N.02
Marzo/Aprile 2010

«Abbiamo incontrato il Messia» (Gv 1,41)

Dalle cime innevate di Lagonegro forse Mons. Nolè è stato impedito ad assicurare la sua presenza qui. Sicché vi dovete accontentare del “mare agitato”. Intorno all’isola, soprattutto in questi giorni siamo sempre SLM (Sul Livello del Mare, ndr) e aggiungo una A: Sul Livello del Mare Agitato. Quindi dalla panchina dove me ne stavo buono al calduccio, Mons. Italo Castellani, con don Nico, direttore tecnico mi hanno fatto fare il preriscaldamento e mi hanno mandato in campo. Ma, venuto in campo per fare la partita ho trovato tutto già fatto. Pensate la meditazione di questa mattina della signora Rita Torti Mazzi, pensate al fiume di riflessioni che ha fatto P. Amedeo Cencini…

Comprendete quindi come io abbia messo tutto nello shaker. I seminaristi di Ischia vengono dalla scuola alberghiera, quindi o sono dei grandi cuochi e cucinano per i loro amici, o sono dei barman che mettono nello shaker tutti gli elementi e cercano di servire un ottimo cocktail… Ho messo nello shaker tutti questi elementi e vi do qualche riflessione sulla liturgia, in modo particolare sul Vangelo che abbiamo ascoltato “in tutte le salse” (sempre per usare il gergo alberghiero).

Siccome l’ecclesiologia del Vaticano II ha puntato tutta la vita ecclesiale, tutta la vita cristiana in modo particolare su tre elementi (lo ricordo a me e a voi): la koinonia, la diaconia e la martyria, tre idee, dette molto brevemente, incarnate nella nostra storia.

La koinonia è impegno di comunione («Ut unum sint», è il testamento di Gesù in Gv 17, nell’ultima cena, «perché il mondo creda»), diventa un motivo di credibilità la koinonia delle nostre Comunità nella Chiesa. Non per niente la prima nota ecclesiale è: «Credo la Chiesa una…». Segue: «…santa, cattolica…». “Una”: c’è una bella virgola, per cui ci dobbiamo fermare. La Chiesa “una”. Ecco l’unità, ecco il «segno… da questo vi riconosceranno: se vi amate…».

Ecco Deus Charitas est: l’Amore si manifesta nella unità fra di noi nell’unità di tutta la Chiesa.

Ma sappiamo che l’unità si deve poi tradurre in diaconia, cioè nel servizio, sull’esempio di Gesù, venuto per servire, non per essere servito; sull’esempio di Maria, che è chiamata per essere la Regina del cielo e della terra, la madre del Messia, la quale disse: «Io sono soltanto la serva del Signore»; sull’esempio del Santo Padre. I Papi si sono sempre proclamati ognuno servus servorum Dei, servo dei servi di Dio. Allora ecco l’interrogativo che subito rivolgiamo a noi stessi: siamo chiamati per il servizio?

Poi la terza componente determinante trattata in particolare in questo Convegno, la martyria, il martirio, la testimonianza. Perché il martirio – dice Sant’Agostino – può essere il martyrium sanguinis – pensate anche ai nostri tempi in terre dove c’è la violenza, la guerra… quanti missionari, quanti cristiani stanno dando la vita per il Signore (martyrium sanguinis, i crocifissi addirittura, in terra di missione, come è avvenuto qualche mese fa). Poi c’è il martyrium cordis. Non tutti siamo chiamati al martyrium sanguinis, ma sicuramente al martyrium cordis, che diventa perciò esperienza e diventa testimonianza.

Nel Vangelo ho letto due testimonianze: quella di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio» e quella dei discepoli: «Abbiamo incontrato il Messia». Due testimonianze. Per cui noi dobbiamo mutuare da queste due testimonianze il nostro stile di testimonianza per l’educazione.

Abbiamo la testimonianza di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio». Eppure lui, formato alla scuola rabbinica, alla scuola che prendeva le mosse dagli antichi Profeti, dall’Antico Testamento e anche dal Talmud, lui forse formato nella scuola della Comunità di Qumram, come è un’antica tradizione, aveva del Messia questa concezione severa. Il Messia doveva essere fuoco che doveva bruciare tutte le erbe che occupavano il campo – il loglio –, doveva essere la scure messa alle radici degli alberi che non davano frutto e che per questo si dovevano abbattere; doveva essere il ventilabro che sull’aia doveva battere il grano per liberarlo dalla pula.

Ecco la visione molto severa del Messia da parte di Giovanni Battista.

Invece, quando vede Gesù, uomo tra gli uomini, che si era messo lui pure ai guadi del Giordano per essere battezzato, allora cambia, si converte e dice: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie – oppure porta i peccati del mondo» (il verbo greco indica sia “togliere” che “portare” i peccati del mondo).

Allora, ecco Giovanni Battista che dà prima di tutto una testimonianza di vita, predica la conversione, però dice anche: «Oportet me minuere, illum autem crescere» e cioè: «È necessario che io diminuisca… Io non sono degno neppure di sciogliere i legacci dei suoi sandali». Una vita austera, una dieta rigida (non era la dieta mediterranea…): locuste, miele selvatico… Poi un look veramente non molto di moda, né da Trussardi, né da Ferrè o da altri stilisti, ma una tunica stretta con una cinghia ai fianchi, coperto di peli… Si sa di meglio. Siccome i peli li aveva sul vestito, e non li aveva sulla lingua, allora si mette a dire a Erode: «Non licet Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello… Non ti è lecito!». Ecco il parlar chiaro. E quindi ecco l’annuncio poi di testimonianza. Perciò: «Ecco l’Agnello di Dio». Ai discepoli dice di seguire lui e di incontrarsi con lui. Infatti i discepoli si incontrano con lui. Bellissimo dettaglio del momento dell’incontro: «Erano le quattro del pomeriggio».

Ognuno di noi può ricordarsi l’ora in cui ha veramente incontrato il Signore e veramente poi ha deciso di seguirlo. Ognuno di noi ha la sua ora delle “quattro del pomeriggio”, perché lì c’è stato l’incontro con la sorgente dell’acqua viva che sprizza, l’acqua, non quella che la Samaritana ha preso al pozzo di Giacobbe con la brocca. Ma annunziò Gesù pure lei appena posò la brocca e si recò al villaggio a dire: «Ho incontrato il Messia». Allora, soltanto quando sappiamo lasciare la nostra brocca, con in fondo forse un po’ di fango, allora possiamo testimoniare anche noi, proprio come hanno fatto gli apostoli: «Abbiamo incontrato il Messia… Abbiamo conosciuto il dono di Dio».

C’è poi la domanda che si poneva anche Padre Amedeo, quella domanda delle persone che ascoltavano la testimonianza e si sentirono trafiggere dentro: «E noi, noi cosa dobbiamo fare?». Anche noi ci sentiamo trafiggere dentro di fronte a questa duplice testimonianza di Giovanni Battista e alla testimonianza dei discepoli che incontrarono Gesù.

Ecco, allora risuona in me una eco profonda nella nostra vita: quelle parole di Giovanni Paolo II: «Scendete tra i giovani, chiamate, proclamate il Vangelo della vocazione» (a Ischia dicono che io faccio “mitragliate vocazionali”… mi hanno chiesto: «Non avete portato la mitra». «No, ho il mitra!»… mitragliate vocazionali).

Ricordo, proprio in questi ultimi tempi, qualche anno fa, un ragazzo che cantava nel coro. Aveva un cardigan il cui girocollo terminava con una placchetta di metallo, che alla luce sembrava il colletto, esattamente il colletto di un abito talare. Allora lo chiamai e gli chiesi: «Senti, hai mai pensato di farti prete?». Mi disse di no, era fidanzato. «Appunto, tu sacerdote e la tua ragazza consacrata, religiosa». Mai parole tanto profetiche… Lui sacerdote e l’altra una consacrazione in un istituto di consacrazione laicale.

Allora ecco che dobbiamo noi scomparire e indirizzare tutto a lui, non a noi. Noi non siamo il quinto Evangelio, come dice il libro di Mario Pomilio. No, c’è il Vangelo di Gesù Cristo, è soltanto il Vangelo che noi abbiamo nella nostra vita, che può portare anche il nostro nome, ma mai indirizzare a noi. È sempre una strada a senso unico che va verso il Signore e ritorna verso di noi.

Si chiama ego, ego-centrismo, ecco il narcisismo di cui qualcuno ha parlato questa mattina. Dobbiamo veramente indirizzare al Signore…

Quando c’è la mobilità delle tende un vescovo, un parroco si trovano in grande difficoltà perché tra raccolta di firme, tra primarie, tra e-mail, tra lettere aperte, tra pressione… (si vuole una determinata persona e non si pensa invece che deve essere sempre benedetto colui che viene nel nome del Signore)… Perché i fedeli molto spesso hanno lo sguardo ristretto al campanile, il vescovo almeno, soprattutto se viene da una diocesi metropolitana come Napoli, ha uno sguardo molto lungo e molto lasso… Allora ecco, significa che colui che doveva essere cambiato ha esercitato una leadership per cui ha indirizzato a se stesso la testimonianza, non l’ha indirizzata all’Altro.

Allora viviamo questa testimonianza proprio per indirizzare tutto al Signore, per testimoniare lui al centro della nostra vita, proprio come Giovanni Battista e come Andrea, che hanno annunziato e incontrato il Messia.

Nell’antifona di Vespri di Sant’Andrea è descritto: «Dilexit Dominus Andrea», il Signore amò Andrea perché seppe dare una bella testimonianza. È questo un augurio per tutti noi.