N.01
Gennaio/Febbraio 2009

Il primato della Lectio Divina

Introduzione

Credo opportuno richiamare alcuni principi sul significato, sul valore, sull’importanza della Lectio Divina. Se ne parla molto, ma non c’è niente di scontato anche qui. Rivisitando questa prassi, ci si accorge di come non sia una tecnica, ma un reale cammino spirituale, una metodologia di vita spirituale cristiana. Ho scritto sul foglio di presentazione del corso: «Bisogna guardare al nuovo millennio aggrappandoci all’unica Parola che saprà traghettarci verso la sponda della salvezza». E questa parola va affrontata seriamente. Lo vedremo ora.

 

  1. L’importanza della Lectio Divina

Perché questa importanza? Perché, nonostante nel nostro tempo ci sia un primato dell’occhio, della visione, dell’immagine, la Bibbia, il mondo semitico, ha sempre privilegiato l’udito rispetto alla vista: Dio incontra l’uomo, gli si manifesta specialmente attraverso la Parola. Il Dio dell’Antico Testamento è, per definizione, l’Invisibile, colui che l’uomo non può vedere in faccia, non può raffigurare, farsene un’immagine. A Mosè che gli chiede di poter vedere la sua gloria, Dio risponde: «Tu non potrai vedere il mio volto. Nessuno può vedermi e restare vivo». Potrà solo vederlo di spalle (Es 33,20-23). Ma se Dio è l’Invisibile, l’uomo può udirne la Parola. La religione biblica è fondata sulla Rivelazione di Dio. Dice la Dei Verbum: «Questa Rivelazione avviene attraverso eventi e parole intimamente connessi» (DV 2). Dio interviene o agisce nella storia dell’uomo e spiega il senso del suo intervento; Dio parla all’uomo, lo chiama ad un rapporto di comunione, di vita con sé e per questo diviene di primaria importanza, da parte nostra, l’ascoltare. Per la Bibbia il vero credente è la persona che si apre all’ascolto, accoglie questa parola e poi risponde, coinvolgendosi. Paolo ai Romani dice che la fede nasce dall’ascolto (Rm 10). Nel Vangelo, la voce di Dio che si fa udire nell’episodio della Trasfigurazione di Gesù, comanda: Ascoltatelo! Perché la sua è parola di vita, parola di verità, parola di salvezza.

Quindi, se la fede nasce dall’ascolto, il pericolo più grave per noi diventa quello di non ascoltare, di non avere come metodologia di vita cristiana l’”ascolto”. Pensiamo all’insistenza del Salmo 94, che la Chiesa ci fa pronunciare ogni mattina nella Liturgia delle Ore: «Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore».

L’importanza prioritaria dell’ascolto è stata ribadita da Gesù stesso, nell’episodio di Marta e Maria (Lc 10,38-42). Maria che, seduta ai piedi di Gesù, ascoltava le sue parole, si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta. Non vogliamo qui discutere su Marta e Maria, ma cogliere un’affermazione categorica: tutto il resto ci viene tolto, l’ascolto non ci viene tolto. Perché? Perché l’ascolto è l’inizio di un cammino quotidiano in cui tu interiorizzi la Parola, interiorizzi Dio stesso. E noi sappiamo che, alla fine, Dio sarà tutto in tutti. Quindi l’ascolto è un processo di assimilazione di Dio, è un processo di divinizzazione. Maria ha scelto questa parte che non le sarà tolta. Questo perché? Perché la Parola ha una sua carica intrinseca:

-è una Parola creatrice, da cui dipende la conservazione stessa del mondo (cf Sal 119,90-91);

-è una Parola salvifica, capace di risanare, rinnovare l’uomo: «La tua Parola Signore che tutto risana» (Sap 16,12);

-è una Parola fedele, veritiera, perché Dio non può mutare: «La tua Parola, Signore, è stabile come il cielo» (Sal 119,89);

-è una Parola vicina: «Questa Parola è molto vicina a te, è nella tua bocca, è nel tuo cuore» (Dt 30,14); fa da luce e guida nella tua vita: «Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105).

Per sottolineare, poi, l’efficacia intrinseca che c’è in questa Parola, pensate al testo di Is 55,10-11 («Come la pioggia, come la neve…»), dove c’è veramente una fecondità assicurata, per cui la pioggia non ritorna senza aver irrigato la terra: così è della Parola. Il Vangelo la paragona al seme che il contadino getta nel solco della terra: sia di notte che di giorno, che vegli o dorma, il seme germoglia e cresce (Mc 4,27). La Lettera agli Ebrei la paragona ad una spada a doppio taglio, capace di penetrare a fondo, di mettere a nudo la coscienza dell’uomo, di svelarne i pensieri (Eb 4,12). La Parola, però, non agisce magicamente: ci vogliono delle disposizioni. Questa Parola di Dio, proprio perché rivolta alla persona come essere intelligente e libero, non fa violenza alla libertà della persona, né agisce in modo magico, cioè senza un nostro attivo coinvolgimento, ma richiede delle condizioni, delle disposizioni da parte nostra. Lo mette in evidenza Gesù stesso nella parabola del seminatore, che egli poi spiega ai discepoli: il seme produce frutti differenti a seconda della qualità del terreno su cui cade. Quindi diventa molto importante il “come” si ascolta.

 

  1. Le disposizioni per vivere la Lectio Divina

Quali sono le disposizioni perché la Parola possa risanarci, rinnovarci?

Una prima disposizione è che l’ascolto non sia semplicemente esteriore, superficiale, ma anche interiore, profondo. Molte volte la Parola entra da una parte ed esce dall’altra, scivola via; può produrre qualche emozione momentanea, passeggera, ma non è assimilata, non è scesa dentro in modo da suscitare l’adesione del cuore. Da qui un discernimento critico.

Un’altra disposizione è che l’ascolto non sia semplicemente teorico, mentale, intellettuale, ma anche pratico; che si traduca nella vita e diventi testimonianza coerente. Il pericolo di un ascolto a livello soltanto teorico è quello di un’adesione verbalistica, velleitaria; non basta ascoltare, direbbe san Giacomo, non è sufficiente conoscere la  Parola, bisogna anche viverla: «Mettete in pratica la Parola, non vi accontentate di ascoltarla ingannando voi stessi» (Gc 1,22).

Un’altra disposizione è che sia un ascolto non selettivo, non riduttivo della Parola, ma rispettoso della sua integrità, della sua purezza. Tante volte mutiliamo questa Parola, accogliendo solo ciò che ci aggrada, oppure leggendola a caso. Può anche essere vero che il Signore ci voglia dire una certa cosa, però c’è un disegno in ogni libro e aprire a caso mi sembra poco rispettoso della Scrittura.

Nella Bibbia troviamo dei casi esemplari di reale ascolto della Parola con queste disposizioni, con questa disponibilità, con questa obbedienza ad essa. Cito sempre il caso di Samuele che, ancora giovane, nel cuore della notte sente una voce che lo chiama per nome. All’inizio non la riconosce come voce di Dio, riesce a riconoscerla attraverso il Sacerdote Eli che l’invita a rispondere: «Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta». E il libro dirà che Samuele «acquistò nella sua vita grande autorità di profeta presso il suo popolo perché non lasciò andare a vuoto una sola delle parole di Dio» (1Sam 3,1-10.19).

Un altro caso emblematico è quello di san Paolo, fulminato sulla via di Damasco da una voce: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). La sua risposta è: «Che devo fare, Signore?» Come dire: «Ti ascolto, sono a tua disposizione». E il persecutore Saulo, sotto l’azione di questa Parola accolta, diventerà Paolo, l’apostolo dei pagani, il testimone fedele di Cristo. E come non citare Maria, la Madre di Gesù, che Luca ci presenta come la donna dell’ascolto, dell’accoglienza, della contemplazione della Parola di Dio, a cominciare dalla risposta che dà all’angelo: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Sono tutti casi esemplari che segnano, hanno segnato un orientamento nuovo di vita. Quindi, da quanto già detto sull’importanza dell’ascolto della Parola deriva veramente un bisogno urgente di educarci all’ascolto, forse ancor più oggi, in questa pseudo-civiltà dell’immagine, del computer, di internet, in cui le immagini ci bombardano e ci sommergono, le parole e i messaggi più diversi si moltiplicano e si sovrappongono, rendendo più difficile un discernimento. Il ritmo vorticoso della vita ci toglie spazio e tempo, rendendo sempre più arduo questo ascolto, a scapito della nostra fede. In tale situazione si sente proprio il bisogno di promuovere una pastorale di ascolto, di creare anche una liturgia che sia occasione di ascolto.

 

  1. L’educazione all’ascolto

Come s’impara ad ascoltare? Che cosa favorisce e sviluppa la capacità di ascolto?

Volendo tentare alcune risposte, mi pare che dovremmo riservare il primo posto al silenzio, alla concentrazione, allo stare un po’ con se stessi. Penso che Dio faccia fatica ad entrare nel nostro cuore nel frastuono; affaccendati e distratti come siamo, anche se sentiamo, non ascoltiamo veramente! Per cui, nonostante tutto, non bisogna temere, non bisogna aver paura del silenzio e trovare momenti, spazi di meditazione, anche durante il lavoro. Santa Caterina da Siena parlava della sua “cella interiore”.

Ci si educa all’ascolto anche prendendo coscienza del bisogno che si ha di apprendere. È importante anche questo. Io ho bisogno di essere ammaestrato da Dio ogni giorno e chi crede di sapere non è aperto all’ascolto, e nemmeno al dialogo.

Ci si educa ancora all’ascolto coltivando la purezza del cuore, cioè una libertà interiore da tanti piccoli attaccamenti. A volte sono cose molto banali, che ci portano via un sacco di tempo. Se il nostro cuore non è sgombro, ma è ripieno di questi attaccamenti, piccoli idoli, non siamo in situazione di serio ascolto. Sono le “spine” che finiscono per soffocare questo seme della Parola germogliato, impedendone la maturazione, la fruttificazione.

Ci si educa all’ascolto attraverso un’umile pazienza: dare spazio e tempo da innamorati della Parola, lasciandola veramente lavorare nel cuore; e sapere anche accettare la propria debolezza, la propria sconfitta, ma senza venir meno a questo impegno.

 

  1. Le tappe del “cammino”

Su questa base accenniamo a quella che chiamiamo Lectio Divina e che è realmente un cammino. Già gli antichi non avevano metodi molto rigidi, molto dettagliati. Era una specie di avvertimento discreto a non soffocare mai la spontaneità, la crescita del cammino di ciascuno verso la libertà e il dialogo dei figli con il Padre. Nel corso della tradizione si è sviluppata una lettura sapienziale, meditata, che comunemente è chiamata la Lectio Divina, secondo la celebre lettera di Guigo II, Priore della Grande Certosa.

 

La Lectio

Il punto di partenza è la «lettura», anche perché la nostra fede è una storia di salvezza. Una lettura fatta dopo aver invocato lo Spirito Santo. Questa preghiera è veramente un momento d’intensa esperienza religiosa, perché, anche se non lo avvertiamo sempre, l’azione dello Spirito che ha ispirato i libri sacri continua anche in colui che legge; e così il testo e colui che lo legge si trovano sotto il tocco dello stesso e medesimo Spirito.

In questo senso, l’azione rivelativa della verità da parte dello Spirito è tutt’altro che esaurita. Potremmo dire che l’ispirazione è un processo permanente nella vita dei credenti, nella vita della Chiesa e raggiunge chiunque, nella fede, si accosti alla Parola. La Bibbia è parola ispirata non solo perché fu scritta nel passato sotto l’azione dello Spirito, ma anche perché nel presente si rivela come libro vivo capace di comunicare, rivelare le verità nascoste. È il dono di Dio da conoscere: «Se tu conoscessi il dono di Dio» (Gv 4,10), dice Gesù alla samaritana. Scegliendola, si sceglie la vita, dice il Deuteronomio (30,19). E prima ancora di riflettere, bisogna metterci in questo atteggiamento di preghiera, di ascolto, di disponibilità, di tranquillità interiore, senza fretta.

Il grande Ambrogio ricordava: «Quando preghi, sei tu che parli con Dio, ma quando leggi è Dio che ti parla!» e questo dialogo essenziale per la nostra vita è la Lectio! Un dialogo tra Dio che parla e tu che gli rispondi. È una lettura fatta in due, in questo rapporto dialogico di un amico con l’amico: «Non vi chiamo più servi, ma amici, perché conoscete tutto quello che ho udito dal Padre mio» (Gv 15,15). E san Giovanni ricorda con molta chiarezza il ruolo dello Spirito in rapporto alle parole di Gesù: «Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora sarebbe troppo per voi, ma quando verrà lo Spirito di verità, vi guiderà verso tutta la verità. Non vi dirà cose sue, ma quelle che avrà udito e vi rivelerà le cose che stanno per venire» (Gv 16,12-13). Queste parole mettono in luce la missione specifica dello Spirito, che sarà quella di condurre verso la pienezza della verità: è lui che ci rivelerà il senso vero, autentico della Parola che leggiamo; ci aiuterà a comprenderla dal di dentro, col cuore, oltre che con l’intelligenza; ce la farà comprendere come rivelazione nuova, personale, in modo che diventi luce, forza, coraggio di testimonianza.

Parola e Spirito. È molto importante, a tale riguardo, il n. 8 della Dei Verbum: «Nella Chiesa, sotto l’azione dello Spirito Santo, cresce la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio di tutti i credenti…». Qui ci sarebbe un discorso da fare sul deposito della fede, sulla tradizione che cresce, continua a crescere attraverso la riflessione e lo studio di tutti i credenti. Per questo motivo, nel momento dell’ascolto della Parola, siamo invitati a pregare. E c’è una bellissima preghiera che risale al IX secolo – è un testo siriaco – che dice:

«Domanda con insistenza a Dio di illuminare gli occhi della tua intelligenza, della tua anima, per essere capace di percepire la forza intima, nascosta nelle parole del Signore. Poi mettiti in piedi, prendi il santo Vangelo nelle tue mani, bacialo, posalo affettuosamente sui tuoi occhi, sul tuo cuore e pieno di sacro rispetto, pregalo così: o Cristo, nostro Signore, io che sono tanto indegno ti stringo nelle mie mani impure attraverso il tuo santo Vangelo. Dimmi, te ne prego, le parole di vita e di consolazione, per la bocca e per la lingua del tuo santo Vangelo. Donami di ascoltarlo con orecchi interiori rinnovati e cantar la tua gloria con la lingua dello Spirito Santo».

È quindi importante recuperare nella lettura questo senso vivo di una presenza e chiedere come Salomone: «Donami Signore un cuore sapiente, un cuore in ascolto». Non è sufficiente leggere: bisogna leggere ascoltando, ricevendo l’insegnamento della fede, attraverso una lettura metodica, regolare, quotidiana, magari fissando un tempo strategico nella giornata, che può influenzare il resto del giorno. Sarà il tempo dell’appuntamento con la Parola, magari anche in un luogo appartato – «Quando preghi, entra nella tua stanza…» (Mt 6,6) – dove la Bibbia ci attende, ci dà appuntamento durante il giorno. Da qui nasce il senso della nostra vita.

Sant’Anselmo ci suggerisce di leggere non nel tumulto, ma nella calma, non in fretta, ma lentamente, poco alla volta, sostando in attenta riflessione. Allora il lettore sentirà che è capace di infiammare l’ardore della preghiera. Questo solo per dire come ci si accosta alla lettura. Ma perché la nostra fede non rimanga incompleta e superficiale, perché ci sia un’adesione più vitale, più personale al Signore, perché la Parola raggiunga il suo scopo, Gesù ci ammonisce che bisogna sostare, bisogna rimanere sulla Parola: è questa la condizione per diventare autentici discepoli. «Se rimanete nella mia parola diventerete veramente miei discepoli» (Gv 8,31). E aggiunge: «Conoscerete la verità…», indicando così la necessità di una penetrazione profonda della Parola, di un progresso nella conoscenza della sua persona, lui che è “la Verità”. Pensate all’episodio dei discepoli che sono col Battista, mentre passa l’Agnello di Dio. Il Battista indica Gesù: poi vanno con lui, lo seguono per tutta la vita, vedono dove abita… è un colloquio molto interessante: «Chi cercate?… Dove abiti?». Sono un po’ imbarazzati e Gesù non può dire dove abita, perché lui non ha un recapito, non ha dove posare il capo, la sua dimora è il Padre e non può spiegare, devono andare: «Venite e vedrete» (cf Gv 1,35-39). Fanno l’esperienza della sua intimità profonda col Padre, dei suoi orientamenti vitali, dei suoi interessi più profondi, della sua dimora abituale e abbandonano tutto per seguirlo. È indicibile questo luogo: spesso non lo si può spiegare a parole.

Ecco, allora, quale potrebbe essere l’obiettivo della lectio: sostare, rimanere sulla Parola, che equivale a rimanere in Gesù, perché le sue parole trovino spazio in noi e vi dimorino in continuità. Ed è ancora attraverso la Parola – ricorda Giovanni – che il discepolo rimane contemporaneamente nel Figlio e nel Padre (cf 1Gv 2,24-25).

 

La Meditatio

Questa Parola, però, va accolta, assimilata, “interiorizzata”, in modo che diventi regola ispiratrice di vita. È tutt’altro che una pia pratica! Dice Origene: questo è il modo attraverso il quale Gesù cresce dentro di noi. C’è una specie di equazione tra il masticare questa Parola e il crescere di Cristo in noi. Questo esercizio consiste nel riprendere questa Parola, nello sminuzzarla, renderla assimilabile, comprendendone le sue tematiche; è un lavoro paziente, laborioso, anche lungo, da svolgere con un minimo di tranquillità interiore. La tradizione orientale dice infine che la ripetizione prolungata di certi passi lascia dei segni nel cuore del credente. In fondo, la tradizione monastica ha imparato a ruminarla in continuità, facendola poi germogliare nella preghiera, nei gesti, nelle parole.

Silvano del monte Athos dice che se il cuore non medita la legge del Signore giorno e notte non può aver pace. Cosa voleva dire?

Voleva dire che questa Parola iscritta dallo Spirito, dalla Scrittura passa nel discepolo. E in chi ha la capacità di sostare a lungo si crea veramente questa osmosi fra lo Spirito che vibra nelle Scritture e il nostro spirito e si realizza concretamente quello che dice Paolo in 2Cor 3,2-3: «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con l’inchiostro, ma con lo spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori». È un testo formidabile! E i Corinzi, nella misura in cui hanno accolto la parola di Paolo e l’hanno interiorizzata, sono diventati l’espressione di Cristo. Come ha potuto avvenire tutto ciò? Hanno incontrato la parola del Vangelo annunciata da Paolo, l’hanno accolta ed ora la riesprimono nella vita personale e comunitaria in termini leggibili, perché sono diventati come una lettera. Quasi a dire che, nella maturità dell’ascolto, esprimono chiaramente il mistero di Gesù.

Questa dimensione cristologica della vita comincia proprio con l’ascolto della Parola. E questa Parola, poi, viene incisa dallo Spirito che Paolo paragona all’inchiostro; cosa fa l’inchiostro? Ha il potere di rendere chiaro, leggibile un pensiero. Sembra dire: senza l’azione dello Spirito la Parola non prende carne nelle persone, non è leggibile, non affiora. Ecco l’importanza di sostare sulla Parola invocando lo Spirito, che rimane sempre un po’ lo sconosciuto, ma qui emerge come figura straordinaria importantissima, perché la Parola si incida veramente nel nostro cuore. E certamente, quando Paolo dice queste cose, ha tutto un suo retroterra veterotestamentario. Pensate al Sinai, quando Dio dà il Decalogo. Esodo 19 parla di tuoni, di lampi, di suoni di tromba. C’è la versione del Targum, che esplicita il mistero del Sinai assimilando le dieci parole a lingue di fuoco: la Parola, quando uscì dalla bocca del Santo era come frecce, come fulmini, come dardi di fuoco che andavano ad incidere sulle tavole dell’Alleanza. E noi conosciamo la rilettura che fanno gli Atti degli Apostoli alla Pentecoste: e lì è evocata questa pagina. Quindi il dono della nuova legge, della Parola, scende sotto forma di lingue di fuoco e va ad incidersi sul cuore delle persone lì radunate: «Metterò dentro di voi uno spirito nuovo…» (Ez 36,26). Così lo Spirito interiorizza il mistero della Parola, della volontà divina, del suo Regno e lo rende leggibile nella nostra vita. Mi sembra legittimo pensare che nel momento in cui leggiamo la Parola nello Spirito si rinnova questa Pentecoste nel nostro cuore!

C’è un famoso testo del Crisostomo che può sembrare paradossale, ma rende l’idea: «Quando in un’assemblea si legge un testo, chi non era presente, vedendo uscire la gente dall’assemblea, dal volto delle persone dovrebbe capire che testo è stato spiegato». Quasi a dire: Paolo dice che voi siete una lettera di Cristo e queste persone che hanno assimilato questa Parola escono dall’assemblea con un certo volto che richiama il testo spiegato. I medioevali chiamavano questa assimilazione “masticazione” della Parola. Di Antonio il Grande si diceva che la sua maturità era talmente grande da non lasciare più cadere alcuna delle parole che leggeva o udiva. Un modello di tutto questo è Maria, nel testo dell’Annunciazione. Si domandava cosa potesse significare tale saluto. Maria, come Mosè, riflette sulla Parola: «Come avverrà tutto questo?… Lo Spirito Santo verrà su di te, la potenza dell’Altissimo ti coprirà… Eccomi sono la serva del Signore, avvenga in me secondo la tua parola» (Lc 1,34-38). Origene commenta l’evento facendo dire a Maria: Ecco sono una pagina per essere scritta, su cui scrive il Signore dell’universo. E a questa Parola subentra anche l’atteggiamento di Maria, che serbava queste cose meditandole nel suo cuore. Non è un esercizio pietistico, ma Cristo che matura, che cresce, che nasce.

Per quanto riguarda Maria, vorrei toccare un altro breve testo, quello di Luca 11,27-28, in cui si legge: «Beato il ventre che ti ha portato e il petto che hai succhiato». È una donna che grida. Gesù risponde: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola e la custodiscono». Cosa voleva dire? Non negare l’affermazione entusiasta di questa donna, ma orientarla verso un indirizzo nuovo, misterioso, affascinante. In altre parole Gesù fa quest’analogia tra l’esperienza della maternità e la delizia dell’ascolto, della custodia meditativa della Parola, paragonabile al succhiare di un bimbo al seno della mamma. Un’esperienza tutt’altro che meccanicistica: è il momento in cui il bimbo sente l’affetto vibrante e sensibile della madre, ne assapora tutta la dolcezza; un’esperienza ricca di amore, non fredda, non abitudinaria. D’ora in poi, dice Gesù, c’è un altro grembo che genera, un altro seno che allatta, la cui beatitudine assomiglia alle delizie della maternità: assorbire la Parola, ascoltarla per custodirla, farla crescere nella meditazione, metterla in pratica. È un orizzonte nuovo!

 

La Oratio

Abbiamo invocato lo Spirito, abbiamo letto il testo, abbiamo sostato sulla Parola. A questo punto nasce la “preghiera”, necessariamente. La preghiera non è un fatto volontaristico: a volte facciamo fatica a pregare, non sappiamo cosa dire. Facciamo, invece, parlare il Signore, rispondiamogli a tono, restituendogli la Parola. Dopo che l’ho incontrato e mi ha parlato, dopo che la Parola è entrata dentro di me, si è fatta carico di tutta la mia vita, dei miei problemi, delle mie situazioni, delle mie ansie, anche delle mie gioie, cioè di tutto il mio mondo interiore, ritorna come parola mia, nella cui risonanza tutta la mia vita cerca di diventare quella Parola. Dio dice, Dio parla, la persona ascolta in silenzio, medita, cerca di far scendere nel proprio cuore ciò che ha ascoltato, magari mediante la ripetizione litanica di una parola chiave e, quando questa si è radicata dentro, ritorna a Dio, portando a Dio tutta la mia vita. Come un grido, magari come un momento di disperazione o di lamento – i salmi sono fatti anche di queste cose – ritorna a lui come una lode, come un’intercessione, cioè dal cuore la Parola germoglia sulle labbra, diventa voce. È questo il gemito dello Spirito: ecco perché la preghiera è frutto dello Spirito. Quando è entrata dentro e ha preso possesso, ritorna come gemito dello Spirito, Parola da lui scritta nel nostro cuore, luce interiore della fede, dono di preghiera in noi, forza trasformante la nostra esistenza.

Quando la Parola germoglia interiormente con questa ricchezza, vuol dire che veramente Dio ha deposto un germe vivo dentro di noi, una preghiera interiore profonda, non più a fior di labbra, distratta; potremmo dire che il segnale, la soglia è vicina: si è formata un’atmosfera spirituale in cui la nostra interiorità viene liberata da pensieri inutili e sottomessa alla verità di Gesù da cui sgorga, come da sorgente di acqua viva, questa Parola che esce, questo canto, questa preghiera.

Agostino ammoniva: «Quando preghi, cerca di non dire niente senza di lui». Così ci si educa anche alla preghiera che, nella sua fase terrena sarà laboriosa, a volte anche dolorosa, però non dobbiamo mai stancarci, perché ha lo scopo di piegare il nostro cuore, renderlo idoneo a ricevere questo dono della preghiera, frutto dello Spirito.

 

La Contemplatio

E naturalmente, a questo punto, nasce la “contemplazione”, che è imparare a vedere le cose come le vede Dio. Non è un processo puramente tecnico. Se c’è questa prassi, necessariamente si arriva alla contemplazione, cioè a vedere le cose come le vede il Signore. La Parola, poi, deve diventare la nostra vita. Anche noi siamo questa lettera di Cristo scritta dallo Spirito. Si tratta di tradurre in conversione, collaborando per l’avvento del suo Regno sulla terra. Questa Parola alla fine nutre la preghiera, ci rende trasparenti di Cristo che ci comunica la sua forza attiva, che poi tende ad irradiarsi sulla nostra vita come spinta verso un di più, verso un meglio, verso Dio. È una Parola che ci mette dentro degli ideali, degli stimoli, cioè tutta la ricchezza dinamica di Cristo risorto. Questa Parola è resa viva dallo Spirito e crea una perenne situazione di conversione, per cui nutrirsi di essa vuol dire mettere dentro di noi cibo solido che alimenta la crescita, ci conduce a quella preghiera che alla fine non è né voce, né immagini, né parole, ma è unicamente gioia dello Spirito, potremmo dire: tensione infuocata della mente, rapimento dell’anima che si effonde davanti a Dio con gemiti inenarrabili, come dice Paolo.

 

Conclusione

Ho cercato soltanto di presentare un itinerario di vita spirituale, un cammino di fede, di vita di Gesù che cresce dentro di noi, in sapienza, in età e grazia; soprattutto cresce come testimonianza den-tro di noi proprio mediante lo Spirito, che tende ad attualizzare nella nostra vita queste realtà contenute nella Parola. Gregorio Magno dirà: l’intelligenza della Scrittura, la conoscenza della Parola segna il cammino di ogni credente nella ricerca del Dio vivente. Nell’accostarci alla Parola, quindi, invochiamo continuamente il dono dello Spirito: è lui che l’ha ispirata ed è lui che ce la farà conoscere.