N.03
Maggio/Giugno 2008

La comunità cristiana annuncia, forma e invia i suoi figli: dalla parola accolta alla missione.

Questa relazione, inserita nel tema più ampio della “direzione spirituale vissuta dentro un itinerario e un tessuto ecclesiale”, si muove in ambito teologico-pastorale entro tre orizzonti che cercherò di tenere costantemente in dialogo reciproco: Il primo orizzonte è la Parola di Dio: “Come favorire nei giovani un contatto forte con il testo sacro e come da questo può nascere il gusto di comunicarlo”. Per questo aspetto mi lascio guidare dal tema del prossimo Sinodo dei vescovi, “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, che si propone come “rilettura pastorale della Dei Verbum… affinché la Parola illumini sempre meglio il cammino dell’uomo nella Chiesa e nella società”[1]. Il secondo orizzonte è la dimensione missionaria: “Quale contatto e familiarità con la Parola fa crescere una coscienza missionaria nel giovane”. Per questo aspetto mi tengo ancorato al cammino della Chiesa italiana in questo decennio: “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” e in particolare alla esplicita messa a tema operata dal Convegno nazionale di Verona, che dichiara il proprio intento di “dare alla vita quotidiana della Chiesa una chiara connotazione missionaria, fondata su un forte impegno formativo e su una più adeguata comunicazione del mistero di Dio”[2]. Il terzo orizzonte è quello dei giovani. A loro si rivolge in modo particolare l’attenzione di questo 23° Seminario, con un titolo provocatorio e stimolante: “missionari o dimissionari”. La Chiesa italiana, che in questo decennio pone i “giovani” tra le priorità della sua azione pastorale, individua quale suo impegno quello di trasmettere loro “l’amore per la vita interiore, per l’ascolto perseverante della Parola di Dio, per l’assiduità con il Signore nella preghiera, per la capacità di lavorare su se stessi attraverso l’arte della lotta spirituale”[3]. Un impegno ripreso dal messaggio del Santo Padre per la XXIII GMG di Sidney, nel quale chiede ai giovani “il coraggio di vivere il Vangelo e l’audacia di proclamarlo[4]

Per la traccia della relazione mi sono fatto sollecitare dal sottotitolo che scandisce un itinerario: Dalla Parola accolta – cioè il rapporto che si instaura tra la Parola ed il suo uditore – alla missione – che esplicita la finalità per la quale la Parola giunge fino a noi. Di ognuno dei due versanti considererò il profilo teologico, ecclesiologico ed antropologico. Ne risultano sei brevi itinerari che connotano la figura del giovane credente, plasmato dalla Parola di Dio. 

 

La Parola accolta 

Per questa prima articolazione mi sembra efficace lasciarci guidare da un’icona colta dalla storia agiografica cristiana: la vocazione del giovane Antonio, il futuro Sant’Antonio abate, “il padre dei monaci” e fondatore della vita monastica. Il suo discepolo sant’Atanasio (295 ca – 373), grande teologo e vescovo di Alessandria, racconta che Antonio all’età di 18 anni, durante una celebrazione liturgica, udendo le parole che il Signore aveva detto a quel ricco: “Se vuoi essere perfetto va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli” (Mt 19,21), “come se la lettura fosse proprio per lui, subito uscì dalla casa del Signore, donò alla gente del suo villaggio i beni che aveva e poi seguì il Signore”[5]. L’obbedienza alla Parola genera un’adesione sempre più radicale alla volontà di Dio, così che, libero dall’affanno delle ricchezze, può finalmente seguire il Signore. Dietro questa testimonianza è detto, in estrema sintesi, il cammino di ogni discepolo, il quale ascolta la Parola e la accoglie. Ciò che Antonio compie simultaneamente è normalmente vissuto da ogni chiamato per tappe progressive, ma la dinamica è la medesima: ogni itinerario spirituale inizia con una rinuncia e con un’obbedienza. Antonio rinuncia ai beni, agli affetti, ma anche alla propria volontà, a ogni progetto personale, per aderire alle esigenze della Parola. 

 

In religioso ascolto della Parola (percorso teologico) 

Il cammino vocazionale di ogni discepolo di Gesù, come quello di Antonio, prendono avvio da un appello che risuona da una pagina biblica. Nella spiritualità cristiana, essere uditori della Parola è l’esperienza originaria, è l’accostamento al “roveto ardente” che introduce alle soglie del mistero di Dio, è il luogo nel quale si svela all’uomo il senso della sua vita. Questo incontro fecondo si realizza grazie all’azione dello Spirito santo, il Maestro interiore, che continuamente parla “alle Chiese” (Ap 2,7ss): Egli, che ha ispirato le Scritture, aiuta ora a leggerle alla luce della Pasqua di Cristo, le rende attuali, le personalizza per ogni singolo credente. La Bibbia, in quanto è profondamente radicata nella vita, è un libro che racconta la grande esperienza umana, ne percepisce le domande e suggerisce risposte, ponendo l’uomo di fronte ai disegni del suo Signore: “la Scrittura sacra sta nelle nostre mani come la lettera che Dio ha inviato agli uomini. In essa scopriamo qual è il piano di Dio su di noi, sul mondo degli uomini e delle cose”[6]. Su una decisa ripresa di questo “religioso ascolto”[7] è tornato a insistere il recente magistero della Chiesa. Nella Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II sollecita che “l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta e plasma l’esistenza”[8]. Benedetto XVI ha invitato i giovani “ad acquisire dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano perché sia come una bussola che indica la strada da seguire[9]. E a tutti ricorda: “L’assidua lettura della sacra Scrittura accompagnata dalla preghiera realizza quell’intimo colloquio in cui, leggendo, si ascolta Dio che parla e, pregando, gli si risponde con fiduciosa apertura del cuore”[10]. Gli fa eco il Convegno ecclesiale di Verona: “La prima cosa che fa la Parola in noi è quella di aprirci alla speranza, renderci più agili, più aperti, più disponibili al nuovo… Ci propone di diventare ciò che potenzialmente già siamo: chiamati alla santità… a vivere la nostra maturità umana come Dio la sogna guardando il suo Figlio”[11]

Queste espressioni suonano come un atto di fiducia nella potenza della Parola. Nel libro degli Atti incontriamo quella espressione: “La parola cresceva” (At 12,24; 19,20). Significa che, seminata da Gesù e affidata ai suoi collaboratori, la Parola rivela un’efficacia prodigiosa, una fecondità che gli uomini non possono programmare, mette le radici nei luoghi più impensati: è quel seme che “cresce da solo” (Mc 4,26-29), il piccolo “granello di senape” che produce “alberi grandi” (Lc 13,18-19), il “pugno di lievito” che ha la forza di trasformare tutta la pasta (Lc 13,20-21). E noi constatiamo con sorpresa come il piccolo seme gettato, là dove non trova resistenza, conosce la gioia di frutti davvero eccezionali: “È motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile che può fornire alla sua interpretazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale, di quella offerta da una scienza sicura di se stessa”[12]

 

Alcune ricadute pastorali-spirituali 

A noi pastori e guide spirituali è chiesto di coltivare e trasmettere questa fiducia nella Parola. Il passaggio dalla lettura (per comprendere la Bibbia) all’ascolto della Parola (per dialogare con il Dio che parla) richiede un iter metodologico che la tradizione cristiana ha via via precisato e aggiornato e che a noi spetta conoscere e proporre[13]. Se la pastorale giovanile nella sua essenza è la cura di itinerari di fede, capaci di portare il giovane a decisioni mature, di essa fa parte integrante l’educazione a un ascolto della Parola e la necessaria offerta di occasioni e strumenti pertinenti. 

Di fronte a questa prospettiva possono insorgere alcune perplessità: non è forse questa una proposta troppo ambiziosa, viste le difficoltà di accesso al testo sacro e tenuto conto dell’atmosfera che circola tra i giovani, dell’aria che spesso si respira nelle nostre comunità? Non significa chiedere troppo a chi ancora fa fatica a vivere del minimo? A noi educatori, per primi, è chiesta la ferma convinzione che porre la Parola al centro della vita di un giovane potrà avere ricadute efficaci sul suo concreto vissuto e sul suo stile di vita. Luca ha incluso nella trama del racconto di Emmaus un cammino che progressivamente trasforma due viandanti perplessi e delusi in convinti e gioiosi annunciatori del Signore. La frequentazione della Parola è capace di guarire il nostro sguardo e insieme aprire impensate possibilità di vita e di impegno. Su questo insiste il papa Benedetto nel suo messaggio ai giovani per la GMG di Sidney: “Diventa fondamentale – scrive – che ciascuno di voi giovani, nella comunità e con i suoi educatori, possa riflettere… ascoltando la Parola di Dio nella rivelazione della Bibbia… Questo attento ascolto ci apre a conoscenze grandi e stimolanti”[14]

 

Nella Chiesa (percorso ecclesiologico)

La vocazione di Antonio si è chiarita nel corso di una liturgia, il momento più significativo nel quale la Chiesa, proclamando la Parola e celebrando l’Eucaristia, tiene viva la memoria di Gesù e custodisce la differenza cristiana. Il biografo sant’Atanasio, che ha subito il martirio nella fedeltà al ministero episcopale, presenta Antonio come “uomo di Dio”, “martire del cuore”. La “vita di Antonio” non è scritta soltanto per i monaci, ma è rivolta a tutti i cristiani, a tutti quelli che confessano Cristo vero Dio e vero uomo. “La persona intera di Antonio, trasfigurata dalla grazia, riflette come in uno specchio la gloria di Dio, così che la narrazione della vita del santo è veramente la miglior difesa della fede di Nicea. La chiamata di Antonio, nata per mediazione della Chiesa, si è sviluppata a servizio della Chiesa: egli diverrà il patriarca del monachesimo cristiano, primo degli abati; a lui si deve la costituzione, in forma permanente, di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrano al servizio di Dio. Ecco in che cosa consiste la paternità spirituale: soffrire con il discepolo finché egli impari a conoscere se stesso, a conoscere il proprio cuore, a discernere i pensieri suggeriti da Dio e quelli suggeriti dal divisore. 

Non si può immaginare la conduzione spirituale di una persona, né tanto meno portarla a dei seri approdi vocazionali, se non attraverso una guida spirituale che ha già percorso un cammino di fedeltà nella sequela del Signore, nel contesto di una comunità viva, che sia segno reale dell’accoglienza dell’evangelo. Narra Atanasio che non appena Antonio sente parlare di qualche asceta fervoroso, subito corre a trovarlo, come l’ape corre ai fiori (VA 3,4); corre a chiedere il miele della Parola di Dio tradotta nella vita e a tutti “si sottometteva con cuore sincero” (VA 4,1). La Chiesa è culla di ogni vocazione in quanto è la prima uditrice di una Parola che genera i figli di Dio ed è lampada ai loro passi (Sal 119,115). È bella l’immagine offerta dal libro degli Atti degli apostoli quando ci presentano una comunità assiduamente chinata sulla Parola: “tutti quelli che erano venuti alla fede erano perseveranti nell’ascolto” (2,42). Sono uomini e donne che interrogano la Parola e da essa si lasciano interrogare di fronte alle novità e ai momenti di crisi, in vista di difficili discernimenti. È l’espressione visiva di una Chiesa che sta “sotto la Parola” (Dei Verbum). 

Il problema dell’educazione alla fede dei giovani è anche e soprattutto la questione della fede degli adulti, della complessiva qualità cristiana di una comunità, chiamata ad essere figura di valore e a fungere da meta plausibile del processo di crescita della fede[15]. Se il problema dell’educazione alla fede dei giovani si limita ad un percorso pedagogico, la questione verrà intercettata ad una latitudine troppo bassa. Gli interventi della Chiesa sul mondo giovanile sono solo un momento del più ampio compito di evangelizzazione dell’intera comunità cristiana. E un’adeguata evangelizzazione avviene quando la Parola di Dio si dà non solo come nuda vox Dei, ma quando appare capace di suscitare la visibile manifestazione della sua efficacia salvifica in una comunità di salvati, quando cioè si esprime come edificazione della Chiesa[16]

 

Alcune ricadute pastorali-spirituali 

Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante, martire dell’odio nazista, scriveva che “la Bibbia si incontra in tre diversi luoghi: sul pulpito, sul tavolo di lavoro, sull’inginocchiatoio”. Senza indebite forzature, possiamo trovare qui una sintesi completa di come la comunità cristiana deve accompagnare il giovane ad un incontro efficace con la Parola. La Nota pastorale della CEI del 1995[17], che riprende il cap. VI della Dei Verbum con applicazioni alla situazione concreta delle nostre chiese diocesane, sembra approfondire e sviluppare la suggestiva immagine di Bonhoeffer. 

Il pulpito rimanda ad una “attenzione privilegiata verso ogni forma di incontro con la Parola nell’azione liturgica” – sono espressioni del prossimo Sinodo dei vescovi – … ad una vera “passione pastorale per celebrare e vivere in autenticità e gioia l’incontro con la Parola nell’Eucaristia domenicale… con la proclamazione chiara e comprensibile dei testi, con l’omelia che della Parola si fa risonanza limpida e incoraggiante”. Lo stesso Sinodo chiede che “vengano particolarmente valorizzate tutte le mediazioni della Parola presenti nella Chiesa: il Lezionario, la Liturgia della Ore, i catechismi, le celebrazioni della Parola”[18]. Il giovane che, nella propria comunità, trovasse una prassi celebrativa scialba e ripetitiva o, viceversa, infarcita di effetti speciali e spettacolari, piegati alla “religiosità del bisogno”, ma estranei allo spirito della liturgia, come potrà incontrare la nativa forza della Parola? 

Il tavolo di lavoro allude allo studio del libro sacro, a quell’esercizio di lettura personale e di gruppo che favorisce l’incontro diretto con il testo scritto, lo attualizza in riferimento alla storia e alla vita quotidiana. Le comunità non possono pretendere di lasciare questo esercizio alla libera iniziativa dei giovani. Esso esige un serio accompagnamento fatto di proposte adeguate, quali le scuole della Parola, i gruppi di ascolto, i momenti di laboratorio e di confronto. Imprescindibile, in questo contesto, quanto viene raccomandato dalla CEI e dal prossimo Sinodo dei vescovi: che le diocesi creino itinerari per rendere idonei i ministri della Parola ed altri animatori a saper iniziare i fedeli alla Bibbia. 

L’inginocchiatoio richiama infine il momento orante, per il quale è ancora indispensabile la mediazione della comunità cristiana, che propone incontri di lectio divina, insegna l’uso dei salmi nella Liturgia delle Ore, promuove forme di preghiera in famiglia, convinta che solo nella preghiera ci è dato il giusto contesto per ascoltare, accogliere, contemplare e assaporare il mistero della Parola. Occorre chiederci se nella vita personale e nell’esperienza quotidiana delle comunità cristiane e delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali tutto ciò brilla in modo sufficientemente luminoso. La prassi pastorale della Chiesa non può esimersi a buon prezzo dalla fatica di proporre percorsi metodici, e soprattutto in quel delicato segmento della crescita cristiana che è l’età giovanile. Ma tutto ciò si rivela impossibile in un’eventuale inconsistenza della comunità adulta, come nell’impreparazione degli operatori pastorali. 

 

Rinnovati dall’ascolto (percorso antropologico) 

La Prima lettera di Pietro definisce i cristiani “figli dell’obbedienza” (1Pt 1,14), persone che si qualificano per aver ascoltato il Signore e risposto alla sua chiamata. Nella cultura biblica l’ascolto si traduce in obbedienza e l’obbedienza suppone l’ascolto, al punto che esiste un unico lessico per esprimere e l’una e l’altro[19]. L’obbedire dell’uomo, quando è “religioso ascolto della Parola di Dio”[20], sempre comporta un effetto efficace, a partire da una profonda trasformazione della persona. Ritornando alla vita di Antonio, egli ha visto la sua esistenza radicalmente rinnovata dall’incontro con la Parola. Il biografo sant’Atanasio racconta che, dopo un primo periodo di vita eremitica, durante la quale “pregava continuamente ed era così attento alla lettura delle Scritture che nulla di quanto vi è scritto cadeva a terra”, il cammino spirituale del monaco Antonio prese una dimensione decisamente missionaria. Primo frutto della solitudine vissuta in Dio è l’amore colmo di misericordia per tutti gli uomini. Cominciò allora a offrire una parola di consolazione e di speranza a chi era afflitto, sviluppò il dono del consiglio e della consolazione, ottenendo dal Signore il dono di guarigioni. Si mise a istruire coloro che volevano abbracciare in modo più radicale la vita cristiana, si recò perfino ad Alessandria, dove si era scatenata la persecuzione, per poter assistere i martiri[21]. Ciò conferma che esiste uno stretto rapporto tra la Parola ascoltata e l’esistenza credente: “Uno diventa la Parola che ascolta. Uno si assimila alla Parola che medita quotidianamente e diventa narratore di speranza. Nutrirci della Parola per essere servi della Parola”[22]

Anche il prossimo Sinodo dei vescovi torna su questo tema: “il progresso spirituale costituisce uno degli aspetti più belli e promettenti della corsa della Parola di Dio nel suo popolo”; per questo “incontrare, pregare e vivere la Parola è la suprema vocazione del cristiano…”[23]. Questo risvolto antropologico, per il quale nell’ascolto della Parola l’uomo è condotto ad una più profonda conoscenza di se stesso e del senso della propria vita, è ben espresso dal Vaticano II, quando afferma che “rivelando il mistero del Padre e il suo amore, Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”[24]

 

Alcune ricadute pastorali-spirituali 

Se, nella vita cristiana, la vocazione si decide nell’ascolto obbediente della Parola, è evidente che ciò esclude da un lato ogni forma di autodeterminazione, caratteristica dell’uomo moderno e, sul versante opposto, ogni atteggiamento di rinuncia alla propria volontà o di riduzione dell’obbedienza a semplici livelli esecutivi. Questo deve aver ben presente ogni educatore della fede e ogni direttore spirituale, il quale non può certo decidere al posto del soggetto che accompagna. 

Al realizzarsi di questo processo di scelte responsabili, condotte in piena autonomia, si oppongono oggi non pochi ostacoli. Basti pensare come, nelle nostre società avanzate, che chiedono al giovane alti tassi di scolarità e dinamiche complesse di socializzazione per accedere allo status di adulto, l’adolescenza venga artificiosamente prolungata e la stessa giovinezza rimanga a lungo un periodo interlocutorio, di precarietà, di insicurezza, di instabilità emotiva, di dipendenza prolungata. In questo contesto anche le scelte di fede e le decisioni vocazionali sono rinviate sine die[25]. Questa situazione chiede una ripresa creativa, con il coraggio di proporre ai giovani itinerari di “fede adulta e pensata”, decisivi per la loro stessa maturità. Se il cammino educativo mirerà a creare relazioni di fede obbediente, allora vedremo fiorire vocazioni, nascere progetti di vita credente, percorsi originali e irripetibili, suggeriti dalla voce discreta dello Spirito. 

Su questa responsabilità siamo interpellati dal testo sinodale, che ci domanda: “L’ascolto della Parola avviene in una fede intensa e mira a generare la fede? Quale relazione va pensata tra parola di Dio e vita consacrata? Come entra la parola di Dio nella formazione di futuri presbiteri?[26]. Una pastorale centrata sulla novità del Vangelo è capace di creare rapporti freschi e nuovi, di avviare cammini di vita cristiana. È consolante notare come nel tempo del postconcilio tante persone semplici, nella vita personale, nella ricerca della vocazione, nella famiglia, nella professione laicale hanno riscoperto l’esigenza di un confronto lucido e creativo con la Parola. La storia della Chiesa attesta che quando la Parola prende corpo nella vita quotidiana di persone che amano e soffrono, lavorano e creano, allora emergono figure di giganti nella fede e nella santità, tradotta anche in espressioni culturali e in operosità sociale. 

 

La Parola che “manda” 

Mi è parso efficace lasciarmi accompagnare, anche in questa seconda articolazione, da un’icona di santità vissuta, relativa ad un episodio centrale della vita di Francesco d’Assisi[27]. Narrano i biografi che un giorno Francesco, entrato nella chiesetta campestre di San Damiano, che si presentava in cattivo stato, inginocchiato davanti ad un grande crocifisso ligneo, ora esposto nella chiesa di Santa Chiara, percepì la voce di Cristo che gli diceva: “Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta una rovina” (FF, Leggenda maggiore, n.1038). Erano anni difficili per la Chiesa, spesso il clero non dava uno spettacolo edificante, mentre tanti movimenti spirituali che predicavano una maggiore fedeltà all’insegnamento evangelico cadevano nell’eresia. Francesco capì a poco a poco il senso profondo di quell’ordine, che all’inizio credette di dover interpretare alla lettera. Decisiva fu per il discernimento di Francesco una meditazione delle Scritture che ha accompagnato l’intera sua esistenza[28]. È impressionante come i brevi testi che egli ci ha lasciato contino ben 674 citazioni o allusioni o risonanze bibliche, segno evidente di una familiarità con la sacra Scrittura, lui che si dichiarava “ignorante e illetterato”[29]. La sua conoscenza biblica appare frutto del Maestro interiore che continuamente invocava nella preghiera: “leggeva nei libri sacri e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che aveva letto. L’orecchio afferrava con sicurezza ciò che andava meditando con devozione. Affermava che questo metodo è il solo fruttuoso, non quello di consultare migliaia e migliaia di trattati”[30]. L’icona di Francesco ci introduce al tema di questa seconda parte: la Parola e la missione. 

 

Inviati dalla Parola (percorso teologico)

Il poverello d’Assisi si sente anzitutto un inviato dalla Parola: ad essa ha dato un ascolto obbediente e sente che essa ora coinvolge tutto il suo essere, lo orienta verso un cammino nel quale deve lasciarsi docilmente condurre. È stata la frequentazione della Parola a fargli capire che Gesù non lo invitava solamente ad un restauro del vetusto edificio di San Damiano, ma gli indicava una precisa vocazione: quella di servire la Chiesa. Un simile servizio non s’improvvisa, ma è l’esito di un ascolto attento e profondo, di un affidamento fiducioso al mistero che ci precede e solo in forza del quale siamo costituiti servitori, ministri, araldi. 

È un’immagine, questa, che percorre l’intera sacra Scrittura: l’ascoltare e l’obbedire non sono mai passivi, ma tendono a tradursi in opere (Is 55,10-11; Gv 14,12), inducono all’azione e alla decisione (Mt 7,16.26; 1,24; Rm 2,13). Sarebbe interessante, a questo proposito, analizzare figure bibliche di vocazioni che si stagliano davanti a noi come modelli esemplari di chiamata e contemporaneamente di invio missionario e nelle quali possiamo intravedere le varie tipologie delle vocazioni nella Chiesa oggi: Abramo e il lasciarsi condurre, Mosè e il compito di guida, Samuele e il discernimento in tempi difficili, Geremia e il compito drammatico del profeta, Giona e la conversione dei lontani, Maria e la docilità allo Spirito, i discepoli e la pesca di uomini per il Regno, Paolo l’apostolo afferrato da Cristo. In ognuna di queste figure, vocazione e missione si collocano in un contesto di intimità con il Signore, di risposta ad un dono ricevuto, di adesione ad un progetto divino che, per quanto ancora avvolto nel mistero, viene proposto alla loro fede e, accolto, consente di fare della propria esistenza un servizio. “Nutrirci della Parola – si legge nei Lineamenta per il prossimo Sinodo dei vescovi – per essere servi della Parola: questa è una priorità per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio… Il Guai a me se non predicassi il Vangelo (1 Cor 9,16) di Paolo risuona oggi con particolare urgenza, diventando per tutti i cristiani una vocazione al servizio del vangelo per il mondo”[31]

 

Alcune ricadute pastorali-spirituali 

C’è uno stretto rapporto tra la maturità cristiana di una persona e il suo impegno missionario. Questo vale anche per i giovani. Si può dire anche che la mancanza di uno spirito missionario deve porre seriamente in dubbio la qualità stessa della vita cristiana. Se un giovane fosse appagato della sua vita spirituale, ma fosse privo della dimensione della testimonianza, o peggio, avesse atteggiamenti auto-referenziali, la sua vita non sarebbe certo conforme allo spirito del Vangelo. Viceversa, la storia della Chiesa è ricca di persone che, a partire dall’ascolto della Parola, non solo hanno coltivato un’intensa vita personale di fede e di carità, ma hanno irradiato sui fratelli e sul mondo l’amore ricevuto. 

Che cosa ha un giovane da comunicare al mondo? La prima cosa di cui dobbiamo essere convinti è che ogni missione cristiana è anzitutto l’irradiazione incontenibile dell’energia e della pienezza di vita provenienti dall’evangelo. “Il cristiano sa che il più grande dono di cui dispone è il Vangelo. Perciò egli deve condividerlo con tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza di vita”[32]. Tutto ciò suscita in noi un interrogativo: come possiamo coinvolgere i giovani in questa prospettiva, quando la prima immagine che ci viene alla mente è quella delle dimensioni drammatiche del problema religioso a livello giovanile? Ma forse, come pastori e guide spirituali, dovremmo piuttosto chiederci: e se fosse invece un “bisogno di Vangelo”? Talvolta, davanti a questo “mondo misterioso” dei giovani, siamo come presi da una sorta di paura o di rassegnazione, che ci fa rinunciatari di fronte a costumi e mentalità che rendono problematico un lavoro di educazione alla fede. 

Il forte richiamo di Giovanni Paolo II alla “misura alta della vita cristiana”[33] vale anche per il mondo giovanile. Ci chiama a riflettere come solo la testimonianza coraggiosa e l’obbedienza al Vangelo saranno capaci di generare una vita morale che onora la dignità e la libertà dell’uomo, qualunque sia il sacrificio richiesto. Non dobbiamo temere di chiedere al giovane d’oggi anche sacrifici e fatiche per la missione di testimoniare il Vangelo. Chi lavora nella vigna del Signore sa molto bene che il Padrone della messe, oltre che aiutarci a interpretare con sapienza il nostro ruolo di educatori, riserva misure che eccedono le nostre attese. 

 

Per edificare la Chiesa (percorso ecclesiologico) 

L’edificazione della Chiesa è frutto congiunto dello Spirito santo e dell’impegno di uomini e donne che hanno “abitato la Parola”[34]. Ritornando all’icona di Francesco, leggiamo nel suo testamento e nelle pagine dei biografi come l’esito nella sua meditazione evangelica fosse la volontà di servire il Signore nella missione della sua Chiesa. La richiesta del Crocifisso “Va’, ripara la mia casa!” può essere attualizzata con l’espressione programmatica del Convegno di Palermo: “rifare con amore il tessuto della Chiesa”[35]. Questo fu l’intento primo di Francesco che, durante una S. Messa alla Porziuncola, dove il sacerdote aveva commentato la missione degli apostoli di predicare il Regno di Dio e la penitenza (Mt 10,7-10), si sente invitato ad adempiere alla lettera quelle parole e dice: “Questo io voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore”[36]

Nel suo cammino postconciliare, la Chiesa ha compreso sempre meglio che il servizio missionario e di evangelizzazione ha il suo punto di partenza in comunità che vivono intensamente come “case e scuole di comunione”[37]. Possiamo dire che la vocazione della Chiesa è quella di attuare l’evangelo all’interno di una concreta comunità, di renderlo visibile mediante una pluralità di concrete vocazioni[38]. Ecco perché è importante che uomini, donne, famiglie, ragazzi, adolescenti, giovani, vivano la propria vocazione missionaria anzitutto nella loro parrocchia, curando il valore della radice battesimale, la qualità della testimonianza, costruendo storie di fraternità evangelica, assumendo ognuno le proprie responsabilità con una coralità di impegno che mette in sinergia le più diverse vocazioni. Ci esortano i nostri vescovi: “Le parrocchie hanno bisogno di santi, di uomini che diffondano il buon profumo di Cristo con la loro mitezza, consapevoli di essere servi della misericordia di Dio”[39]

 

Alcune ricadute pastorali-spirituali 

Fa parte del cammino di maturità di un giovane imparare a servire la Chiesa, dalla quale è generato e alimentato nella vita di fede, a partire dalla comunità nella quale vive. Egli è chiamato, per vocazione, a scoprire ed offrire il contributo del proprio carisma, ad aiutare la Chiesa ad essere missionaria con la fantasia e l’inventiva che sono proprie delle giovani generazioni. E questo deve essere per noi, educatori e guide spirituali, un criterio ineludibile di verifica della qualità della vita cristiana. L’amore per la comunità alla quale appartengono è un’attitudine da educare nei giovani. Diciamo loro: “Non devi disertare la tua comunità; la Chiesa concreta è quella che vive nella tua parrocchia e che ha bisogno di te”. Ma sarà necessario educare anche le generazioni adulte. Diciamo loro: “I giovani hanno nella Chiesa un ruolo imprescindibile, quello di portare un contributo di generosità e la freschezza di una presenza giovanile; non soffochiamo i loro carismi”.  Essi sanno essere creativi, propositivi, ma anche critici quando a noi manca il coraggio della novità evangelica. 

Tre raccomandazioni per l’itinerario formativo dei giovani: 1) non bisogna incentivare figure di giovani “tuttofare”, che ruotano all’interno della comunità esclusivamente per i momenti cultuali-liturgici, ma aiutare ognuno a sviluppare i suoi carismi personali e le competenze delle quali la comunità cristiana, ma anche civile, necessita; 2) Non si deve trasmettere al giovane l’idea di una comunità ecclesiale (o di un movimento) che fa da “chioccia” e tutto e tutti vuole assorbire e proteggere; 3) la responsabile esperienza di servizio “infra comunitaria” deve avere la funzione propedeutica di proiettare il giovane fuori del “recinto della Chiesa”, “extra moenia”, nel vasto campo del mondo, in ogni ambiente sociale, nella politica, come nell’economia, nelle aree dell’assistenza, ecc. 

 

Testimoni della Parola per la speranza del mondo (percorso antropologico) 

Solo perché la Chiesa si lascia generare e alimentare nella Parola può attestare al mondo una speranza rinnovatrice delle forme dell’esistenza umana. Per Francesco, l’assidua sosta sulla Parola si è accompagnata all’esperienza fatta tra i lebbrosi, come si deduce dal suo testamento. “L’uomo nuovo, il Francesco che esce dal lebbrosario – scrive uno studioso – ha ottenuto anche degli occhi nuovi per vedere e rapportarsi a quanto lo circonda. Sia gli altri uomini che la creazione non sono più ambiti da utilizzare, piegare, sfruttare per soddisfare la propria sete disperata di gloria, ma luoghi e presenze verso cui andare con un cuore pieno di umiltà e pazienza. Si potrebbe dire che, stando con i lebbrosi, Francesco scopre una parola strategica e riassuntiva del modo di porre se stesso in rapporto al mondo intero: fratello”[40]. “Ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in tutte quelle cose in cui Dio gli darà grazia” (regola non bollata, FF 32). Francesco è il primo nella storia a dare al proprio gruppo religioso il nome di “fraternità”. 

L’ascolto della Parola genera la missione. La Parola stessa domanda di essere testimoniata con coraggio e indistintamente a tutte le persone nelle più diverse situazioni umane: la vita, la morte, l’amicizia, l’amore, il dolore, la famiglia, la solitudine, il lavoro. Essa “chiede di entrare come fermento in un mondo pluralista e secolarizzato, negli areopaghi moderni (At 17,22) dell’arte, della scienza, della politica, della comunicazione, portando la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture per purificarle e renderle strumenti del Regno di Dio…”[41]. La Bibbia stessa ha prodotto “effetti nell’ethos comune, per cui giustamente è chiamata e valutata come grande codice, specie nell’Occidente”[42]

 

Alcune ricadute pastorali-spirituali 

Particolarmente urgenti – e da educare nei giovani – appaiono oggi alcuni itinerari di esercizio della testimonianza negli spazi della vita. 

Anzitutto dentro lo stesso mondo giovanile: i giovani come protagonisti della evangelizzazione dei coetanei: “i giovani si evangelizzano con i giovani!”. Davvero ispirato, oltre che carico di benefico ottimismo, mi sembra un passaggio della lettera d’invito che il Papa indirizza alla gioventù per la GMG di Sidney: “Molti giovani guardano alla loro vita con apprensione e si pongono tanti interrogativi circa il loro futuro. Si chiedono preoccupati: come inserirsi in un mondo segnato da molte e gravi ingiustizie e sofferenze? Come reagire all’egoismo e alla violenza che talora sembrano prevalere? Come dare senso pieno alla vita? Come contribuire perché i frutti dello Spirito inondino questo mondo ferito e fragile, il mondo dei giovani anzitutto?”. E il Papa risponde: “Duemila anni or sono, dodici apostoli hanno dato la vita perché Cristo fosse conosciuto e amato. Da allora il Vangelo continua a diffondersi grazie a uomini e donne animati dallo stesso zelo missionario… Anche oggi occorrono giovani che lascino ardere dentro di sé l’amore di Dio… Voi conoscete le idealità, i linguaggi e anche le ferite e le attese e insieme la voglia di bene dei vostri coetanei… Ognuno abbia il coraggio di promettere di portare un giovane a Gesù Cristo, «sapendo rendere conto della speranza che è in lui, con dolcezza» (1Pt 3,15)”[43]

In secondo luogo, in un tempo nel quale più che mai si esalta la dimensione economica come risolutiva dei problemi della vita, la Chiesa, oggi come ai tempi di Francesco, deve coinvolgere i giovani a esprimere una controtendenza ispirata al Vangelo, a offrire la sorprendente ricchezza che scaturisce dalle beatitudini. 

Al giovane dobbiamo, poi, far cogliere con chiarezza il senso e le esigenze di un impegno responsabile per l’edificazione di una comune città da abitare[44]. A fianco dell’ascolto della Parola, potranno giovare le “Scuole di formazione socio-politica”, occasioni ricche di spunti teorici e di suggerimenti operativi per educare ad un discernimento culturale e valoriale entro la società complessa. Lo stile missionario chiede anche ai giovani, adeguatamente formati, di partecipare, con un dialogo sereno e con desiderio costruttivo, ai luoghi istituzionali presenti sul territorio, dove cresce la vita democratica, come chiede la Chiesa italiana: “Oggi i cristiani sono chiamati ad essere partecipi della vita della città, senza esenzioni, portando in essa una testimonianza ispirata dal Vangelo e costruendo con gli altri uomini un mondo più abitabile”[45]

Al Convegno di Verona è risuonata una voce molto stimolante: “Stretta al Signore Gesù, la vita di ciascuno di noi acquista il profumo del Vangelo e parla. Racconta la bellezza di una umanità piena e affascinante che sa reinterpretare le dimensioni fondamentali dell’esistenza alla luce della fede. E così il profumo del Vangelo, che è sovrabbondanza d’amore, raggiunge i luoghi dell’esistenza quotidiana, la casa, la piazza, la professione, il posto di lavoro, per dire il fascino della vita vissuta con il Signore[46]

 

Conclusione 

A conclusione e a modo di sintesi propongo, dopo le icone di Antonio e Francesco, un’altra icona che ci è particolarmente cara, prendendo a prestito le parole che preparano il prossimo sinodo dei vescovi sulla Parola: “Maria di Nazareth rimane la maestra e la madre della Chiesa e il modello vivente di ogni incontro personale e comunitario con la Parola, che essa accoglie nella fede, medita, interiorizza e vive (Lc 1,38; 2,9.51; At 17,11)… Ella sa guardare intorno a sé e vive le urgenze del quotidiano, consapevole che ciò che riceve in dono dal Figlio è un dono per tutti. Insegna a non rimanere estranei spettatori di una Parola di vita, ma a diventare partecipi, lasciandosi condurre dallo Spirito Santo che abita nel credente… Ella è immagine del vero orante che sa custodire con amore la Parola di Dio, facendone servizio di carità”[47]

Affidiamo a lei il nostro servizio pastorale, perché ne imitiamo lo zelo ardente che la mosse a farsi “prima missionaria”, portando Cristo in casa della cugina Elisabetta. Affidiamo a lei anche il cammino di fede dei nostri giovani, perché da lei, Vergine orante, attingano lo slancio per farsi testimoni della carità in ogni ambiente di vita. 

 

Note 

[1] SINODO DEI VESCOVI XII ASSEMBLEA ORDINARIA, La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Lineamenta, “Prefazione”. 

[2] NOTA PASTORALE DELL’EPISCOPATO ITALIANO DOPO IL 4° CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE, “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo, n. 3. 

[3] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 51. 

[4] BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della gioventù, Sidney 2008, n. 1, Lorenzago luglio 2007. 

[5] ATANASIO VESCOVO DI ALESSANDRIA, Vita di Antonio, PG 26, 2,1. 

[6] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., n. 18. 

[7] DV n.1. 

[8] NMI n. 39. 

[9] Messaggio per la XX Giornata mondiale della gioventù, 2005. 

[10] Convegno internazionale “La sacra Scrittura nella vita della Chiesa”, 16 settembre 2005. 

[11] DOM F. MOSCONI, Riflessione spirituale al 4° Convegno nazionale di Verona, 16-20 ottobre 2006. 

[12] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1993. 

[13] A. MARANGON, Dalla lettura della Bibbia all’ascolto del Dio che parla, in G. CAPPELLETTO, (Ed), Insegnava loro la Parola. Miscellanea in onore di A. Poppi, “Il Messaggero”, Padova 2000, pp. 223-240. 

[14] BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della gioventù, Sidney 2008, n. 1-2. 

[15] F.G. BRAMBILLA, Linee teologiche per la pastorale giovanile, cit. 

[16] IDEM, Vocazione della Chiesa e vocazioni nella Chiesa, La Scuola Cattolica 2/2004, 553-576, pp. 555-56. 

[17] COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI DELLA CEI, La Parola del Signore si diffonda e sia glorificata (2Ts 3,1), 18 novembre 1995. 

[18] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., nn. 22.23. 

[19] P.L. FERRARI, Obbedienza/volontà di Dio, in Dizionario, Rogate, Roma 2007, coll. 

[20] DV n. 1. 

[21] SANT’ATANASIO, op. cit 

[22] HhX0N7faq0dCFNltI(OW3HJx DOM F. MOSCONI, op.cit. 

[23] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., n. 25. 

[24] GS n. 22. 

[25] Vedi le profonde riflessioni di F.G. BRAMBILLA, Linee teologiche per la pastorale giovanile, in AAVV, Educare i giovani alla fede, Ancora, Milano 1990, pp. 99-141. Vedi pp. 115-121. 

[26] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., Domande sul cap. primo. 

[27] P. MARANESI, Facere misericordiam. La conversione di Francesco d’Assisi: il confronto critico tra il testamento e le biografie, Ed. Porziuncola, Assisi 2007. 

[28] T. LORENZIN, La lectio divina in San Francesco d’Assisi e in Sant’Antonio di Padova, in G. CAPPELLETTO, (Ed), Insegnava…cit, pp. 293-309. 

[29] TOMMASO DA CELANO, Vita seconda di San Francesco d’Assisi, CLIL, 209 (FF 799). 

[30] Ivi LXVIII, 102 (FF 689). 

[31] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., n. 26. 

[32] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 32. 

[33] NMI n. 43. 

[34] L’espressione è del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 825. 

[35] PALERMO, III CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE, Con il dono della carità dentro la storia, Nota CEI, 1.11.1996. 

[36] TOMMASO DA CELANO, Vita prima, IX, 33 (FF 356). 

[37] NMI n. 43; Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 65. 

[38] F.G. BRAMBILLA, Vocazione della Chiesa e vocazioni nella Chiesa, La Sc Cat 2/2004, 553-576, pp. 557-60. 

[39] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 64. 

[40] P. MARANESI, op. cit. pp. 98-99. 

[41] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., n. 32. 

[42] Ivi. 

[43] BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della gioventù, Sidney 2008, n. 7. 

[44] L. CAIMI, Educare alla responsabilità e alla testimonianza, in AAVV, Educare i giovani alla fede, Ancora, Milano 1990, pp. 99-41. Vedi pp. 227-246.

[45] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 50.

[46] PAOLA BIGNARDI, relazione al 4° Convegno nazionale di Verona, 16-20 ottobre 2006.

[47] SINODO DEI VESCOVI, op. cit., n. 12.