N.02
Marzo/Aprile 2008

Missionarietà è… “prendersi cura degli altri”

Carissime/i, si è svolto a Roma, dal 3 al 5 gennaio u.s., l’annuale Convegno proposto dal Centro Nazionale Vocazioni, sul tema: “L’annuncio e la proposta vocazionale nella Chiesa-missione. Come?”.

È stato un appuntamento che ha visto coinvolti, in un clima di profonda partecipazione e di grande fraternità, oltre 650 tra animatori ed animatrici della pastorale vocazionale, sia in rappresentanza dei Centri Diocesani Vocazioni (CDV), sia come interpreti dell’annuncio della Vita consacrata. Ad essi si sono aggiunti parecchi Rettori dei Seminari diocesani, circa un centinaio di Seminaristi dei vari Seminari Teologici insieme alla coinvolta ed attenta presenza di alcuni nuclei familiari, presenti nelle équipes diocesane dei CDV, a testimoniare che la famiglia ha un ruolo primario nel favorire la crescita di una vocazione di speciale consacrazione, ma anche a suggerire in maniera esplicita il bisogno di recuperare la stessa dimensione della famiglia come esperienza di una scelta forte e vocazionale in un clima di diffuso relativismo.

È per me la prima volta che presento su “Vocazioni” la forte ed intensa esperienza del Convegno Vocazionale, dopo avere condiviso quest’appuntamento, con i molti e preziosi input che ogni anno esso ci propone, vivendolo… “sulla vostra sponda”, come un partecipante appassionato per il cammino della proposta, dell’annuncio e dell’accompagnamento vocazionale.

 

Un benvenuto che si fa… gratitudine

È per me fondamentale conservare, a nome di tutti noi, la memoria grata per coloro che ci hanno preceduto in questo lungo itinerario del CNV: penso a Mons. Italo Castellani, che è tuttora il nostro Presidente. Penso all’amico don Luca Bonari, che per 10 anni ha condotto come timoniere la barca del CNV, indicando, assieme a tanti collaboratori fidati e preziosi, che anche oggi sono qui a condividere un cammino che continua, la rotta e le modalità per aiutare la Chiesa italiana a porsi seriamente la domanda sul senso e le modalità attuali della Pastorale Vocazionale, ad interrogarsi concretamente sul COME della nostra proposta-annuncio, in contesti che di anno in anno vanno rapidamente cambiando nel loro coefficiente di provvisorietà e spesso di conflittualità.

Un grazie che si estende, ovviamente, (ma le cose ovvie vanno anche esplicitate, per non cadere poi nelle dinamiche dell’oblio) a quanti hanno collaborato con loro, e soprattutto con don Luca, nel decennio del suo servizio di Direttore del CNV.

Ma soprattutto grazie di cuore a voi, per avere raccolto l’invito a vivere questa esperienza insieme: quest’anno l’invito ho desiderato formularlo non solo attraverso il dépliant che vi è pervenuto, ma anche attraverso una lettera che cercava di interpretare in maniera profonda, vera e sincera, la necessità di questi appuntamenti comuni per crescere in una “cultura vocazionale” che sembra sempre più latitante e lontana dalle nostre realtà pastorali, per vivere uno scambio di fraternità e di comunione che ci rincuora e per dirci insieme, non solo a parole, ma con i fatti, che è bello, che è grande, che è fecondo il poter “partager”, (come amava spesso ripetere Fr. Roger Schutz, fondatore della Comunità di Taizé), il condividere… il “camminare insieme”!!!

 

La sfida comune che ci attende…

 Vorrei riprendere un passaggio dalla lettera-invito che annunciava l’evento del Convegno:

“C’è un “compito-sfida” che oggi attende ciascuno di noi: far trasparire dalla nostra vita l’esperienza viva e personale che in noi si sono realizzate in un “Sì totale”, seppur in mille modi diversi, le promesse di Dio, perché possiamo, a nostra volta, aiutare coloro che a noi sono affidati (in particolare i giovani!), a vivere la ricerca di senso nella propria vita come un grande e gioioso Sì da dire al Signore Gesù.

Ecco, allora, che la nostra testimonianza si semplifica: non tocca a noi trovare i tempi e i modi della maturazione spirituale dei nostri giovani, ma tocca sicuramente a noi “metterci accanto”, per far sentire loro una “compagnia amica e solidale” nel divenire insieme “cercatori e collaboratori” della loro gioia.

È in questa prospettiva che sento di condividere intensamente con voi il cammino del mio impegno e del mio servizio nel Centro Nazionale Vocazioni, in un atteggiamento di ascolto e di recettività di quanto vorrete far pervenire a me e ai più diretti collaboratori, che insieme operano in questa realtà di riferimento della Chiesa italiana.

Tutti i vostri suggerimenti ci saranno utili per migliorare non tanto un’efficienza, che per molti aspetti è già collaudata, ma piuttosto un’intesa reciproca in un cammino che ci vede esposti in prima persona nell’essere testimoni e collaboratori, perché il cuore di tanti nostri giovani riprenda a sognare in grande e a vivere oltre le brume della malinconia, della tristezza, del non senso, della violenza assurda e ingiustificata (come continuiamo a vedere anche in questi giorni…), in un orizzonte che sia veramente per loro la scoperta di un “arcobaleno di gioia e di amore”.

 

 

Il cammino di questi giorni…

Il tema che ci siamo proposti di affrontare in questo nostro Convegno è in totale sintonia con il cammino della Chiesa italiana, a cui guardiamo con interesse ed affetto, ma è anche in sintonia con la tematica che Papa Benedetto XVI ci ha proposto nelle recenti Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni: la prossima GMPV, che sarà celebrata il 13 aprile 2008, sarà appunto centrata sull’essere “Chiesa-Missione”, e attorno a questa dimensione si svolgerà anche la prossima GMG di Sidney 2008.

Proprio per questo il tema del nostro Convegno Vocazionale è così articolato: “L’annuncio e la proposta vocazionale nella Chiesa-missione. Come?”.

Molti di voi sanno già che l’appuntamento del Convegno ci aiuta a focalizzare alcuni obiettivi per noi prioritari:

– creare tra i partecipanti un clima fecondo e significativo di “comunicazione e ascolto” su alcuni grandi temi della pastorale vocazionale (e questo tema della “missionarietà” lo è!), per viverla con una rinnovata fiducia, senza inutili nostalgie e rimpianti di un passato che fu….

– trovare insieme le modalità, “il come”…, appunto, per vivere quei cammini vocazionali che ci vedono testimoni e animatori, come segno di una Chiesa veramente capace di un atteggiamento tipicamente paolino: la “parresìa”, la ripresa di un coraggio e di una fiducia che sanno osare, nel sentirci “Chiesa-missione”, dentro ai sentieri spesso complicati e sofferti del nostro tempo.

– focalizzare la dimensione della “missionarietà” come un elemento essenziale e portante di ogni comunità cristiana, ma anche di ogni “annuncio-proposta-accompagnamento vocazionale”.

In questo nostro itinerario sono spiraglio luminoso le parole che il Papa ci rivolge nel suo Messaggio per la prossima GMPV; questa volta siamo riusciti ad averlo in tempo e lo troverete completo nei bustoni dei sussidi.

 

Il Messaggio del Papa

Nelle parole del Papa che vorrei qui riproporre, egli esprime il tema della missionarietà in chiave di annuncio di una “buona notizia”, (e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno, in questi tempi spesso angoscianti per le notizie di violenza e di disorientamento che ci avvolgono!), e lo declina sottolineando quel tratto profondamente “umano”, tipico della figura di Gesù, che in questo tempo natalizio abbiamo avuto modo di apprezzare anche nelle figure di coloro che, con tutta probabilità, hanno insegnato a Gesù a vivere questa delicatezza e attenta “umanità: la Vergine Maria e, soprattutto nei passi del Vangelo di Matteo, la figura di S. Giuseppe.

 

Missionarietà è … la capacità di “prendersi cura degli altri” Così si esprime il Papa:

“E Gesù si scelse dei discepoli, come stretti collaboratori nel ministero messianico, già nella vita pubblica, durante la predicazione in Galilea. Ad esempio, in occasione della moltiplicazione dei pani, Egli disse agli Apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16), stimolandoli così a farsi carico del bisogno delle folle, a cui voleva offrire il cibo per sfamarsi, ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Era mosso a compassione verso la gente perché, mentre percorreva le città ed i villaggi, incontrava folle stanche e sfinite, “come pecore senza pastore” (cf Mt 9,36). Da questo sguardo di amore sgorgava il suo invito ai discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,38).

Gesù si fa carico del bisogno della gente, soprattutto di quella che è oppressa, stanca e sfinita… e induce anche i suoi apostoli a fare altrettanto.

Questo aspetto ci è stato proposto in maniera emblematica dal Vangelo di Matteo, a partire dalla IV domenica di Avvento, passando per il Natale sino alla festa della Santa Famiglia.

I Vangeli di queste feste liturgiche “zoommavano”, in maniera semplice ma mirata, sulla bellissima figura di Giuseppe di Nazareth, facendoci riscoprire il senso misterioso e affascinante anche del suo SI’.

Indico solo qualche passaggio che mi ha particolarmente colpito e commosso…

 

Giuseppe è l’uomo del Sì silenzioso e radicale

Maria e Giuseppe sono poveri in tutto, ma Dio non ha voluto che fossero poveri d’amore, perché se c’è qualcosa sulla terra che apre la via alla trascendenza, questa cosa è l’amore.

Giuseppe è l’uomo dei sogni; le sue mani sono indurite dal lavoro, ma il suo cuore è intenerito dall’affetto per Maria. Egli non parla, ma il suo silenzio è un amore senza parole: «Il più alto raggiungimento nella fede è rimanere in silenzio e far sì che Dio parli e operi internamente» (Meister Eckhart).

Giuseppe è l’uomo dell’innamoramento pieno di Maria

Un amore che vive intensamente, anche se non riesce a capire e a cogliere ciò che sta succedendo in lei; egli diviene un’icona preziosa di ciò che significa il “coraggio dell’amore”. È l’uomo giusto, che ha gli stessi sogni di Dio….

Giuseppe, come Israele nel deserto, è «messo alla prova per vedere che cosa si radicava nel suo cuore»

E nel cuore scopre di avere quella donna, di amarla anche senza volerla possedere, radice segreta della verginità della coppia di Nazareth. Ogni amore vero deve varcare la stessa soglia: compiere il passaggio straordinario dal possedere al proteggere!

Amare: voce del verbo morire…, voce del verbo vivere…

Significa dare e mai prendere, amare per primo, in perdita e senza fare conti di un ritorno personale e gratificante. Il coraggio dell’amore: ecco la profezia di Giuseppe. E per questo suo coraggio Dio avrà un Figlio tra noi.

Il Messaggio del Papa sembra fatto apposta per interpretare, alla luce dell’esperienza di Giuseppe, il senso profondo della comune missionarietà dell’amore, che chiede una “full immersion” alle nostre vite…

“Da sempre nella Chiesa ci sono poi non pochi uomini e donne che, mossi dall’azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il Vangelo in modo radicale… Con la loro preghiera continua e comunitaria, i religiosi di vita contemplativa intercedono incessantemente per tutta l’umanità; quelli di vita attiva, con la loro multiforme azione caritativa, recano a tutti la testimonianza viva dell’amore e della misericordia di Dio. Di loro, il Servo di Dio Paolo VI ebbe a dire: “Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e

per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da un’originalità, una genialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve molto a loro” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 69)[1].

 

 

Le tre vie della missionarietà

Vorrei concludere questa prolusione al nostro Convegno, lasciando la parola ad un caro amico, mons. Domenico Sigalini, da poco nominato Assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana, servizio per il quale ti porgiamo, don Domenico carissimo, l’augurio più fraterno, anche con l’auspicio di trovare le vie di una più stretta collaborazione del CNV con l’Azione Cattolica…

Vorrei fare questo passaggio di testimone, indicando solo a flash, (e lasciando poi al testo scritto su “Vocazioni” l’elaborazione di queste traiettorie), tre vie profondamente “relazionali”, per vivere la nostra “missionarietà”.

 

La prima via: «essere con» = la COMPAGNIA

Essa ci permette di entrare direttamente nella dimensione affettiva della gioia dello stare insieme, nella prospettiva dell’io-tu.

Lo stare con gli altri si trova direttamente all’opposto della indifferenza che spesso ci avvolge come una nube di smog velenoso; anzi, quando ci s’incontra, ci si conosce o ci si riconosce, c’è tutta la gioia di poter ritrovare una persona amica.

Nell’essere con gli altri vale fondamentalmente la regola della reciprocità; come dire, imparare a far sì che tutti rinunzino a qualcosa perché tutti abbiano ad ottenere qualcosa.

È un’arte difficile da assimilare, quella dell’alterità, però è certamente la dimensione prioritaria della vita. L’esperienza del tu culmina nell’amore, che è la celebrazione massima dell’essere con gli altri, perché espressione altissima, talvolta ineffabile, di amicizia e di profonda tenerezza e attenzione per la persona amata.

Nell’amore si raggiunge la profondità del cuore, quel luogo interiore in cui ogni persona esiste in quanto tale; si toccano le sorgenti dell’essere in un’intimità che non ha confini. Talvolta nella vita si va incontro ad un paradosso: noi scopriamo il nostro vero amore per una persona e quanto essa valga per noi quando stiamo per perderla o quando non l’abbiamo più.

È comune l’espressione: «Non sapevo che fosse così importante per me»; e in questo c’è un profondo senso di nostalgia per ciò che non si è saputo capire e vivere in precedenza…

Ci sono delle persone che hanno un dono particolare nella vita: quello di entrare in un’intimità fatta di tenerezza, di attenzione e di ascolto, fatta di discrezione e di silenzio, un’intimità capace di cogliere la profondità dell’essere dell’altro, intuitiva dei momenti di sofferenza non resi espliciti e, nello stesso tempo, scrigno prezioso degli eventi di vita non comunicati ad altre persone, ma insieme condivisi e vissuti.

 

La seconda via: «l’essere per» gli altri = la GRATUITÀ

È questa una modalità relazionale che esprime il massimo di apertura al tu. Essa può divenire caratteristica di un semplice incontro, ma anche dimensione fondamentale e fondante di una vita, che viene così collocata nell’ottica del servizio totale.

Vi sono infatti persone che hanno come progetto fondamentale e come stile di vita… l’essere per gli altri.

Non per questo rinunciano ad essere se stesse o a realizzare le esigenze del proprio essere e della propria personalità; ciò che hanno deciso è di passare attraverso gli altri come meta prima della propria esistenza, perché gli altri possano divenire sorgente della freschezza nuova della propria felicità.

Espresso più semplicemente è quanto troviamo nelle parole di Gesù nel Vangelo: «Chi perde la propria vita, la ritrova».

Questa è la vera modalità della “autotrascendenza”, del superamento di se stessi, del proprio egoismo o del proprio egocentrismo; significa collocare il proprio baricentro al di fuori dal proprio sé e dai propri bisogni personali.

Tutto ciò sta a dire che nella vita ci sono persone che non riescono ad essere felici da sole… Oh sì, ce ne sono molte altre che vogliono essere felici solamente da sole, ma le prime hanno lo sguardo che si alza verso l’alto e che incrocia gli occhi dell’altro; la loro più profonda felicità è aiutare qualcuno a vivere, è farsi dono. Questa è missionarietà vera e concreta…

Nella vita si possono incontrare persone che chiedono tutto e non ti danno in cambio niente; ma ce ne sono altre che, in maniera del tutto silenziosa e discreta, non chiedono niente e ti danno tutto.

La crescita psicologica e spirituale di una persona è il progressivo staccarsi dal ripiegamento su di sé, da quella forma d’autoincensazione che è il narcisismo, per aprirsi totalmente ad una disponibilità.

Solo chi è libero dall’ossessione di pensare e ripensare a se stesso diventa disponibile all’altro, e tutti avvertiamo il fascino, oserei quasi dire … il «profumo» di coloro che hanno scelto di vivere «per l’altro».

 

La terza via: l’«essere in» = CONTEMPLAZIONE NELLA PREGHIERA

È questa una dimensione strettamente connessa alla relazione carica di fascino e di stupore, che ciascuno di noi può vivere quando apre anche un piccolo spiraglio del proprio cuore… sull’Infinito: è l’incontro con l’Assoluto, con Dio stesso.

«Essere in» significa buttarsi nell’oceano dell’Assoluto, sapendo che in esso non si annega, ma si vive; che in esso non ci si perde, ma si trova la sorgente del proprio essere.

Essere in: una parola che si può dire solamente all’Assoluto, a Dio. Alla persona umana posso dire al massimo: «Io sono con te, io sono per te», ma non potrei mai dirgli, senza cadere in qualche forma di ambiguità, «Io sono in te». In Dio, io posso affermare di essere in lui.

Ed era quanto aveva intuito sant’Agostino di Ippona, quando affermava che per lui l’Assoluto era “intimior intimo meo”, più intimo del mio stesso intimo, radicato nel segreto delle più profonde e segrete celle del cuore.

Per questo Pietro, sul finire del Vangelo di Giovanni, di fronte alla domanda di Gesù che gli chiede: «Mi vuoi bene?», può rispondere: «Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene». Le sue parole divengono il segno di una confidenza totale e radicale, il rifugiarsi in lui nella discrezione e nella certezza che egli ci conosce e ci riconosce come nessun altro.

Ecco perché, concludendo, vorrei qui riprendere una stupenda affermazione di un grande personaggio del nostro tempo, quale è stato Dag Hammarskjòld, primo Segretario generale dell’ONU. Nel suo diario“Linea di vita”, egli afferma: «Nell’Uno non sei mai solo; nell’Uno sei sempre a casa tua»[2].

Imparare a stare con gli altri, a vivere per l’altro, ad essere immersi nell’Infinito e nell’assoluto oceano che è Dio stesso… Credo sia un orizzonte in cui collocare, anche in maniera concreta, la dimensione del COME vivere il nostro annuncio e la nostra proposta vocazionale in una Chiesa-missione.

Altri poi, nel corso del Convegno, lo diranno meglio di me…

Ci affidiamo alla preghiera dei tanti monasteri di vita contemplativa che ci seguono con amore e con affetto profondo; al ricordo di tante persone ammalate che sono legate a noi attraverso la rete straordinaria dei “monasteri invisibili”; alla preghiera semplice e silenziosa di molte persone che hanno fatto della loro vita e delle loro scelte quotidiane una “offerta viva” a Colui che è il centro essenziale del loro e del nostro amore: il Signore Gesù.

A voi l’augurio di giorni sereni, invocando la compagnia benedetta della Vergine, Madre della Speranza, con le parole stesse che troverete riportate in una preghiera presente nei nostri Sussidi e che ci viene suggerita dalla Enciclica del Papa “Spe salvi”:

Vergine Santa,

così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre,

come Madre della Speranza.

Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra,

insegnaci a credere, sperare ed amare con te.

Indicaci la via verso il suo regno!

Stella del mare, brilla su di noi

e guidaci nel nostro cammino! [3]

 

 

 

Note

[1] BENEDETTO XVI, “Le vocazioni al servizio della Chiesa-Missione”, Messaggio per la 45a GMPV, n. 6.

[2] D. HAMMARSKJÒLD, Linea di vita, Rizzoli, Milano 1967, p. 106.

[3] BENEDETTO XVI, Spe salvi, 2007, n. 50.