N.06
Novembre/Dicembre 2009

Gran Torino

Dopo aver realizzato opere complesse e raffinate come Mystic River (2003), Million Dollar Baby (2004), Flags of Our Fathers (2006) e Lettere da Iwo Jima (2006), Clint Eastwood ritorna ad un linguaggio più diretto e convenzionale, un po’ ruvido e talvolta sopra le righe, per trattare un tema di grande attualità, il rapporto con il “diverso” che suscita notoriamente atteggiamenti di rifiuto o addirittura di disprezzo. Lo fa con un’opera che potrebbe essere definita didascalica, a volte un po’ ingenua e scontata, ma che ha il pregio dell’immediatezza e possiede un finale non solo imprevedibile, ma anche decisamente di grande valore dal punto di vista tematico.

 

La vicenda –Mr. Walt Kowalski, di origine polacca ma americano doc, dopo aver lavorato cinquant’anni alla Ford e aver partecipato alla guerra di Corea, ha appena perso la moglie e si ritrova a vivere da solo nella sua casetta di Detroit, accudendo il piccolo giardino e passando gran parte del suo tempo seduto nella veranda a tracannare birra. L’unica sua compagnia sembra essere la fedele cagna Daisy, che egli chiama confidenzialmente “ragazza”. Ma il suo vanto è una splendida automobile, che tiene gelosamente custodita in garage, una Gran Torino della Ford del 1972, che lui stesso ha contribuito ad assemblare. Non ha un buon rapporto con i due figli e i quattro nipoti, che, oltre ad essere assai diversi da lui, sembrano dimostrare nei suoi confronti un interesse solo di tipo patrimoniale.

Il quartiere in cui abita si sta spopolando dei bianchi americani per lasciare il posto a ispanici e orientali, che lui chiama con disprezzo “musi gialli”. Quando il suo vicino di casa, un ragazzo di nome Thao, di etnia Hmong (un popolo che vive in diverse parti di Laos, Thailandia e Cina), viene assoldato da una gang di teppisti e, come iniziazione, tenta di rubargli la preziosa macchina, Walt interviene con tanto di fucile e sventa il furto. Walt deve “difendersi” anche dalle pressioni di un giovane prete, che aveva promesso a sua moglie di prendersi cura di lui e di convincerlo a confessarsi.

Un giorno Walt assiste al tentativo di violenza da parte di alcuni sbandati nei confronti di Sue, la sorella di Thao. Sdegnato per quanto sta per succedere, interviene in difesa della ragazza e la salva. Nasce così, poco alla volta, un rapporto, prima con Sue, poi anche con gli altri vicini, ed infine con lo stesso Thao. Un rapporto che porta a conoscere meglio quella gente strana e a trovare un nuovo modo di convivenza.

Walt si affeziona sempre più a Thao e, quando si accorge che il ragazzo è nel mirino di una gang della sua stessa etnia, non esita a proteggerlo usando le maniere forti. Ma in seguito scatta la rappresaglia della gang, che spara raffiche di mitra contro la casa dei vicini e violenta Sue. Walt si rende conto che Thao e i suoi non troveranno mai pace finché quei balordi saranno liberi di agire. E prende una decisione radicale. Va da solo ad affrontare la banda, non per uccidere i suoi membri, ma per offrirsi come bersaglio. Morirà, ma la sua morte permetterà l’arresto di tutta la banda e garantirà una vita serena ai suoi vicini e in particolare a Thao, cui ha lasciato in eredità la sua splendida Gran Torino.

 

Il racconto procede con struttura lineare e mette subito in rilievo la figura del protagonista, Walt, la cui storia viene scandita in tre grosse parti.

 

Parte prima –Le prime immagini ce lo mostrano in chiesa, al funerale della moglie. Fiero e sprezzante nonostante l’età, Walt riceve le condoglianze da parte di un amico, ma non può che disapprovare quei nipoti che entrano in chiesa con atteggiamento superficiale e con un abbigliamento decisamente discutibile. Il suo sguardo severo e la sua grinta non sfuggono ai suoi figli, che da tempo non lo invitano più per il Ringraziamento, a causa dei continui litigi, e che ritengono che lui viva ancora negli anni ‘50. Walt deve poi sorbirsi – con palese insofferenza – la predica del giovane prete che parla della vita e della morte e che invita a rivolgersi al «Signore che è la dolcezza».

Più tardi, a casa, mantiene il suo comportamento burbero e scontroso nei confronti dei figli; manifesta il suo disprezzo per i vicini orientali, definiti «topi di fogna»; senza mezzi termini risponde al prete che gli parla della promessa fatta alla moglie: «Io apprezzo le gentilezze che ha avuto per mia moglie, ma, ora che ha fatto il predicozzo, perché non va a pascolare le altre pecorelle? Io non sono mai stato un ardente baciapile; venivo in chiesa per far piacere a Dorothy e confesso che non ho nessun desiderio di confessarmi con un giovanotto appena uscito dal seminario».

Walt non può sopportare che uno dei suoi figli venda automobili giapponesi, considera i vicini dei “maledetti barbari” ed ostenta davanti alla casa una vistosa bandiera americana. Si prende cura del suo prato e guarda in cagnesco la vecchia della casa accanto che lo infastidisce con la sua sola presenza e che, a quanto pare, ricambia il sentimento.

Qualcosa di nuovo emerge nel colloquio che Walt è quasi costretto ad avere con il giovane prete al bar. I due tornano a parlare della vita e della morte, ma Walt è convinto che il prete non faccia che ripetere quello che ha imparato in seminario e che, pertanto, le sue prediche risultino patetiche. Lui, invece, ha visto la morte in faccia quando ha combattuto per tre anni in Corea: «Uccidevamo, passavamo i nemici alla baionetta, massacravamo dei 17enni a colpi di badile: roba che non potrò mai dimenticare, cose disumane, ma con cui riesco a vivere». Ma quando Walt parla della vita non può che balbettare: «Beh, io sono sopravvissuto alla guerra; ho preso moglie e ho avuto dei figli». E di fronte all’osservazione del prete: «Direi che lei ne sa più della morte che della vita», è costretto ad ammettere: «Può darsi, padre; può darsi».

Dopo aver sventato il furto della sua Gran Torino ad opera di Thao, Walt interviene ancora con il fucile per cacciare quella banda di teppisti che tormenta il ragazzo. Può sembrare che Walt lo faccia per difenderlo, ma in realtà le motivazioni sono molto più prosaiche: il suo intervento è finalizzato soltanto alla difesa del suo terreno. Ciononostante il suo gesto viene considerato eroico da parte di tutti i vicini, che si sentono in dovere di ringraziarlo regalandogli fiori e cibi preparati.

Finalmente, durante un altro colloquio col prete, emerge tutto il peso che quest’uomo si porta dentro e che spiega molte cose. Questa volta il sacerdote è molto agguerrito e colpisce nel segno: «Le cose che si fanno in guerra sono terribili: ricevere l’ordine di uccidere, uccidere per salvare se stessi o per salvare gli altri. Ha ragione: di quelle cose io non so assolutamente niente. Però io so che cos’è il perdono e ho visto tanti uomini confessare i loro peccati, ammettere le loro colpe e così lasciarsi il loro peso alle spalle. Uomini più forti di lei, che in guerra ebbero l’ordine di fare cose mostruose e che ora sono in pace». Walt riconosce le ragioni del prete, ma obietta: «La cosa che tormenta di più un uomo è quello che non gli hanno ordinato di fare». Solo nel finale si capirà a cosa Walt si riferisce, ma sin d’ora è possibile capire che qualcosa di terribile ha rovinato la sua vita.

 

Parte seconda –Un primo chiaro cambiamento nel protagonista avviene in occasione del tentativo di violenza da parte di un trio di ragazzi di colore nei confronti di Sue e del suo accompagnatore. Walt assiste a bordo della sua automobile alle schermaglie e, prima che i tre passino a vie di fatto, decide di intervenire facendo finta di sparare con le dita della mano e poi estraendo la pistola e minacciando i balordi con tono che non ammette replica. È la prima volta che Walt interviene non per difendere il proprio terreno, ma per aiutare qualcuno. E diventa anche l’occasione per parlare con Sue, dando vita ad un dialogo che si rivelerà quanto mai proficuo.

Viene così a conoscere chi sono i Hmong, un popolo che stava dalla parte degli americani durante la guerra del Vietnam e che è stato costretto ad emigrare, perché perseguitato dai comunisti dopo la fine della guerra. Si rende anche conto che Sue è una ragazza intelligente e aperta e che Thao, che lui si ostina a chiamare “Tardo”, fa fatica ad integrarsi, sia perché privo della figura paterna, sia perché, come fa notare Sue, «le femmine si adattano meglio: le ragazze Hmong vanno al college e i maschi vanno in galera». Il giorno dopo Walt vede Thao che aiuta una signora a raccogliere la spesa che le era caduta per terra e ha così modo di rendersi conto che quel ragazzo, così introverso e apparentemente poco sveglio, è in realtà una persona sensibile e servizievole. Per contro, caccia di casa il figlio e la nuora che, in occasione del suo compleanno, gli portano dei regali, ma fanno di tutto per convincerlo a lasciare la sua casa per andare in un ospizio. Ma la svolta più evidente avviene quando Sue, subito dopo, lo invita a partecipare ad una festa Hmong. Walt accetta. È un’occasione per approfondire la conoscenza degli usi e dei costumi di quella gente, per apprezzare il suo cibo, per socializzare e anche per rendersi utile (la riparazione dell’asciugatrice). Ma anche per sentire quello che gli dice lo sciamano, che riesce a leggergli dentro in modo sorprendente: «Hai fatto uno sbaglio nel tuo passato, uno sbaglio che non ti sei perdonato… Non c’è felicità nella tua vita… tu non sei in pace». Particolarmente significativa è la constatazione che a questo punto fa Walt: «Ho più cose in comune con questi musi gialli, che con quei depravati della mia famiglia».

Nel frattempo emerge anche un altro aspetto di Walt: l’uomo sputa continuamente sangue, segno che la sua salute è gravemente minata. Quando Thao, spinto dalla madre e da Sue, si offre di lavorare per lui per “riparare” al tentativo di furto, Walt gli fa eseguire diversi lavori. Nasce così l’occasione per conoscere meglio il ragazzo, per capirlo, per dialogare con lui. E incomincia a farsi strada una sorta di affetto nei suoi confronti. Non è un caso che Walt, dopo essere stato in ospedale per analisi, telefoni al figlio con un atteggiamento decisamente più affettuoso, ma, di fronte alla risposta sbrigativa di quest’ultimo, non gli dice niente del risultato (che, a quanto pare, è piuttosto allarmante). Thao invece, quando lo vede sputare sangue, si preoccupa per lui e lo invita a curarsi. Ormai tra loro è nata una sorta di amicizia destinata a crescere.

I due si aiutano reciprocamente: Thao gli chiede di aggiustare un rubinetto; Walt si fa aiutare a trasportare un pesante freezer che poi gli vende a un prezzo vantaggioso; Thao gli lava la preziosa Gran Torino; Walt gli regala degli attrezzi da lavoro. Particolarmente toccanti per Walt sono le parole che gli rivolge Sue: «Sei gentile a prenderti un po’ cura di lui… non ha nessun modello da seguire… sei un brav’uomo, Walt… vorrei che nostro padre fosse stato più come te». Walt ostenta il suo solito tono burbero, ma si capisce chiaramente che quelle parole lasciano in lui un segno. Ed eccolo parlare con Thao, chiedergli del suo futuro, proporgli un lavoro nel campo dell’edilizia. Prima però cerca di “iniziarlo” al mondo degli adulti portandolo dal suo barbiere di origine italiana e facendogli imparare «come parlano gli uomini tra loro» (naturalmente si tratta di un linguaggio sbrigativo e decisamente scurrile, ma… così vanno le cose!). Poi lo porta da un suo amico capocantiere, riesce a farlo assumere e gli compra quegli attrezzi di cui ha bisogno. È un grosso punto d’arrivo: Thao lo ringrazia sinceramente e l’immagine sottolinea la cordiale e affettuosa stretta di mano tra i due.

 

Parte terza –Le cose si complicano. Già in precedenza Walt aveva visto la gang dei teppisti aggirarsi da quelle parti e aveva sconsolatamente concluso: «Questo ragazzo non ha speranze». E infatti, poco dopo, i ragazzi della banda si rifanno vivi e picchiano crudelmente Thao spegnendogli una sigaretta sulla faccia. Walt decide di difendere il ragazzo fino in fondo. Per questo si apposta davanti alla casa della gang e, dopo che alcuni sono usciti, ne prende uno, lo riempie di botte e lo minaccia: «State lontani da Thao».

Nel frattempo Walt ha modo di esprimere il suo affetto per Thao con un gesto che fino a poco prima sembrava impossibile: gli presta la sua Gran Torino per portare fuori una ragazza di cui Thao comincia ad innamorarsi. Ma più tardi la spedizione punitiva della banda crea un clima di forte drammaticità. Thao viene leggermente ferito; Sue violentata barbaramente. Walt è indignato e sconvolto e partecipa al dolore della famiglia: «In guerra perdevi un sacco di amici, ma te lo aspettavi, era previsto». Va a casa e, in un impeto d’ira spacca tutto. Al prete che si reca a fargli visita, Walt, sconsolatamente, dice: «Thao e i suoi non troveranno mai pace, finché quei tizi saranno in giro». Tra i due nasce un rapporto più confidenziale: per la prima volta Walt si fa chiamare per nome; il prete dice di essere indignato, ma vuole scoraggiare Walt dal compiere un gesto di vendetta. Thao, invece, incita Walt a intervenire per farla finita una volta per tutte.

Di fronte alle pressioni del ragazzo, Walt prende tempo, con la scusa di dover elaborare un piano. Ma Walt ormai ha deciso e dà vita ad una sorta di rituale particolarmente significativo. Prima di tutto taglia l’erba del giardino; poi si fa un bagno e fuma una sigaretta; va dal barbiere e, per la prima volta, si fa tagliare anche la barba; va a comprarsi un vestito su misura ed infine va in chiesa per confessarsi. Al prete, quanto mai sorpreso, Walt dice di non essersi mai confessato. Poi elenca brevemente i suoi peccati: il bacio dato ad una donna; il non aver pagato le tasse su un piccolo importo; il fatto di non avere un buon rapporto con i figli che ammette di non conoscere. Poi se ne va, con calma serafica, e, di fronte alle raccomandazioni del prete che lo invita a non commettere azioni violente, Walt si limita ad affermare: «Io sono in pace».

Quando Thao va da lui per aiutarlo a compiere la vendetta, Walt gli regala la stella al valore che ha ricevuto in guerra e poi, dopo averlo chiuso a chiave nella cantina, gli rivela le sue decisioni. Di fronte al ragazzo che gli chiede che cosa si prova ad uccidere un uomo, Walt si lascia andare: «È meglio che non lo provi. Ci si sente di m…, se ti interessa, è ancora peggio prendere una medaglia al valore per aver ucciso un poveraccio che voleva solo arrendersi e vivere. Esatto, un piccolo muso giallo spaventato come te; gli ho sparato dritto in faccia proprio col fucile che avevi in mano poco fa. Non c’è giorno che passa senza che ci pensi. Tu non vuoi questo sulla coscienza. Io ormai ho le mani sporche di sangue, sono macchiato. Ecco perché vado lì da solo stasera. Sono fiero di dire che sei mio amico, ma tu hai tutta la vita davanti a te, io sono alla fine, devo concludere».

Poi, dopo aver affidato la fedele Daisy alla nonna di Thao, Walt va davanti alla casa della banda. Ci si aspetterebbe la solita azione vendicativa, con tanto di vittoria da parte del “buono”, ma le cose vanno diversamente. Dopo aver fatto uscire tutti dalla casa, Walt, pronunciando le prime parole dell’Ave Maria, finge di estrarre la pistola (che non aveva) e viene crivellato di colpi. L’immagine ce lo mostra dall’alto con le braccia aperte, con in mano lo stemma del Primo Cavalleria, mentre il sangue fuoriesce sempre più copioso e la musica va in crescendo. È una chiara indicazione di tipo cristologico. Quando Thao arriva, la polizia ha già arrestato tutti i membri della banda, che vengono finalmente portati in galera. Il ragazzo porta sul petto la stella al valore di Walt e non può che ripetere: «È un mio amico». Al suo funerale il prete ammette di aver ricevuto anche lui una lezione: «Walt non aveva certo problemi a dire pane al pane. Ma aveva ragione: io non sapevo davvero niente della vita e della morte, finché non ho conosciuto Walt. Ho imparato da lui». C’è poi la lettura del testamento con il lascito della casa alla chiesa e della Gran Torino a Thao. Le ultime immagini mostrano Thao che percorre una strada lungo il mare con la splendida automobile di Walt e con al fianco Daisy, mentre la musica e la canzone sottolineano il clima di serenità, venata da un po’ di malinconia. Il ragazzo ha raccolto l’eredità (non solo materiale) del grande Walt.

 

La significazione del film nasce chiaramente dalla grande evoluzione del protagonista: Walt, nei confronti di Thao, che è diverso da lui e che appartiene ad un’altra cultura (così come le altre persone che gli vivono accanto), ha inizialmente un atteggiamento di rifiuto pregiudiziale; passa poi al dialogo e alla conoscenza; scopre che la diversità può essere un elemento di arricchimento; diventa suo amico e gli fa quasi da padre fino al punto di difenderlo e di sacrificarsi per lui. Così lo salva, non solo dalla banda dei teppisti, ma, cosa ancora più importante, dalla tentazione della violenza e dall’accettazione della sua logica. È evidente l’intento universalizzante da parte del regista: se questo l’ha fatto Walt, un tipo così burbero e scorbutico, lo può fare chiunque.

Dal punto di vista tematico e morale il film è pertanto molto interessante e positivo. Resta qualche riserva dal punto di vista cinematografico, sia per il didascalismo di fondo, sia per una certa ingenuità (anche a livello di recitazione da parte dei personaggi minori). E poi nasce spontanea una domanda: come mai Walt, quando va a confessarsi, non confessa quel peccato così grave che gli pesa sulla coscienza e lo rivela soltanto a Thao poco prima di sacrificarsi per lui?

Il pregio principale del film, comunque, consiste proprio in quel finale a sorpresa che capovolge la logica della vendetta e addita nell’amore e nel sacrificio fatto per amore la strada della salvezza e la chiave di lettura della vita e della morte.