N.05
Settembre/Ottobre 2008

L’ascolto che genera la testimonianza

La bellezza dell’ascolto reciproco e del cammino condiviso

Incontro dei Direttori del CDV del Sud Italia con don Nico Dal Molin

Giovedì 25 settembre i direttori delle diocesi del Sud Italia hanno avuto la possibilità d’incontrare don Nico Dal Molin, il direttore nazionale del CNV, presso la struttura di Cappella Cangiani a Napoli.

Si avvertiva l’esigenza di un raduno di questo tipo, che offrisse la possibilità di un incontro più personale con il nuovo direttore nazionale e tra noi e che consentisse di stare insieme in una maniera più distesa ed informale, come non sempre può avvenire ai raduni nazionali.

È stato un incontro particolarmente sentito, le cui caratteristiche sono state il desiderio e la capacità di mettersi in ascolto e che ha visto una buona partecipazione dei Direttori diocesani. In un clima di grande familiarità, i vari responsabili diocesani e regionali hanno avuto la possibilità di raccontarsi e di condividere con gli altri opinioni, esperienze vissute, percorsi formativi, itinerari in costruzione e proposte da discutere insieme.

È stato senz’altro un momento molto arricchente, già per la natura di questo convenire da più parti. Non ci si è nascosti le fatiche e le difficoltà che s’incontrano localmente, nelle varie équipes, soprattutto nella collaborazione tra uffici, in un sostegno talvolta discontinuo, ma si desidera operare una svolta, nel settore, affinché la pastorale vocazionale sia meno “settorializzata” e accompagnata, invece, da una cultura vocazionale che caratterizzi lo stile e le “strategie” della promozione vocazionale stessa.

Le sollecitazioni, d’altra parte, non erano mancate dall’inizio. Don Nico, illustrandoci il senso del nostro incontro, aveva subito focalizzato gli obiettivi: la crescita di una cultura vocazionale, lo scambio sereno e l’ascolto reciproco al fine di favorire una realtà di “ascolto” e di “servizio”.

Lo stile dialogico e di prossimità non ha mancato di dare i suoi buoni frutti, anzitutto come metodo, ma soprattutto come stile specifico e condiviso, che sempre più deve definire i nostri rapporti e la prassi dell’operatore vocazionale, diventando segno e frutto di quella cultura vocazionale di cui noi direttori ci sentiamo particolarmente investiti.

Si è parlato di priorità nell’azione comune: non potevano che essere le basi sulle quali don Nico ci ha invitati a riflettere, ma che anche il vissuto ecclesiale, pur faticosamente, ci consegna, chiedendoci di interagire in modo sempre più sinergico, personale e creativo insieme:

– il rapporto tra gli uffici che si occupano di Famiglia – Giovani – Vocazione;

– il particolare stile da avere nelle esperienze formative.

Lo scambio a riguardo è stato particolarmente fecondo: è emersa con forza la necessità di investire maggiormente affinché si affermi una cultura della vocazione, uscendo dalle strettoie di una pastorale di reclutamento o circoscritta al solo ministero ordinato. Solo la sinergia tra i tre uffici a livello nazionale e locale può dare nuovo slancio nel ripensare in modo nuovo l’approccio e i contenuti, ma soprattutto il linguaggio, che deve essere quanto più vicino al vissuto dei nostri destinatari. Va affermata – è stato ribadito a più riprese – la cultura vocazionale, perché porta in sé la domanda di senso che ogni giovane ha dentro e che chiede di essere espressa, per trovare una risposta, ma anche per divenire risposta con la propria vita.

Questo richiede anche che gli operatori, spesso divisi tra una molteplicità d’incarichi, possano attendere in modo privilegiato alla pastorale vocazionale e possano pertanto accedere ad un’adeguata formazione e a strumenti qualificati. In tal senso si è guardato alla nostra rivista “Vocazioni”, che potrebbe essere potenziata. La richiesta della formazione è fortemente sentita: la Scuola di formazione per operatori vocazionali, iniziata lo scorso anno a Napoli, costituisce già una prima risposta al riguardo, ma si richiede ben altro investimento perché coinvolga i direttori e le équipes diocesane e possa offrire un più ampio servizio.

Neanche questo, tuttavia, basterebbe. È emerso con altrettanta forza che, ben più della formazione e dell’efficienza dell’operatore, conta che il direttore-operatore vocazionale sia anzitutto testimone credibile e disponibile e che anche la proposta superi il livello delle “iniziative”, sapendo rischiare e giocarsi sulle dimensioni più profonde: la Parola, anzitutto, e poi la dimensione umana.

A più riprese è stato rilevato che occorre proporre un ascolto profondo della Parola e quanto la lectio divina dia spessore alla pastorale vocazionale. Non con minor forza è stata poi ribadita l’attenzione alla persona, alla sua dimensione profonda, interiore, e alla sua dimensione affettiva.

È la sfida di una pastorale che non solo punta alla qualità, ma cerca la persona nel suo vissuto e sa farsi prossima nella cordialità e nell’autenticità, nel rispetto dei tempi, ma anche con una proposta strutturata, attenta al singolo e al tempo stesso inserita in un percorso ecclesiale significativo, che favorisca un incontro non superficiale con il Signore della vita e la sua parola.

Un’esigenza diffusa di essenzialità, di semplificazione tra noi, nelle nostre strutture di coordinamento, è stata segnalata anzitutto come desiderio d’incontro e volontà di crescita comune. È senz’altro – tra i tanti emersi – uno dei segnali positivi della riunione… direi: il più promettente! Anche più della capacità di meglio interagire, coinvolgere ed operare, perché mette insieme ciò che ci dà speranza. La forza della pastorale vocazionale sta in questo scambio fraterno e testimoniale. È il nostro modo di voler dire – liberi dai risultati – che anche noi, come si dirà nel Convegno di gennaio, “sappiamo a Chi abbiamo dato fiducia”!