N.02
Marzo/Aprile 2008

Una “fontana di luce”per la… missionarietà

La “tavola rotonda” proposta nel Convegno si è svolta venerdì 4 gennaio, nel pomeriggio. È stato un momento di testimonianza fresco ed intenso, che ha visto coinvolti una coppia di sposi, Franco e Raffaella (con 3 figli), e una coppia di fidanzati, Christian ed Erica. Come si può leggere nelle loro testimonianze, diverse seppur complementari, è stato significativo per noi animatori vocazionali quasi di… professione, ascoltare la testimonianza portata con passione e delicatezza da parte di questi laici impegnati al nostro fianco, in un cammino comune teso a far crescere la sensibilità missionaria e vocazionale delle nostre chiese.

Raffaella e Franco, che vivono con la loro famiglia a Cesenatico, ci hanno proposto l’interessante cammino vissuto e pensato insieme come Centro Diocesano Vocazioni della Diocesi di Cesena-Sarsina. Esso ci ha aiutato a cogliere il lavoro di riflessione, di maturazione e di coinvolgimento con cui è stato insieme elaborato il video che è stato proposto nel contesto della Agorà dei giovani a Loreto, per l’animazione nella “Fontana del Sì”, e che è stato poi proposto come audio-video all’inizio della “tavola rotonda” nel Convegno.

Erica e Christian, da Pinerolo e da Torino, specializzanda in Medicina lei, infermiere lui, ci hanno raccontato la loro intensa vicenda di crescita insieme del loro amore, nel coinvolgimento comune per una passione “missionaria”, che ha portato Christian in terra d’Africa ed Erica a condividere scelte professionali significative per un’apertura missionaria della loro vita di coppia.

A loro il nostro grazie più sincero per quanto ci hanno comunicato, ma soprattutto per la fecondità e la vitalità della loro testimonianza vissuta.

 

CDV DI CESENA-SARSINA

Quello che vi proponiamo è un intervento che abbiamo pensato tutti insieme come Centro Diocesano Vocazioni della Diocesi di Cesena-Sarsina. Così come abbiamo pensato insieme il video che abbiamo proposto all’Agorà dei giovani a Loreto per l’animazione nella “Fontana del Sì” e che abbiamo appena visto.

Com’è nato questo video?

Trovandoci a riflettere insieme su come animare il tema che ci era stato proposto, quello della chiamata, abbiamo scelto di creare un audiovideo.

Ma perché proprio un video?

a. Perché ci sembrava il sistema più adatto, il “linguaggio” più usato da sempre. Quella delle immagini, infatti, non è una modalità nuova: se ci pensiamo, anche Gesù la utilizzava quando annunciava il Regno attraverso le parabole; queste, infatti, non sono altro che immagini prese dalla vita concreta e quindi maggiormente comprensibili da coloro che lo ascoltavano (con alcune eccezioni che diremo fra poco). E più avanti nel tempo, pensiamo all’utilità degli affreschi nelle chiese per raffigurare episodi del Vangelo o della vita dei Santi… Il tutto perché il messaggio ivi descritto, attraverso le immagini, rimanesse maggiormente impresso nei fedeli. Dunque non abbiamo inventato nulla di nuovo né come società né come CDV!

b. Un altro motivo che ci ha portato alla scelta di creare un filmato è stato il fatto che questo comporta un forte coinvolgimento emotivo e razionale nello spettatore. Inoltre sapevamo che avremmo avuto poco tempo a disposizione per comunicare il messaggio ed era nostro desiderio riuscire a toccare nel profondo le persone presenti, che era notte e che di notte i discorsi sono difficili da ascoltare. Volevamo far emergere le domande più profonde nelle persone che sarebbero venute alla fontana quella notte, col desiderio di calarle nella loro vita concreta e, con esse, calare nella vita concreta anche Gesù. D’altra parte, come dicevamo, questo linguaggio è sempre più utilizzato dai giovani d’oggi – ne è un esempio la realtà continuamente in crescita di “Youtube”, il sito in cui ciascuno può mettere in rete a disposizione di tutti brevi filmati girati o con i telefonini o con videocamere amatoriali. E vi si trova veramente di tutto!

c. Ancora: se è vero – come dicevamo – che un video può influire sui sentimenti degli spettatori (sia per le immagini che per il commento musicale) e che grazie a questo i mass media possono influenzare i pensieri delle persone fino a disperdere la speranza e il senso religioso che c’è nel cuore dell’uomo, noi con questo filmato volevamo invece provocare nei presenti l’emergere delle domande più profonde della vita. Per questo abbiamo impostato il video come un piccolo percorso (che fra poco riprenderemo in modo più approfondito) partendo dall’uomo, dal giovane, che spesso cede all’illusione di poter fare ciò che vuole della propria vita chiudendosi in se stesso(ricordate le affermazioni proposte all’inizio del video: “Posso scegliere tutto!”, “Posso fare molte esperienze!”), per giungere all’uomo che è costruttore di speranza.

d. Un altro aspetto importante dell’audiovisivo è la durata (breve!) del video e la sua struttura interna. Un esempio ce lo dà la pubblicità: 30 secondi senza mai mostrare azioni compiute! È la mente dello spettatore che deve costruire da sola la parte mancante.

L’esperienza di creare video per veicolare alcune tappe del cammino cristiano non è nuova nella nostra Diocesi. Già dieci anni fa, in occasione del sinodo diocesano, preparammo due filmati per coinvolgere i bambini e i ragazzi nei lavori del Sinodo, utilizzando un linguaggio che fosse per loro comprensibile. Questi filmati sono stati impiegati in tutte le parrocchie per aiutare i più giovani a capire che cosa fosse il Sinodo, per renderli partecipi coinvolgendoli con iniziative adatte a loro.

O ancora abbiamo realizzato, sempre con supporto video, una Via Crucis rivolta ai bambini, per aiutarli a trovare il nesso tra la Passione di Gesù e la vita di oggi. Attraverso immagini tratte sia dalla Tradizione che dall’attualità, l’intento era quello di scoprire la modalità con cui il Cristo rivive la sua Passione oggi, cioè in che modo oggi viene spogliato delle sue vesti o viene flagellato, in che modo viene coronato di spine, caricato della croce o aiutato dal Cireneo, in che modo viene condannato a morte… per arrivare a comprendere cosa significhi la sua Resurrezione per la nostra vita personale e comunitaria.

Il video allora è un tentativo di veicolare il messaggio attraverso l’utilizzo di un linguaggio che sia comprensibile dai destinatari (nel nostro caso specifico soprattutto bambini, ragazzi e giovani, spesso poco abituati a dedicare tempo alle riflessioni importanti della vita).

Secondo noi è importante che, come comunità ecclesiale educante, siamo al passo con i tempi (sempre attenti però a non lasciarsi sorprendere da falsi trionfalismi!) per poter trasmettere il messaggio evangelico attraverso linguaggi nuovi, più vicini alle persone. Senza cedere alla superficialità, ci sembra che tutto ciò comporti da un lato il non avere “paura” di questi strumenti (non demonizzare tout-court TV o Internet…) e quindi di poterli conoscere, sapendo però, dall’altro lato, che non sono “la” soluzione a certi deserti della pastorale (che non può certamente essere rivitalizzata con un uso indiscriminato di questi mezzi per attirare giovani e bambini); e che soprattutto ciò che conta veramente per la crescita della persona è il lavoro educativo che passa attraverso il rapporto interpersonale fra educatore ed educando.

La preoccupazione educativa è fondamentale (il tema di questo nostro Convegno ce lo ricorda!), ed è ciò che ci deve stare veramente a cuore! Quindi non dobbiamo avere paura di questi strumenti, ma non dobbiamo nemmeno idealizzarli; va tenuto presente che sono strumenti e che vanno semplicemente utilizzati come tali, per comunicare Gesù, nostra speranza.

 

Ricordiamo che la CEI propone un corso in e-learning di “Alta formazione per gli animatori della comunicazione e della cultura” (vedi il sito della Chiesa Cattolica Italiana).

Entrando nello specifico del nostro video, il compito affidatoci era quello di inserirci all’interno del percorso della “Fontana della vocazione” tenendo conto che le Suore Apostoline avrebbero già introdotto i visitatori prima di noi con una mostra molto efficace e dettagliata sulla vocazione (anche questa ad immagini), sviluppando il tema a livello cristologico, teologico ed ecclesiale. Dunque la parte fondamentale del discorso veniva già proposta attraverso questa prima tappa. Noi, dovendo animare il passaggio successivo, abbiamo assunto il compito di ricondurre il discorso nella vita dei ragazzi; ci siamo chiesti come potevamo riuscire in questo intento, avendo (come gli altri) pochissimo tempo a disposizione.

Abbiamo allora scelto come punto di partenza quell’obiezione che continuamente emerge da parte dei giovani di fronte a qualsiasi proposta vocazionale, ossia il problema della libertà: “Se Dio ha già scelto per me, dove va a finire la mia libertà?”

Siamo partiti da qui per portare avanti il percorso introdotto dalla mostra delle Apostoline, sperando di suscitare – sullo stile pubblicitario – delle riflessioni intorno alla speranza che la chiamata vocazionale racchiude in sé.

Se solitamente “libertà e vocazione” sembrano due elementi incompatibili (e dunque si rifugge da ogni percorso vocazionale perché si ha paura di perdere la propria libertà) la sfida di questo video era quella di dimostrare che nella propria vocazione c’è la pienezza della propria libertà.

Come fare?

Da un primo confronto all’interno del nostro CDV sono nate diverse idee con le quali abbiamo steso un testo di riferimento; poi abbiamo cercato delle immagini, anche dure, ma efficaci, che già da sole fossero in grado di far riflettere su questi temi.

Il risultato lo avete visto nel video:

– la prima provocazione voleva puntualizzare che la pretesa di libertà che mi fa credere di poter scegliere tutto ciò che mi pare e di fare qualsiasi esperienza pur di essere felice (ricerca del successo, della bellezza esteriore, del brivido e quindi dello sballo), in realtà è un’illusione che mi rende schiavo di me stesso. Mettendo il mio “io” al centro del mondo, tutto diventa scontato, tutto diventa noia! Mi illudo di essere libero, ma il mio è un libero arbitrio avvinghiato su se stesso!

– Da qui la seconda provocazione: a ciascuno è data la libertà (ben diversa dal libero arbitrio!) di poter scegliere responsabilmente CHI vuole essere, mettendosi in gioco (cioè uscendo da se stesso) in ogni relazione, decisione, gesto d’amore, perché affascinati dal Mistero, da Dio, che opera nell’uomo ed è all’origine del suo agire (cioè l’uomo passa dall’egocentrismo all’apertura agli altri mosso dall’incontro con il bene più grande: con Gesù).

– Quindi la terza provocazione: uno sperimenta la vera libertà non facendo ciò che vuole, ma scegliendo la strada che Dio ha preparato per lui. Attraverso l’esempio dell’innamoramento (per l’uomo) e dell’amore di Dio comprendiamo che ‘libertà’ non significa ‘indipendenza’ ma obbedienza, appartenenza, adesione al progetto del Padre (immagine del Crocifisso di San Damiano…).

Nel filmato le domande rimangono “aperte” per mettere la persona in movimento verso Gesù. Anch’egli, con le parabole, spesso suscitava delle domande, dava delle provocazioni e concludeva dicendo: “chi ha orecchi per intendere, intenda”.

In definitiva, con il nostro video non volevamo dare una soluzione o una risposta piena, ma suscitare domande, sminuire il luogo comune secondo cui “libertà e vocazione” sono incompatibili, lasciando ad ognuno la libertà di cercare la propria strada, la sola che ci rende creature libere e liberanti.

Con gioia (e sorpresa!) abbiamo notato che il video, proprio a partire dal precedente percorso della mostra delle Apostoline e dalle riflessioni che lo introducevano, ha suscitato molto interesse, tanto che nella tappa successiva, quella del dialogo e della testimonianza, tante sono state le domande poste ai rappresentanti delle diverse vocazioni.

 

Tecniche di realizzazione

Per questioni di tempo e di praticità abbiamo utilizzato immagini scaricate dalla rete (da Internet). Lo abbiamo preferito alla “classica” sceneggiatura che avrebbe previsto un copione, degli attori, una scenografia, la recitazione… col rischio di ottenere un risultato scadente (non avendo a disposizione l’attrezzatura tecnica adeguata). Ci è sembrato che per affrontare il tema della libertà le immagini “statiche” fossero molto più incisive, colpendo di più di una scena recitata. Queste immagini, messe in rapida sequenza (per tenere viva l’attenzione) e accompagnate da un sottofondo musicale idoneo, ci hanno permesso di ottenere un risultato a nostro parere chiaro, tenuto conto del poco tempo disponibile per la proiezione. In alcuni punti, come avete visto, alle immagini abbiamo aggiunto il testo scritto per evitare l’inserimento di una voce fuori campo. Per il montaggio delle immagini e delle colonne sonore abbiamo utilizzato un programma facilmente reperibile e in commercio se ne possono trovare di vari tipi.

Per quanto riguarda la conoscenza tecnica e l’utilizzo del software, nella nostra Diocesi ci siamo avvalsi dell’esperienza del nostro amico Augusto Lucchi. Pensiamo che in ogni Diocesi ci siano molte persone con la passio ne per l’informatica e che possono facilmente “specializzarsi” in lavori di questo tipo. Cogliamo l’occasione per coinvolgerli nei nostri CDV!

Torniamo un attimo al discorso della scelta delle foto: ad essere sinceri, qualche dubbio ci è sorto al momento della selezione delle immagini, soprattutto per quelle più “forti” riguardanti lo sballo, o anche quelle relative ad alcune forze armate (ad indicare l’importanza dello spendersi in ogni situazione di vita).

Ma riflettendo a lungo, abbiamo constatato che se da una parte i giovani e i ragazzi sono purtroppo in gran parte abituati ad immagini molto forti di violenza, di sesso o di sballo (vedi internet o i filmati che circolano sui cellulari!), dall’altra queste immagini non sono lasciate a se stesse: il video, infatti, va visto come tappa di un progetto educativo che si svolge dentro ad un rapporto interpersonale, altrimenti la persona stessa (cioè l’interlocutore nel dialogo educativo) viene messa da parte e resa passiva, proprio come accade attraverso la televisione, ove non vi è nessuna relazione con l’interlocutore.

A noi è sembrato che la visione delle immagini scelte per suscitare nelle persone interesse e domande sia stata efficace sia a Loreto che nelle varie occasioni di cui parlavamo poc’anzi (come Via Crucis e Sinodo): il pubblico ha reagito ponendo molte domande relative al messaggio proposto dai diversi audiovisivi.

Avviandoci alla conclusione, vogliamo sottolineare che al di là di tutto quello che abbiamo raccontato, il “lavoro” maggiore lo abbiamo svolto soprattutto su noi stessi, a livello personale, nella scelta delle immagini adatte a suscitare quelle emozioni e quegli interrogativi che volevamo emergessero.

Nel nostro caso concreto, ad esempio, abbiamo fatto una prima scelta di foto, ma mano a mano che il video veniva delineandosi, in corso d’opera ne abbiamo scartato alcune in favore di altre. Questo processo di sostituzione seguiva il desiderio di comunicare agli altri quelle provocazioni che in noi erano via via emerse. E più il lavoro procedeva, più emergevano altre domande, altri spunti, altre intuizioni… costringendoci a far sintesi fra riflessione e vita vissuta, fra la teoria di un discorso e la nostra vita quotidiana, in un confronto che ha fatto crescere anzitutto noi.

Abbiamo allora compreso che l’essere missionari non significa innanzitutto inventare tecniche pastorali sempre nuove e sempre più convincenti (quanta umana sproporzione nei confronti delle possibilità comunicative dei media!), ma nel porsi di fronte a Gesù – personalmente e come comunità – per lasciarci evangelizzare da lui, noi per primi.

Lo abbiamo capito proprio al termine del “confezionamento” del video: non sarà perfetto dal punto di vista tecnico, ma per noi è stata un’occasione molto importante per riflettere su come “libertà e vocazione” si conciliano prima di tutto nella nostra vita. Solo così lo possiamo proporre missionariamente anche agli altri. Altrimenti rimane un discorso astratto e quindi sterile, anche se fatto attraverso un filmato brillante!

E solo per questo possiamo comprendere come, nel cuore della notte, e nonostante la stanchezza, a Loreto ci siamo sentiti ringraziare, dai ragazzi intervenuti, per la chiarezza e la profondità del messaggio trasmesso. In tutto questo c’è la consapevolezza di aver fatto le cose “bene”, perché sono state fatte con amore e Chi le ha rese buone è stato certamente un Altro.

Non siamo qui a dire che siamo bravi o migliori di altri. Ci mancherebbe! Semplicemente ci è stato chiesto questo servizio, prima a Loreto e poi qui a questo nostro Convegno. E con altrettanta semplicità abbiamo cercato di rispondere, consapevoli dei nostri limiti. Tutto ciò nasce dalla libertà di servire il Signore e dalla responsabilità di essere testimoni di Gesù, perché lui (e solo lui!) è l’unica realtà degna di essere testimoniata.

Con la speranza di essere stati un po’ d’aiuto a tutti voi… Grazie!

 

 

CHRISTIAN ED ERICA

Buon giorno a tutti!

Sono Erica R., ho 27 anni e sono un medico specializzando in pediatria presso l’Ospedale Pediatrico Regina Margherita di Torino. Vivo a Pinerolo, in provincia di Torino. Tra pochi istanti vi racconterò perché ho deciso di dedicare la mia vita nel tentativo di portare conforto a quanti attraversano periodi difficili durante la propria esistenza.

Buon giorno!

Sono Christian F., ho 27 anni anch’io, sono un infermiere e sto frequentando un Master internazionale in Project Manager e Cooperazione presso ASVI qua a Roma. Vivo a Frossasco, in provincia di Torino.

Sto facendo molta fatica ad essere qui di fronte a voi e sono molto emozionato. Nell’ultimo anno mi sono spesso trovato a parlare di fronte a pubblici di diversi generi, ma mai di questo tipo… e diciamo che ho il fiato un po’ corto!!!

Io ed Erica, mia fidanzata e futura sposa, siamo presidente e vicepresidente di “Gettando un seme”, giovane Associazione Non Profit di Cooperazione e Solidarietà Internazionale. Ci potremmo definire dei missionari laici perché, oltre ad esercitare le professioni di medico ed infermiere, abbiamo scelto di spendere lunghi momenti delle nostre vite al servizio dei poveri nei paesi del Sud del mondo e nel tentativo di coinvolgere quante più persone possibili partendo dai nostri pari; così come laica, aconfessionale ed apartitica è la nostra associazione.

Ma se il nostro agire vuole essere laico per poterci meglio interfacciare con i beneficiari e clienti delle nostre professioni, che come si può facilmente immaginare appartengono a contesti culturali spesso profondamente differenti dai nostri, il motore che ci spinge ad investire le nostre vite come servitori di perfetti sconosciuti, trova le sue salde radici nella cristianità.

 

Noi stiamo inseguendo quella che agli occhi di molti potrebbe essere considerata un’utopia: “che ogni essere umano, in ogni parte del mondo, possa vivere dignitosamente” (questa è anche la missione della nostra organizzazione): vivere con dignità, non in ricchezza o agiatezza, ma con dignità! Ma a parte il fatto che dovrebbe essere un diritto sacrosanto ed inviolabile, è risaputo che l’unica differenza tra utopia e realtà è il tempo che intercorre affinché la prima (l’utopia) diventi la seconda (realtà)… e quel giorno noi ci saremo! Molte delle persone che ci circondano non capiscono pienamente il nostro agire e il perché rinunciamo a molte “cose” considerate giuste alla nostra età; perché intraprendere un cammino di vita sicuramente più complesso, anziché vivere nell’agiatezza che le nostre professioni ci garantirebbero. Si dice che quando si insegue un sogno si debbano fare delle rinunce. Ma noi non crediamo così: non rinunciamo a nulla! Noi scegliamo altro… qualcosa che siamo convinti che ci gratifichi di più. Ma come è nata questa scelta di vita? Parlando di me…

Mi considero un contadino: sono cresciuto all’ombra del Monviso, là dove nasce la pianura Padana… e la mia vita è sempre stata scandita dalla ritmicità dell’alternarsi delle stagioni… e guidando trattori e allevando galline ho imparato a guadagnarmi il pane con il sudore. La mia educazione familiare è di stampo prettamente cattolico, come anche quella scolastica, avendo frequentato le scuole elementari, media e superiori presso l’Istituto Maria Immacolata delle Suore di San Giuseppe di Pinerolo (To).

Durante l’adolescenza, in testa avevo solo il calcio, la moto, la play station… ero parecchio discolo e – ahimé, quante lacrime ho fatto piangere a mia mamma! – tutto facevo meno che studiare e se c’era un guaio… beh, ero sempre presente! Ma credo comunque che durante tutti questi anni Qualcuno abbia zappato e concimato la mia anima…

Poi iniziai l’università: studiavo Scienze Forestali ed Ambientali, più perché amo i monti e la natura che per una scelta consapevole, ma con un po’ di fatica ero arrivato all’ultimo anno, pronto per fare domanda nella guardia forestale.

Ero abbastanza contento della vita che conducevo: lavoravo presso un parco ornitologico e naturalistico, studiavo qualcosa che tutto sommato mi piaceva, stavo già con Erica, ero pieno di amici, ma c’era sempre un tarlo che mi rodeva, qualcosa che mancava… Il tempo passava e non avevo ancora capito come guadagnarmi il mio diritto di esistere… e qual era il senso della mia vita! Desideravo sentirmi utile! E s’insinuò un dubbio: dovevo sposarmi o farmi prete? Fu un periodo complicato, perché l’irrequietezza giovanile voleva lasciare spazio a qualcosa d’importante!

 

Nell’estate del 2003 ricominciai a pregare, non con formule o andando a Messa, ma chiedendo a Dio di poter vedere con più chiarezza la mia via. Credo di aver talmente “rotto le scatole” a Nostro Signore che nella mia vita cominciarono a susseguirsi una serie di strane coincidenze, che nel giro di pochi mesi mi portarono a partire per l’Africa e precisamente per la Repubblica Democratica del Congo. Solo al ritorno dal viaggio mi accorsi che non potevano essere state solo coincidenze.

Mamma mia, che cosa ho vissuto durante quel viaggio! Ogni giorno ho visto morire qualcuno nei modi più ingiusti e inimmaginabili…, ma nonostante tutto, ogni giorno, alla sera, mi rendevo conto che era valsa la pena di essere stato lì, in Africa, quel giorno! Ho imparato a vivere dell’essenzialità delle cose, ho riscoperto Dio come da bambino, quando lo consideravo il mio più caro amico e il 30 marzo 2004 ho trovato il senso della vita…

Mi trovavo a Mokalì nella Repubblica Democratica del Congo. Due giorni dopo avrei preso il volo per l’Italia.

In tarda mattinata arrivò a cercarmi un’infermiera del vicino ospedale. Mi chiese di portare con me la macchina fotografica perché non mi dimenticassi mai più di ciò che avrei visto da lì a poco. Raggiunsi la sala d’ingresso dell’ospedale.

Era il giorno settimanale nel quale arrivavano le madri portando la propria creatura nella speranza che questa potesse rientrare tra gli 8-10 fanciulli che, settimanalmente, avevano la fortuna di rientrare nel programma alimentare di sostegno e recupero. Il fatto è che ogni volta arrivavano non meno di 100… bimbi!

Poi c’era il momento della scelta. I meno peggio venivano rispediti a casa con una raccomandazione: “Dagli più cibo!”. Già… più cibo!!!

Altri avevano la fortuna di essere ammassati con le madri in uno stanzone buio, sporco e puzzolente con soli 5-6 letti, ma che per loro era l’unica speranza di salvezza… E poi c’erano i condannati a morte… i fanciulli per cui la denutrizione era ormai irreversibile… A loro veniva concesso di morire all’interno di uno spazio dedicato, mentre le madri venivano rifocillate con un po’ di manioca e qualche papaia.

L’infermiera mi accompagnò attraverso la schiera di mamme e bimbi…; sopra una seggiola sgangherata stava seduta una donna vestita di stracci, magra, ossuta, con i capelli raccolti in piccole ed appuntite trecce ed il capo chino. Tra le braccia teneva stretto un fanciullo, morente. Il suo. Avrà avuto all’incirca 7-8 anni, il corpicino scheletrito si stava totalmente disfacendo, era completamente ricoperto da estese e sanguinolenti ulcere (non so se avesse contratto qualche strana malattia!). Stava morendo di fame! Durante il mio soggiorno avevo visto molti morire per fame… Ma quel bambino!?!

Avrei voluto sparire, essere a migliaia di km di distanza, lontano da lì… mi vergognavo del  mondo che rappresentavo e a cui appartenevo! Negli occhi della madre si leggeva una desolante rassegnazione. Poi, fortunatamente, l’infermiera interruppe quel silenzio dicendo: “Vai, torna a casa tua, fai vedere e racconta quello che succede qui… poi torna e porta con te quanta gente puoi! Venite ed aiutateci perché lui non debba continuare a morire migliaia di altre volte!”.

 

Ho promesso…

Questa è la mia motivazione, il mio motivo più intimo che mi spinge a provare a cambiare il mondo… Mi sono sentito dire: “Il mondo non si può cambiare!”. Ghandi sosteneva: “Tutto quello che farai sarà inutile, ma è molto importante che tu lo faccia!”. Ma perché faticare e rodersi il fegato? Sempre citando Ghandi: “Dobbiamo diventare il cambiamento che vorremmo vedere!” …e così sto cambiando me stesso, il mio modo di vedere le cose… o almeno ci provo ed è già qualcosa!

Al ritorno dal viaggio capovolsi la mia vita, scelsi la via del matrimonio, intrapresi gli studi in infermieristica e mi buttai a capofitto nel volontariato internazionale, senza però dimenticare che il cambiamento deve necessariamente partire da qua!

La vita che ho scelto non lascia spazio a molti affetti, il tempo non basta mai, la gente nei Paesi poveri continua a morire di fame, ma in un mondo che ha capacità di produzione per poter sostentare sei volte l’attuale popolazione umana, nessuna vittima della fame è una vittima inevitabile! E non posso voltare le spalle dopo aver visto e toccato con mano certe situazioni e chi non condanna e combatte tali eventi può essere considerato partecipe nelle ingiustizie…; quando si lascia morire una persona che si potrebbe salvare si è alla pari di un assassino, come sostiene anche Peter Singer, filosofo contemporaneo di etica laica.

Ogni giorno ognuno di noi è corresponsabile della morte di un individuo per fame, per mancanza di medicinali… questa è la dura realtà! Abbiamo possibilità di scegliere chi vogliamo essere… abbiamo lo strumento per scegliere bene (il Vangelo)… è imperdonabile sbagliare! Con Erica abbiamo scelto di relegare “Let it be!” (lascia che sia!) solo all’interno di una canzone e non nella vita di ogni giorno.

Come accennato poco fa ho scelto la via matrimoniale: ritengo che nella vita di coppia io abbia trovato la mia linfa vitale e credo che non potrei stare con altre persone se non con Erica, alla quale ora cedo la parola!

 

Erica

Quando si scrive una storia si parte sempre da un foglio bianco e un bambino, quando è affidato ai propri genitori, è un foglio bianco: i tratti essenziali sono già delineati, i margini, le righe, ma il contenuto è ancora assente, si riempirà e si modellerà con gli anni attraverso l’aiuto/non aiuto dei propri genitori e delle persone che incontrerà cammino facendo (educatori, parenti, insegnanti, amici…).

Così è sufficiente un incontro per gettare un seme che, trovando terreno fertile, prima o poi, germoglierà. Perché i semi gettati nell’animo seguono tempi un po’ diversi dalla natura… e possono germogliare anche anni dopo. Quanto sto per raccontare spero vi renda evidente l’importanza che ha un educatore, figura che molti di voi credo ricoprano.

Un mattino, in prima elementare, Suor Silvina, la nostra maestra delle elementari (figura fondamentale nell’educazione mia e di Christian), ci presentò Sr. Angelina (delle suore di San Giuseppe della congregazione di Pinerolo, in provincia di Torino) missionaria a Cicero Dantas, piccola città del nord-est del Brasile, la quale ci venne a raccontare la sua quotidianità in una terra a noi così lontana. Eravamo tutti seduti sulle nostre panchette blu a guardare foto di bambini della nostra stessa età, seduti su panchette a mangiare manioca come stavamo facendo noi in quel momento. Sr. Angelina,  infatti, ci aveva dato nelle mani un po’ di quella strana farina bianca e scoprendone il sapore crebbe il desiderio di conoscere la realtà di quei bambini, le loro abitudini. In quel momento, non ho provato compassione, non ho pensato a loro come a dei poveri bambini: avevo solo il desiderio di conoscerli. Così quel giorno fu gettato un seme… il mio seme!

Poi, percorrendo la mia strada, è arrivato il tempo di decidere cosa fare da grande. Ho avuto la fortuna di avere genitori che mi hanno accompagnato nelle mie scelte senza mai influenzarmi o prendere posizioni al mio posto. Avevo due interessi: l’arte e gli esseri umani. Il secondo interesse ha prevaricato sull’altro e così ho deciso di essere medico. Sottolineo la dicitura: “essere” medico, perché è sostanzialmente diverso da “fare” il medico. Essere medico significa prendersi cura del paziente, servirlo nel momento della malattia, mentre fare il medico è una delle tante professioni che qualcuno scambia per una posizione sociale privilegiata, con in questione il potere di salvare vite e decidere il loro destino.

Il medico, grazie alle conoscenze acquisite, può salvare una vita, ma non per questo ha diritto a maggiori privilegi di chi fa sì che ogni giorno le stanze dei pazienti siano pulite, in ordine, gradevoli.

Credo profondamente in Dio e sono consapevole che mi ha donato, attraverso i miei genitori, la possibilità di essere medico; inoltre sono pienamente conscia e soprattutto grata di essere una matita nelle sue mani. Il mio compito è accompagnare i pazienti durante la malattia e anche se farò del mio meglio e non commetterò nessun errore la loro vita non dipenderà da me, ma da Dio… e anche se non capisco il perché, la loro morte ha un preciso significato. Un unico dubbio: morire di malattia ha lo stesso significato di una morte per fame?

Ho parlato dei miei genitori come figure importanti durante il mio percorso, ma insieme a loro c’è stata e c’è un’altra persona con cui ho condiviso e condividerò tutta la vita: Christian.

Il primo giorno di scuola della prima elementare era il mio vicino di banco, non sapevamo ancora che Dio ci voleva insieme per sempre. Siamo cresciuti insieme, come amici prima e come amanti dopo.

Sorrido pensando a quando confidavo a Christian di voler vivere 1 anno o 2 in Africa e lui mi rispondeva che non sarebbe mai andato così lontano da sua mamma. Ora ogni mese mi chiede quando partiremo…

Abbiamo condiviso insieme il periodo dell’università e man mano che gli esami passavano, ognuno di noi due ha dovuto decidere come svolgere la propria professione, dove… perché?

È stato un costante confronto, alla ricerca delle idee comuni condivise e con la voglia forte di superare le controversie. Abbiamo imparato a venirci incontro, a piegare egoismo e orgoglio e abbiamo costruito la base del nostro progetto.

Quando Christian è tornato dal viaggio di cui vi raccontava abbiamo dovuto ridiscutere tutti gli equilibri che si erano creati fino a quel momento. Come avremmo impostato la nostra vita? E i figli? Ci sarebbe stato ancora spazio per due o tre pargoli all’interno di una vita sicuramente più difficile da condurre? Ora, dopo tanta fatica, siamo riusciti a pianificare cosa saranno i nostri prossimi cinque anni e quali risposte vorremo dare alle proposte che la vita ci farà.

Abbiamo stipulato una specie di contratto di coppia: per esempio, Christian non potrà stare via di casa per più di tre mesi all’anno, salvo eccezioni per necessità inderogabili; abbiamo deciso di avere dei figli e che con loro trascorreremo un periodo in Africa. Tante decisioni di natura pratica e spirituale che poggiano su un unico caposaldo: ama il prossimo tuo come te stesso e lenendo il dolore di un essere umano potremo lenire il dolore di Dio. Chi negli ultimi tempi gli è stato vicino, come Papa Giovanni Paolo II, parla di lui come molto triste.

La paura che provo nell’aver deciso di affrontare questo cammino è molta e tante, tantissime volte mi chiedo se riusciremo a farcela, se non demorderemo, se non cadremo in compromessi ambigui… ma confido in Dio.

Essere qui a parlarvi di noi mi lusinga. Spesso riceviamo elogi oltre i nostri reali meriti e molte persone ci ritengono una coppia “straordinaria”, ma in realtà quello che facciamo è ciò che è giusto fare. Non c’è nulla di straordinario: abbiamo semplicemente scelto di non ignorare le drammatiche vicende che stanno al di là del luccichio delle nostre città e di vivere con maggiore consapevolezza e responsabilità.

Essere missionari non vuol dire solo partire e lasciare tutto per portare la propria opera in paesi lontani, ma semplicemente, penso, provare a riportare alla giusta altezza equilibri spezzati da tempo. Questo si può fare anche vicino a casa: ad esempio, al supermercato, scegliendo di comprare cibi che derivino da un’economia etica e solidale che tuteli i lavoratori; accendendo il computer e cercando una migliore informazione per verificare la veridicità delle notizie e conoscere punti di vista culturali differenti. Ai nostri tempi, l’ignoranza non può giustificare i nostri comportamenti egoisti: le possibilità di informazione sono troppe! Il 20% del mondo possiede l’80% delle sue risorse e questo è semplicemente illogico. Se ognuno di noi guardasse veramente al prossimo come a se stesso, allora a Torino non incontrerei più quel barbone dagli occhi azzurri che piange al dono di 5 miseri € perché quella sera lui ed il suo amico senza gambe avrebbero potuto mangiare… e pensare che un anno prima aveva una casa calda in cui andare a riposare! Se noi amassimo il prossimo come noi stessi sarebbe tutto così semplice e non si parlerebbe di disuguaglianza.

Siamo una coppia in continuo fermento: la scelta di aprirci all’esterno, non limitandoci a rispecchiarci l’uno nell’altro, necessita la volontà di ricalibrare le nostre priorità di coppia e non sempre è facile rinunciare a del tempo insieme per donarlo ad altri che non conosci, con cui non condividi nulla se non lo stesso cielo. Nello stesso tempo è importante non dimenticarci di noi, che abbiamo radici l’uno nell’anima dell’altro.

Inoltre a questo si aggiunge la piena coscienza che le nostre piccole rinunce non saranno sufficienti per riequilibrare ciò che è stato sottratto, ma se tutti dessero il proprio contributo… beh, accadrebbe il miracolo e Dio ne sarebbe fiero.

Cosa c’è di straordinario in ciò che facciamo io e Christian??? Nulla, assolutamente nulla! Dio ci ha donato dei talenti ed ora abbiamo deciso di disseppellirli e farli fruttare. Aver deciso di farlo non vuol dire aver compiuto l’opera… sono solo i primi passi ed ora ci aspetta un’avventura.

 

Christian

Giovanni Paolo II parlava di noi giovani come di una speranza, una risorsa su cui investire e questo perché noi giovani siamo il futuro prossimo della società e se non parte da noi il desiderio di cambiamento, da chi deve partire? Noi dobbiamo e possiamo essere artefici di un futuro dove ogni essere umano possa un giorno dire: “vivo in un mondo giusto!” Ma dobbiamo volerlo, dobbiamo crederci e dobbiamo viverlo.

Come coppia, dopo aver appianato le divergenze ed aver condiviso i valori, insieme a Paolo Solazzo (amico e compagno di avventura) abbiamo deciso di far nascere “Gettando un seme”.

Dapprima abbiamo coinvolto un gran numero di giovani della nostra età e li abbiamo messi di fronte a testimoni privilegiati di realtà così terribilmente difficili, passando dal missionario religioso al progettista che ha lavorato ai massimi sistemi, all’infermiere cooperante con Medici Senza Frontiere. Li abbiamo invitati ad intraprendere un viaggio con noi, dando così la possibilità ad alcuni giovani (quelli che hanno accettato l’invito) di dare la propria impronta alla nascita di un’organizzazione laica che operi nel sociale e nella quale si sentano identificati. Ci auguriamo che tale sensazione di appartenenza stimoli la pratica di uno stile di vita più consapevole e attento verso chi e che cosa sta loro attorno e il desiderio di coinvolgere quante più persone possibile.

Siamo un’Associazione di Cooperazione e Solidarietà Internazionale, nata dopo un lungo percorso di informazione e formazione, che ci ha portato a scegliere di investire le nostre vite nel tentativo di sostenere e promuovere azioni che mirino a salvaguardare, a migliorare e garantire la dignità di ogni persona in ogni parte del mondo. L’obiettivo è costruire un’Organizzazione Non Governativa che, fungendo da canalizzatore di risorse, concorra al miglioramento della vita del maggior numero possibile di individui.

I nostri programmi, nel breve periodo, ci vedono impegnati nello studio delle regole del gioco della cooperazione internazionale. Questo perché siamo fermamente convinti che non solo sia necessario essere motivati, ma sia altrettanto imprescindibile “sapere” e “saper fare”; ma soprattutto ci piace l’idea di arrivare a fare del bene, a farlo bene e senza fare troppo “baccano” e quindi di essere professionali in ogni nostro intervento per aiutare persone svantaggiate ad uscire dalle situazioni, spesso drammatiche e talvolta tragiche, in cui andremo ad operare.

Nel medio e lungo periodo ci siamo impegnati in due progetti di cooperazione internazionale come partner di due ONG già affermate quali “World Friends” e “Persone come noi” e porteremo il nostro contributo in Burkina Faso e a Capo Verde all’interno del Bando promosso dalla regione Piemonte per l’attuazione del programma di sicurezza alimentare e lotta alla povertà in Sahel e in Africa occidentale per l’anno 2007.

Erica ed io vi ringraziamo di cuore per l’attenzione e vi salutiamo con alcune parole pronunciate da Martin Luther King e Nelson Mandela che fanno parte del nostro bagaglio culturale.

(Martin Luther King): “Fino a quando esisterà la povertà nel mondo, non potrò essere ricco, anche se possedessi miliardi. Fino a quando le malattie imperverseranno in questo mondo e milioni di uomini avranno un’aspettativa di vita di 28-29 anni, non potrò godere di buona salute. Io non potrò mai essere ciò che dovrei essere fino a quando anche l’altro non lo sarà. Il nostro mondo è fatto così.”

(Nelson Mandela): “Il presidente è il primo servitore del suo popolo!” e che in “Ogni essere umano, anche nei più spietati, brucia la fiamma della bontà e dell’umanità!”

Sulla scia di queste parole… ricordiamoci di essere cristiani cattolici, ricordiamoci dell’insegnamento di Gesù Cristo… proviamo a crederci veramente, poi facciamo un passo indietro, abbracciamo e amiamo la diversità nella sua bellezza di individuo singolo ed irripetibile e facciamola nostra, rispettiamone l’agire, e poi proviamo ad essere servitori dell’umanità, così come lui ci ha mostrato, nella maniera più totale e spassionata, proprio come dovremmo fare da cristiani quali diciamo di essere!!!

Grazie!