N.01
Gennaio/Febbraio 2008

La corsa del chiamato con il cuore dilatato da Dio

Lo slogan della GMP per le Vocazioni di quest’anno, “Corro per la via del tuo amore”, riprende, parafrasandolo leggermente, il testo del Sal 119 [118 nella numerazione ebraica], 32.

 

 

Il Salmo 119: un inno di amore a Dio che si manifesta nella sua Parola

Il versetto è parte del Salmo 119, il più lungo del salterio (176 vv.). Un salmo acrostico in cui ogni strofa di 8 versi è indicata con una lettera dell’alfabeto ebraico (22 lettere). La natura del componimento, che ingloba diverse forme letterarie di salmo (supplica, confessione di fiducia, lode, rendimento di grazie), è tipicamente sapienziale, come si evince dal vocabolario utilizzato. Il procedimento, ben noto nel mondo orientale, era diretto a rendere più facile l’assimilazione sul piano pedagogico e mnemotecnico.

La struttura circolare vede il ripetersi di otto termini sinonimi della tradizione legislativa (Tôrah, legge; dabar, parola; ‘edâh/‘edut, testimonianza;mispat, giudizio; ‘imar, detto; Hôq, decreto; piqqûdim, precetti; miswah, ordine), ma va oltre ogni tono nomistico per comunicare in modo appassionato l’amore alla Parola di Dio che rivela l’amore stesso di Dio per l’uomo. Tale ripetitività, nel variare della disposizione dei termini, provoca una sorta di approfondimento e di crescendo semantico.

 

È chiaro, pertanto, che si possa iniziare a leggerlo dall’inizio, dalla fine o spaccarlo al centro o isolare una sola strofa. In ogni caso vi troveremo la stessa sostanza: l’amore verso la legge di Dio. Poiché tale atteggiamento può non avere mai fine, anche le forme che lo celebrano possono essere infinite.

La legge di Dio è l’oggetto della conoscenza (vv. 97-100), la via che si impara è quella della vita (vv. 9-16), coloro che la apprendono sono i servi di Dio (vv.17.23.124s), l’aula di studio è la creazione (vv. 89-91), il maestro è Dio stesso (vv. 33-39).

La legge provoca gioia e sofferenza, la devozione verso di essa suscita lode, non senza tribolazione. L’orante la cerca e sa il senso di questa ricerca. In tal modo il salmo, mentre offre un’elaborata presentazione della Parola di Dio espressa in modo eminente nella Tôrah, nello stesso tempo è lo specchio del fedele[1] ed infine ripropone la cifra della relazione tra Dio che si comunica nella sua Parola e colui che lo cerca con tutto il cuore.

La prima impressione che la lettura di questo testo procura nel lettore di oggi – non lo si può negare – è quasi di noia, dovuta ad un senso di artificioso, che suona lontano dalla freschezza di altri passi del salterio. Ma proprio questo suo carattere complesso e denso, se ci si lascia catturare dal suo gioco letterario, avviluppa l’animo del cercatore di Dio nella fitta rete delle relazioni all’insegna dell’amore.

Probabilmente il salmo è nato al tempo di Esdra e Neemia (V – IV sec. a C.), periodo in cui si ebbe la piena stesura del Libro della Legge e la sua valorizzazione (cf Esd 9,11). L’ambiente originario può essere ben individuato nella casa di istruzione di cui parla Sir (51,23),in cui si imparava l’arte della preghiera e della vita[2]. Qualcuno ha ipotizzato un’utilizzazione in un contesto come quello della festa delle settimane, che celebrava il dono della legge sul Sinai[3]. Nel giudaismo finì però con l’assumere sempre più un carattere di sintesi della rivelazione, alla stregua del Pentateuco.

Dopo la caduta del tempio, la Legge diventa il tutto dell’esperienza di fede del lettore, che la applica dall’A alla Z, in tutto “l’alfabeto della vita”. Un discepolo di Hillel, Ben Bagh[4] soleva dire:

“Volgila o rivolgila perché tutto è nella Torah: considerala, invecchia e consumati su di essa, ma non te ne allontanare perché non c’è per te niente di meglio”.

Nella Torah, nella Parola di Dio, c’è tutto quello che serve all’uomo di Dio per il suo cammino nel mondo.

La strofa di Dalet, può essere così strutturata[5]:

25a la mia gola aderisce alla polvere

25b Fammi vivere secondo la tua parola

26a Le mie vie ti ho esposto e mi hai risposto

27a Fammi conoscere la via dei tuoi precetti

27b e io mediterò le tue meraviglie

28a La mia gola si strugge dalla tristezza

28b sollevami secondo la tua parola

29a la via di menzogna tieni lontano da me

29c per la tua grazia, abbi pietà di me

30a la via di fedeltà ho scelto.

30b I tuoi giudizi ho posto dinanzi a me

31a ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore

31b che io non debba vergognarmi

32a Corro la via dei tuoi comandi

32b perché hai dilatato il mio cuore.

Al centro vi è di fatto un chiasmo, che fa emergere anche nella disposizione retorica l’interesse profondo dell’orante:

A dbq (attaccarsi)… derek (vie) vv. 25-26

B derek (via, vv 27-28)

B derek (via, vv. 29.-30a)

A dbq (attaccarsi)… derek (via) vv. 30b-32 Da ciò risulta, come ha ben affermato il grande A. Schoekel, che: “La lettera D sventaglia una raffica di vie[6]”: infatti la parola-chiave è “via”.

Nella parte A l’autore pone l’accento sulla sua condizione di miseria e mostra come si trova incamminato su sentieri negativi (vv. 25-26a), ma nello stesso tempo risulta anche attaccato alla Parola di Dio e instradato per cammini morali e spirituali (vv. 31-32).

La parte centrale pone l’accento sul cammino di Dio e quello antinomico della menzogna. Si tratta di scegliere tra un cammino di fedeltà ed un cammino di falsità e alla fine l’orante opta per la via della fedeltà. In particolare, i vv. 25-28 hanno una struttura concentrica in cui in definitiva al centro vi è il desiderio di comprendere le vie divine che permettono di uscire da una condizione di limite.

Nei vv. 29-32, che chiudono il testo, l’elemento iniziale richiama il cammino umano di menzogna o fedeltà; mentre quello finale ha al centro una supplica di salvezza e la dichiarazione di un obiettivo, formulato quasi secondo una metafora sportiva, a cui tendere continuamente (v. 32a).

 

Una lettura “profonda” del salmo 119

La strofa si apre con una situazione da incubo. La gola dell’orante prostrato tocca il suolo. Egli “sente i battiti del suo cuore sulla terra”[7], quasi già precipitato nello sheol. Ma “la parola di Dio” lo strappa da questo abisso. Egli si rivolge a lui e gli mostra la sue vie. Le vie dell’uomo (v. 26), contrapposte alla via di Dio (v. 32, ma anche v. 27), sono il suo percorso, la sua vita, la sua storia.

Vi è come una enarratio a parte hominis a cui corrisponde una enarratio a parte Dei al v. 13. L’uomo si racconta davanti a Dio, che si racconta all’uomo. Questo comunicarsi usa lo stesso verbo (spr) per l’atto e la stessa immagine per il contenuto (derek). Di questo l’orante invoca Dio come se gli dicesse “Raccontati a me come io mi sono raccontato a te!”.

L’orante appare piegato come un edificio che sta collassando (v. 28a), rispetto ad esso chiede di essere sollevato, salvato dalla via di menzogna lungo la quale potrebbe scivolare. La richiesta rivolta a Dio riguarda l’essere sollevati, rialzati ed insieme l’essere preservati dalla menzogna, dall’inganno verso Dio e verso se stessi.

La via di Dio si manifesta come via di fedeltà, contrapposta alla via della falsità in tutte le sue forme sociali (contro il prossimo) e religiose (contro Dio). Tale via, però, a differenza di altre concezioni sapienziali antiche, non è scelta dall’uomo in virtù solo delle sue capacità e dei suoi meriti, ma è grazia (Hânan, v. 29). La scelta è insieme dono di Dio e adesione dell’uomo. I verbi usati dicono molto bene da una parte l’elezione, la considerazione ed infine l’adesione. Vi è come un itinerario da parte del chiamato alla relazione con Dio: bisogna scegliere, mettere al primo posto, aderire alla via di Dio.

La conclusione della strofa mostra, dunque, un progetto che dal presente sembra rivolgersi programmaticamente al futuro. Chi sceglie con forza e sicurezza mette le ali ai suoi piedi. Non ristagna, non s’impigrisce, ma vola. Al travaglio iniziale dell’abbattimento subentra la capacità di scelta, grazie al dono di Dio che rialza e rilancia, proiettandolo sui sentieri della vita. Essi non fanno più paura, si può anche camminare speditamente, persino correre.

«Corro la via (rûs derek) dei tuoi comandamenti

perché tu hai dilatato il mio cuore».

 

È una corsa frutto dell’entusiasmo e della dedizione[8]. Nella Bibbia tale immagine appare sovente. Si evoca spesso una corsa verso il male (il verbo usato è rûs. : es. Pr 1,16; Is 59,7; Ger 23,10, ove si ritrova il sostantivo corrispondente): è la corsa degli empi, (anche nel NT, il verbo usato è tréchō: cf Eb 12,1), che conduce verso un baratro di vuoto e di insignificanza. Ma vi è anche una corsa che segue il cammino tracciato da Dio e dalla sua legge e poiché essa altro non è che un segno del suo amore che si fa progetto per l’uomo, conduce alla felicità.

La scelta decisa e sicura della corsa nella via dell’amore di Dio, rivelato dalla sua legge, è possibile perché Dio stesso, come si evince dal v. 32, ha già dilatato, allargato, aperto il cuore della persona verso orizzonti più grandi; l’ha proiettato verso spazi universali, verso orizzonti planetari, verso il futuro.

Il cuore (leb), nel mondo biblico, è il centro della persona, ciò che lo costituisce nella sua identità più profonda, ciò che lo rende quello che è.

Quest’azione di allargamento del cuore corrisponde al dono di grazia con cui l’orante non si sente più oppresso, ma libero; non si sente più limitato e povero, ma ricco della presenza del Signore, che lo rende capace di rispondere all’amore ricevuto con amore che accoglie, apprezza e riama. In conclusione, possiamo ben affermare con un esegeta contemporaneo che “Il Salmo offre una serie di ventidue esercizi dello spirito per una vita impostata secondo la parola e la volontà del Signore”[9].

 

 

La corsa di Paolo

Ritornando all’immagine della corsa, essa ritorna nell’AT collegata frequentemente con un mestiere, per cui ci si deve muovere velocemente (cf 2Sam 22,17), per portare buone notizie (cf 2Sam 18,19), per fini bellici (Sal 18,30 nel testo ebraico; 2Sam 22,30), ma anche rivolto a salvare la propria vita (Pr 7,23 LXX); per il culto (1Sam 20,6; 2Cr 35,13) ma anche per la premurosa ospitalità, come nel caso di Abramo (Gen 18,7) o semplicemente per obbedire ad un comando in segno di accoglienza piena (Gen 24,17; Nm 17,12; 1Sam 3,5). Allo stesso modo il sole che percorre la sua via obbedisce gioiosamente (Sal 19,6).

Nella Bibbia, usato in senso traslato insieme con l’oggetto (“via”) indica proprio l’impegno a comportarsi secondo il progetto divino. A Qumran il correre è connesso con una grazia speciale (cf 1QpHab 7,3-5) per cui il soggetto della corsa (sembrerebbe il Maestro di giustizia che essi attendevano) è colui che nella sua persona incarna la norma direttiva per la vita di fede dei suoi seguaci, così come in Sal 119,32[10].

Ancor più tale sfumatura si ritrova nel NT. In due passi Paolo esplicitamente usa il verbo trécho connesso a persone umane e lo legge come espressione di un percorso:

 

Vi salii in seguito a una rivelazione, ed esposi in privato ai notabili il vangelo che proclamo ai pagani, per evitare il rischio di correre o di aver corso invano (Gal 2,2)

Così potrò vantarmi per il giorno di Cristo perché non ho corso né faticato invano (Fil 2,16).

La metafora paolina sottolinea due elementi significativi: l’apostolato è come una corsa, ossia un cammino appassionato verso i fratelli, ma allo stesso tempo è anche qualcosa di rischioso, in quanto può anche approdare al nulla. Si tratta della possibilità, infatti, di correre “invano”. Correre invano vuol dire correre verso il vuoto: una corsa suicida. Una corsa utile, invece, è quella che va verso la pienezza, verso un valore… verso il premio!

Nella corsa, come la intende Paolo, l’importante è chi si raggiunge: si corre non tanto per correre, ma secondo un orientamento, una finalità, per raggiungere qualcosa o qualcuno. Sembra evidente che Paolo usi una metafora agonistica, un paragone che ha delle somiglianze, ma anche delle differenze, rispetto all’immagine dell’atleta nello stadio. La corsa di quest’ultimo richiede, infatti, energie e traguardo da raggiungere, necessità di successo che implica necessariamente sconfitta dei concorrenti, altrimenti è una corsa inefficace (come Paolo stesso riprende in 1Cor 9,24: «Non sapete che i corridori nello stadio corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Voi dovete correre in modo da guadagnarlo!»).

La corsa dell’apostolo richiede che vi sia anche uno che lo invii (Fil 3,12), lo lanci nel movimento, come nel Sal 119,32 e nella risonanza qumranica; che l’atleta impieghi tutto se stesso e le sue energie; ed infine che ottenga il premio, consistente in definitiva in Colui che ha dilatato il cuore di Paolo e lo ha proiettato sulle strade del mondo verso di lui.

 

 

La corsa del chiamato oggi

Mai come in questa nostra società siamo presi dalla smania di correre. L’immagine, dunque, ci appare particolarmente vicina al nostro modo di vivere e di sentire. L’ossessione della fretta è soprattutto nel lavoro, ma ha invaso anche la vita privata: fast food, fast vacanze, fast… rincorsa di qualsiasi cosa… anche della vita di fede, qualcosa da “consumare” in fretta. Ma da cosa è motivata la corsa del nostro tempo? Dalla volontà di arrivare o dal correre per se stesso? Da una sorta di consumazione delle risorse e delle energie in eccesso? Non si corre per arrivare da qualche parte, ma per correre: è un attivismo fine a se stesso. Le parole del salmo e l’esperienza di Paolo ci permettono, invece, di collocare la corsa dentro un itinerario vocazionale. Ecco dunque che si intrecciano due connotazioni della corsa: la prima riguarda lo stile; la seconda il tracciato del movimento che corrisponde anche, quasi sempre, alla finalità e alla ragione del movimento stesso. “Corro, dunque sono… oppure corro perché voglio arrivare qui o lì?”.

La Bibbia ha chiaro che la corsa non è fine a se stessa e pertanto anche l’accento non cade tanto sul correre ma sul come correre e sul perché correre. Il punto di arrivo dice tutto, esprime il senso della percorrenza.

Il chiamato, anche oggi, è uno che ha fatto le stesse esperienze dell’orante del salmo:

– solo chi si apre alla preghiera e si pone nell’atteggiamento di statio  esce per un attimo dalla corsa della vita, per interrogarsi;

* si racconta a Dio, racconta le sue esperienze, il suo perdersi dentro quel complicato intrico di viottoli e di cunicoli che è il cuore dell’uomo e le sue relazioni;

* si rende pronto ad accogliere il racconto che Dio fa di se stesso, nella sua parola, nei segni posti nella vita della Chiesa e nella storia personale e comunitaria di ciascuno, attraverso il discernimento;

* si riscopre attraversato dall’amore di Dio che ha dilatato il suo cuore, fa esperienza di Dio che corre nel suo cuore;

* solo alla fine di questo processo, conquistato come Paolo da Cristo,“può correre nel cuore di Dio”, secondo l’intenzionalità che è espressa nei comandamenti. Ricolmo di gioia di vivere, sazio nel cuore della sua presenza, può dirigersi verso i fratelli ai quali dare testimonianza.

Si tratta di un itinerario paradigmatico per ciascuno di noi che ha accolto la chiamata del Signore ed ha bisogno di risentirla viva ed efficace nel tempo, e per tutti coloro che Dio continua e continuerà a chiamare.

Affinché la corsa intrapresa non sia inutile affanno, occorre prendere coscienza che solo la dimensione dialogante ed amante con Dio, che si rivela a noi nella sua Parola, che è Gesù Cristo, che continua a rivolgersi a noi nella Chiesa e nel mondo, può lanciarci verso gli altri, può rimetterci in pista per la corsa inarrestabile dell’amore.

 

 

Note

[1] Cf H. DUESBERG, «Le miroir du fidèle: Le Psaume 119(118) et ses usages liturgiques», in BVC 15(1956) 87-97.

[2] Cf C. GHIDELLI, Lampada ai miei passi. Commento al Salmo 118, Milano 1998, 10. La maggioranza degli esegeti (da Origene sino ai nostri giorni) sono concordi nell’attribuire al salmo un’origine post-esilica.

[3] Cf J. L. MAYS, The Place of the Torah- Psalms, in JBL 106(1987) 6-7.

[4] Pirqê Abôth V, 24.

[5] Cf M. GIRARD, Les Psaumes Redécouverts, Montréal 1994, III, 257-258.

[6] A. SCHOEKEL – C. CARNITI, I Salmi, II, Roma 1993, 607.

[7] G. RAVASI, Salmi, III, 464.

[8] Cf IDEM, op. cit., 466.

[9] T. LORENZIN, I Salmi, Milano 2000, 463.

[10] Cf O. BAUERNFEIND, «trecho», in GLNT XIII, 1423-1424.