N.01
Gennaio/Febbraio 2010

Il mio amico Eric

Il regista – Ken Loach, conosciuto nel mondo del cinema come “Ken, il rosso” per il suo chiaro orientamento politico, si è molto spesso occupato della working class con accenti drammatici e polemici, accompagnati da un linguaggio scarno e rigoroso. I suoi ultimi due film sono stati Il vento che accarezza l’erba (1996), Palma d’Oro al Festival di Cannes, e In questo mondo libero (1997), premiato per la sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia. Ora sorprende un po’ tutti con questo Looking for Eric, che viene attribuito dalla distribuzione al genere “Commedia, Drammatico, Sportivo” e che, presentato al Festival di Cannes, ha conquistato la platea, ma non la giuria. Come si può evincere, si tratta di un’opera che pone ancora al centro dell’attenzione un lavoratore, ma lo fa attraverso una “contaminazione” stilistica che ha tutto il sapore del “racconto edificante” e sfugge pertanto al rigore della denuncia sociale o a quello della introspezione psicologica.

 

La vicendaEric Bishop è un postino inglese di circa cinquant’anni. La sua seconda moglie, Chris, lo ha abbandonato da sette anni lasciandogli sul groppone due figliastri adolescenti. Ma il vero cruccio di Eric è rappresentato dal fallimento del suo primo matrimonio, avvenuto trent’anni prima, con Lily, una giovane ragazza dalla quale ha avuto una figlia, Sam, e dalla quale è fuggito in preda ad un attacco di panico, lasciandola sola ad allevare la bambina. Eric vive ora una vita al limite della disperazione, por­tandosi dietro un profondo senso di colpa, che né i figliastri, Ryan e Jess, completamente indifferenti nei suoi confronti, né gli amici, che pure gli vogliono bene, riescono a fargli superare. La dispera­zione lo porta a guidare in modo spericolato fino al punto di rima­nere vittima di un incidente, per fortuna senza gravi conseguenze. Al ritorno dall’ospedale, i suoi amici, tutti tifosi di calcio come lui, cercano di aiutarlo attraverso una terapia di gruppo. La “cura” con­siste nel scegliersi un personaggio-guida, un personaggio di cui ci si fida ciecamente, per farsi consigliare e seguirne l’esempio. Eric non ha dubbi. Sceglie Eric Cantona, il suo idolo calcistico, famoso per aver deliziato con le sue giocate i tifosi del Manchester United e di cui tiene in camera un poster gigante. E sarà proprio grazie ai suoi consigli e ai suoi insegnamenti che Eric riuscirà, poco alla volta e dopo rocambolesche imprese, a riconquistare la stima dei figliastri, la riconoscenza di Sam e l’amore di Lily.

 

Il racconto è strutturato in modo lineare con l’inserimento, però, di alcuni flashback che hanno la funzione di ricostruire alcu­ni momenti particolarmente importanti della vita di Eric (funzione narrativo-tematica) e di rappresentare, attraverso filmati di reperto­rio, alcune delle più belle giocate di Cantona nel Manchester (fun­zione spettacolare).

 

Introduzione –Le prime immagini del film sono sonore: il suono di clacson e il rumore di un’automobile che corre a tutta velocità. Subito dopo si vede il protagonista che, in evidente stato confu­sionale, continua a percorrere una rotonda all’impazzata, fino allo scontro inevitabile. Una didascalia anticipa un elemento tematico che emergerà più avanti: «Tutto cominciò con un bel passaggio», di Eric Cantona.

 

Prima parte –Subito dopo l’incidente viene presentata la figu­ra del protagonista nei suoi aspetti esistenziali e familiari. Eric è un uomo mite e in preda alla disperazione. È smarrito e piange amaramente. Quando torna a casa trova solo disordine e confu­sione: Ryan, alle prese con attività e commerci più grandi dei suoi sedici anni, neanche gli risponde, preferendo la compagnia di una ragazza; Jess ha trasformato la sua camera in un albergo, dove han­no trovato posto alcuni dei suoi amici. A nulla valgono le proteste e la scenata di Eric: tutto sembra procedere come se lui non esistesse. Eccolo allora ritirarsi nella sua camera e parlare con il poster di Can­tona, cercando di ricordare – come gli aveva chiesto di fare lo “striz­zacervelli” – l’ultima volta in cui si era sentito felice: sono ricordi di parecchi anni prima, quando, assieme ai suoi amici andava a vedere le partite di calcio e ad ammirare gli straordinari gol del suo idolo.

I suoi amici, postini come lui, si rendono conto del suo stato di prostrazione («È come un ingranaggio inceppato; non parte. Era un ballerino coi fiocchi: guardalo lì») e cercano di fare qualcosa per lui. Prima tentando di farlo ridere raccontandogli delle barzellette e poi attraverso un’improvvisata terapia di gruppo. Il primo con­siglio, che viene dato dall’“esperto” della compagnia, è: «Pensa ad una persona che ti ama e immagina di guardare te stesso attraver­so i suoi occhi»; il secondo è quello di pensare ad alcune persone importanti e cercare di emularle. Eric sceglie Cantona. È chiara l’indicazione tematica: Eric si chiama come Cantona (che è il suo idolo) e il titolo originale del film è Looking for Eric, cioè “Cercando Eric”. Attraverso questo espediente narrativo (che, come detto, pos­siede certamente anche una valenza spettacolare), l’autore vuole indicare che da questo momento Eric cerca se stesso, attraverso il suo alter ego, il campione di calcio.

 

Seconda parte – Eric comincia ad entrare a contatto con la sua guida. Cerca di imitarlo (alza il bavero della camicia) e, con la com­plicità di qualche sigaretta “particolare”, inizia a porgli/porsi delle domande quanto mai significative («Come va la cura di te stesso? Chi si prende cura di te? Hai mai fatto qualcosa di cui ora ti vergo­gni?»). Ed ecco materializzarsi il vero Cantona, che lo costringe a compiere una serie di passi importanti per un cammino di recu­pero.

A cominciare dalla cosa più importante: pronunciare il nome di Lily e rievocare i momenti belli del loro rapporto, con la consapevo­lezza che «i ricordi più belli sono i più difficili da sopportare». Eric oppone resistenza, ma Cantona lo sprona: «È una cosa da affronta­re. Senza rischiare non possiamo superare i rischi». L’apertura del baule dove sono conservati i ricordi più belli diviene pertanto il punto di partenza ineludibile per iniziare un processo di autoanalisi. Ecco allora Eric che rievoca quella serata magica di trent’anni prima in cui, assieme a Lily, vinse la gara di ballo con un paio di scarpe sca­mosciate blu. Poi l’amore travolgente. Poi i tanti errori commessi. Ed ora la consapevolezza che (a Lily) «non le importa più niente… e questo è ancora peggio dell’odio». Da qui la prostrazione psicolo­gica che lo ha portato a quel gesto pericoloso e disperato.

Cantona lo incita a fare qualcosa, ad agire: «Colui che prevede tutti i pericoli non prenderà mai il mare. Ci sono sempre più scelte di quante crediamo». Da qui l’invito a radersi e ad incontrare Lily. E di fronte alle proteste di Eric («Io non posso incontrarla»), Cantona ribatte fermamente:«Sì che puoi».

Il colloquio tra i due ex coniugi è imbarazzato. Decidono tutta­via di collaborare per dare una mano alla figlia Sam, che ha una bambina piccola, Daisy, e che ha bisogno di tempo libero per poter raggiungere la laurea.

Continuando nella scia dei ricordi, Eric parla del padre, un uomo invadente, che ha influito negativamente nel suo rapporto con Lily. Poi c’è quel biglietto che Lily gli aveva inviato dopo che lui era spa­rito. C’era disegnata sopra una colomba con il ramoscello d’ulivo e con parole quanto mai toccanti: «Non posso amarti più di così». Ma lui non aveva risposto e poi, col passar del tempo, diventava sempre più difficile farlo. Cantona lo invita a parlarle o a scriverle, ma Eric non se la sente affermando di non avere le parole. Allora Can­tona lo invita da uscire con gli amici per avere qualcuno con cui comunicare e per potersi distrarre un po’.

Quando Eric torna a casa e trova i figliastri immersi nelle loro solite occupazioni (trafficare con un losco figuro, Zac, per quanto riguarda Ryan; stare costantemente davanti alla TV per Jess), molto umilmente si mette a rassettare la casa, ma Cantona interviene e gli fa capire che è giunta l’ora di dire, con grande fermezza, dei “no!”. È forse la prima volta che Eric dimostra determinazione e grinta, suscitando sorpresa e stupore nei figliastri.

Un altro importante insegnamento Eric lo riceve quando lo stes­so Cantona si confida, parlando delle sue paure e del suo desiderio di sorprendere gli spettatori: «In ogni partita io cercavo di fargli un regalo, di sorprenderli; ma prima dovevo riuscire a sorprendere me stesso, accettare il rischio. Sai, dipende dai limiti che scegli di pórti: se giochi sul sicuro non corri nessun rischio». E quando Eric gli chiede qual è stato il momento più bello della sua carriera, inaspet­tatamente Cantona afferma che non si è trattato di un gol, ma di un passaggio, di un regalo che lui ha fatto ad un suo compagno; perché «devi fidarti dei tuoi compagni, in ogni caso, altrimenti tutto è perduto». È evidente il richiamo alla didascalia iniziale. Poi Can­tona gli racconta della sua squalifica per nove mesi e delle difficoltà che ha dovuto superare: «Ho dovuto lavorare molto, scavare dentro me stesso, riempire la vita, darmi un obiettivo».

Eric decide di parlare con Lily. Va a casa sua, ma la donna lo respinge rinfacciandogli tutte le sofferenze che ha dovuto patire: «Mi tormentavo disperata, piangendo tutte le sere… sono andata in pezzi e ho dovuto ricostruire la mia vita».

Eric è demoralizzato, ma ancora una volta Cantona lo risolleva parlandogli del perdono, della possibilità di essere perdonato. E infatti ecco arrivare la telefonata di Lily che lo invita al pub. È l’oc­casione per spiegarsi, per capirsi, per chiarire. Eric ricorda le pres­sioni del padre, l’attacco di panico, la paura di tornare a casa. E poi le ubriacature e le tante bugie. Lily lo comprende e forse si aspetta da lui un gesto affettuoso. La stessa Sam osserva che per la prima volta i suoi genitori sono seduti vicino, come non era mai successo. Ma Eric non è ancora pronto: dopo tanto tempo non riesce più a toccare una persona.

Interviene ancora Cantona che con una magia lo fa ballare e gli fa ricordare i bei tempi da ballerino. Poi gli propone un nuovo regime di vita: è necessario fare movimento, allenarsi, tenersi in forma. E ai compagni che gli chiedono che cosa stia facendo, Eric risponde finalmente: «Sono un uomo cambiato».

 

Terza parte – Dopo tale metamorfosi, la presenza di Cantona non è più necessaria: apparirà solo un altro paio di volte per dare gli ultimi consigli a Eric e per partecipare alla sua vittoria finale.

Eric, uomo trasformato e rinato, incomincia ad agire. E ad usare metodi decisi e sbrigativi. Con l’aiuto degli amici fa portar via i televisori da casa; cucina solo per sé e non per i figliastri («Niente lavoro, niente mangiare»); invita Lily a pranzo; si scontra con Ryan che teneva nascosta in casa una pistola per conto di Zac; va alla ricerca del gangster per porre fine a quella complicità. Ma le cose si complicano. Zac lo umilia e con una soffiata lo fa arrestare assieme a tutta la famiglia riunita.

Gli ultimi interventi di Cantona sono decisivi. Bisogna trovare altre possibilità, bisogna cambiare, dirlo agli amici: «Sono tuoi amici, giusto? Non pensi che si può dire tutto agli amici? Fidati di loro». E ancora: «Per sorprenderli devi prima sorprendere te stesso, cambiare tattica». La parte finale è tutta narrativa. Con l’aiuto degli amici, che si organizzano come ai vecchi tempi, Eric riuscirà a dare una bella lezione a Zac, ad umiliarlo, a fargli perdere la faccia, recuperando così la stima dei figliastri che non lo credevano capace di tanto. Ora Cantona, dopo aver salutato Eric col pugno chiuso (tanto caro a Loach), può anche sparire: ha assolto perfettamente il suo compito.

 

Epilogo – È il classico lieto fine. I figliastri informano Lily delle prodezze di Eric. Sam si laurea e ringrazia i genitori per averla aiu­tata. Lily apprezza: «C’è voluto veramente un gran bel coraggio; e quei ragazzi ti vogliono un bene dell’anima, come te ne vuole Sam: qualcosa di buono l’hai fatto per forza». Resta solo il tempo per le fotografie. L’ultima, ovviamente, è quella di Lily con il “suo” Eric, che per l’occasione indossa quel paio di scarpe scamosciate blu da cui tutto ha avuto inizio.

 

Significazione –Il film racconta la storia di una rinascita. Quella del postino Eric, inizialmente disperato per aver fallito tutto nella vita, che, rientrando in se stesso e con l’aiuto di persone ami­che, riesce poco alla volta a superare e a rimuovere i motivi della sua crisi, recuperando la propria dignità e la felicità del vivere. È chiara anche l’intenzione universalizzante del regista: se ce l’ha fatta Eric, uomo disperato e fallito su tutti i fronti, ce la può fare qualsiasi persona. Si può concludere affermando che il film esprime un’idea tematico-spettacolare. A differenza, ad esempio, di My name is Joe, in cui Loach raccontava il riscatto di un uomo alla deriva con un linguaggio essenziale e rigoroso, qui l’autore si permette certe concessioni spettacolari, ma salvando la sostanza di quello che si è definito un “racconto edificante”, portatore di valori, di cui oggi pare esserci urgente bisogno.