N.02
Marzo/Aprile 2007

Quale presbitero per una comunità cristiana a servizio di tutte le vocazioni?

Non è un Convegno sul prete o sulla vocazione al ministero ordinato. È un Convegno che ha riunito tutti noi, operatori della pastorale vocazionale, da ogni angolo del nostro Paese per continuare a riflettere sulle nostre co­munità cristiane come vero terreno per la fioritura delle vocazioni o, come andiamo dicendo da alcuni anni, autentico e indispensabile grembo materno delle vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata.

Se il soggetto del nostro Convegno continua ad essere la comunità cristiana e la sua responsabilità vocazionale, non sfugge tuttavia a nessuno – ed è spesso motivo di consolazione e talvolta di profondo e preoccupato rammarico – il ruolo centrale e inevi­tabile della figura del presbitero nella comunità, specialmente parrocchiale.

D’altra parte, il momento è propizio perché sono ancora accese molte luci su que­sta tematica, e da molte angolature. Mi soffermerò sulle più importanti, che ci hanno convinto della bontà di questo tema, e sulla conseguente impostazione del Convegno.

 

L’assemblea della CEI sul presbitero (maggio 2006)

Dopo aver riflettuto sulla formazione dei futuri presbiteri nell’Assemblea di No­vembre 2005 ad Assisi, nello scorso maggio i Vescovi italiani si sono occupati della vita e del ministero dei presbiteri. Un passaggio fra tutti – sperando di non rubargli nulla – della bella relazione di Mons. Monari: «Almeno per i prossimi anni sembra inevitabile una diminuzione significativa del numero di preti. …Vorrei leggere questa situazione alla luce del Vangelo: “Ogni tralcio che in me porta frutto [il Padre] lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,2). Siamo privati di molti ornamenti e ricondotti al cuore (cioè a Gesù Cristo); ma proprio questa concentrazione può rendere il nostro servizio, pur povero di foglie, più ricco di frutti. …Naturalmente, s’innesta qui il discorso decisivo sulla pastorale vocazionale. Non è questo il luogo adatto e l’accenno soltanto. Ag­giungo solo che una pastorale vocazionale efficace suppone almeno tre cose: un presbiterio consapevole e contento della sua vocazione; un tessuto ecclesiale dove la logica del discepolato sia sentita e vissuta; un tessuto umano nel quale sia presente l’impulso a “realizzare”  la propria vita attraverso il dono di sé (IV, n.2)».

 

 

Proseguire e approfondire la riflessione su parrocchia e vocazioni

 Dopo aver parlato dell’azione formativa della comunità cristiana nel 2002 e del necessario coordinamento tra pastorale familiare, giovanile e vocazionale nel 2003, nel 2004 ci siamo soffermati sul volto vocazionale della parrocchia in un mondo che cambia e nel 2005 sul dinamismo vocazionale dell’Eucaristia nel giorno del Signore, mentre l’anno scorso abbiamo riflettuto su come la pastorale vocazionale testimonia Cristo Risorto, speranza del mondo. Da più parti si ritie­ne – e questo vale anche per la pastorale vocazionale – che se i presbiteri non si lasceranno coinvolgere pienamente, difficilmente si potrà realizzare quella tanta auspicata “conversione pastorale”. Se infatti – si disse all’Assemblea del ’98 a Roma – «La parrocchia è il luogo per eccellenza in cui va proclamato l’annuncio del Vangelo della vocazione e delle singole vocazioni, tanto da doversi pensare come comunità vocazionale, ministeriale e missionaria» non si mancò allora di sottolineare anche che «Nella comunità cristiana tutti sono corresponsabili di una coscienza vocazionale della vita. Tutti contribuiscono ad annunciare la di­versità delle vocazioni nella Chiesa. Ma tra essi ci sono alcuni che sono chiamati a “coltivare” direttamente ed esplicitamente le vocazioni. Ai presbiteri e ai con­sacrati, soprattutto quelli che operano nelle comunità parrocchiali, spetta matu­rare una sensibilità più precisa per poter leggere i segni oggettivi di una possibi­le chiamata nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani che vivono un cammino di fede. Questo “sguardo dell’anima” suggerisce pure una sapiente e coerente proposta pedagogica, convinta e convincente, capace di far emergere la doman­da vocazionale che abita in ogni giovane. Si impone, però, ai presbiteri e ai consacrati una cura diligente per la propria vita spirituale, perché la loro diventi una testimonianza “parlante”» (Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana, nn. 18 e 22).

E a Verona è stato significativo sentirci dire che «La comunità ecclesiale, in particolare la parrocchia, è chiamata essa stessa ad essere luogo di vita affettiva: ciò significa che essa sia poco “struttura”, ma luogo di vita, ambito aperto, comunità cristiana viva, capace di fare rete, incarnata nel territorio, in grado di ospitare e valorizzare le diversità di ruoli, vocazioni e carismi. In questo senso, sono da valoriz­zare tutti quei luoghi e momenti capaci di mettere stabilmente in dialogo laici, religio­si e presbiteri». (Convegno di Verona, Sintesi dell’ambito sulla vita affettiva).

 

 

Rilanciare il ruolo del presbitero nel servizio vocazionale

Pur avendo affermato sempre con forza che la parrocchia non può mai venir meno alla sua vocazione, quella di essere grembo fecondo in cui tutte le vocazioni possano maturare, ci rendiamo conto di come siamo ancora molto lontani dalla sua realizzazio­ne. Tranne qualche lodevole eccezione, nella maggior parte dei casi la parrocchia sem­bra sorda a questo pressante invito. Si continua a delegare alcuni presbiteri o – lì dove funziona – il CDV per l’animazione vocazionale nelle parrocchie che, per questo moti­vo, non può che essere saltuaria e poco incisiva. Nonostante ciò, nella maggior parte dei casi, le vocazioni nascono in ambito parrocchiale. La dimensione vocazionale – lo sap­piamo bene – dovrebbe attraversare e animare tutta la pastorale ordinaria delle nostre parrocchie, in modo particolare la pastorale familiare e la pastorale giovanile. E sappia­mo anche bene che questo finirebbe per aiutare la pastorale ordinaria ad intraprendere coraggiosamente vie di servizio all’uomo profondamente inedite e largamente carenti. Ma perché questo avvenga è necessario che i presbiteri siano costantemente attenti e opportunamente provocati a far sì che l’animazione vocazionale non sia qualcosa in più da fare, ma l’anima di tutta l’opera evangelizzatrice. Vogliamo ricordare a tale proposito quanto affermava giustamente Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis al n. 41: Tutti i sacerdoti sono con lui (il vescovo) solidali e corresponsabili nella ricerca e nella promozione delle vocazioni presbiterali. Infatti, come afferma il Concilio, «spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori della fede, di curare che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica». È questa «una funzione che fa parte della stessa missione sacerdotale, in virtù della quale il presbitero partecipa della sollecitudine per la Chiesa intera, affinché nel Popolo di Dio qui sulla terra non manchino mai gli operai».

 

 

Promuovere tra i preti un impegno serio nella direzione spirituale

I seminari sulla direzione spirituale, in tutti questi anni, hanno contribuito non poco alla riscoperta e alla valorizzazione dell’accompagnamento vocazionale. Si deve però osservare che tra i partecipanti è ancora scarso il numero dei parroci. È indispensabile che la direzione spirituale ritorni ad essere offerta soprattutto in parrocchia. Ma a certe condizioni. Che non riguardano primariamente capacità psico-pedagogiche particolari – ovviamente anch’esse necessarie e i nostri seminari rispondono egregiamente a queste finalità – bensì un modo di essere, di sentire e di vivere il ministero ordinato e il connesso celibato nella comunità. A ciò ha fatto recentemente riferimento Papa Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana, in occasione della presentazione degli auguri natalizi, venerdì 22 dicembre 2006. Parlando del suo viaggio in Baviera, il Papa ne ha riassunto alcuni temi trattati in maniera calda e talora accorata. Diceva il Santo Padre:

Con il tema di Dio erano e sono collegati due temi che hanno dato un’impronta alle giornate della visita in Baviera: il tema del sacerdozio e quello del dialogo. Paolo chiama Timoteo – e in lui il Vescovo e, in genere, il sacerdote – “uomo di Dio” (1 Tim 6,11). È questo il compito centrale del sacerdote: portare Dio agli uomini. Certamente può farlo soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive “con” e “da” Dio. Ciò è espresso meravigliosamente in un versetto di un Salmo sacerdotale che noi – la vecchia genera­zione – abbiamo pronunciato durante l’ammissione allo stato chiericale: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16 [15],5). L’orante-sacerdote di questo Salmo interpreta la sua esistenza a partire dalla forma della distri­buzione del territorio fissata nel Deuteronomio (cfr 10,9). Dopo la presa di possesso della Terra ogni tribù ottiene, per mezzo del sorteggio, la sua porzione della Terra santa e con ciò prende parte al dono promesso al capostipite Abramo. Solo la tribù di Levi non riceve alcun terreno: la sua terra è Dio stesso… Questa teocentricità dell’esistenza sacerdotale è necessaria proprio nel nostro mondo totalmente funzionalistico, nel quale tutto è fondato su prestazioni calcolabili e verificabili. Il sacerdote deve veramente co­noscere Dio dal di dentro e portarlo così agli uomini: è questo il servizio prioritario di cui l’umanità di oggi ha bisogno. Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo passo anche lo zelo dell’agire. Nell’eccesso delle cose esterne manca il centro che dà senso a tutto e lo riconduce all’unità. Lì manca il fondamento della vita, la “terra”, sulla quale tutto questo può stare e prosperare.… Il celibato deve essere una testimonianza di fede: la fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a partire da Dio ha un senso. Poggiare la vita su di Lui, rinunciando al matri­monio ed alla famiglia, significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e perciò posso portarlo agli uomini. Il nostro mondo diventato totalmente positivistico, in cui Dio entra in gioco tutt’al più come ipotesi, ma non come realtà concreta, ha bisogno di questo poggiare su Dio nel modo più concreto e radicale possibile. Ha bisogno della testimonianza per Dio, che sta nella decisione di accogliere Dio come terra su cui si fonda la propria esistenza. Per questo il celibato è così importante proprio oggi, nel nostro mondo attuale, anche se il suo adempimento in questa nostra epoca è continua­mente minacciato e messo in questione.

Anche a Verona, per concludere, si è voluta sottolineare questa esigenza. Si è detto tra l’altro che:

«Pare insufficiente occuparsi dei soli passaggi “consolidati” del percorso di iniziazione cristiana: occorre accompagnare la vita tutta. A questo proposito va evidenziato che in quasi tutti i gruppi è stata sottolineata l’importanza della direzione spirituale come accompagnamento della persona. D’altra parte è stato anche rilevato che i sacerdoti sono anch’essi “figli del nostro tempo” e quindi spesso poco attrezzati a rispondere a questo difficile compito» (Convegno di Verona, Sintesi dell’ambito sulla vita affettiva).