N.05
Settembre/Ottobre 2007

Vademecum

per una pastorale vocazionale unitaria della diocesi

 

 

 

 

 

Struttura del Vademecum

1) Il senso della tua responsabilità nelle attese del tuo Vescovo e della tua Chiesa locale e nelle preoccupazioni attuali.

– dal magistero del Papa

– dal magistero dei vescovi italiani

– ecco che cosa ti è stato chiesto

– l’esperienza insegna

 

2) La pastorale vocazionale unitaria e il CDV: contenuti, scelte di fondo, conseguenze operative.

– dal magistero del Papa

dal magistero dei vescovi italiani

– ecco che cosa ti è stato chiesto

– l’esperienza insegna

 

3) Le vie di tale impegno nella pastorale ordinaria della Chiesa locale e nei momenti propri del CDV.

dal magistero del Papa

dal magistero dei vescovi italiani

– ecco che cosa ti è stato chiesto

– l’esperienza insegna

 

4) I soggetti da coinvolgere.

dal magistero del Papa

dal magistero dei vescovi italiani

– ecco che cosa ti è stato chiesto

– l’esperienza insegna

 

PRIMA PARTE

Le attese del tuo Vescovo e della tua Chiesa locale

 

DAL MAGISTERO DEL PAPA

 

Cercare, seguire, rimanere                                                                       

“Venite e vedrete” (Gv 1, 39). Così Gesù risponde ai due discepoli di Giovanni il Battista, che gli chiede­vano dove abitasse. In queste parole troviamo il signifi­cato della vocazione.

Ecco come l’evangelista racconta la chiamata di Andrea e di Pietro: «Il giorno dopo Giovanni stava an­cora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”.  Gli risposero: “Rabbi (che si­gnifica maestro), dove abiti?”.  Disse loro: “Venite e vedrete”.  Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le paro­le di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.  Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” e lo condusse da Gesù. Gesù, fissan­do lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”» (Gv 1, 35-42).

Questa pagina del vangelo è una delle tante del Libro sacro nelle quali si descrive il “mistero” della vocazione, nel nostro caso il mistero della vocazione ad essere aposto­li di Gesù. La pagina di Giovanni, che ha un significato anche per la vocazione cristiana come tale, riveste un valo­re emblematico per la vocazione sacerdotale. La Chiesa, quale comunità dei discepoli di Gesù è chiamata a fissare il suo sguardo su questa scena che, in qualche modo, si rin­nova continuamente nella storia.

È invitata ad approfondire il senso originale e perso­nale della vocazione alla sequela di Cristo nel ministero sacerdotale e l’inscindibile legame tra la grazia divina e la responsabilità umana, racchiuso e rivelato nei due termini che più volte troviamo nel Vangelo: vieni e seguimi (cf Mt 19, 21). È sollecitata a decifrare e a percorrere il dinami­smo proprio della vocazione, il suo svilupparsi graduale e concreto nelle fasi del cercare Gesù, del seguirlo e del ri­manere con lui.

La Chiesa coglie in questo “vangelo della vocazione” il paradigma, la forza e l’impulso della sua pastorale vocazionale, ossia della sua missione destinata a curare la nascita, il discernimento e l’accompagnamento delle voca­zioni, in particolare delle vocazioni al sacerdozio. Proprio perché “la mancanza di sacerdoti è certamente la tristezza di ogni chiesa”, la pastorale vocazionale esige, oggi soprat­tutto, di essere assunta con un nuovo, vigoroso e più deciso impegno da parte di tutti i fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento secondario o accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è piut­tosto, come hanno ripetutamente affermato i padri sinodali, un’attività intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa, una cura che dev’essere integrata e pienamente identificata con la “cura delle anime” cosiddetta ordina­ria, una dimensione connaturale ed essenziale della pasto­rale della Chiesa, ossia della sua vita e della sua missione.

Sì, la dimensione vocazionale è connaturale ed essen­ziale della pastorale della Chiesa. La ragione sta nel fatto che la vocazione definisce, in un certo senso, l’essere pro­fondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel medesimo nome della Chiesa, Ecclesia, è indicata la sua intima fisionomia vocazionale, perché essa è veramente “convocazione”, assemblea dei chiamati: “Dio ha convo­cato l’assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica”. Una lettura propriamente teologica della vocazione sacerdotale e della pastorale che la riguarda può scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come mysterium vocationis.

 

Seminare, accompagnare, educare

“Non ci ardeva forse il cuore nel petto?…” (Lc 24,32). Ogni incontro o dialogo nel vangelo ha un significato vocazionale: quando Gesù cammina per le strade della Galilea è sempre inviato dal Padre per chiamare l’uomo a salvezza e svelargli il progetto del Padre stesso.

La buona notizia, l’evangelo, è proprio questa: il Pa­dre ha chiamato l’uomo attraverso il Figlio nello Spirito, l’ha chiamato non solo alla vita, ma alla redenzione, e non solo a una redenzione da altri meritata, ma a una redenzio­ne che lo coinvolge in prima persona, rendendolo respon­sabile della salvezza di altri.

In questa salvezza attiva e passiva, ricevuta e condivi­sa, è racchiuso il senso d’ogni vocazione; è racchiuso il senso stesso della Chiesa, come comunità di credenti, santi e peccatori, tutti “chiamati” a partecipare dello stesso dono e responsabilità. È il vangelo della vocazione.

“Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sas­soso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bru­ciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta” (Mt 13, 3-8).

Questo brano indica, in qualche modo, il primo passo d’un cammino pedagogico, il primo atteggiamento da par­te di colui che si pone come mediatore tra il Dio che chia­ma e l’uomo che è chiamato, e che s’ispira necessariamen­te all’agire di Dio. È Dio-Padre il seminatore.

Chiesa e mondo sono i luoghi ove continua a spargere abbondantemente il suo seme, con libertà assoluta e senza esclusioni di sorta, una libertà che rispetta quella del terreno ove il seme cade.

La parabola del seminatore mostra che la vocazione cristiana è un dialogo fra Dio e la persona umana. L’interlocutore principale è Dio, che chiama chi vuole, quan­do vuole e come vuole “secondo il suo proposito e la sua grazia” (2 Tm 1, 9); che chiama tutti alla salvezza, senza farsi limitare dalle disposizioni del ricevente. Ma la libertà di Dio s’incontra con la libertà dell’uomo, in un dialogo misterioso e affascinante, fatto di parole e di silenzi, di messaggi e azioni, di sguardi e gesti, una libertà che è per­fetta, quella di Dio, e l’altra imperfetta, quella umana. La vocazione è dunque totalmente attività di Dio, ma anche realmente attività dell’uomo: lavoro e penetrazione di Dio nel cuore della libertà umana, ma anche fatica e lotta dell’uomo per esser libero d’accogliere il dono.

Chi si pone accanto ad un fratello nel cammino di di­scernimento vocazionale entra nel mistero della libertà, e sa che potrà dare un aiuto solo se rispetta tale mistero. An­che quando ciò dovesse significare, almeno apparentemente, un minor risultato. Come per il seminatore del vangelo.

Proprio il rispetto d’entrambe le libertà significa anzitutto il coraggio di seminare il buon seme del vangelo, della Pasqua del Signore, della fede e infine della sequela.Questa è la condizione previa; non si fa nessuna pastorale vocazionale se non c’è questo coraggio. Non solo, ma bisogna seminare dovunque, nel cuore di chiunque, senz’alcuna preferenza o eccezione. Se ogni essere umano è creatura di Dio, è anche portatore d’un dono, d’una vocazione particolare che attende d’essere riconosciuta.

Spesso ci si lamenta nella Chiesa della scarsità di ri­sposte vocazionali e non ci si accorge che altrettanto spes­so la proposta è fatta entro un cerchio ristretto di persone, e magari subito ritirata dopo un primo diniego. Giova qui ricordare il richiamo di Paolo VI: “Che nessuno, per colpa nostra, ignori ciò che deve sapere, per orientare, in senso diverso e migliore, la propria vita”(97). Eppure quanti gio­vani non si sono mai sentiti rivolgere alcuna proposta cri­stiana circa la loro vita e il futuro! (…)

Fa parte della saggezza del seminatore spargere il buon seme della vocazione al momento propizio. Che non significa affatto affrettare i tempi della scelta o pretendere che un preadolescente abbia la maturità decisionale d’un giovane, ma capire e rispettare il senso vocazionale della vita umana.

Ogni stagione dell’esistenza ha un significato vocazionale, a cominciare dal momento in cui il ragazzo o la ragazza si apre alla vita e ha bisogno di coglierne il sen­so, e prova a interrogarsi sul suo ruolo in essa. Il lasciar cadere tale domanda al momento giusto potrebbe pregiudi­care il germogliare del seme: “l’esperienza pastorale mo­stra che la prima manifestazione della vocazione nasce, nella maggior parte dei casi, nell’infanzia e nell’adolescenza. Per questo sembra importante recuperare o proporre formule che possano suscitare, sostenere e accompagnare questa prima manifestazione vocazionale”. Senza tuttavia limitar­si a essa. Ogni persona ha i suoi ritmi e i suoi tempi di maturazione. L’importante è che accanto a sé abbia un buon seminatore.(…)

“Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discuteva­no insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (Lc 24, 13-16).

Scegliamo, per descrivere le articolazioni pedagogi­che dell’accompagnare, educare e formare, l’episodio dei due discepoli di Emmaus. È un brano significativo, perché, oltre alla sapienza del contenuto e del metodo pedagogico seguito da Gesù, ci sembra di vedere nei due discepoli l’immagine di tanti giovani d’oggi, un po’ tristi e sfiduciati, che sembrano avere smarrito il gusto di cercare la loro voca­zione.

Il primo passo, o la prima attenzione in questo cammi­no, è il porsi accanto: il seminatore, o colui che ha risve­gliato nel giovane la coscienza del seme seminato nel ter­reno del suo cuore, diventa ora accompagnatore.

Nella parte teologica della presente riflessione, è stato indicato come tipico dello Spirito il ministero dell’accompagnamento; è infatti lo Spirito del Padre e del Figlio che rimane accanto all’uomo per ricordargli la parola del Mae­stro; è ancora lo Spirito che dimora nell’uomo per suscitare in lui la coscienza d’esser figlio del Padre. È dunque lo Spirito il modello cui deve ispirarsi quel fratello o sorella maggiore che accompagna un fratello o una sorella minore in ricerca.

«Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che sta­te facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, da­vanti a Dio e a tutto il popolo…”. Ed egli disse loro: “Scioc­chi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si rife­riva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il gior­no già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro» (Lc 24, 17-29).

Dopo la semina, lungo il cammino d’accompagnamento, si tratta di educare il giovane. Educare nel senso etimo­logico del verbo, come un tirar fuori (e-ducere) da lui la sua verità, quel che ha in cuore, anche ciò che non sa e non conosce di sé: debolezze e aspirazioni, per favorire la liber­tà della risposta vocazionale.

 

 

DAL MAGISTERO DEI VESCOVI ITALIANI

Ed allora un vero dinamismo vocazionale si nasconde nel profondo della Chiesa ed appartiene al suo essere pri­ma ancora che al suo operare. La vocazionalità della ChieSa affonda così le sue radici nel mistero trinitario che essa ha in sé, e soltanto da questo ogni vocazione prende origi­ne e significato nella Chiesa.

Ma la Chiesa, che è “vocazione” per nativa costituzio­ne, è anche generatrice di vocazioni. Ciò riguarda senza dubbio la Chiesa universale, ma in modo speciale si attri­buisce alla Chiesa particolare. Verso tutte le vocazioni, ma in particolare verso quelle di speciale consacrazione, essa esercita una vera funzione mediatrice, grazie: alla sua na­tura sacramentale che fa della comunità cristiana un vero “segno” e “luogo” in cui si afferma il primato del Padre che chiama, mediante Cristo, nello Spirito; al suo mistero di comunione, perché “servire la comunione nella Chiesa

significa curare le diverse vocazioni ed i carismi nella loro specificità ed operare affinché si completino reciprocamente così come le singole membra nell’organismo”; ed infine alla sua missione, in quanto le vocazioni sono per la mis­sione, la quale esige vocazioni perché sia operante nella storia la “diaconia” di Cristo e la Chiesa nel mondo si mo­stri “sacramento universale della salvezza”.

 

 

ECCO CHE COSA TI  È STATO CHIESTO!

Ti è stato chiesto di spendere le tue migliori energie per far sì che nella tua Diocesi si possa raggiungere l’obiettivo di una pastorale vocazionale che risponda alle attese di Dio e ai bisogni degli uomini e delle donne della tua terra.

Ti è stato chiesto di far tuo il cuore di Dio, la passione della Chiesa, la sofferenza della gente in ordine ad un elemento fondamentale della fede: il bene degli uomini coincide nello scoprire e vivere come e dove Dio li vuole. La mediazione ecclesiale, in questa prospettiva, è da ritenersi essenziale. Le resistenze della nostra gente alla chiamata di Dio e, in particolare delle nuove generazioni alla e alle varie vocazioni, sono la tua croce.

Nutrirà questa consapevolezza e sosterrà la tua speranza una preghiera ardente ed incessante.

L’amore e la sollecitudine per coloro che sono chiamati sarà diretta­mente proporzionale, infatti, all’amore per Colui che chiama e per colei che tali chiamate è destinata ad esplicitarle e ad accoglierle: la Chiesa.

Nella preghiera, ti sosterrà la consapevolezza che il bene delle persone coincide con il fare della loro vita una risposta e che il bene della Chiesa reclama che al corpo di Cristo non manchi l’apporto di tutte le membra.

Il tuo è un servizio che si svolge nelle profondità del mistero della salvezza ed è rivolto al cuore dell’uomo. Tu lavori al cuore della Chiesa. Una preghiera incessante e accorata per le vocazioni ti metterà in sintonia col cuore di Dio, della Chiesa, dell’uomo.

 

 

L’ESPERIENZA INSEGNA

– Che non devi cedere alla tentazione di considerare questo tuo servizio un “accessorio” aggiunto alle tante cose “importanti” da fare (Parroco, Rettore, P. Spirituale ecc.).

Data per scontata l’importanza estrema di questo servizio (è un ser­vizio centrale tra i servizi diocesani ed è un servizio al cuore della Chie­sa!), l’esperienza insegna che, per svolgere secondo le attese questo ser­vizio, bisogna metterci il cuore e la mente con una passione straordina­ria; bisogna dedicarvi molto tempo; occorre partecipare seriamente al cammino comune, tanto nella fase diocesana quanto in quella regionale che nazionale.

Nessuna paura, ma molta serietà e determinazione.

Un servizio del genere va messo al primo posto e, “insieme”, gli altri impegni – all’occorrenza – potranno essere anche ridimensionati, o meglio condivisi con altri collaboratori: perché è un servizio a carattere diocesano e perché ne va del futuro della Chiesa.

 

– Che devi dedicare subito una grande attenzione alla tua formazio­ne personale. Gli altri membri del CDV si aspettano molto dal Direttore da questo punto di vista. Se leggi con attenzione il Piano Pastorale per le Vocazioni puoi farti un’idea sufficientemente precisa degli orizzonti formativi verso i quali il tuo servizio ti chiama ad orientarti. D’altra parte, la tua consuetudine agli studi teologici ti consentirà di disegnare un vero e proprio percorso formativo di approfondimento dei temi vocazionali dai punti di vista biblico, dogmatico, morale, liturgico, spi­rituale, pastorale, sociologico, psico-pedagogico, giuridico, ecc. Tale for­mazione di base non potrà non essere accompagnata da un aggiorna­mento costante. Si sa: la pastorale dice fedeltà al Dio di sempre, ma anche fedeltà alla missione della Chiesa nella contemporaneità e contestualità. Trovi da questo punto di vista alleati preziosi nel CRV e nel CNV, che accompagnano con varie iniziative e adeguati sussidi que­sto tuo sforzo. Ti basterà mettere subito in calendario la partecipazione ai numerosi appuntamenti offerti dal CNV durante l’anno e approfittare dei molteplici sussidi quali la rivista “Vocazioni”, gli Atti dei Convegni di studio e di altri seminari, il materiale della Giornata Mondiale di Pre­ghiera per le Vocazioni. Altra bibliografia la troverai in appendice.

 

– Che la preghiera è davvero il segreto della tua riuscita. Lo dice­vamo sopra. Come fare? S’incomincia con il caratterizzare vocazionalmente la preghiera quotidiana: la celebrazione eucaristica, la liturgia delle ore, il rosario, la visita a Gesù. Si prosegue con l’evidenziare la preghiera per le vocazioni nel percorso settimanale, mensile, annuale della tua pietà: il giorno del Signore, il ritiro mensile, le pratiche legate ai tempi liturgici. Concretamente: quando la liturgia lo consente, nulla vieta un costante riferimento alle celebrazioni previste nel Messale per i sacerdoti, per le vocazioni sacerdotali, per i religiosi, per le vocazioni religiose, per l’evangelizzazione dei popoli, per i laici; mettiamo subito nel breviario la preghiera preparata ogni anno per accompagnare invocazioni e intercessioni con la caratterizzazione vocazionale; aggiungi allo scorrere del rosario un’intenzione specifica; fai la visita a Gesù con­cludendo con la preghiera che ogni anno il Papa rivolge al Signore in occasione della Giornata Mondiale. La domenica sera, o un altro giorno della settimana, un’ora di preghiera davanti a Gesù, aiutato dai tanti sussidi che vengono preparati; il tuo ritiro mensile appartato in un mo­nastero di vita contemplativa meditando la Parola che chiama e le dina­miche spirituali di ogni risposta; la tua confessione personale sempre più attenta a come la tua vita è appello vocazionale in se stessa. E poi in Avvento, a Natale, in Quaresima e a Pasqua e durante tutto il Tempo Ordinario, quale ricchezza di suggestioni: meditare le esperienze dei grandi chiamati, la vocazione di Gesù, la fatica di dire di sì, la gloria di una vita “consumata” nella risposta. Temi precisi per una preghiera personale che respira nella lode, ma anche in un rinnovato e vigoroso slancio contemplativo e per questo meditante.

 

 

SECONDA PARTE

La pastorale vocazionale unitaria e il Centro Diocesano Vocazioni

 

DAL MAGISTERO DEL PAPA

La vocazione sacerdotale è un dono di Dio, che costitu­isce certamente un grande bene per colui che è il primo destinatario. Ma è anche un dono per l’intera Chiesa, un bene per la sua vita e per la sua missione. La Chiesa, dun­que, è chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo: essa è responsabile della nascita e della maturazione delle vocazioni sacerdotali. Di conseguenza la pastorale vocazionale ha come soggetto attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle sue diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare e, analoga­mente, da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del popolo di Dio.

È quanto mai urgente, oggi soprattutto, che si diffonda e si radichi la convinzione che i membri della Chiesa, nes­suno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni. Il Concilio Vaticano II è stato quanto mai esplicito nell’affermare che “il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristia­na, che è tenuta ad assolvere questo compito, anzitutto con una vita perfettamente cristiana”. Solo sulla base di questa convinzione la pastorale vocazionale potrà manifestare il suo volto veramente ecclesiale, sviluppare un’azione con­corde, servendosi anche di organismi specifici e di adegua­ti strumenti di comunione e di corresponsabilità.

La Chiesa è madre di vocazioni perché le fa nascere al suo interno, con la potenza dello Spirito, le protegge, le nutre e le sostiene.

È madre, in particolare, perché esercita una preziosa funzione mediatrice e pedagogica.

“La Chiesa, chiamata da Dio, costituita nel mondo come comunità di chiamati, è a sua volta strumento della chiamata di Dio. La Chiesa è appello vivente, per volontà del Padre, per i meriti del Signore Gesù, per la forza dello Spirito Santo (…). La comunità, che prende coscienza di essere chiamata, allo stesso tempo prende coscienza che deve continuamente chiamare”. Attraverso e lungo questa chiamata, nelle sue varie forme, scorre anche l’appello che viene da Dio.

Questa funzione mediatrice la Chiesa esercita quando aiuta e stimola ogni credente a prendere coscienza del dono ricevuto e della responsabilità che il dono porta con sé.

La esercita, ancora, quando si fa interprete autorevole dell’appello esplicito vocazionale e chiama essa stessa, pre­sentando le necessità legate alla sua missione e alle esigen­ze del popolo di Dio, e invitando a rispondere generosa­mente.

La esercita, ancora, quando chiede al Padre il dono dello Spirito che suscita l’assenso nel cuore dei chiamati, e quando li accoglie e riconosce in loro la chiamata stessa, dando esplicitamente e affidando con fiducia e trepidazione as­sieme una missione concreta e sempre difficile tra gli uo­mini.

Potremmo, infine, aggiungere che la Chiesa manifesta la sua maternità quando, oltre a chiamare e riconoscere l’idoneità dei chiamati, provvede perché costoro abbiano una formazione adeguata, iniziale e permanente, e perché siano di fatto accompagnati lungo la via d’una risposta sempre più fedele e radicale. La maternità ecclesiale non può certo esaurirsi nel tempo dell’appello iniziale. Né può dirsi ma­dre quella comunità di credenti che semplicemente “atten­de”, demandando totalmente all’azione divina la responsa­bilità della chiamata, quasi timorosa di rivolgere appelli; o che dà per scontato che i ragazzi e i giovani, in partico­lare, sappiano recepire immediatamente l’appello vocazionale; o che non offre cammini mirati per la proposta e l’accoglienza della proposta.

La crisi vocazionale dei chiamati è anche crisi, oggi, dei chiamanti, a volte latitanti e poco coraggiosi. Se non c’è nessuno che chiama, come potrebbe esserci chi rispon­de?

S’impone allora un discorso nuovo sulla vocazione e sulle vocazioni, sulla cultura e sulla pastorale vocazionale. Il Congresso ha inteso recepire una certa sensibilità, ormai largamente diffusa riguardo a questi temi, proponendo però, al tempo stesso, un “sussulto” idoneo ad aprire stagioni nuove nelle nostre Chiese.

 

 

DAL MAGISTERO DEI VESCOVI ITALIANI

“La pastorale delle vocazioni nasce dal mistero della Chiesa e si pone a servizio di essa”. È quindi necessario che l’impegno di “mediazione tra Dio che chiama e coloro che sono chiamati” divenga sempre più un fatto di Chiesa.

La pastorale vocazionale unitaria scaturisce dalla vita di comunione della Chiesa e rivela il suo volto vocazionale: costituita nel mondo come comunità di chiamati è, a sua volta, strumento della chiamata di Dio.

Tale azione unitaria costituisce altresì il frutto di uno sforzo armonicamente coordinato di tutte le componenti della comu­nità ecclesiale impegnata a favorire, nella diversità delle re­sponsabilità, tutte le vocazioni consacrate. S’impone dunque un comune impegno perché nelle Chiese particolari la pasto­rale vocazionale coinvolga e promuova tutte le responsabilità in un servizio efficace alla Chiesa.

 

 

ECCO COSA TI È STATO CHIESTO!

L’impegno per l’orientamento e la maturazione vocazionale, quan­do diviene un fatto di Chiesa e attiene alla responsabilità della Chiesa diviene “pastorale vocazionale”. Fa cioè parte dell’impegno più ampio che il Buon Pastore ha affidato alla sua Chiesa perché, prendendosi cura degli uomini e dell’umanità, sia segno e strumento del Regno del Padre.

Come “segno” la Chiesa parla della “vocazione” vivendola e testi­moniandola; come strumento, annuncia, anima, propone, promuove, accompagna il fatto vocazionale. Lo fa con tutti e lo fa con ciascuno. Rende possibile, con la sua mediazione, che la chiamata giunga a desti­nazione e si adopera per educare, sostenere, promuovere la risposta.

Al fine di rendere possibile la scelta vocazionale della vita consa­crata o del ministero ordinato, la pastorale vocazionale deve necessaria­mente proporre e accompagnare un itinerario di fede che sia, per sua natura, comprensione ed esperienza di tutto il fatto vocazionale. La pastorale vocazionale, cioè, avendo come obiettivo l’animazione del popolo di Dio perché maturino in esso tutti i germi di vocazione consa­crata e sacerdotale che a piene mani il Signore elargisce alla sua Chiesa, non può prescindere, nel suo servizio, dalla tematica vocazionale nella sua complessità teologica ed esistenziale.

Così essa è “dentro” tutta la pastorale, ne autentica l’azione e chie­de costante attenzione. La pastorale vocazionale finisce, così, per dive­nire “unitaria” in quanto: coinvolge tutta l’azione ecclesiale, riguarda tutti, s’interessa di tutte le vocazioni ordinate e di speciale consacrazio­ne, percorre tutte le vie della pastorale ordinaria. La conseguenza opera­tiva immediata è che la pastorale vocazionale unitaria di una diocesi nasce dalla comunione, dalla convergenza, dalla corresponsabilità, compresenza e condivisione di tutte le categorie del popolo di Dio rap­presentate in un Centro Diocesano Vocazioni, in ragione degli stati di vita, delle responsabilità pastorali e della territorialità. Prende corpo la figura dei CDV e il suo primo compito: raccogliere e riunire per anima­re, coordinare, promuovere. Tutte le vocazioni per tutte le vocazioni.

Tutte le vocazioni, in ragione della loro responsabilità educativa e pa­storale, per tutte le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata.

Il Direttore del CDV chiamerà a raccolta la sua Diocesi in un nu­cleo agile, dinamico, rappresentativo delle vocazioni di cui deve inte­ressarsi e in un organismo più ampio rappresentativo di tutte le respon­sabilità territoriali e settoriali della Diocesi. Nascono così l’Ufficio e il Consiglio o Consulta del Centro Diocesano Vocazioni.

 

 

L’ESPERIENZA INSEGNA

a) Per quanto attiene alla “costituzione” del CDV, fermo restando quanto il PPVI afferma, al n. 54, su “natura” e “compiti” del CDV, è veramente indispensabile che la Diocesi lo senta “suo” costruendo, ad ogni livello, una reale partecipazione “affettiva e operativa” alle sue fi­nalità e alla sua azione.

Il Direttore ha un compito previo importante perché il fatto costitutivo non sia solo formale o “sulla carta”. Egli deve creare o ricre­are attenzione e convinzione nei sacerdoti, nei consacrati, nei laici. Si devono creare le condizioni perché i rappresentanti delle rispettive cate­gorie del Popolo di Dio nel CDV abbiano realmente “dietro” un’attesa e una disponibilità piena verso la pastorale vocazionale unitaria.

L’Ufficio del CDV sia costituito con persone realmente delegate dalle rispettive categorie, con scelta possibilmente meditata, oculata e – se possibile e utile – fatta di concerto con il Direttore stesso, che si farà premura di chiarire quali dovrebbero essere le caratteristiche di tali rappre­sentanti. Saranno pertanto l’USMI, la CISM, la CIIS, la CIMI, la Consulta dei laici, il Consiglio Presbiterale, la comunità dei Diaconi permanenti, a nominare i loro rappresentanti che affiancheranno il Direttore in questo nu­cleo essenziale alla pastorale vocazionale della Diocesi.

Il Consiglio porta nel CDV la ricchezza della vita diocesana tanto dal punto di vista territoriale che settoriale. Il Vicario foraneo chiederà ai confratelli la disponibilità di un sacerdote che rappresenti, insieme ad un laico, la forania nel Consiglio. Tale rappresentante finirà per garan­tire punti preziosi di riferimento nelle iniziative che verranno prese nel­le rispettive foranie e nell’impegno di animazione delle parrocchie. Al­cuni uffici pastorali diocesani non possono mancare nel Consiglio: l’Ufficio Catechistico, l’Ufficio Giovani, l’Ufficio Famiglia.

Il Direttore prenderà i necessari contatti con i responsabili. La reci­procità tra CDV e tali uffici porterà frutti copiosi di attenzione ed impe­gno. Religiosi e religiose, laici consacrati e non, missionari e diaconi non mancheranno di esprimere una rappresentanza qualificata in seno al Consiglio.

Parte integrante della struttura del CDV dovrà essere considerata la preziosa figura dell’animatore vocazionale parrocchiale: una coppia di sposi o un laico o una religiosa col compito di costituire, in ogni parroc­chia, una équipe vocazionale, punto di riferimento delle attività e delle iniziative vocazionali parrocchiali.

Il Direttore del CDV raccoglierà in un’Assemblea del CDV tali ani­matori per creare unitarietà, formazione, impulso.

 

b) Per quanto riguarda il concreto metodo di lavoro e, in qualche modo, la vita stessa del CDV, il Direttore, ben consapevole che l’animazione vocazionale comporta un impegno personale degli operatori pri­ma che un’articolazione di iniziative, porrà al vertice delle sue preoccu­pazioni una formazione iniziale, ricorrente, permanente dell’Ufficio, del Consiglio, dell’Assemblea. Per tale formazione saprà avvalersi anche delle proposte del CRV e del CNV, con i quali il Direttore avrà necessa­riamente rapporti costanti. Contemporaneamente, Ufficio e Consiglio studieranno programmi e modalità operative.

Incontri mensili con l’Ufficio, trimestrali o quadrimestrali col Con­siglio, annuali con l’Assemblea prevedranno sempre – in questo conte­sto formativo – una significativa e centrale esperienza di preghiera; lo studio dei progetti operativi; la modalità pratica della realizzazione del­le iniziative; l’aggiornamento sulle tematiche vocazionali più importan­ti.

L’orizzonte dell’annuncio, proposta, accompagnamento vocazionale in Diocesi sarà la cornice dentro alla quale muoversi nella formazione degli animatori e nella elaborazione dei progetti. L’accoglienza degli orientamenti, proposte e sussidi del CNV e del CRV renderà relativa­mente agevole l’impegno del Direttore in questa prospettiva.

 

 

TERZA PARTE

Le vie della pastorale vocazionale in Diocesi e i contenuti e i mezzi dell’azione del CDV

 

DAL MAGISTERO DEL PAPA

Certamente la vocazione è un mistero imperscrutabile, che coinvolge il rapporto che Dio instaura con l’uomo nella sua unicità e irripetibilità, un mistero che viene per­cepito e sentito come un appello che attende una risposta nel profondo della coscienza, in quel “sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria». Ma ciò non elimina la dimensione comu­nitaria, ed ecclesiale in specie, della vocazione: anche la Chiesa è realmente presente e operante nella vocazione di ogni sacerdote.

Nel servizio alla vocazione sacerdotale e al suo itine­rario, ossia alla nascita, al discernimento e all’accompagnamento della vocazione, la Chiesa può trovare un mo­dello in Andrea, uno dei primi due discepoli che si pongo­no al seguito di Gesù. È lui stesso a raccontare al fratello ciò che gli era accaduto: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» (Gv 1, 41). E il racconto di questa «sco­perta» apre la strada all’incontro: «E lo condusse da Gesù» (Gv 1, 42). Nessun dubbio sull’iniziativa assolutamente libera e sulla decisione sovrana di Gesù. È lui che chiama Simone e gli dà un nuovo nome: «Gesù, fissando lo sguar­do su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”» (Gv 1, 42). Ma pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha sollecitato l’incontro del fratello con Gesù.

«E lo condusse da Gesù». Sta qui, in un certo senso, il cuore di tutta la pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende cura della nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito. La Chiesa, come popolo sacerdotale, profetico e regale, è impegnata a promuovere e a servire il sorgere e il maturare delle vocazioni sacerdotali con la preghiera e con la vita sacramentale, con l’annuncio della Parola e con l’educazione alla fede, con la guida e la testimonianza della carità.

La Chiesa, nella sua dignità e responsabilità di popolo sacerdotale, ha nella preghiera e nella celebrazione della li­turgia i momenti essenziali e primari della pastorale vocazionale. La preghiera cristiana, infatti, nutrendosi della Parola di Dio, crea lo spazio ideale perché ciascuno possa scoprire la verità del proprio essere e l’identità del personale e irripetibile progetto di vita che il Padre gli affida. È neces­sario, quindi, educare in particolare i ragazzi e i giovani per­ché siano fedeli alla preghiera e alla meditazione della Paro­la di Dio: nel silenzio e nell’ascolto potranno percepire la chiamata del Signore al sacerdozio e seguirla con prontezza e generosità.

La Chiesa deve accogliere ogni giorno l’invito suadente ed esigente di Gesù, che chiede di «pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe, (Mt 9, 38). Obbedendo al comando di Cristo, la Chiesa compie, prima di ogni altra cosa, un’umile professione di fede: pregando per le vocazioni, mentre ne avverte tutta l’urgenza per la sua vita e per la sua missione, riconosce che esse sono un dono di Dio e, come tali, sono da invocarsi con una suppli­ca incessante e fiduciosa.

Questa preghiera, cardine di tutta la pastorale vocazionale, deve però impegnare non solo i singoli ma anche le intere comunità ecclesiali. Nessuno dubita dell’importanza delle singole iniziative di preghiera, dei mo­menti speciali riservati a questa invocazione, a cominciare dall’annuale Giornata Mondiale per le Vocazioni, e dell’impegno esplicito di persone e di gruppi particolarmente sen­sibili al problema delle vocazioni sacerdotali. Ma oggi l’attesa orante di nuove vocazioni deve diventare sempre più un’abitudine costante e largamente condivisa nell’intera co­munità cristiana e in ogni realtà ecclesiale. Così si potrà rivivere l’esperienza degli apostoli che nel cenacolo, uniti con Maria, attendono in preghiera l’effusione dello Spirito (cf At 1, 14), il quale non mancherà di suscitare ancora nel Popolo di Dio «degni ministri dell’altare, annunciatori for­ti e miti della parola che ci salva».

Culmine e fonte della vita della Chiesa e, in particola­re, di ogni preghiera cristiana, anche la liturgia ha un ruolo indispensabile e un’incidenza privilegiata nella pastorale delle vocazioni. Essa, infatti, costituisce un’esperienza viva dei doni di Dio e una grande scuola della risposta alla sua chiamata. Come tale, ogni celebrazione liturgica, e innanzitutto quella eucaristica, ci svela il vero volto di Dio, ci fa comunicare al mistero della Pasqua, ossia all’“ora” per la quale Gesù è venuto nel mondo e verso la quale si è liberamente e volontariamente incamminato in obbedienza alla chiamata del Padre (cf Gv 13, 1), ci manifesta il volto della Chiesa quale popolo di sacerdoti e comunità ben compaginata nella varietà e complementarietà dei carismi e delle vocazioni. Il sacrificio redentore di Cristo, che la Chiesa celebra nel mistero, dona un valore particolarmente prezioso alla sofferenza vissuta in unione con il Signore Gesù. I Padri sinodali ci hanno invitato a non dimenticare mai che «attraverso l’offerta delle sofferenze, così frequenti nella vita degli uomini, il cristiano ammalato offre se stes­so come vittima a Dio, ad immagine di Cristo, che per tutti noi ha consacrato se stesso (cf Gv 17, 19), e che «l’offerta delle sofferenze secondo tale intenzione è di grande giova­mento per la promozione delle vocazioni».

La pastorale vocazionale, per proporsi come prospetti­va unitaria e sintetica della pastorale in genere, deve espri­mere per prima al suo interno, la sintesi e la comunione dei carismi e dei ministeri.

Già da tempo nella Chiesa si è avvertita la necessità di questo coordinamento che, grazie a Dio, ha già dato note­voli frutti: Organismi parrocchiali, Centri vocazionali diocesani e nazionali già da diversi anni funzionano con grande vantaggio.

(…) Da più parti si osserva che, mentre i Centri nazio­nali sembrano garantire un notevole apporto di stimoli costruttivi per la pastorale vocazionale d’insieme, i Centri diocesani non paiono animati ovunque dalla stessa volontà di lavorare e collaborare davvero per le vocazioni di tutti. C’è un certo progetto generale di pastorale unitaria che an­cora stenta a divenire prassi di Chiesa locale, e sembra in qualche modo incepparsi quando dalle proposte generali si passa alla traduzione capillare nella realtà diocesana o par­rocchiale. Qui, infatti, non sono ancora del tutto sparite pro­spettive e prassi particolaristiche e meno ecclesiali.

Per quanto riguarda i Centri diocesani e nazionali, più che ribadire qui quanto già in maniera esemplare sottoline­ano vari documenti circa la loro funzione, sembra necessa­rio ricordare che non si tratta semplicemente d’una que­stione d’organizzazione pratica, quanto di coerenza con uno spirito nuovo che deve permeare la pastorale vocazionale nella Chiesa e in particolare nelle Chiese d’Europa. La cri­si vocazionale è anche crisi di comunione nel favorire e far crescere le vocazioni. Non possono nascere vocazioni laddove non si vive uno spirito autenticamente ecclesiale.

Oltre a raccomandare una ripresa d’impegno in tale campo e un più stretto collegamento tra Centro nazio­nale, Centri diocesani e organismi parrocchiali, il Con­gresso e questo Documento auspicano che tali organi­smi prendano maggiormente a cuore due questioni: la promozione d’una autentica cultura vocazionale nella società civile ed ecclesiale, prima sottolineata, e la for­mazione degli educatori-formatori vocazionali, vero e proprio elemento centrale e strategico dell’attuale pa­storale vocazionale.

 

 

DAL MAGISTERO DEI VESCOVI ITALIANI

La vocazione è dimensione essenziale e qualificante, che deve permeare tutta l’azione evangelizzatrice della Chiesa particolare, per cui la pastorale delle vocazioni non può e non deve essere un momento isolato o settoriale della pastorale globale. Perché ciò avvenga, è condizione indispensabile l’impegno di ogni Chie­sa particolare in un continuo rinnovamento di tutta la pastorale secondo gli orientamenti dell’ecclesiologia del Vaticano II, per poter realizzare una valida pastorale della carità, della partecipazione, del servizio, della te­stimonianza, e perciò delle vocazioni.

La vocazione e la missione della Chiesa particola­re si esprimono soprattutto nella comunità parrocchia­le. Essa è luogo privilegiato di annuncio vocazionale e comunità mediatrice di chiamate, attraverso ciò che ha di più originale e caratterizzante: la proclamazione della Parola che chiama, la celebrazione dei segni della sal­vezza che comunicano la vita, la testimonianza della carità e il servizio ministeriale. L’annuncio vocazionale deve dunque innervare tutte le espressioni della vita. Nella pastorale ordinaria di una comunità parrocchia­le, la dimensione vocazionale non è dunque un “qual­cosa in più da fare” ma è l’anima stessa di tutto il ser­vizio di evangelizzazione che essa esprime.

 

 

ECCO CHE COSA TI È STATO CHIESTO!

Ovvero: per raggiungere l’obiettivo quali sono i percorsi da fare, tanto nella vita della comunità cristiana quanto con proposte specifiche e proprie del CDV alla Diocesi?

Riguardo alla comunità cristiana sono essenzialmente tre le grandi attenzioni da avere come atteggiamento permanente:

– la vita della comunità cristiana nel suo insieme con i percorsi generati dalla Parola, dal Sacramento, dalla carità;

– la vita della comunità cristiana nell’articolazione dei settori pastorali con i loro percorsi di spiritualità, formazione, impe­gno educativo e pastorale;

– la vita della comunità cristiana negli organismi di comunione e di partecipazione dove si decidono i programmi pastorali e i cammini conseguenti.

 

Per quanto attiene alle proposte “in proprio”, il criterio fondamen­tale al quale ispirarsi è la realizzazione, da parte del CDV, di momenti di annuncio esplicito, proposta forte, accompagnamento spe­cifico delle vocazioni consacrate.

“Realizzazione” significa tanto promozione e coordinamento quanto eventuale effettuazione là dove fosse necessario.

Il CDV s’interessa pertanto della comunità cristiana nei suoi mo­menti oranti e liturgici; nei suoi momenti di servizio alla Parola e della catechesi; nei suoi momenti di crescita del servizio e della carità. Ma propone anche alla comunità cristiana momenti forti di annuncio e pro­posta e genera veri e propri itinerari di accompagnamento.

 

 

L’ESPERIENZA INSEGNA

C’è ovviamente un’esperienza vastissima in proposito. Alcune co­stanti emergono più evidenti e potremmo così raccoglierle e identificarle.

 

LA PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Nelle nostre diocesi, per poco che si faccia per le vocazioni, una qualche forma di preghiera per le vocazioni non è mai mancata. Per­correre gli itinerari offerti dalla tradizione come scelta iniziale e pri­maria è per tutti noi buona norma. Concretamente, possiamo deline­are gli orientamenti che possano valere per tutti.

Tutte le parrocchie, i gruppi parrocchiali, le comunità religiose, le associazioni, le famiglie della Diocesi si uniscono ai monasteri d’Italia creando un unico grande “mo­nastero invisibile” con il vivere una giornata di preghiera e riflessione per e sulle vocazioni sacerdotali e consacrate. Il CDV deciderà liberamente l’insieme delle proposte concrete da offrire e provvederà a moltiplicare e diffondere i ­ sussidi preparati allo scopo dal CNV.

Tutti i gruppi (Apostolato della Preghiera, Gruppi “P. Pio”, Confraternite, ecc …) costituiti attorno all’esigenza ed esperienza della preghiera, per le vocazioni e non, saranno considerati interlocutori privilegiati delle proposte di preghiera dei CDV.

Nella preghiera quotidiana – personale e comunitaria – dei sacerdoti e dei consacrati non può né deve mancare e di fatto non manca la preghiera per le vocazioni. Invocazioni e intercessioni della liturgia delle ore; il rosario quotidia­no; la stessa preghiera dei fedeli della Messa quotidiana, ecc. È importante che il CDV non faccia mancare anima­zione e sussidiazione costante in proposito. Ed è partico­larmente importante che ciò avvenga a partire dai seminari e dai noviziati, perché la consuetudine prenda corpo nella formazione iniziale dei consacrati.

Veglie di preghiera diocesane, zonali, parrocchiali; settimane vocazionali; adorazioni eucaristiche guidate con tematiche vocazionali, ecc. Cresce costantemente l’attenzione, ma l’opera del CDV per tenere desta e sussidiare tale attenzione appare essenziale e spesso decisiva, tanto per la continuità quanto per la serietà delle stesse iniziative.

 

LA VITA LITURGICA

L’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, con la sua Chiesa, costituisce uno spazio essenziale per l’annuncio, la proposta e la preghiera vocazionale. Guardando la vita concreta delle nostre comuni­tà cristiane (diocesane, parrocchiali, religiose e laicali) è tutt’altro che difficile cogliere nella liturgia il momento centrale, comune e diffuso della vita della comunità. Nelle nostre diocesi, in molte parrocchie, si può curare bene, spesso, solo questo aspetto. La capillarità dell’annuncio vocazionale deve percorrere questa via così ordinaria e concreta. Molte esperienze in proposito confermano una sorprendente sintonia tra pastorale vocazionale e liturgia.  Si richiamano, per concretezza e prati­cità, solo alcune prospettive.

La celebrazione rivela, di per se stessa, e mantiene viva la coscienza vocazionale dei singoli e della comunità. Vie­ne celebrata, infatti, da un’Assemblea “convocata”, chia­mata ed invitata a nutrirsi alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita; plasmata in comunità che vive il dono della comunione; inviata per essere testimone dell’Amore di Dio per l’uomo e per l’umanità. L’esperienza ci fa or­mai vedere che, attraverso adeguate introduzioni e monizioni, unite ad una grande serietà e profondità del ce­lebrare, matura nella comunità la consapevolezza vocazionale che rappresenta il terreno fecondo e necessa­rio per la maturazione di tutte le vocazioni.

Il Messale offre l’opportunità di celebrare – quando il tempo liturgico lo consente – l’Eucaristia con le orazioni per le vocazioni sacerdotali e religiose. E ci sono Messe per i sacerdoti, per le comunità religiose, per i laici, per l’Evangelizzazione dei popoli. È un modo per far crescere anche nelle comunità più piccole e senza particolari accor­gimenti questa attenzione.

Preparazione e celebrazione del Battesimo; preparazione e celebrazione della Cresima; Ordine, Matrimonio; celebrazione della Penitenza, ecc. La vocazione ad una vita di figli adottivi nel Figlio; la vocazione alla testimo­nianza; le varie vocazioni e la responsabilità che esse han­no nel mettersi a servizio della vocazione degli altri; la con­sapevolezza che i sacramenti – prima di essere “celebra­zione” – sono la realtà di un Dio che si prende cura del suo popolo e di Gesù che si prende cura del suo Corpo… Tutto converge in una necessaria e naturale lettura vocazionale dell’economia sacramentale.

Le esperienze del “mese vocazionale”, del “tempo di Pasqua vocazionale” si confermano preziose ed in crescita. Sono tuttavia le esperienze di animazione vocazionale at­traverso i tempi liturgici dell’anno, quelle su cui tutti in­distintamente possiamo puntare: Avvento, Natale, Quare­sima e Pasqua offrono spunti straordinari e, contempora­neamente, restano inspiegabili senza un riferimento chiaro a questa dimensione: la Vergine, Giovanni Battista, la Pas­sione di Gesù, gli Apostoli… Tutto prende significato a par­tire dalla loro vocazione. Ed un cammino nella fede, per noi, deve per forza misurarsi con il modo con cui essi han­no risposto alla loro chiamata diventando sorgente di sal­vezza per il mondo intero, alimentati dalla linfa dell’amore di Dio. Il calendario liturgico con le feste dei Santi, con il percorso della Parola anche nel tempo ordinario, finisce per offrire un’infinità di spunti sul valore, la necessità e la possibilità, anche per oggi, di vivere nella risposta sempre più decisa e radicale alla propria vocazione.

 

LA CATECHESI

Sembrano tre gli aspetti da curare in modo particolare e che l’esperienza ormai ci fa vedere percorribili in tutte le diocesi: la catechesi, i catechisti, i catechismi.

In molte diocesi un rapporto di reciprocità con l’Ufficio catechisti­co ha reso possibile la realizzazione di convegni, incontri, seminari, “tre giorni”, ecc. per i catechisti, con questa naturale attenzione alla voca­zione e alle vocazioni.

La catechesi non è tale se non è vocazionale. L’orizzonte va così formulato: una catechesi autentica è proprio quella che aiuta a scoprire e a vivere la propria vocazione. Tale maturazione vocazionale va immaginata come oriz­zonte, contenuto, metodo della catechesi. È quanto affer­ma lo stesso Documento Base sul rinnovamento della Catechesi che il CDV non può non approfondire con atten­zione né da esso prescindere per questo particolare ed es­senziale aspetto del suo servizio alla Chiesa locale.

Grande patrimonio delle nostre chiese, presenza viva anche nelle comunità più piccole, sono dei naturali “ani­matori vocazionali” per il ministero della Parola che ad essi è affidato.  Tali vanno immaginati e a tale scopo formati.  Il livello di impegno per il CDV non è solo diocesano: è an­che zonale e spesso parrocchiale. L’esperienza, al di là delle ovvie difficoltà, ci dice che è un cammino non di rado en­tusiasmante quello che la pastorale vocazionale può per­correre con i catechisti.

I catechismi della Chiesa italiana sono attraversati da questa dimensione, che ne è costitutiva e centrale. Uno studio attento consente di evidenziarla e proporla ai cate­chisti come ossatura del loro servizio di animazione vocazionale. In particolare, quello degli adolescenti è un vero e proprio itinerario di maturazione vocazionale.

 

LA CARITA’

Abbiamo tutti accolto con gioia e sorpresa quanto afferma il docu­mento Evangelizzazione e testimonianza della carità sulla “costitutiva risonanza vocazionale” dell’educazione dei giovani al vangelo della ca­rità. Ed è certamente costitutiva in tutta la formazione dei giovani. Un itinerario privilegiato di tale maturazione, che necessariamente deve giun­gere alle conseguenze della scelta dello stato di vita che il Signore ha pensato per ciascuno di noi, sono i percorsi di educazione alla comunio­ne e al servizio nelle nostre comunità cristiane: nella partecipazione alla vita della comunità cristiana, con la crescente consapevolezza di una diaconia, nella Chiesa e, con la Chiesa, nel mondo, si sviluppa il germe della vocazione sacerdotale e consacrata. E ne è anche in qualche modo verifica della crescita: cresce una vocazione autentica se cresce nella gratuità e nel dono sincero di sé. In questo senso, l’attenzione agli ultimi è categoria decisiva, perché sviluppa nel chiamato la ragione stessa che gli consente una piena sintonia con gli Istituti di vita consacrata che di questa attenzione hanno fatto la ragione di fondazione e di vita. Si co­noscono bene le condizioni perché tale itinerario sia un vero cammi­no di crescita della vocazione: le abbiamo lette nel Piano Pastorale per le Vocazioni, nella Pastores Dabo Vobis e nello stesso Nuove Vocazioni per una nuova Europa. Al  CDV il compito di concretizzare, con percorsi diocesani e in piena sintonia con la Caritas Diocesana tali indicazioni già operative.

 

LA SPIRITUALITA’

Se la comunità cristiana non offre ai suoi ragazzi e ai suoi giovani, come elemento centrale della loro crescita, un forte cammino spirituale, il germe della vocazione neanche attecchisce né tanto meno fiorisce e giunge a maturazione. La preghiera, il silenzio, il raccoglimento sono condizioni essenziali. E sappiamo bene che c’è una legge della gradua­lità e un grande rispetto per le capacità e possibilità espressive proprie delle nuove generazioni. Molte esperienze ci dicono che proprio nella necessità di misurarsi con la vocazione il ragazzo e il giovane scoprono il gusto e la costanza della preghiera. Esercizi spirituali, giornate di ritiro, scuole di preghiera trovano nella tematica vocazionale una splen­dido contenuto e una forte e profonda motivazione.

Il CDV trova in ciò un terreno fecondo per la propria azione: pro­porre ai gruppi giovanili, parrocchiali e non, momenti forti di spirituali­tà vocazionale è forse – ci dice l’esperienza – la componente più origi­nale e decisiva del proprio servizio.

 

I PASSI DA COMPIERE

Definiti i settori pastorali che mettono a fuoco le grandi vie della pastorale vocazionale e i suoi contenuti più generali e i mezzi più comu­ni, l’esperienza insegna che si può cadere nella paralisi se non s’identificano i raccordi e gli anelli di congiunzione con la concreta vita della Diocesi.

Sembra che i passi vadano mossi in tre direzioni complementari: l’animazione, la proposta di iniziative di spiritualità specifica, l’accompagnamento vocazionale.

L’animazione vocazionale delle comunità cristiane si propone come un servizio all’interno del cammino ordinario della comunità. Essa ser­ve la comunità cristiana perché non perda mai di vista questa dimensio­ne e questa responsabilità. Per raggiungere tale obiettivo, il CDV pro­porrà tutte le iniziative che le comunità saranno in grado di accogliere e di gestire all’interno della programmazione pastorale: iniziative desti­nate a veicolare l’annuncio e la proposta attraverso incontri di preghiera e di riflessione; settimane vocazionali; campi scuola o campi vocazionali; giornate di ritiro, ecc. In questo lavoro il direttore e il CDV si regolano secondo le specifiche finalità e i criteri operativi degli Uffici della Dio­cesi: sostengono, propongono, animano.

Diventa decisivo l’insieme dei rapporti con gli organismi diocesani, i parroci, i vicari foranei, le associazioni. Si è potuto notare che, laddove il direttore del CDV è ben raccordato agli altri uffici diocesani, ai vicari foranei e ai parroci, maturano le condizioni per una vasta opera di sensibilizzazione che non manca e non mancherà di portare i suoi frutti. Se ci si limita a qualche sporadica lettera tutto ristagna e non decolla.

Emerge con forza e con buone prospettive la figura dell’animatore vocazionale parrocchiale. In molte diocesi si sono fatti significativi pas­si in avanti nell’identificare e nel formare laici, coppie di sposi, religio­se, pienamente inseriti nella vita della loro comunità parrocchiale, che si assumono il compito di tenere costantemente desta l’attenzione, di ac­compagnare il servizio centrale del parroco, di tenere i rapporti tra CDV e parrocchia, indispensabili per far arrivare proposte e sussidi. Ciò vale anche per le comunità religiose e per le aggregazioni laicali, dove la figura dell’animatore vocazionale consente al CDV una presenza attiva ed efficace nella capillarità della Chiesa locale.

La spiritualità vocazionale è essenzialmente una proposta ai giova­ni in ricerca. Detto della spiritualità in genere, è importante che il CDV studi, programmi e proponga momenti forti di spiritualità specifica ai ragazzi e ai giovani della Diocesi che, cammin facendo, si pongono più chiaramente l’interrogativo vocazionale. I livelli naturalmente sono di­versi: ragazzi che si pongono larvatamente l’interrogativo, ne hanno parlato col parroco o col catechista e chiedono momenti specifici per comprendere, approfondire, dialogare; giovani che hanno più chiara la percezione e che domandano un aiuto per incamminarsi spediti verso la decisione; giovani e ragazze che hanno in cuor loro già deciso, ma che domandano un momento di discernimento prima di approdare agli itine­rari propri della formazione.

Attraverso l’opera del CDV, la Chiesa si dimostra davvero, in que­sta fase, terreno fecondo di maturazione e madre dei figli di Dio.

Ci sono splendide esperienze in proposito, che mettono in discus­sione la modalità operativa stessa dei CDV: reclamano, infatti, che il CDV sia una vera esperienza di comunione fra tutte le categorie vocazionali; che abbia rapporti preziosi con i monasteri di vita contemplativa; che riservi durante l’anno più d’una giornata a questo scopo.

L’accompagnamento vocazionale si colloca in questo contesto ed è per lo più aiuto per il discernimento e per la decisione. Normalmente reclama una solida esperienza di direzione spirituale personale, che non di rado coinvolge Direttore e membri del CDV e sempre ha bisogno di un cammino comunitario: gruppi o comunità vocazionali che si costru­iscono precisamente per questo. È un aspetto sempre più importante e, per molti giovani, decisivo.

Molte esperienze confermano che la decisione vocazionale passa proprio all’interno e con l’aiuto di questi momenti specifici. È infatti sempre più delicata la fase che il giovane vive tra percezione e decisio­ne, e richiede un grande ed oculato aiuto da parte dei CDV.

Normalmente tali giovani, quando il CDV è conosciuto in Diocesi per le sue attività normali, si presentano da sé. È tuttavia importante che parroci e laici, religiosi e sacerdoti, animatori vocazionali ed educatori in genere possano indirizzare, con fiducia e sicurezza, i giovani che si pongono in tale prospettiva, al Direttore del CDV.

Anche questa prospettiva costringe il Centro a costituirsi in manie­ra tale da avere tutta la disponibilità e capacità necessaria per far fronte a questa crescente domanda di accompagnamento vocazionale.

 

 

QUARTA PARTE

Responsabilità da attivare e soggetti da coinvolgere

 

DAL MAGISTERO DEL PAPA

La prima responsabilità della pastorale orientata alle vocazioni sacerdotali è del Vescovo, che è chiamato a vi­verla in prima persona, anche se potrà e dovrà suscitare molteplici collaborazioni. Egli è padre e amico nel suo presbiterio, ed è anzitutto sua la sollecitudine di «dare con­tinuità» al carisma e al ministero presbiterale, associando­vi nuove forze con l’imposizione delle mani. Egli sarà sol­lecito che la dimensione vocazionale sia sempre presente in tutto l’ambito della pastorale ordinaria, anzi sia piena­mente integrata e quasi identificata con essa. A lui spetta il compito di promuovere e di coordinare le varie iniziative vocazionali.

Il Vescovo sa di poter contare anzitutto sulla collabo­razione del suo presbiterio. Tutti i sacerdoti sono con lui solidali e corresponsabili nella ricerca e nella promozione delle vocazioni presbiterali. Infatti, come afferma il Con­cilio, «spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori della fede, di curare che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione spe­cifica. È questa «una funzione che fa parte della stessa mis­sione sacerdotale, in virtù della quale il presbitero parteci­pa della sollecitudine per la Chiesa intera, affinché nel Po­polo di Dio qui sulla terra non manchino mai gli operai».

La vita stessa dei presbiteri, la loro dedizione incondi­zionata al gregge di Dio, la loro testimonianza di amorevole servizio al Signore e alla sua Chiesa – una testimonianza segnata dalla scelta della croce, accolta nella speranza e ­nella gioia pasquale – la loro concordia fraterna e il loro zelo per l’evangelizzazione del mondo sono il primo e il più persuasivo fattore di fecondità vocazionale.

Una responsabilità particolarissima è affidata alla fa­miglia cristiana, che in virtù del sacramento del Matrimonio partecipa in modo proprio e originale alla missione educativa della Chiesa, madre e maestra. Come hanno scritto i Padri sinodali, “la famiglia cristiana, che è veramente chiesa domestica”, ha sempre offerto e continua ad offrire ­ le condizioni favorevoli per la nascita delle vocazioni. Poi­ ché oggi l’immagine della famiglia cristiana è in pericolo, grande importanza dev’essere attribuita alla pastorale fa­ miliare, così che le famiglie stesse, accogliendo generosa­mente il dono della vita umana, costituiscano “come il primo seminario”, nel quale i figli possano acquisire dall’inizio il senso della pietà e della preghiera e l’amore verso la Chiesa. In continuità e in sintonia con l’opera dei genitori e della famiglia deve porsi la scuola, la quale è chiamata a vivere la sua identità di “comunità educante” anche con una proposta culturale capace di far luce sulla dimensione vocazionale come valore nativo e fondamentale della per­sona umana. In tal senso, se opportunamente arricchita di spirito cristiano (sia attraverso significative presenze ec­clesiali nella scuola statale, secondo i vari ordinamenti na­zionali, sia soprattutto nel caso della scuola cattolica), può infondere nell’animo dei ragazzi e dei giovani il desiderio di compiere la volontà di Dio nello stato di vita più idoneo a ciascuno, senza mai escludere la vocazione al ministero sacerdotale.

Anche i fedeli laici, in particolare i catechisti, gli inse­gnanti, gli educatori, gli animatori della pastorale giovani­le, ciascuno con le risorse e modalità proprie, hanno una grande importanza nella pastorale delle vocazioni sacerdo­tali: quanto più approfondiranno il senso della loro voca­zione e missione nella Chiesa, tanto più potranno ricono­scere il valore e l’insostituibilità della vocazione e della missione sacerdotale.

Nell’ambito delle comunità diocesane e parrocchiali sono da stimare e promuovere quei gruppi vocazionali i cui membri offrono il loro contributo di preghiera e di soffe­renza per le vocazioni sacerdotali e religiose, nonché di so­stegno morale e materiale.

Sono qui da ricordare anche i numerosi gruppi, mo­vimenti e associazioni di fedeli laici che lo Spirito Santo fa sorgere e crescere nella Chiesa in ordine ad una presenza cristiana più missionaria nel mondo. Queste diverse aggregazioni di laici si stanno rivelando un campo partico­larmente fertile alla manifestazione di vocazioni consacra­te, veri e propri luoghi di proposta e di crescita vocazionale.

Non pochi giovani, infatti, proprio nell’ambito e gra­zie a queste aggregazioni, hanno avvertito la chiamata del Signore a seguirlo sulla via del sacerdozio ministeriale e hanno risposto con confortante generosità. Sono, quindi, da valorizzare perché, in comunione con tutta la Chiesa e per la sua crescita, diano il loro specifico contributo allo sviluppo della pastorale vocazionale.

Le varie componenti e i diversi membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale renderanno tanto più efficace la loro opera quanto più stimoleranno la comunità ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sen­tire che il problema delle vocazioni sacerdotali non può minimamente essere delegato ad alcuni “incaricati” (i sa­cerdoti in genere, i sacerdoti dei seminari in specie), per­ché, essendo un problema vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa, deve stare al centro dell’amore di ogni cristiano verso la Chiesa.

Un’altra attenzione pedagogica e pastorale viene proposta con particolare insistenza in questo preciso momento storico: la formazione di precise figure educative.

È infatti risaputa, un po’ ovunque, la debolezza e la problematicità dei luoghi pedagogici della fede, messi a dura prova dalla cultura dell’individualismo, dell’aggregazionismo spontaneo o dalla crisi delle istitu­zioni. D’altra parte, emerge soprattutto nei giovani il biso­gno di confronto, di dialogo, di punti di riferimento. I se­gnali al riguardo sono molti. C’è insomma urgenza di maestri di vita spirituale, di figure significative, capaci di evocare il mistero di Dio e disposti all’ascolto per aiutare le persone ad entrare in un serio dialogo con il Signore. Le personalità spirituali forti non sono soltanto alcune persone particolarmente dotate di carisma, ma sono il risultato di una formazione particolarmente attenta al primato assoluto dello Spirito. Nella cura delle figure educative delle nostre comuni­tà, due attenzioni vanno sapientemente tenute presenti: da una parte si tratta di rendere esplicita e vigile la coscienza educativa vocazionale in tutte quelle persone che sono già chiamate ad operare nella comunità accanto ai ragazzi e ai giovani (sacerdoti, religiosi e laici); dall’altra va accurata­mente incoraggiata e formata la ministerialità educativa della donna, perché sia soprattutto accanto alle giovani una figura di riferimento e una guida sapiente. Di fatto la donna è ampiamente presente nelle comunità cristiane e sono ri­sapute le capacità intuitive del “genio femminile” e la grande esperienza della donna in campo educativo (famiglia, scuo­la, gruppi, comunità). L’apporto della donna è da ritenersi assai prezioso, per non dire decisivo, soprattutto nell’ambito del mondo gio­vanile femminile, non riducibile a quello maschile, perché bisognoso di una riflessione più attenta e specifica, soprat­tutto sul versante vocazionale.

Forse anche questo fa parte di quella svolta che carat­terizza la pastorale vocazionale. Mentre in passato anche le vocazioni femminili scaturivano da figure significative di padri spirituali, autentiche guide di persone e di comunità, oggi le vocazioni al “femminile” hanno bisogno di riferi­mento a figure femminili, personali e comunitarie, capaci di dare concretezza alla proposta di modelli, oltre che di valori.

 

 

DAL MAGISTERO DEI VESCOVI ITALIANI

Molti piani pastorali diocesani, moltissimi piani spe­cifici per le vocazioni testimoniano una crescente attenzio­ne dei Vescovi e delle loro Chiese particolari al problema delle vocazioni. Afferma, infatti, il Concilio: “Come inca­ricati di condurre alla perfezione, i Vescovi si studino di far avanzare nella via della santità i loro sacerdoti, i religiosi e i laici secondo la particolare vocazione di ciascuno, ricor­dandosi di essere tenuti per primi a dare l’esempio della santità, nella carità, nell’umiltà e nella semplicità della vita. Conducano le chiese loro affidate a tale punto di santità, che in esse risplenda pienamente il senso della Chiesa uni­versale di Cristo. Di conseguenza cerchino di incrementa­re il più possibile le vocazioni sacerdotali e religiose, in modo particolare quelle missionarie”.

È essenziale che i Vescovi si adoperino affinché le Chiese particolari ad essi affidate si qualifichino per una preghiera incessante per le vocazioni e per una presenza incisiva della dimensione vocazionale nella pastorale d’insieme.

La loro funzione è centrale ed insostituibile in ragione del loro stesso ministero. Il Concilio afferma: «spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori alla fede, di curare che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica».

Ed ancora: «È una funzione che fa parte della loro stessa missione sacerdotale, in virtù della quale il presbitero par­tecipa della sollecitudine della Chiesa intera affinché nel popolo di Dio qui sulla terra non manchino mai gli operai». Tale impegno di cura delle vocazioni è dunque motivato dalla spiritualità propria dell’identità presbiterale. Una spi­ritualità che, vedendo nella nascita e maturazione delle vo­cazioni un aspetto peculiare della fecondità pastorale, con­duce il presbitero ad una preghiera incessante per le voca­zioni, ad una testimonianza gioiosa e ad un impegno parti­colare nella proposta, nel discernimento, nell’accompagnamento.

I diaconi, partecipando al sacramento dell’Ordine e quindi del ministero apostolico, condividono con il Vescovo e i presbiteri – secondo la modalità propria del loro carisma specifico – il compito di animazione delle comu­nità cristiane e di annuncio del Vangelo ad ogni creatura.

Secondo il “Motu proprio” Ad pascendo, il diacono è «animatore del servizio», ossia della diaconia della Chiesa presso le comunità cristiane locali, segno e sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito ma per servire. I diaconi, pertanto, hanno una grazia parti­colare, che deriva dal sacramento dell’Ordine, per suscita­re nei fedeli quell’atteggiamento di servizio che li rende disponibili ad accogliere con generosa apertura le grazie dello Spirito Santo e quindi le diverse vocazioni. Il loro impegno a stimolare il servizio li conduce a mettere a di­sposizione di tutti la propria casa, la propria persona, il pro­prio amore, la propria predilezione per i poveri, così da farsi strumento del Signore per suscitare in ognuno un at­teggiamento di amore e di comunione.

Per promuovere il servizio nelle diverse modalità che scaturiscono dalla valorizzazione corresponsabile dei doni dello Spirito Santo, i diaconi promuovono nelle comunità cristiane un ruolo attivo nel discernimento dei diversi carismi, e quindi nell’evidenziare le diverse vocazioni – sia gli stati di vita che i ministeri – con cui il Signore con­duce i fedeli alla salvezza e a farsi veicoli per trasmettere la salvezza ad ogni persona umana.

In questo contesto, i diaconi, operando in mezzo al Popolo di Dio, hanno una grazia particolare per coopera­re con il Vescovo, i presbiteri e gli altri responsabili al ministero delle vocazioni, mediante la preghiera, la paro­la, il consiglio e la testimonianza di una vita consacrata alla salvezza di tutti, sia nell’ambito delle comunità ec­clesiali che nell’ambito delle responsabilità familiari e pro­fessionali.

Il primo contributo che religiosi e religiose offrono alla comunità credente deriva dal loro “essere religiosi”… La loro presenza è segno di una “chiamata-risposta” ad un’esistenza radicalmente evangelica. Ne consegue l’impegno di una testimonianza coerente come fedeltà gioiosa alla voca­zione, chiarezza di vita evangelica, donazione a servizio della Chiesa e del mondo. La vita contemplativa ha un particolare valore di testimonianza e di servizio a tutte le vocazioni.

Nella Chiesa particolare il Vescovo, “primo responsa­bile delle vocazioni”, si attende dai religiosi e dalle religio­se la scelta profetica di mettersi a servizio, con persone e mezzi, della pastorale vocazionale unitaria, al fine di favo­rire opportunamente “le vocazioni locali sia per il sacerdo­zio che per la vita consacrata”. Consapevoli che nel mini­stero delle vocazioni nessuno può isolarsi e lavorare solo per la sua Istituzione, sarà necessario che i religiosi condi­vidano la programmazione unitaria diocesana e si rendano disponibili, secondo il carisma del proprio Istituto, nei ser­vizi di animazione vocazionale.

I laici consacrati negli Istituti secolari, mentre si uni­scono alla preghiera e all’azione degli altri responsabili di tutta la comunità locale, danno alla pastorale delle voca­zioni la forza della loro esperienza di armonia tra ideale evangelico e impegno nel mondo. In particolare, essi s’impegnano ad un ascolto attento delle persone tra le quali vivono, in ragione della loro secolarità, per suscitare all’interno delle situazioni concrete opportune occasioni di pro­posta vocazionale.

I membri di tali Istituti sentano il bisogno di prepararsi all’animazione vocazionale e di inserirsi maggiormente negli organismi vocazionali unitari a livello regionale e diocesano.

“La presenza dei missionari ad gentes nella Chiesa particolare assume grande valore. Essa è segno della vocazio­ne missionaria della comunità locale, è strumento e stimo­lo della sua animazione missionaria. È punto d’incontro tra le Chiese di diverse nazioni. È testimonianza viva e propo­sta concreta per i credenti, specialmente per i giovani”.

Catechisti, insegnanti, educatori, animatori laici della pastorale giovanile e vocazionale hanno una primaria im­portanza per le vocazioni. «Quanto più essi approfondisco­no il senso della propria vocazione e missione nella Chie­sa, tanto più riconoscono il valore e la necessità dei mini­steri ordinati e della vita consacrata.

Con l’esempio di una vita autenticamente cristiana, con la serietà professionale e con la testimonianza di una vera dedizione apostolica potranno incidere profondamente sui giovani. Non mancheranno, in ragione del loro ministero, di far conoscere e proporre la vita di speciale consacrazio­ne, aiuteranno tutta la comunità ad essere attenta e sensibi­le a questo dono grande del Signore.

Al fine di tenere costantemente viva la coscienza e la responsabilità di tutta la comunità cristiana per le vocazio­ni – e non certo come delega! – è forse opportuno ricono­scere il ministero di fatto dell’animatore vocazionale par­rocchiale, come servizio stabile reso nella fede da un laico, e curarne la formazione. Tale servizio, espressione anzi­tutto di una coerente testimonianza della propria vocazio­ne, offre un’attenzione permanente e un contributo specifi­co ai vari itinerari di fede ed alle iniziative pastorali della comunità parrocchiale, perché non venga mai meno la di­mensione vocazionale.

La famiglia, nella comunità cristiana, è una voca­zione particolare ed è il luogo di crescita vocazionale. Nella misura in cui cresce la coscienza vocazionale della comunità familiare diventa anche fecondo il cli­ma di fede per lo sbocciare di nuovi germi di vocazio­ne. “Se animate di spirito di fede, di carità e di pietà, le famiglie costituiscono come il primo seminario”.

“I figli mediante l’educazione, devono venire for­mati in modo che, giunti alla loro maturità, possano seguire con pieno senso di responsabilità la loro vo­cazione, compresa quella sacra”.

La famiglia realizza questo suo compito innanzitutto col creare un clima di fede e di amore; con la testimonianza di una dedizione operosa alla Chiesa e alla società, secondo il ministero specifico della famiglia; con un’educazione alla fede, alla pre­ghiera e al servizio, che aiuti le nuove generazioni nella fedeltà e nella coerenza del Vangelo, pur viven­do in contesti culturali e sociali secolarizzati.

I genitori avranno particolare attenzione a parte­cipare coi figli all’Eucaristia e agli altri Sacramenti; a creare in famiglia momenti di preghiera; ad assicu­rare loro una buona catechesi; a coinvolgerli volen­tieri nelle loro attività formative e apostoliche. Parti­colarmente prezioso sarà un atteggiamento di apertu­ra e di fraterna amicizia nei confronti dei presbiteri e degli altri consacrati. Qualora il Signore volesse chia­mare alla vita consacrata uno o più figli, i genitori saranno coerenti con la scelta cristiana, manifestando gioia, serenità, impegno di aiuto, prudenza e genero­sità.

Nel contesto italiano attuale non è da sottovaluta­re l’impegno che i genitori metteranno nell’assicurare ai loro figli un’educazione religiosa e vocazionale nella scuola.

Nella Chiesa sono fioriti numerosi gruppi, movimenti, associazioni e comunità ecclesiali di base. Tali esperienze comunitarie non hanno per lo più una specifica finalità in ordine alle vocazioni consacrate, ma si stanno rivelando un campo particolarmente fertile per la manifestazione di vocazioni consacrate, veri e propri luoghi di proposta e crescita vocazionale. Essi assolvono il ruolo insostituibile del «grup­po» per la crescita nella fede e nella ricerca vocazionale, sostenuta dall’accompagnamento indivi­duale e personalizzato della direzione spirituale. Perché siano veri e propri luoghi di crescita vocazionale, specialmente delle giovani generazioni, tali gruppi, movimenti, associazioni e comunità ec­clesiali di base devono presentare una forte capacità di educazione alla preghiera, all’ascolto metodico del­la Parola di Dio, ad una profonda esperienza sacra­mentale e al servizio, unitamente ad una chiara fede nella Chiesa, un’abituale apertura missionaria ai bi­sogni della comunità e del mondo ed una cosciente appartenenza alla comunità parrocchiale e diocesana. Sono tre dunque le fondamentali condizioni perché un gruppo riesca a maturare vocazionalmente delle per­sone: il clima di fede che lo anima, alimentato dalla Parola il Dio che diventa preghiera; la sua passione missionaria, come concreta consapevolezza che esi­ste una Chiesa locale e come attenzione ai problemi dell’uomo (vicino e lontano); la presenza di una gui­da spirituale matura.

 

 

ECCO CHE COSA TI È STATO CHIESTO!

L’azione del CDV, per raggiungere l’obiettivo e percorrere le vie appena abbozzate, non può prescindere dal contributo insostituibile di persone e di comunità che di fatto facciano risuo­nare la chiamata di Dio e si facciano concretamente educatori della risposta. Al CDV il compito di identificare, contattare, formare, animare e sostenere tutte le componenti della Diocesi, perché sap­piano fare la loro parte nella pastorale vocazionale.

Le dimensioni in gioco, nelle quali collocare tale concreta identificazione, possono ricondursi alle seguenti: diocesana, zonale, parrocchiale.

Alcune presenze, non immediatamente riconducibili alla strut­tura diocesana, sono ugualmente da coinvolgere come essenziali all’azione in Diocesi: le aggregazioni laicali, le congregazioni re­ligiose, gli istituti di vita consacrata.

La dimensione diocesana consegna all’azione del CDV due importanti ordini di interlocutori: gli organismi di comunione e di partecipazione (consigli, consuete, conferenze) e gli organismi esecutivi (Uffici diocesani dei vari settori pastorali).

La dimensione zonale (decanati, foranie, zone pastorali) pre­vede un Vicario foraneo, un Consiglio, una serie di iniziative.

La dimensione parrocchiale, nella sua completezza e capillarità, offre uno spazio particolarmente prezioso: il Parroco e l’animatore vocazionale parrocchiale saranno i soggetti per un dialogo costante e fecondo.

Le congregazioni religiose, gli istituti di vita consacrata e le aggregazioni laicali, ordinariamente molto sensibili alla tematica vocazionale, vanno identificati e contattati tanto singolarmente quanto con i responsabili che essi hanno a livello diocesano.

 

 

L’ESPERIENZA INSEGNA

Ormai l’esperienza ci ha largamente insegnato che anche il miglior progetto di pastorale vocazionale, se non è supportato dagli operatori che – onorando le rispettive responsabilità – danno le “gambe” alle idee, non sortisce i risultati sperati.

D’altra parte è impossibile registrare quanto l’esperienza ci offre sull’argomento.  Quanto di meglio e di più concreto l’esperienza ci ha offerto ha finito per essere raccolto proprio negli orien­tamenti operativi del Piano Pastorale per le Vocazioni.

Citando il Magistero dei Vescovi, abbiamo già trovato le in­dicazioni di fondo. Proseguendo nella lettura completa dei nn. 31-39, le indicazioni pratiche che vi si trovano sembrano al mo­mento insuperate. Le differenze – spesso molto profonde – esi­stenti tra le varie diocesi italiane, obbligheranno i Direttori dei CDV a muoversi all’interno della propria Diocesi, utilizzando tali orientamenti come piste operative da realizzare secondo le possi­bilità e le opportunità proprie di ogni Chiesa locale.