali di vita: quella dei laici, caratterizzata dall’impegno secolare; quella dei ministri ordinati, caratterizzata dalla rappresentanza di Cristo pastore; quella dei consacrati, caratterizzata dalla testimonianza alla vita del mondo che verrà. Ogni vocazione nasce in un contesto preciso e concreto: la Chiesa, vocationis mysterium” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 34).

“Le vocazioni diverse hanno tutte un solo obiettivo: annunciare il regno di Dio nella storia, rendere visibile il mistero di Cristo, il Figlio mandato dal Padre. In una parola: nella comunità cristiana ci sono molte vocazioni, ma unica è la missione” (CEI, Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, 8).

“La chiamata di Dio è un dono per la comunità, per l’utilità comune, nel dinamismo dei molti servizi ministeriali. Ciò è possibile in docilità allo Spirito che fa essere la Chiesa come ‘comunità dei volti’ e genera nel cuore del cristiano l’agape, non solo come etica dell’amore, ma anche come struttura profonda della persona, chiamata e abilitata a vivere in relazione con gli altri, nell’atteggiamento del servizio, secondo la libertà dello Spirito” (Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, 19/c).

“La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come una comunione organica, analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità” (Giovanni Paolo II, Christifideles Laici, 20).

Ai presbiteri spetta il compito di far sì che ciascuno dei battezzati sia coinvolto in questa “sinfonia del sì”. “Spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione personale secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera e attiva, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati. Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana. Per promuovere tale maturità, i presbiteri sapranno aiutarli a diventare capaci di leggere negli avvenimenti stessi ­siano essi di grande o di minore portata – quali siano le esigenze naturali e la volontà di Dio. I cristiani inoltre devono essere educati a non vivere egoisticamente ma secondo le esigenze della nuova legge della carità, la quale vuole che ciascuno amministri in favore del prossimo la misura di grazia che ha ricevuto e che in tal modo tutti assolvano cristianamente propri compiti nella comunità umana” (Concilio Vaticano II, Presbyterorum Ordinis, 6).

“La comunione nella Chiesa non è infatti uniformità, ma dono dello Spirito che passa anche attraverso la varietà dei carismi e degli stati di vita. Questi saranno tanto più utili alla Chiesa e alla sua missione, quanto maggiore sarà il rispetto della loro identità. In effetti, ogni dono dello Spirito è concesso perché fruttifichi per il Signore nella crescita della fraternità e della missione” (Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, 4).

Ecco perché parliamo di “sinfonia”. La vocazione personale si colloca all’interno di questa chiamata sinfonica. Dobbiamo comprendere e riconoscere la vocazione di ogni persona, per comprendere e riconoscere la nostra vocazione. Nessuna vocazione ci colloca in una specie di solitudine privilegiata; ma tutte ci immergono nella comunione. Quanto più alta è la chiamata, tanto più profondo è il senso di comunione che essa ispira e serve.

Il rapporto vocazione – comunione ci deve rendere chiaro e sempre presente il fatto che ciascuno di noi è chiamato dal Signore per tutti e per tutto; ma anche che tutto e tutti sono chiamati da Lui per ciascuno di noi. Non solo egli piega la sua misericordia su ogni creatura, ma chiede a tutte le creature di esistere a favore anche di una sola. Esistiamo gli uni per gli altri ed ogni esistenza è essenziale. Questo esige che si sappia riconoscere e vivere all’interno della comunità cristiana la comunione anche di tutti i doni che lo Spirito ha disseminato: nessuno ne è privo, nessuno li ha tutti. Diversità “sinfonica”: perché la Comunità ha bisogno dell’esercizio effettivo e continuato dei doni di ciascuno.

“Contro il pessimismo e l’egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel “sì”, di quell’”amen”, che è Cristo stesso (2 Cor 1, 19; Ap 3, 14). Al “no” che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente “sì”, difendendo in tal modo l’uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 30).

“L’unità, come la verità, è sinfonica” (Giovanni Paolo II, Angelus, Domenica 13 ottobre 1985). È, pertanto, necessario che all’interno delle nostre comunità cristiane le differenze vocazionali non si scompongano e auto-isolino in rovinosi particolarismi, ma si saldino in una reciprocità d’amore che guarda sempre al bene più grande, cioè la verità piena, totale e armonica.

“Sinfonia non è affatto sinonimo di armonia sdolcinata, priva di forza. La grande musica è sempre drammatica, crea continuamente delle tensioni e le risolve a un livello più alto. La dissonanza però non è cacofonia” (H. U. Von Balthasar, La verità è sinfonica, p. 12.). È quanto Johann Möhler esprimeva in modo analogo (cf L’unità della Chiesa), parlando del senso di superiore bellezza che si riceve da un coro, non tanto perché delle persone cantano in modo impeccabile, ma perché l’educazione dei cantori e la saggezza di chi li guida sono tali da fondere voci e tonalità diverse in un’unica armonia.

“Dalla vostra concordia e dalla carità armoniosa, che dimostrate, si innalza un canto a Gesù Cristo. E voi, uno per uno, diventate un coro, affinché, armoniosi nell’accordo e prendendo il tono di Dio, cantate all’unisono attraverso Gesù Cristo al Padre perché vi ascolti” (S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios).