N.01
Gennaio/Febbraio 2008

«Corro la via del tuo amore»: riflessioni sul tema

Con il tema di quest’anno si conclude una trilogia iniziata due anni fa Dopo aver riflettuto nel 2006 su La vocazione al servizio della Chiesa mistero e nel 2007 su La vocazione al servizio della Chiesa comunione, siamo chiamati ora, in sintonia con il Messaggio del Papa, a fermare la nostra attenzione su La vocazione al servizio della Chiesa missione. Come si può notare, questi tre temi – mistero, comunione e missione – sono così profondamente intrecciati tra loro da richiamarsi e illuminarsi reciprocamente. Costituiscono, infatti, le tre note caratteristiche della Chiesa e, in essa, di ogni vocazione. Pertanto, solo se considerati nella loro circolarità vitale possono permettere una comprensione completa e “tridimensionale” della vocazione: la sua origine nel mistero d’amore della Trinità, il suo contesto vitale nella comunione ecclesiale, la sua missione nel favorire, con la testimonianza di vita dei chiamati, l’incontro dei fratelli con Cristo. Vocazione e missione sono, dunque, due realtà inscindibili: «Ogni vocazione, infatti, in rapporto al mondo, è missione. È vita vissuta in pienezza perché vissuta per gli altri, come quella di Gesù, e dunque generatrice di vita: “la vita genera la vita”. Di qui l’intrinseca partecipazione di ogni vocazione all’apostolato e alla missione della Chiesa, germe del Regno. Vocazione e missione costituiscono due facce dello stesso prisma. Definiscono il dono e il contributo di ciascuno al progetto di Dio, a immagine e somiglianza di Gesù»[1]. Il rilievo che si vuol dare quest’anno all’intrinseca dimensione missionaria di ogni vocazione cristiana, oltre che essere parte integrante dell’annuncio e dell’accompagnamento vocazionale, ben s’inserisce nel cammino che le Chiese che sono in Italia stanno facendo in questo primo decennio del Duemila. Un cammino avviato dagli Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, approfondito dalla Nota pastorale Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, verificato nel IV Convegno ecclesiale di Verona Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, e rilanciato dalla Nota pastorale dopo il Convegno Rigenerati da una speranza viva: testimoni del grande “sì” di Dio agli uomini. Un cammino che si è proposto fin dall’inizio di dare alla vita quotidiana della Chiesa una chiara connotazione missionaria, fondata su un forte impegno formativo e su una più adeguata comunicazione del mistero di Dio, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera.

 

Corro…

Il Centro Nazionale Vocazioni ha pensato di sintetizzare tutta la ricchezza contenuta nel tema proposto per questa GMPV con questo slogan: Corro per la via del tuo amore. Un’espressione, questa, che rievoca immediatamente il versetto del Salmo 118: “Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore” (v. 32). Questo slogan dice subito, parlando della dimensione missionaria di ogni vocazione, che si desidera porre l’accento sull’amore, che ha la sua sorgente nel mistero della Trinità e chiede di essere testimoniato da ogni chiamato. Tutti siamo chiamati a correre per le strade del mondo –com’è espresso in modo chiaro dal Manifesto – per annunciare il Vangelo, ma è l’amore che ci mette in moto. “Io ho corso nella via dei tuoi comandamenti – dice – quando tu dilatasti il mio cuore. Non dunque in forza del mio libero arbitrio, il quale sarebbe stato, per così dire, autosufficiente e non bisognoso del tuo soccorso, ma quando tu dilatasti il mio cuore. […] e questo è un dono di Dio, mediante il quale camminiamo nei suoi precetti non compressi dal timore, ma dilatati dall’amore”[2]. Nulla, allora, anche ciò che apparentemente può sembrare gravoso e difficile, può arrestare la nostra corsa, perché l’amore tutto trasforma in «dolcezza ed esclamiamo con il salmista: “Ho corso per la via dei tuoi comandamenti, da quando hai dilatato il mio cuore”. C’è soltanto la carità che può dilatare il mio cuore, o Gesù! Da quando questa dolce fiamma lo consuma, corro con gioia nella via del tuo comandamento nuovo! Voglio correre in essa fino al giorno beato in cui, unendomi al corteo verginale, potrò seguirti negli spazi infiniti, cantando il tuo cantico nuovo, che dovrà essere quello dell’Amore»[3].

 

Solo l’esperienza di sentirsi amati personalmente da Dio può mettere le ali ai piedi e farci correre per le strade del mondo a condividere con ogni fratello la gioia di quest’incontro. “Colui che ama vola, corre e gioisce, è libero e non è trattenuto da nulla”[4]. Anche se la via per la quale il cristiano è chiamato a correre è stretta, tuttavia non si perde d’animo, perché è continuamente sospinto dall’amore per Cristo: su questa via, “per quanto sia stretta, non corre se non chi ha largo il cuore”[5].

Come la Vergine Maria, dopo l’annuncio della sua maternità, “in fretta” si mette in viaggio per raggiungere sua cugina Elisabetta, come la Maddalena “corre” ad annunziare agli Apostoli che il sepolcro è vuoto, come Pietro e Giovanni “corrono” al sepolcro, così il cristiano, se veramente ha incontrato il Cristo, non può più star fermo. Non può tenere per sé la Parola di vita: di questa Parola egli si sente debitore nei confronti di ogni uomo. Come Paolo, egli sente che la carità lo rende responsabile: “guai a me se non predicassi il vangelo!” (1Cor 9,16). “Chi ama corre, e la corsa è tanto più alacre quanto più è profondo l’amore. A un amore debole corrisponde un cammino lento e se addirittura manca l’amore, ecco che uno si arresta sulla via”[6].

Se è vero che lo slogan nella sua formulazione letterale rimanda immediatamente al Salmo 118, la sua ideazione si richiama anche ad un’altra pagina biblica:

Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù (Gv 1, 40–42).

In questi versetti, come in quelli immediatamente seguenti, l’apostolo Giovanni ci fa assistere a tanti incontri, come in una corsa a staffetta, con un continuo passaggio di testimone. I personaggi s’incontrano e, passandosi il testimone, in qualche modo, dicono tutti la stessa cosa: abbiamo trovato… venite e vedete. Non sono solo loro che viaggiano, ma attraverso di loro è la Parola che fa la sua corsa (cf At 12,24). Ciò che dà il via a questa sorta di corsa a staffetta è l’incontro con Cristo, dal quale tutto ha origine. Senza quest’incontro ognuno resterebbe tristemente immobile, ma neppure il Vangelo potrebbe prendere vita. Siamo al cuore della vita e della testimonianza cristiana: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”[7]. Per il cristiano, dunque, la missione ha un cuore che pulsa e dal quale egli può attingere quel dinamismo che gli trasforma la vita e lo rende “contagioso”: l’incontro con il Risorto. È questo il “cuore del Cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano”[8].

“Nota essenziale della spiritualità missionaria – affermava Giovanni Paolo II – è la comunione intima con Cristo”[9]. E il documento Nuove Vocazioni per una Nuova Europa osserva: “la vita cristiana, per essere vissuta in pienezza, nella dimensione del dono e della missione, ha bisogno di motivazioni forti e soprattutto di comunione profonda con il Signore: nell’ascolto, nel dialogo, nella preghiera, nella interiorizzazione dei sentimenti, nel lasciarsi ogni giorno formare da lui e soprattutto nel desiderio ardente di comunicare al mondo la vita del Padre”[10].

 

… per la via…

Non è sufficiente essere per via: anche le pietre miliari e i segnali stradali sono per via, ma non si muovono di un millimetro, perché sono affossati nel terreno. È necessario, pertanto, che coloro che si sono lasciati conquistare dall’amore di Dio corrano con perseveranza nella corsa che sta loro davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù (cf Eb 12, 1-2). Per questo non bisogna sentirsi mai del tutto arrivati, ma sempre in corsa, rendendosi sempre più disponibili a lasciarsi coinvolgere totalmente e permanentemente dall’amore. “È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza. L’incontro con le manifestazioni visibili dell’amore di Dio può suscitare in noi il sentimento della gioia, che nasce dall’esperienza dell’essere amati. Ma tale incontro chiama in causa anche la nostra volontà ed il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore. Questo, però, è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai concluso e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso”[11].

Si corre, dunque, non solo per evangelizzare, ma anche perché avvertiamo il profondo bisogno di essere continuamente evangelizzati. “La missione – ricordava Giovanni Paolo II – rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola”[12]. La fede, come l’amore, o cresce oppure muore lentamente. Ogni chiamato sperimenta di non dover solo donare con generosità, ma anche ricevere con umiltà e questo lo pone continuamente in cammino, evitando così quell’inerzia post decisionale, che segna l’abbandono dell’“amore di prima” (cf Ap 2,4). Al contrario, “quanto più progredisce, tanto più si apre il cammino davanti a lui, prospettando un orizzonte che si perde nell’immensità”[13]. Sì, è proprio vero, come recita un proverbio latino-americano: “camminando, s’apre il cammino”. Non stupisce, allora, il constatare che i primi cristiani sono chiamati i “discepoli della via” (At 9,2), non solo perché seguono il Cristo che si è definito “la Via”, ma anche perché non si può essere autentici suoi discepoli se non mettendosi alla sua sequela: in cammino, appunto.

Bisogna correre per la via, ma attenti a non identificarci con quanto affermava uno dei capostipiti dei poeti on the road, Jack Kerouac: “dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare”. Si può anche correre senza sosta, ma se lo si fa su una via sbagliata, si corre invano. È indispensabile, pertanto, verificare non solo se stiamo camminando, ma anche se siamo sulla via giusta, perché “uno zoppo sulla via va avanti meglio di chi corre fuori strada”[14].

Qual è, allora, la via su cui dobbiamo correre? «La via è Cristo. […]Chiedigli dove devi andare; ti risponderà: “Vieni a me”. Chiedigli per quale via devi andare; ti risponderà: “Attraverso me”. Egli infatti è rimasto la meta dove dobbiamo andare, ed è venuto per essere la via per cui andare»[15]. Il protagonista della missione non è il cristiano, ma il Cristo e la potenza del suo santo Spirito. “La spiritualità cristiana, infatti, a differenza di uno spiritualismo disincarnato, è lasciare che il Signore operi nella nostra vita quotidiana e la trasformi con la forza travolgente del suo amore”[16].

Qual è il segreto per non sbagliare strada? Non camminare da soli. Portare Cristo con noi, ma, soprattutto, lasciarci portare da lui. Con la stessa umiltà di quell’asino che ha portato Gesù a Gerusalemme, lasciandosi guidare da lui: “Camminate tranquilli! Con un guidatore di tale sorta non andrete fuori strada: egli è la via che conduce alla Gerusalemme celeste”[17]. Il Cristo non è come i grandi maestri che si limitano ad indicare la via: egli desidera che i suoi discepoli condividano la sua stessa vita e abbiano gli stessi suoi sentimenti. Per questo la missione non può ridursi a propaganda o al semplice insegnamento di una dottrina. No! La vita cristiana è “vita in Cristo” e la missione non può che essere testimonianza di questa novità di vita. “Pigro, alzati! La via stessa è venuta da te, per svegliare dal sonno te che dormivi; e se egli ti ha svegliato, alzati e cammina”[18].

Saremo capaci di abbandonare le nostre vie e di incamminarci per la via del suo amore? Chiediamo questo dono con le parole di J.H. Newman:

“Guidami, dolce Luce,

in mezzo alle tenebre:

guidami innanzi.

La notte è cupa e io sono lontano da casa.

Ti invoco, guidami! Veglia sul mio cammino.

Non ti chiedo di vedere l’orizzonte lontano,

un solo passo mi basta.

Non fui sempre così,

né sempre pregavo che tu mi guidassi.

Amavo scegliere io stesso la via da percorrere.

Ma, ora, t’invoco, guidami tu!

Amavo il sole splendente e mi guidava l’orgoglio.

Non ricordare i giorni passati!

Sono certo, Amore, che mi guiderai

per lande e paludi, rocce e torrenti,

fino a quando il giorno riapparirà.

Al mattino si affacceranno i volti degli angeli

a lungo amati ma che più non vedo”.

 

Ma la strada sulla quale siamo chiamati a correre è, potremmo dire, a doppio senso: non solo ci conduce a Cristo, ma da lui ci riporta, poi, all’incontro con l’uomo. “Quest’uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa, perché l’uomo – ogni uomo, senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché con l’uomo – ciascun uomo, senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole”[19]. Per questo non possiamo camminare da soli: siamo in un certo senso responsabili di chi il Signore pone sul nostro cammino: “Se riconoscete di essere avanzati nella via della salvezza, trascinate anche gli altri con voi. Desiderate sempre di avere intorno a voi dei compagni di viaggio sulla strada che conduce a Dio. […] Chi cioè ha già accolto nel suo intimo la voce dell’amore divino, la deve far risuonare anche esteriormente, tra il prossimo, con parole edificanti. […] Fratelli, non negate dunque al vostro prossimo il dono di una parola edificante!”[20]. Il Vangelo va annunziato ad ogni uomo, a tutto l’uomo!

 

 … del tuo amore

Dove ci conduce la via per la quale dobbiamo correre? Ad imitare il Cristo che per amore nostro giunse fino alla spoliazione totale di sé. «Si tratta di un annientamento, che però è permeato di amore ed esprime l’amore. La missione percorre questa stessa via ed ha il suo punto di arrivo ai piedi della croce. Al missionario è chiesto “di rinunziare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a tutti”: nella povertà che lo rende libero per il vangelo, nel distacco da persone e beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è mandato, onde portare a essi il Cristo salvatore. È a questo che è finalizzata la spiritualità del missionario: “Mi sono fatto debole con i deboli…; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo…” (1Cor 9,22)»[21].

Non c’è solo, dunque, la via che ha condotto Cristo alla croce. C’è anche un’altra via: quella che dalla croce conduce il cristiano a non vivere più per se stesso: è la via del suo amore. «La croce è diventata la suprema cattedra per la rivelazione della sua nascosta e imprevedibile identità: il volto dell’amore che si dona e che salva l’uomo condividendone in tutto la condizione, “escluso il peccato” (Eb 4,15). La Chiesa non lo dovrà mai dimenticare: sarà questa la sua strada a servizio dell’amore e della rivelazione di Dio agli uomini»[22]. Per questo la via che Cristo ha percorso è, sì, Via Crucis, perché lo ha condotto alla morte, ma è contemporaneamente Via Lucis, perché capace di sconfiggere le tenebre del peccato che si addensano minacciose sull’orizzonte dell’umanità, e anche Via Amoris, che attraversa tutta la terra ricordandoci che più forte della morte e del male è l’amore. Nella vita di ogni chiamato, la croce non è un incidente di percorso, ma punto “cruciale”, che dà senso e valore a tutta l’esistenza: è di lì che si deve partire, se si vuole comprendere il senso della vita; è lì che bisogna tornare, per verificare e purificare il modo di amare; è lì che è necessario arrivare se, come Cristo, si vuole fare della propria vita un dono totale. “La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo”[23]: è questa la nostra vocazione e la nostra missione.

 

La Chiesa –e, in essa, ogni vocazione –nasce dall’amore e non può vivere che d’amore: “dal costato morente di Cristo è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa”[24]. La croce è la sorgente dalla quale fluisce la vita della Chiesa ed allo stesso tempo è talamo nuziale, dove lo Sposo dona la vita per la sua Sposa, per renderla santa ed immacolata e formare con essa un solo Corpo. Sulla croce Cristo, come vera Vite, dà la vita alla Chiesa, ed essa non può fare frutti di carità se non è unita al tronco. Così sottolineava Von Balthasar, a proposito di quest’intima relazione di Cristo con la sua Chiesa: “Ogni sia pur tenue indipendenza dei tralci rispetto al tronco rappresenterebbe l’inizio del dissecarsi e del venir gettato nel fuoco. Niente c’è di fertile nei tralci che non provenga dal tronco”[25]. È a partire dalla contemplazione del Crocifisso che il chiamato trova la via del suo vivere e del suo amare. Fin dal Battesimo siamo rinati a questa “novità di vita”. L’esistenza cristiana consiste, infatti, nel progredire sulla via dell’amore, consapevoli che esso, prima che essere il frutto del nostro impegno, è innanzitutto dono che viene dall’alto: “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Avendo ricevuto lo Spirito, il discepolo di Cristo è chiamato a porsi al servizio dei fratelli, nella Chiesa, nella famiglia, nella professione, in ogni ambiente di vita. «Il missionario è l’uomo della carità: per poter annunziare ad ogni fratello che è amato da Dio e che può lui stesso amare, egli deve testimoniare la carità verso tutti, spendendo la vita per il prossimo. Il missionario è il “fratello universale”, porta in sé lo spirito della Chiesa, la sua apertura e interesse per tutti i popoli e per tutti gli uomini, specie i più piccoli e poveri. Come tale, supera le frontiere e le divisioni di razza, casta o ideologia: è segno dell’amore di Dio nel mondo, che è amore senza nessuna esclusione né preferenza»[26].

Questa disponibilità a lasciarsi “infuocare” e condurre dall’amore dovunque voglia è in un certo senso la continuazione del Battesimo e della Cresima. Questa è la via della felicità e della santità: progredire nell’amore verso Dio e verso i fratelli. Chi ama non fa calcoli, non ricerca vantaggi; agisce nel segreto e gratuitamente per i fratelli, sapendo che ogni uomo, chiunque esso sia, ha un valore infinito, perché amato da Dio. La missione non è, pertanto, originata da un giudizio negativo sul mondo e su questi nostri tempi. Sgorga, al contrario, dall’amore di Dio per ogni uomo ed è espressione dell’amore della Chiesa per tutta l’umanità. La missione, che deve caratterizzare ogni chiamato, deve essere segnata in una maniera forte dall’amore verso gli uomini e deve essere rivelatrice di tale amore. C’è, dunque, una sola via da percorrere nella missione; una via che non segue i criteri dell’efficienza umana, ma è semplice, umile, non fa chiasso, non schiaccia, non s’impone, sa attendere pazientemente e, pur diffondendosi in modo soave e delicato, produce nell’ambiente un’impronta potente ed innovatrice: la via dell’amore. “Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale”[27].

È soprattutto nell’Eucaristia che ogni chiamato s’incontra con questa novità radicale: l’amore di Dio, sorgente e anima della missione. “Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l’uomo può – come ci dice il Signore – diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cf Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio (cf Gv 19, 34)”[28]. Nell’Eucaristia Cristo continua a donare la sua vita per la vita degli uomini. E dal sacramento dell’altare egli continua a provocarci perché ci arrendiamo al suo amore, alle sue esigenze alte che indicano la via della gioia vera. Egli continua ad invitarci alla mensa eucaristica perché percorriamo con lui – con la grazia del suo Spirito – “la via del dono, del farci dono come egli si è fatto dono per il mondo, fino all’altare supremo della croce. Non c’è altra via! Non ci sono vie alternative per seguire Gesù: il discepolo non può essere più del Maestro! È la via del dono di noi stessi nel rapporto con la vita, con gli altri, in famiglia, nello studio, nel lavoro, negli affetti. La regola d’oro non cambia: è quella dell’uscire da noi stessi, dai nostri egoismi risorgenti ogni giorno, dalle trappole della nostra libertà percepita come un assoluto, come esercizio individualistico di un diritto, senza ricordare che l’uomo è un essere sempre in relazione con gli altri, e che non esiste un nostro atto che non abbia un’eco, un riflesso sul mondo esterno di cui siamo parte e responsabili. La via del dono è la via di Cristo, l’uomo nuovo perché Figlio di Dio. È la via del Sangue sparso per amore e che, caduto nei solchi della vita, fa fiorire la terra di bontà e di bene”[29]. La fedeltà alla propria vocazione trova la sua sorgente inesauribile nell’Eucaristia e il suo criterio di verifica nell’Eucaristia della vita.

Ma dinanzi alle esigenze dell’amore siamo tentati di restare immobilizzati nelle nostre paure o di sentirci lacerati da un duplice e contrapposto dinamismo: il desiderio di lasciarci conquistare dall’amore e il timore di perdere le nostre sicurezze. “Ami? Vuoi seguire Colui che ami? Colui che tu vuoi seguire, corse, volò. Per quale via? Per tribolazioni, obbrobri, false accuse, sputi sul viso, schiaffi e battiture, corona di spine, croce, morte. Perché resti inerte? Volevi seguirlo. Eccoti rivelata la via. […] il Redentore della nostra vita, precedendoci nella via stretta e difficile, l’ha resa larga, regale, sicura e ben protetta. E tu resti ancora inerte? […] Per primo ho patito per te. Ricambia quello che hai avuto”[30]. Lasciati anche tu coinvolgere nella storia eterna dell’amore. «Chi incontra Gesù, chi si lascia da lui attrarre ed è disposto a seguirlo sino al sacrificio della vita, sperimenta personalmente, come egli ha fatto sulla croce, che solo il “chicco di grano” che cade nella terra e muore porta “molto frutto” (cf Gv 12,24). Questa è la via di Cristo, la via dell’amore totale che vince la morte: chi la percorre e “odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna” (Gv 12, 25). Vive cioè in Dio già su questa terra, attratto e trasformato dal fulgore del suo volto. Questa è l’esperienza dei veri amici di Dio, i santi, che hanno riconosciuto e amato nei fratelli, specialmente nei più poveri e bisognosi, il volto di quel Dio a lungo contemplato con amore nella preghiera. Essi sono per noi incoraggianti esempi da imitare; ci assicurano che se percorriamo con fedeltà questa via, la via dell’amore, anche noi – come canta il salmista – ci sazieremo della presenza di Dio (cf Sal 16[17],15)»[31].

 

E tu, giovane?

La missionarietà non è affare privato dei missionari “per professione”. “La Chiesa –ci ricorda il Concilio –è per sua natura missionaria”[32]. E Paolo VI affermava: “l’evangelizzazione è la grazia e la vocazione della Chiesa: essa esiste per evangelizzare”[33]. Testimoniare il vangelo dell’amore mediante una carità che evangelizza è impegno e responsabilità di tutti. Qualunque sia, infatti, la vocazione, il carisma e il ministero di ciascuno, l’amore è la via maestra indicata a tutti e che tutti possono percorrere…

 

…anche tu, giovane!

“Si può forse rimanere insensibili e tiepidi se appena si intuisce il mistero dell’amore che chiede amore? Il mistero di un Dio che si fa mendicante e stende la mano verso ogni uomo chiedendo un po’ d’amore? E non è forse vero – anche attingendo alla nostra esperienza – che se cominciamo ad arrenderci all’amore di Cristo si entra in un vortice di luce che trasforma l’orizzonte delle nostre piccole ma preziose cose quotidiane, l’orizzonte del vivere e del morire, la prospettiva e l’esito della storia umana? Le croci restano – fanno parte della vita di ognuno – ma tutto acquista luminosità perché, unito alla croce di Gesù, diventa seme di eternità e di bene. Anche noi abbiamo desiderio di Dio, anche noi vogliamo essere generosi, ma anche noi ci aspettiamo che Dio sia forte nel mondo e trasformi subito il mondo secondo le nostre idee, secondo i bisogni che noi vediamo. Dio sceglie un’altra strada. Dio sceglie la via della trasformazione dei cuori nella sofferenza e nell’umiltà. E noi, come Pietro, sempre di nuovo dobbiamo convertirci. Dobbiamo seguire Gesù e non precederlo: è lui che ci mostra la via. Così Pietro ci dice: Tu pensi di avere la ricetta e di dover trasformare il cristianesimo, ma è il Signore che conosce la strada. È il Signore che dice a me, che dice a te: seguimi! E dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di seguire Gesù, perché Egli è la Via, la Verità e la Vita”[34].

Quando la paura ti attanaglia e t’impedisce di fare scelte coraggiose sulla via del suo amore, ricorda: “Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Is 40, 30-31). Sì, è questa la via per la quale sei chiamato a correre: la via del Suo amore, la via della santità, “misura alta della vita cristiana ordinaria”[35]. Non giocare, allora, al ribasso. Se percepisci che il Signore ti chiama ad una vocazione di speciale consacrazione, lasciati conquistare dall’amore, vivi nell’amore, testimonia l’amore: non c’è altra via che possa condurti alla pienezza di vita e alla felicità autentica.

Segui l’esempio della fanciulla di Nazaret, la Vergine Maria, che dopo aver offerto la sua piena e totale disponibilità alla Parola, “in fretta” si è messa in viaggio per condividere con sua cugina la presenza del Cristo. «Che cosa ha spinto Maria, giovane ragazza, ad affrontare quel viaggio? La risposta sta scritta in un Salmo: “Corro per la via dei tuoi comandamenti, [Signore,] / perché hai dilatato il mio cuore” (Sal 118,32). Lo Spirito Santo, che rese presente il Figlio di Dio nella carne di Maria, dilatò il suo cuore alle dimensioni di quello di Dio e la spinse sulla via della carità. La Visitazione di Maria si comprende alla luce dell’evento che immediatamente precede nel racconto del Vangelo di Luca: l’annuncio dell’Angelo e il concepimento di Gesù ad opera dello Spirito Santo. Lo Spirito scese sulla Vergine, la potenza dell’Altissimo stese su di Lei la sua ombra (cf Lc 1,35). Quello stesso Spirito la spinse ad “alzarsi” e a partire senza indugio (cf Lc 1,39), per essere di aiuto all’anziana parente. Gesù ha appena incominciato a formarsi nel seno di Maria, ma il suo Spirito ha già riempito il cuore di lei, così che la Madre inizia già a seguire il Figlio divino: sulla via che dalla Galilea conduce in Giudea è lo stesso Gesù a “spingere” Maria, infondendole lo slancio generoso di andare incontro al prossimo che ha bisogno, il coraggio di non mettere avanti le proprie legittime esigenze, le difficoltà, le preoccupazioni, i pericoli per la sua stessa vita. È Gesù che l’aiuta a superare tutto lasciandosi guidare dalla fede che opera mediante la carità (cf Gal 5,6). […] Ogni gesto di amore genuino, anche il più piccolo, contiene in sé una scintilla del mistero infinito di Dio: lo sguardo di attenzione al fratello, il farsi vicino a lui, la condivisione del suo bisogno, la cura delle sue ferite, la responsabilità per il suo futuro, tutto, fin nei minimi dettagli, diventa “teologale” quando è animato dallo Spirito di Cristo. Ci ottenga Maria il dono di saper amare come lei ha saputo amare»[36].

Spalanca anche tu la tua vita, come una barca a vela, e lasciati condurre dallo Spirito per le vie del mondo, per essere testimone del suo amore!

 

 

 

Note

[1] NVNE, 19/c.

[2] S. AGOSTINO, Sul Salmo 118, Discorso 8, 6.

[3] S. TERESA DEL BAMBINO GESÙ, Storia di un’anima, 297.

[4] Imitazione di Cristo, libro III, cap. 5.

[5] S. AGOSTINO, Op. cit., 5.

[6] S. AGOSTINO, Discorso 346, 2.

[7] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 1.

[8] BENEDETTO XVI, Omelia alla Messa nello stadio comunale di Verona, 19 ottobre 2006.

[9] GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Missio, 88.

[10] NVNE, 17/c.

[11] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 17.

[12] GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio,2.

[13] ORIGENE, Omelia XVII, In Numeros, GCS VII, 159-160.

[14] S. AGOSTINO, Sermo 169, 15.18.

[15] S. AGOSTINO, Discorso 360/C, 4.

[16] CEI, Nota pastorale dopo Verona, 5.

[17] S. AGOSTINO, Discorso 204/A.

[18] S. AGOSTINO, Commento al Vangelo di san Giovanni, 34,9.

[19] GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 14.

[20] GREGORIO MAGNO, Omelia per la II domenica di Avvento.

[21] GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 88.

[22] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 14.

[23] BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 39.

[24] Sacrosanctum Concilium, n. 5.

[25] H. U. VON BALTHASAR, Sponsa Verbi. Saggi teologici, p. 142.

[26] GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 89.

[27] BENEDETTO XVI, Sacramentum caritatis, 85.

[28] IDEM, Deus caritas est, 7.

[29] BRUNO FORTE, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Cinisello Balsamo, Paoline, 1988, p. 151.

[30] S. AGOSTINO, Discorso 345,6.

[31] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione della visita al Santuario del Volto Santo a Manoppello, 1 settembre 2006.

[32] CONCILIO VATICANO II, Ad gentes, 2.

[33] PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 14.

[34] BENEDETTO XVI, Catechesi del 17 maggio 2006.

[35] GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 31.

[36] BENEDETTO XVI, Omelia del 31 maggio 2007 alla grotta di Lourdes in Vaticano.