N.02
Marzo/Aprile

Fede di qualità… vocazione in fedeltà

Il distanziamento dalla celebrazione del Natale o, se vogliamo, il suo prolungamento in questa seconda domenica, ci conduce ad entrare più profondamente nel mistero dell’incarnazione, con il duplice effetto, solo apparentemente opposto, di offrirci una visione sempre più vasta dell’iniziativa di Dio e un’esperienza sempre più intima della sua presenza nella nostra vita e nella storia. Sono, que­sti, motivi già presenti nella liturgia del tempo natalizio, ma eviden­ziati in modo nuovo dal loro accostamento. Evidente che il Natale rende possibile e, anzi, è finalizzato alla nostra filiazione, al nostro diventare figli di Dio: il Figlio di Dio si è fatto uomo per rendere noi, creature umane, figli di Dio.

Grazie alla umana natività del Verbo eterno, appare più nitido oggi l’orizzonte su cui si staglia il nostro rinascere come figli di Dio: è l’orizzonte della sapienza eterna, della volontà divina di bene e di salvezza, della benevolenza amante di Dio, che crea il mondo e l’uomo e conduce le sorti della storia alla destinazione finale della comunione in lui.

Con l’incarnazione, il Figlio di Dio viene ad abitare in mezzo a noi e con noi; da quel momento, però, anche noi abbiamo cominciato ad abitare nel cuore della Trinità, perché la sua presenza tra di noi ci inserisce come figli nell’abbraccio eterno del Padre e del Figlio nello Spirito. Lui è in noi e noi in lui: è questa la realtà in cui siamo immersi. Apriamo gli occhi a questa realtà e allarghiamo ad essa il cuore. Potremmo leggere così l’auspicio di San Paolo nella seconda lettura: «Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Ef 1,17-18).

Siamo abilitati ad uno sguardo nuovo su noi stessi, sulla storia e sulla realtà tutta; abilitati perché resi capaci di vedere ciò che Dio ha operato dinanzi a noi e per noi. Lo sguardo della fede non solo trasforma la realtà, ma innanzitutto la vede, perché è il frutto di una trasformazione prodotta nel cuore delle nostre persone dalla novità che Dio attua nel nostro mondo: la sua presenza personale in Gesù di Nazaret. Questi è la sapienza eterna di Dio che ha crea­to il mondo e conduce la storia: nella sua fragile umanità, in tutto simile alla nostra, tranne il peccato, noi riconosciamo la vicinanza di quello stesso Dio che è all’origine di tutto e che tiene in pugno le sorti della vicenda umana. Viviamo con fede il mistero del Natale e scopriremo che tutto è retto dalla sapienza di Dio e da lui guidato ad un destino di bene. Il mondo ha un senso e la storia una meta a cui tortuosamente, ma realmente, tende: questo è l’annuncio natalizio che oggi ci viene rivolto!

Questa fede è in grado di gettare una luce potente sulla condi­zione della nostra vita in questo tempo, perché ce la fa leggere nella prospettiva di una riuscita che il clima sociale e culturale odierno non è in grado di lasciar intravedere. Attenzione, però, alle dicoto­mie semplicistiche e alle fughe o ai ripiegamenti in false sicurezze ammantate di affettata religiosità: l’incontro con il Signore è una sfida che lancia nell’arena della vita e nei suoi conflitti; la fede non risparmia i credenti dalle fatiche che devono sobbarcarsi tutti gli uomini, ma conferisce piuttosto una risorsa spirituale inimitabile e insostituibile che rende capaci di un amore senza limiti e che, come Gesù, si mette nella condizione dell’altro, anzi, prende il po­sto dell’altro, fino a pagare per lui e in sua vece.

La teologia e la spiritualità della vocazione possono essere lette su questo sfondo, non meno del tema che viene affrontato e svolto in questo Convegno: Scelte vocazionali tra paure e fiducia. Certo, oggi, anche i percorsi vocazionali, dal loro sorgere fino al loro sviluppo e compimento, soffrono della fragilità dei cammini evolutivi del­le nuove generazioni (e non solo di esse). Senza trascurare i pre­ziosi apporti delle scienze umane e i suggerimenti della sapienza e dell’esperienza pastorale, che ci aiutano a collocarci correttamente nel contesto storico e culturale di questo tempo, bisogna comunque riattingere alle sorgenti della vocazione cristiana il senso e la forza di ogni vocazione. Non vanno certo confusi i due livelli – quello della conversione a Cristo e quello della sua sequela, nello stato di vita a cui chiama – e tuttavia non va ignorata la loro correlazione. La qualità della percezione e della corrispondenza alla vocazione dipende dalla qualità della fede; l’incertezza di questa fa la fragilità di quella. Le paure che erodono la fede possono solo ingigantirsi di fronte alle scelte della vita: ben vengano, dunque, tutti i possibili sostegni ai cammini vocazionali, ma a condizione che, nello stesso tempo, sia nutrita e sostanziata la fede, cioè la relazione di figliolan­za con Dio per Cristo nello Spirito.

La fede ha bisogno, oggi, di almeno tre attenzioni per essere sal­vaguardata e coltivata.

1) La prima riguarda la figura di Cristo stesso, sottoposta anche oggi a nuovi tentativi di riduzionismo, tendenti a sottrargli la dimen­sione divina, a farlo diventare un maestro di morale, a presentarlo come uno tra i tanti fondatori di religioni. L’integrità della verità su Cristo – uomo e Dio, Figlio eterno del Padre ed ora incarnato in Gesù di Nazaret, Signore e Salvatore per la sua morte e risurrezione – è condizione imprescindibile per un’autentica relazione personale con lui; e senza relazione personale con Cristo non c’è fede, non c’è preghiera, non c’è vocazione di sorta.

2) Una seconda attenzione riguarda la Chiesa: la fede non è un’esperienza privata; il suo carattere ecclesiale è la garanzia della sua autenticità. Giungere alla fede ed entrare nella Chiesa sono la stessa cosa, o meglio, si compiono insieme o non si compiono affat­to. La disaffezione verso la Chiesa, anche quando porta con sé validi motivi legati alla inadeguatezza di suoi rappresentanti ministri, re­ligiosi e fedeli laici, è uno dei sintomi – e insieme una causa – della fragilità della fede e della sua esposizione al rischio di perdita o di strumentalizzazione per finalità ad essa estranee.

3) Una terza attenzione, infine, riguarda la confusione, oggi fre­quente, tra vita spirituale ed “emozionalismo” e sentimentalismo vagamente religioso. Senza nulla togliere al valore delle emozioni e dei sentimenti, che hanno il loro legittimo posto nella vita dell’uo­mo e anche nella sua esperienza di fede, anche in questo ambito bisogna ancorarsi alla oggettività della vita spirituale, fatta di rela­zione personale con Cristo nella preghiera, in una retta e formata coscienza morale, in una coerente corrispondenza alle responsa­bilità personali, sociali ed ecclesiali che qualificano l’orientamento vocazionale e lo stato di vita. Nella vita secondo lo Spirito si rias­sumono e si riconducono tutte le dimensioni della persona, le sue scelte e il suo servizio a Dio, nella Chiesa e nel mondo.

Il nostro riscoprirci figli di Dio, in questa domenica natalizia in cui si rinnova la meraviglia contemplante per la nascita del Salva­tore, si presenta così come il fulcro della nostra fede e dei nostri cammini vocazionali. Nell’Eucaristia che ci accingiamo a celebrare portiamo questi pensieri insieme alla luce che viene dalla Parola di Dio, alla preghiera che ne scaturisce, al desiderio e al proposito di una sequela sempre più amorosa del Signore, nato uomo per noi.